Consiglio di Stato smonta gli indennizzi ai balneari: la battuta d'arresto sulle spiagge
1. **Contesto e protagonisti principali**:
- **Balneari**: gestori di imprese balneari che si trovano nella difficile posizione di dover affrontare la fine delle concessioni, spesso con il rischio di dover chiudere o di perdere ingenti investimenti.
- **Ministero delle Infrastrutture**: ha predisposto un decreto con indennizzi a favore dei balneari, probabilmente volto a mitigare gli effetti della fine delle concessioni.
- **Commissione Europea (UE)**: già aveva respinto il testo, richiamando la direttiva Bolkestein, che mira a liberalizzare il settore e vieta vantaggi ingiustificati ai concessionari uscenti.
- **Consiglio di Stato**: ha rilasciato un parere negativo molto severo sul decreto e sugli indennizzi, rafforzando le perplessità già sollevate dalla UE.
2. **Il parere del Consiglio di Stato**:
- Si tratta di una relazione di 29 pagine, con toni durissimi, che smonta punto per punto le basi del provvedimento.
- La critica principale riguarda la incoerenza e la mancanza di fondamento del decreto, che sembrerebbe contraddire le normative europee e i principi di libera concorrenza.
- La relazione evidenzia come gli indennizzi proposti siano incoerenti con le direttive UE e potrebbero configurare un aiuto di Stato illegittimo.
3. **Impatto delle critiche**:
- La posizione del Consiglio di Stato rappresenta un ulteriore ostacolo all’attuazione del provvedimento, creando un contenzioso tra le istituzioni italiane e le autorità europee.
- La relazione sottolinea come il decreto, così come proposto, potrebbe essere impugnato o bloccato in sede europea, con rischi di sanzioni o di dover modificare radicalmente il testo.
4. **Riconoscimenti e rischi politici**:
- La decisione del Consiglio di Stato si inserisce in un contesto più ampio di tensione tra le istituzioni italiane e l’UE, con implicazioni politiche e di rispetto delle norme comunitarie.
- Salvini e il governo italiano si trovano quindi in una posizione difficile: da un lato vogliono tutelare i balneari, dall’altro devono rispettare le norme europee, che sembrano essere contrarie a qualsiasi forma di indennizzo preferenziale.
5. **Risultati e prospettive future**:
- Il parere del Consiglio di Stato potrebbe portare a un ripensamento del decreto o alla sua modifica.
- Potrebbe essere necessario trovare una soluzione alternativa che rispetti sia le normative europee sia le esigenze degli operatori balneari.
- La questione potrebbe andare avanti in sede europea, con possibili conseguenze legali e politiche di lungo termine.
**In sintesi**, il commento evidenzia come la posizione del Consiglio di Stato rappresenti un ulteriore ostacolo alla proposta di indennizzi ai balneari, sottolineando la contraddizione tra le iniziative italiane e le norme europee. La vicenda si inserisce in un quadro più complesso di tensione tra tutela delle imprese italiane e rispetto delle direttive comunitarie, con possibili ripercussioni legali e politiche significative.
Numero 00750/2025 e data 22/07/2025 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 8 luglio 2025
NUMERO AFFARE 00634/2025
OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
schema di decreto recante “individuazione dei criteri per calcolare l’indennizzo dovuto da parte del concessionario subentrante al concessionario uscente a seguito della procedura di affidamento delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative e sportive nonché per la rideterminazione degli importi unitari dei canoni”.
LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. 22109 in data 24 giugno 2025, con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e uditi i relatori Giovanni Grasso, Davide Miniussi, Sebastiano Galdino;
Premessa. La richiesta di parere.
1.- Con nota prot. n. 22109 in data 24 giugno 2025, il capo dell’ufficio legislativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha tramesso, ai fini della acquisizione del prescritto parere, lo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti recante “individuazione dei criteri per calcolare l’indennizzo dovuto da parte del concessionario subentrante al concessionario uscente a seguito della procedura di affidamento delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative e sportive nonché per la rideterminazione degli importi unitari dei canoni”.
2.- A corredo della richiesta, sono stati trasmessi:
a) la “relazione al Ministro”, elaborata dal capo ufficio legislativo e munita del visto e pedissequa autorizzazione per i fini di cui all’articolo 36 del regio decreto 21 aprile 1942, n. 444;
b) il testo dello schema di decreto, munito della ‘bollinatura’ della Ragioneria generale dello Stato;
c) la “relazione illustrativa”;
d) la “relazione tecnica”, ‘bollinata’ dalla Ragioneria generale dello Stato;
e) l’“analisi di impatto della regolamentazione” (AIR);
f) l’“analisi tecnico-normativa” (ATN), elaborata dall’ufficio legislativo;
g) le note prot. n. VI 25/42 e VII 25/48, rispettivamente del 7 aprile 2025 e del 18 aprile 2025, del Nucleo di valutazione dell’impatto della regolamentazione (NUVIR);
h) la nota prot. n. 26061 del 12 giugno 2025, con la quale il capo del gabinetto del Ministero dell’economia e delle finanze, “preso atto del parere del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato in merito all’assenza, allo stato, di effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica”, ha espresso, “d’ordine del Ministro”, il “formale concerto”.
La base normativa.
3.- Lo schema di regolamento è approntato in attuazione dell’articolo 4, comma 9, della legge 5 agosto 2022, n. 118, quale risultante dalle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, convertito dalla legge 14 novembre 2024, n. 166.
Nel quadro della disciplina concernente l’affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive, la disposizione sancisce che – in caso di rilascio della concessione, all’esito delle prescritte procedure evidenziali, a favore di un nuovo concessionario – il “concessionario uscente” abbia diritto al riconoscimento, a carico del “concessionario subentrante”:
a) di un “indennizzo”, pari al “valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati” (ivi compresi quelli effettuati “in conseguenza di eventi calamitosi debitamente dichiarati dalle autorità competenti” ovvero in correlazione a sopravvenuti “obblighi di legge”, al netto di ogni misura di aiuto o sovvenzione pubblica eventualmente percepita e non rimborsata);
b) di una “equa remunerazione” degli investimenti “effettuati negli ultimi cinque anni”.
La definizione dei “criteri” per la relativa determinazione e quantificazione è, per l’appunto, rimessa ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, elaborato “di concerto” con il Ministro dell’economia e delle finanze, “da adottare entro il 31 marzo 2025”.
Al medesimo decreto, l’articolo 4, comma 11 della legge affida altresì il compito di provvedere all’“aggiornamento dell’entità degli importi unitari” previsti dall’articolo 03, comma 1, lettera b), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nonché dei canoni per le concessioni lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive.
4.- Osserva la Sezione che, a stretto rigore, l’ambito e l’oggetto dell’intervento normativo parrebbero prima facie circoscritti – come fatto palese, sul piano testuale, dall’accordo morfo-sintattico con l’aggettivo “stabilita” in correlazione, sul piano sistematico, con l’acquisizione restrittiva dell’autorizzazione, necessariamente espressa, del potere normativo di rango ministeriale (cfr. articolo 17, comma 3 legge n. 400 del 1988) – alla definizione dei criteri idonei alla determinazione della (sola) “equa remunerazione” degli investimenti effettuati nel quinquennio anteriore alla scadenza della concessione. Con ciò, il riferimento all’”indennizzo […] pari al valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati” risulterebbe scolpito, in guisa autosufficiente, al livello della norma primaria.
Ne discenderebbe, nondimeno, una incongrua e per vario rispetto indesiderabile frammentazione di disciplina, che induce a condividere senz’altro l’opzione del Ministero richiedente – di cui è dato, peraltro, esplicito conto nell’articolazione giustificativa del primo Ritenuto del Preambolo – per una unitaria e comprensiva riconduzione della materia allo schema di decreto, la quale deve ritenersi, in definitiva, giustificata in ragione della obiettiva imprecisione della formulazione linguistica della disposizione primaria, che non può far premio, stante la sua ambiguità, sulla complessiva coerenza e razionalità dell’ordito normativo.
La natura regolamentare.
5.- Lo schema di decreto è stato adottato – nella forma del regolamento ministeriale – in conformità all’articolo 17, commi 3 e 4 della legge n. 400 del 1988.
Si tratta di opzione corretta, ancorché l’articolo 4, comma 9 della legge n. 118 del 2022 formuli un generico riferimento alla forma del decreto.
La natura sostanzialmente regolamentare discende, infatti, dal carattere generale, innovativo e, soprattutto, astratto delle prescrizioni introdotte, in quanto destinate ad operare non in casi singoli ed individuati, ma per classi tipiche di situazioni; non per fattispecie in tesi, o riguardate quale esistenti, ma per fattispecie in ipotesi, o costruite come possibili. La Sezione ha, invero, più volte ribadito (cfr., tra i molti, i pareri n. 1349 del 2 maggio 2019 e n. 429 del 13 febbraio 2019; in proposito, cfr. altresì, più in generale, Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278 e 21 ottobre 2011, n. 275, nonché Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2012, n. 9; Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 823) che la mancata qualificazione dell’atto come regolamento da parte della fonte normativa che lo prevede non vale ad evitare che per la relativa adozione debbano, comunque, essere osservate la forma e la procedura prescritte dall’articolo 17 della legge n. 400 del 1988, nell’ipotesi in cui l’atto abbia effettivamente le caratteristiche del ‘regolamento’.
5.1.- Il termine per l’adozione del decreto – normativamente scolpito al 31 marzo 2025 – è elasso. Non si tratta, peraltro, di ancoraggio temporale perentorio.
Sul punto – ancorché non appaia corretto richiamare, relativamente ai regolamenti ministeriali di cui all’articolo 17, comma 3 della legge n. 400 del 1988 (i quali postulano, come tali, un espresso e circoscritto conferimento del potere, che di regola incorpora un vincolo di ordine temporale) l’argomento, talora valorizzato in giurisprudenza, che fa leva sul carattere “generale” della potestà regolamentare del Governo, la quale può per ciò fare a meno di una esplicita integrazione normativa sub specie temporis della disposizione di rango primario (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2013, n. 3687) – deve tenersi, comunque, per fermo che un termine cogente per l’esercizio di potestà normativa è, nel nostro ordinamento, espressamente previsto (dall’articolo 76 Cost. e, in attuazione, dall’articolo 14 legge n. 400 del 1988) esclusivamente per l’emanazione dei decreti legislativi delegati (cfr. il parere della Sezione del 20 febbraio 2024, n. 164). D’altra parte, il tratto perentorio del termine si porrebbe in sostanziale contraddizione con la ratio legis, avendo il legislatore ritenuto necessaria l’adozione di una normativa secondaria per il completamento della disciplina della materia (cfr. il parere del 18 ottobre 2024, n. 128).
Gli adempimenti procedimentali: a) il concerto.
6.- Con nota prot. n. 26061 del 12 giugno 2025, è stato acquisito il “concerto” del Ministro dell’economia e delle finanze. Si tratta, tuttavia, di un concerto: a) formalmente reso dal capo di gabinetto, “d’ordine” del Ministro; b) sostanzialmente secco ed inarticolato, in quanto manifestato in termini di assenso puramente “formale” alla prosecuzione dell’iter normativo, e sulla scorta del mero riscontro, validato dal richiamo al parere della Ragioneria generale dello Stato, della “assenza, alto stato, di effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica”.
6.1.- Sotto il primo rispetto, la Sezione non può che ribadire ancora una volta (come reiteratamente chiarito: cfr., da ultimo e tra i molti conformi, il parere n. 518 del 26 maggio 2025) la giuridica inadeguatezza del ricorso alla formula organizzatoria dell’ordine, che “costituisce l’esercizio di un potere proprio della sfera di attribuzioni legali dell’autorità che lo impartisce in posizione (legale) di c.d. supremazia e, simultaneamente, attualizza la doverosità di una attività giuridica (e talora materiale) rientrante nella sfera legale di attribuzioni/competenze del soggetto (in posizione di c.d. subordinazione) che lo riceve”, sicché “non è idoneo ad attivare un trasferimento di poteri/compiti dall’autorità che lo impartisce al soggetto ricevente, laddove essi, come nel caso in rilievo, siano qualificabili come giuridicamente personali”.
Per converso, laddove il Ministro concertante intenda conferire ad un organo di staff, dotato di adeguate competenze normativamente predeterminate, il relativo adempimento formale – plausibilmente in ragione della connotazione spiccatamente tecnica, ratione materiae, della interlocuzione con l’autorità concertata, tale da attenuare o diluire (senza nondimeno mai elidere, trattandosi di procedimento normativo) il tratto di politicità della determinazione co-decisionale – è abilitato a far ricorso al diverso strumento della delega c.d. di firma.
6.2.- Sotto il secondo profilo, vale evidenziare che la funzione del concerto del Ministro dell’economia e delle finanze non è correlata alla (pur necessaria) verifica di neutralità finanziaria (affidata, come tale, alla apposita relazione tecnica, resa dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e non dal Ministro), ma si incentra sulla valutazione e sull’apprezzamento degli interessi e delle complessive e prospettiche ricadute di ordine economico e finanziario dell’intervento normativo, che giustificano l’elaborazione partecipata e condivisa del relativo schema di testo.
Nel caso in esame, l’assenso del Ministro concertante, formulato in termini meramente formali, fa per contro esclusivamente leva sulla ribadita assenza – “allo stato” e sulla base della valutazione all’uopo operata dalla Ragioneria generale – di “effetti […] negativi a carico della finanza pubblica”: di fatto, si tratta dunque del mero recepimento dell’esito positivo già – ad altri fini – risultante dalla verifica tecnica di neutralità rimessa agli organi dell’Amministrazione. Con il che, il concerto assume il tratto abdicativo di una competenza sostanzialmente non esercitata, che non è certamente ricomposto dalla anodina e cursoria notazione, trasfusa nella relazione elaborata dall’ufficio legislativo, secondo cui il testo normativo sarebbe stato predisposto “in accordo con il Ministero dell’economia e delle finanze”. Di nuovo: il luogo – ad un tempo politico, giuridico e formale – di tale accordo non può che essere, in base al bene inteso paradigma normativo, l’atto di concerto.
Il rilievo che precede è, d’altra parte, aggravato dal fatto che, sul piano materiale, la disciplina normativa è, tra l’altro, destinata ad incidere anche sull’aggiornamento dei criteri di quantificazione dell’importo dei canoni dovuti per gli affidamenti in concessione dei beni demaniali, in ordine ai quali la Corte dei conti ha inteso, in plurime occasioni e ancora in tempi recenti, rimarcare la assai scarsa valorizzazione del principio della rimuneratività per l’ente concedente, a dispetto della legislazione di contabilità pubblica la quale, per i contratti attivi, postula il ricorso a procedure di affidamento evidenziale anche allo scopo di massimizzare l’introito erariale.
È, per tal via, avviso della Sezione che – su un profilo di sicura e significativa incidenza sugli interessi erariali, in ordine al quale anche l’elaborazione dell’analisi di impatto della regolamentazione si appalesa largamente inadeguata – sia in ogni caso necessario acquisire, prima del definitivo varo del regolamento, un nuovo e motivato atto di concerto del Ministro dell’economia e delle finanze.
7.- Sotto il profilo formale, lo schema di regolamento reca la firma congiunta del Ministro dell’economia e delle finanze che, nel paradigma normativo, riveste solo il ruolo di autorità concertata.
Come da ultimo osservato dalla Sezione (cfr. i pareri n. 155 del 3 marzo 2025, n. 117 del 14 febbraio 2025 e n. 62 del 20 gennaio 2025), ancorché la plurima sottoscrizione, in forza dell’elementare principio conservativo per cui quod abundat non vitiat, non integri, di per sé, ragione di illegittimità (obbedendo, verosimilmente, all’obiettivo di formalizzare la definitiva ‘presa d’atto’ della conformità del testo finale, quale risultante all’esito del complessivo iter procedimentale) – occorre nondimeno evitare, anche a mezzo di opportuni e non disagevoli accorgimenti di ordine tipografico, che il regolamento, destinato ad assumere la veste formale di decreto ministeriale “di concerto”, assuma, anche solo equivocamente, i tratti alternativi del decreto interministeriale.
La distinzione – non priva di rilievo, non solo sotto il profilo della imputazione degli effetti e dei correlati meccanismi di attivazione dei rimedi amministrativi e giurisdizionali, relativamente al contraddittorio con le autorità formalmente emananti, ma anche, e prima, sotto il profilo delle cadenze e delle acquisizioni istruttorie e procedimentali: cfr. per esempio, relativamente alle alternative modalità di elaborazione della analisi di impatto della regolamentazione, gli articoli 5 e 7 del d.p.c.m. n. 169 del 2017 – deve essere tenuta per ferma anche alla luce della disciplina generale di cui all’articolo 17, comma 3 della legge n. 400 del 1988, la quale non si accontenta – ai fini della adozione di regolamenti “con decreti interministeriali” – della sussistenza, ratione materiae, della “competenza di più ministri” (che ricorre, con ogni evidenza, anche nella modalità di adozione concertata, come fa tra l’altro palese l’articolo 17-bis legge n. 241 del 1990), ma postula una “apposita” (e si deve intendere: puntuale e specifica) “autorizzazione da parte della legge”(concretamente correlata alle prefigurate modalità di elaborazione congiunta della proposta).
Per tal via, ove sussista interesse, la firma del Ministro dell’economia e delle finanze potrà essere apposta in guisa emarginata, e preferibilmente preceduta da un “Visto” o formule equivalenti.
L’intestazione del decreto potrà essere correlativamente semplificata, dando atto dell’intervenuto concerto esclusivamente all’interno del Preambolo.
Gli adempimenti procedimentali: b) l’istruttoria e la documentazione a supporto.
8.- Relativamente alla adeguatezza ed esaustività dell’istruttoria procedimentale, la Sezione osserva anzitutto, in via di premessa, che lo schema di decreto all’esame obbedisce alla dichiarata necessità di “adottare misure urgenti” per “prevenire l’apertura di nuove procedure di infrazione o l’aggravamento di quelle esistenti, ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)”, attraverso “l’immediato adeguamento dell’ordinamento nazionale agli atti normativi dell’Unione europea e alle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea” (in tal senso, i considerata che integrano il Preambolo del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131). Segnatamente, l’articolo 1 del ridetto decreto-legge, che integra la base normativa dell’intervento regolamentare, reca “Disposizioni urgenti in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive”, avuto riguardo alla “Procedura di infrazione n. 2020/4118”.
Ciononostante, la richiesta di parere non è accompagnata dalla documentazione, né comunque integrata da idonei elementi informativi, in ordine all’interlocuzione con le autorità europee, e ciò: a) sia, a monte, relativamente alla idoneità delle misure introdotte con il decreto-legge n. 131 del 2024 a superare – mercé “l’immediato adeguamento dell’ordinamento nazionale agli atti normativi dell’Unione europea e alle sentenze della Corte di giustizia” – i termini della ridetta procedura di infrazione, allo stato tuttora pendente e deliberatamente non definita; b) sia, a valle, relativamente alla complessiva coerenza, pertinenza e adeguatezza dei criteri individuati, con l’elaborazione dello schema di regolamento, per la determinazione dell’indennizzo (e dell’equa rimunerazione) da riconoscere prospetticamente ai gestori uscenti, con onere a carico degli operatori economici interessati all’accesso competitivo alle risorse demaniali.
A fronte di ciò, la Sezione non è messa, di fatto, in condizioni di formulare con cognizione di causa – di là dalle considerazioni generali e dalle precisazioni particolari che si andranno a formulare di seguito – circostanziate osservazioni e mirati rilievi su tali (critici e rilevanti) profili: sicché non può che limitarsi a segnalare al Ministero richiedente i rischi, allo stato non puntualmente valutabili né analiticamente apprezzabili, di una non perfetta o non integrale compatibilità, per quanto di ragione, con gli assetti normativi e le indicazioni giurisprudenziali di matrice eurocomune, con segnato riguardo alle potenziale o surrettizia incidenza restrittiva sulle garanzie che presidiano il diritto di stabilimento (articolo 49 TFUE) e la libera prestazione di servizi (articolo 57 TFUE), stante il divieto – sancito dall’articolo 12, § 1 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercanto interno – di accordare indebiti “vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”.
Va da sé che una incompatibilità, sotto i profili in questione, non potrebbe che sortire, in tutto o in parte, esito disapplicativo – già in via amministrativa, oltreché in sede giurisdizionale – non solo delle disposizioni regolamentari che si intende introdurre con lo schema di decreto all’esame, ma, prima ancora, della stessa normativa di rango primario non conforme.
Gli adempimenti procedimentali: c) le consultazioni.
9.- Lo schema di regolamento, come riporta la relazione al Ministro, tiene conto degli esiti delle consultazioni svolte, oltre che con i soggetti pubblici istituzionali interessati, quali i Ministeri competenti per materia, anche con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, l’A.N.C.I., le associazioni di categoria rappresentative dei settori balneare, turistico e alberghiero, che hanno partecipato a due riunioni tenutesi presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 11 e 20 marzo 2025. Non sono state accolte, tuttavia, le richieste avanzate da alcune Regioni e dall’A.N.C.I. concernenti l’inserimento della previsione della compartecipazione al gettito dei canoni da parte degli enti locali, atteso che la materia non rientra tra l’oggetto del provvedimento, come delineato dall’articolo 4, commi 9 e 11, della legge n. 118/2022.
La relazione di analisi di impatto della regolamentazione evidenzia, comunque, che le principali richieste avanzate in sede di consultazione avrebbero trovato accoglimento nello schema di provvedimento. Inoltre, a seguito dello specifico invito rivolto dal NUVIR con la relazione del 7 aprile 2025, l’AIR riporta la sintesi dei contributi di maggior rilievo, pervenuti nel corso delle consultazioni, limitandosi ad indicare che alcuni sono stati recepiti nel testo del provvedimento, senza peraltro fornire specificazioni. Non si dà alcuna evidenza, in particolare, dei verbali relativi alle consultazioni, degli argomenti portati a sostegno delle richieste, di quali istituzioni, enti o associazioni le abbiano formulate, nonché delle risposte date e delle motivazioni fornite a fronte del diniego o dell’accoglimento.
Sarebbe, per contro, stato utile, ai fini dell’espressione del parere, documentare gli effettivi termini del confronto e della dialettica intercorsa, dando conto del contenuto dei chiarimenti richiesti e dell’esito degli approfondimenti operati per la redazione finale dello schema di provvedimento.
Da ultimo, si segnala che nelle relazioni a corredo della richiesta di parere non si fa alcun cenno a consultazioni intervenute con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che sarebbe stato assai opportuno acquisire, avuto riguardo alla materia trattata.
Gli adempimenti procedimentali: d) l’analisi di impatto della regolamentazione.
10.- Sotto il profilo da ultimo evidenziato, sebbene l’AIR si soffermi (come evidenzia la seconda relazione del NUVIR, in data del 18 aprile 2025) sull’assenza di effetti distorsivi sulla concorrenza e sull’impatto contenuto per le PMI, la valutazione appare, per più rispetti, non supportata da un’analisi sufficientemente approfondita.
Infatti, in ordine alla valutazione degli effetti sulla concorrenza, l’analisi di impatto si limita ad affermare che non si ravvisano effetti negativi o distorsivi sul corretto funzionamento concorrenziale del libero mercato, in quanto lo schema di decreto prevede l’affidamento delle concessioni a seguito di svolgimento di gare pubbliche competitive e che nessun soggetto è escluso ex ante dalla partecipazione alla gara, ivi compresi i concessionari uscenti.
Invero, ciò non appare sufficiente a ritenere adeguato il meccanismo concretamente congegnato: in primo luogo perché, come si è già detto, non si conoscono le considerazioni svolte dalla Commissione europea nelle numerose interlocuzioni intercorse in occasione della formazione della normativa primaria; in secondo luogo perché rimane di incerta determinazione il tema principale di tutta la disciplina, ossia la determinazione dell’equa remunerazione e quindi dell’indennizzo.
Una puntuale analisi di impatto avrebbe dovuto approfondire gli effetti dell’indennizzo per i nuovi operatori. Il relativo obbligo, potenzialmente elevato, da parte del nuovo concessionario, quand’anche giustificato in linea di principio e coerente con quanto previsto dal decreto-legge n. 131 del 2024, favorisce implicitamente i concessionari uscenti, che non sono tenuti a versarlo, né a farne prima ancora oggetto di correlativo impegno in sede di articolazione dell’offerta competitiva, corredato dalla relativa assunzione di garanzia. L’indennizzo, per quanto “equo”, costituisce infatti un costo aggiuntivo che potrebbe, quando non adeguatamente calibrato e rigorosamente circoscritto, scoraggiare nuovi entranti, soprattutto se meno capitalizzati o con meno accesso al credito.
Tale considerazione si riflette anche sull’analisi degli effetti sulle PMI, in relazione ai quali la relazione AIR assume che “non si ravvisano specifici effetti sulle piccole e medie imprese […] atteso che gli indennizzi sono equilibrati dal godimento di beni acquisiti […]”. È vero, infatti, che l’indennizzo previsto corrisponde al valore di beni esistenti di cui le PMI-concessionari entranti godranno; tuttavia, tale considerazione non tiene adeguatamente conto della capacità finanziaria delle PMI di sostenere, in via immediata, un esborso potenzialmente significativo che i concessionari uscenti non sono tenuti a sostenere. Inoltre, il richiamo alla dimensione generalmente contenuta degli stabilimenti balneari, e alla conseguente affermazione secondo cui gli investimenti da indennizzare non costituirebbero un ostacolo all’ingresso, risulta privo di una concreta base quantitativa (in mancanza, ad esempio, di elementi in merito agli importi medi o massimi degli indennizzi attesi, o alla capacità media di accesso al credito da parte delle PMI operanti nel settore). Manca, infine, una valutazione degli effetti differenziati che il meccanismo indennitario potrebbe determinare tra operatori di piccole dimensioni e soggetti economici dotati di maggiore forza finanziaria. In tale prospettiva, avrebbe potuto costituire un utile elemento di approfondimento l’analisi delle gare già espletate da alcuni comuni, con particolare riferimento all’impatto che gli investimenti in attivi immateriali possono aver avuto sul piano economico e concorrenziale.
11.- Con l’articolo 8 dello schema di decreto, integrato dal relativo allegato, è stato disposto l’aggiornamento dei canoni di concessione, nelle forme di un incremento lineare del 10% rispetto ai valori attualmente stabiliti, maggiorato dalla rivalutazione degli importi a decorrere dal 1999.
Al riguardo, l’AIR si limita ad affermare che – in tema di aggiornamento delle misure unitarie dei canoni demaniali marittimi – si è ritenuto opportuno non discostarsi dalla scelta operata con il decreto-legge n. 131 del 2024, che ha previsto che, in caso di mancata adozione del decreto, gli importi unitari previsti dall'articolo 03, comma 1, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, sarebbero stati comunque aumentati di default nella medesima misura percentuale. Non sono state ravvisate particolari motivazioni a supporto dell’adozione di una misura diversa, ritenendosi il suddetto aumento sostenibile, e non penalizzante, per il settore interessato, asseritamente assicurando, al contempo, maggiori introiti all’erario.
Attesa la genericità di tali affermazioni, non supportate da analisi quantitative e da dati economici – specie a fronte della diffusa, risalente ed autorevole denunzia, di cui si è dato atto, di una complessiva scarsa valorizzazione delle risorse demaniali – va condivisa l’osservazione del NUVIR, che lamenta la mancata indicazione di possibili alternative eventualmente prese in esame e delle motivazioni per cui non sono state ritenute preferibili.
Sempre in tema di canoni, la Sezione osserva che l’AIR non riporta i dati relativi alle concessioni lacuali e fluviali, giustificando tale carenza in quanto si tratta di dati in possesso delle regioni ed enti locali. Ai ridetti enti territoriali, infatti, sono attribuite le funzioni relative alle concessioni di spiagge lacuali, superfici e pertinenze dei laghi, alle concessioni di pertinenze idrauliche e di aree fluviali, nonché alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi. Anche tali concessioni rientrano, nondimeno, nell’ambito di applicazione del provvedimento e l’assenza di riferimenti nella relazione AIR appare, come osserva il NUVIR, una lacuna significativa. E ciò tanto più che una rilevazione a livello regionale si sarebbe potuta operare coinvolgendo opportunamente le regioni nell’ambito degli incontri in sede di Conferenza delle regioni e delle province autonome, in occasione delle previste consultazioni. In definitiva, una rilevazione campionaria a livello regionale avrebbe potuto offrire indicazioni utili alla valutazione dell’impatto complessivo della norma.
Osservazioni di carattere generale.
12.- Come si è anticipato, nel quadro della disciplina delle procedure di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive, di cui all’articolo 01, comma 1, lettere a), b), c), d), e) e f), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, l’articolo 4, comma 9 della legge 5 agosto 2022, n. 118 – nella formulazione risultante dalle modifiche ed integrazioni introdotte con l’articolo, comma 1, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, convertito dalla legge 14 novembre 2024, n. 166 – sancisce, a favore del “concessionario uscente”, il “diritto” al riconoscimento, a carico del concessionario subentrante, ad un “indennizzo” pari:
b) al “valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione”, ivi compresi quelli effettuati – al netto “di ogni misura di aiuto o sovvenzione pubblica eventualmente percepita e non rimborsata” – in conseguenza: a1) “di eventi calamitosi debitamente dichiarati delle autorità competenti”; a2) “di sopravvenuti obblighi di legge”;
b) a “quanto necessario” a garantire “un’equa remunerazione” sugli investimenti “effettuati negli ultimi cinque anni”.
13.- La relazione illustrativa ha avvertito l’utilità di puntualizzare che “la previsione del riconoscimento di un indennizzo in favore dei concessionari uscenti non è una novità nel panorama normativo”, in quanto prevista da altre disposizioni, richiamate, a titolo esemplificativo, anche quali possibili tertia comparationis.
Non si tratta, tuttavia, ad avviso della Sezione, di richiami del tutto pertinenti.
13.1.- Non è, anzitutto, conferente il richiamo alla previsione di cui all’articolo 42 del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, nella parte in cui – in presenza di “concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili” – sancisce, a favore del concessionario, il diritto ad un “indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato” (comma 4), in ogni caso in misura non superiore “al valore delle opere […], detratto l’ammontare degli effettuati ammortamenti”.
La vicenda è, in tal caso, quella della “revoca delle concessioni” anteriormente al termine della relativa scadenza, sicché la previsione di un indennizzo – nella misura in cui risulti necessario al fine di salvaguardare il legittimo affidamento dei concessionari in relazione agli investimenti effettuati per la realizzazione di opere concretamente non suscettibili di utile rimozione – obbedisce alla logica di un adeguato bilanciamento di interessi, che oggi trova generalizzato riconoscimento nel corpo dell’articolo 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, relativamente alla disciplina comune della revoca, quale manifestazione della potestà di autotutela amministrativa.
Con ogni evidenza, nelle vicende disciplinate dal regolamento in esame si ha, per contro, riguardo a concessioni venute a scadenza (ed insuscettibili di automatica proroga, in ogni sua forma: cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VII, [ord.] 2614 del 16 luglio 2025), per le quali, in via di principio, ogni affidamento deve ritenersi escluso dalla regola (scolpita all’articolo 49 del codice della navigazione) che – con la sola salvezza di diversa ed espressa previsione inizialmente trasfusa “nell’atto di concessione” – sancisce, quale corollario della natura pubblica dei beni oggetto di limitato uso riservato e della giuridica impossibilità di strutturare forme di proprietà o di autonome situazioni reali se non temporanee (cfr. articolo 823 del codice civile), l’automatico acquisto allo Stato, “senza alcun compenso o rimborso”, delle opere non amovibili costruite “sulla zona demaniale”, ferma restando, in ogni caso, la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione, “con la restituzione del bene demaniale al pristino stato”.
13.2.- Parimenti non pertinente il richiamo all’articolo 191 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, recante il codice dei contratti pubblici, il quale disciplina la fattispecie del “subentro” (sia “alla scadenza del periodo di affidamento e in conseguenza del nuovo affidamento”, sia in caso di “cessazione anticipata”) nei “contratti di concessione”.
Il riferimento, in tal caso, è a “contratti a titolo oneroso […] in virtù dei quali una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la fornitura e la gestione di servizi a uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi oggetto dei contratto o in un tale diritto accompagnato da un prezzo (articolo 2, comma 1, lettera c) dell’allegato I.1 al codice), i quali integrano, per tal via, contratti c.d. passivi, che recepiscono ed attivano operazioni di “partenariato pubblico-privato” (cfr. articolo 174, comma 1), laddove le concessioni di beni demaniali rientrano, in quanto concessioni di beni pubblici, tra i contratti attivi, sottratti alla disciplina del codice (cfr. articolo 13, comma 2), per i quali il concessionario è tenuto al pagamento di un canone a favore dell’ente concedente.
13.3.- Neppure è idoneo ad integrare un utile tertium comparationis il caso delle “concessioni di grandi derivazioni idroelettriche”, per le quali l’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 sancisce – alla scadenza delle concessioni, come anche nei casi di decadenza o rinuncia – il diritto del concessionario uscente, che abbia effettuato investimenti “a proprie spese” sulle opere di cui all’articolo 25, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sempre che fossero previsti dall’atto di concessione o siano stati comunque autorizzati dal concedente, al riconoscimento di un indennizzo “pari al valore non ammortizzato”, oltre alla “corresponsione del prezzo” per i beni diversi.
Giova, in effetti, rammentare che – al di là dei tratti comuni alle varie e multiformi fattispecie di matrice concessoria che abbiano ad oggetto l’affidamento a privati della gestione di beni soggettivamente pubblici e di pubblico interesse – occorre tenere distinte situazioni marcatamente disomogenee sotto il profilo funzionale. Sulla scorta di una distinzione di massima, a suo tempo elaborata da autorevole dottrina ed ancora utile a fini discretivi, possono essenzialmente distinguersi di tre diverse tipologie di concessioni di beni pubblici, in relazione alle diverse caratteristiche del bene dato in concessione e delle finalità della riserva d’uso. Si tratta:
a) delle concessioni di produzione, che conferiscono ad un imprenditore il diritto di godimento di un bene pubblico produttivo a fronte del versamento di un canone (è il caso delle concessioni minerarie, forestali, di cava e torbiera, idriche et coetera): in tali casi la produttività del bene rientra nel fine istituzionale della misura concessoria e colora la valutazione dell’interesse pubblico al più razionale ed efficiente sfruttamento economico delle risorse naturali collettive;
b) delle concessioni di bene in senso stretto, in cui l’oggetto del pubblico interesse è costituito dal bene in sé stesso, inteso quale “ambito spaziale” dell’attività economica esercitata dal concessionario: è il caso delle concessioni cc.dd. di area pubblica (ad esempio, le edicole, le concessioni per lo stazionamento di merci, quelle per i tavolini e le sedie per ristoranti e bar) ovvero, appunto, delle concessioni sul demanio marittimo per l’esercizio di impresa turistico-balneare;
c) le concessioni di bene attrezzato a servizio, in cui il bene oggetto della concessione rileva in quanto idoneo ad attrezzare un servizio pubblico che risulti di interesse per l’Amministrazione concedente (come nel caso di concessione per l’installazione e l’esercizio di distributori di carburante su suolo pubblico): sicché il bene dato in concessione ha carattere di strumentalità rispetto ad un servizio erogato dalla pubblica amministrazione, con l’ausilio del privato.
Quel che interessa rilevare – di là dai profili di incidenza dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, oggetto ormai di consolidata acquisizione giurisprudenziale, sia a livello nazionale che a livello eurocomune – è l’impossibilità di estendere a situazioni funzionalmente disomogenee, ed anche a fini meramente comparativi, le discipline settoriali che prevedano, a vario titolo e per varie ragioni, forme di indennizzo a carico del gestore uscente.
Per questa ragione – trattandosi di situazioni non comparabili – non sembra aver pregio il rilievo di una paventata disparità di trattamento, su cui la relazione illustrativa mostra di fare soverchio conto, laddove assume che un obbligo generalizzato di indennizzo discenderebbe recta via dai principi di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione.
14.- Nella specifica disciplina delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive non è dato rinvenire una disposizione che imponga il riconoscimento automatico e generalizzato di un indennizzo a favore del concessionario uscente, alla scadenza del rapporto concessorio.
Il già richiamato articolo 49 del codice della navigazione prevede, piuttosto, che “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.
In tale contesto, un legittimo affidamento maturato dal gestore uscente, tale da giustificare il diritto ad un indennizzo, si può fondare esclusivamente sull’idea di non consentire, al subentrante, un indebito arricchimento, proiettabile come vantaggio competitivo (sostanzialmente pari ai minori investimenti necessari rispetto ad una situazione greenfield). Ma occorre evitare che il costo economico delle scelte operative di investimento del gestore uscente, rientranti nel perimetro dell’ordinario rischio di impresa, sia prospetticamente scaricato, nelle forme di una generalizzata obbligazione indennitaria, sull’operatore subentrante, che vedrebbe compromessa o significativamente condizionata la possibilità di un’autonoma riorganizzazione dei beni destinati all’esercizio dell’impresa, anche sotto il profilo del complessivo costo amministrativo: il che si risolverebbe, appunto, in una forma surrettizia di vantaggio (cioè, di arricchimento reciprocamente ingiustificato) a favore del gestore uscente.
È, appunto, in questa prospettiva (peraltro integralmente incentrata, ab origine, sul diritto nazionale e legislativamente correlata all’interesse pubblico quale parametro legittimamente prevalente) che il richiamato articolo 49 del codice della navigazione ha inteso, con decifrabile razionalità giuseconomica, escludere a priori, e in via di principio, pretese dell’uscente verso l’ente concedente (e, di conserva, verso il nuovo affidatario): di fatto, in un rapporto ispirato da un canone di reciproca buona fede, l’uscente non ha mai potuto contare su una compensazione di ciò che aveva scelto autonomamente di strutturare per la più profittevole gestione della propria attività economica.
In materia, la Corte di giustizia, con la sentenza dell’11 luglio 2024, in causa C-598/22, Società Italiana Imprese Balneari s.r.l., nel ritenere che a siffatta disciplina non osti l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e il divieto, ivi sancito, alle restrizioni alla libertà di stabilimento, ha rammentato, in piena conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale:
a) che l’appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce “l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico”, posto che “il principio di inalienabilità implica segnatamente che il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili”;
b) che, conformemente a tale principio, il quadro normativo applicabile ad una concessione di occupazione del demanio pubblico “fissa, senza alcun possibile equivoco, i termini dell’autorizzazione all’occupazione che viene concessa”, sicché il concessionario non può, in via di principio, “ignorare, sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l’autorizzazione all’occupazione demaniale [ha] carattere precario [e] revocabile”;
c) che, poiché detto articolo 49, primo comma, prevede espressamente la possibilità di derogare per convenzione al principio dell’acquisizione immediata senza alcun indennizzo o rimborso delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico marittimo, tale disposizione “evidenzia la dimensione contrattuale, e dunque consensuale, di una concessione di occupazione del demanio pubblico”, sicché “l’acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili costruite dal concessionario su tale demanio non può essere considerata come una modalità di cessione forzosa delle opere suddette”.
Può, dunque, in certa misura, convenirsi con l’osservazione, formulata dalla relazione illustrativa, per cui “l’istituto dell’incameramento dei beni inamovibili senza indennizzo non è di derivazione europea”, integrando indiretta legittimazione “dell’istituto dell’indennizzo”.
È necessario, tuttavia, puntualizzare:
a) che, nella previsione normativa, la (eventuale) obbligazione indennitaria è destinata a gravare – in una prospettiva essenzialmente bilaterale – sull’ente concedente, in quanto preordinata a compensare, per l’utilità non ammortizzata dallo sfruttamento in via di gestione, le opere materiali realizzate, per accordo delle parti, a spese del concessionario ed acquisite al demanio, alla scadenza del rapporto;
b) che, in tali casi, la (obbligatoria) previsione nel corpo del titolo concessorio si giustifica alla luce della necessità di mettere in condizione il concedente di formulare ex ante le proprie valutazioni di convenienza economica, programmando i propri costi ed investimenti.
Per contro, la previsione di un obbligo di indennizzo gravante (in guisa oltretutto automatica e generalizzata) sul gestore subentrante, come previsto dalla normativa in esame, sconta innanzitutto il limite – codificato dall’articolo 12, § 2 della direttiva 2006/123/CE, nella prospettiva multipolare in cui si innesta, avuto riguardo alla scarsità delle risorse, l’affidamento selettivo e competitivo delle risorse pubbliche strumentali all’esercizio dell’attività di impresa – del divieto “di accordare […] vantaggi al prestatore uscente”, con effetto indebitamente restrittivo del paritario accesso concorrenziale.
Alla luce della ratio della previsione, il positivo riferimento ai “vantaggi” (in francese: advantage; in inglese: advantage; in tedesco: Begünstigung; in spagnolo: ventaja) va all’evidenza acquisito, avuto riguardo anche al parallelo divieto di rinnovi o proroghe del rapporto concessorio, nel senso della preclusione di misure compensative patrimoniali (per investimenti effettuati e non integralmente recuperati) integranti (per modalità operative, criteri di individuazione e limiti di quantificazione) forme di favoritismo, potendo giustificarsi, in una valutazione di necessità contestualizzata e caso per caso, esclusivamente nella congiunta considerazione:
a) di concreti, effettivi e legittimi affidamenti maturati dal gestore uscente (per il quale l’indennizzo non si risolva, perciò, in un indebito vantaggio, ma una forma di stretta compensazione);
b) di corrispondenti e reciproche utilità rinvenienti, relativamente alle infrastrutture da destinare alla gestione, al concessionario subentrante (per il quale il mancato indennizzo si risolverebbe, all’incontro, in indiretto vantaggio od arricchimento, in termini di risparmio di spese necessarie).
Le sentenze dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 hanno riconosciuto, anche sulla scorta della giurisprudenza europea (sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa), che “l’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni dovrà, pertanto, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi”.
L’inciso va, peraltro, acquisito, alla luce delle esposte premesse, nel senso che il riconoscimento di un indennizzo non sia soggetto ad automatismi, forfettizzazioni e generalizzazioni, ma sia subordinato alla concreta ed effettiva verifica della ricorrenza dei relativi “presupposti”, avuto riguardo alla sussistenza di situazioni di reale e legittimo affidamento che risulti, sul piano delle meritevolezza, “indispensabile” salvaguardare, nella stretta misura (definita, come tale, sulla scorta di criteri ragionevolmente restrittivi) in cui gli investimenti sostenuti dal gestore uscente, non ancora ammortizzati, si traducano in obiettivo ed indebito vantaggio del subentrante, in termini di risparmio di spese necessarie, senza traslazione del costo di investimenti correlati all’ordinario rischio di impresa, necessariamente gravanti sull’imprenditore che li ha sostenuti nell’esercizio della propria attività economica.
Occorre, per giunta, considerare, a questo proposito, che l’acquisita disponibilità, da parte del gestore subentrante, delle opere realizzate dall’uscente ed acquisite, in base all’articolo 49 del codice della navigazione, dall’ente concedente, non integra di per sé una forma di arricchimento ingiustificato, anche alla luce del fatto, che, a fronte di tale disponibilità, il subentrante è tenuto a corrispondere un canone maggiorato. L’articolo 03 del decreto-legge n. 400 del 1993 differenzia, infatti, l’importo del canone a seconda che si tratti di area scoperta, occupata con impianti di facile rimozione o occupata con impianti di difficile rimozione, prevedendo un canone crescente in funzione dell’esistenza e della difficoltà di rimozione delle opere realizzate sull’area demaniale.
15.- Ancora sotto un profilo generale, dal combinato disposto dei commi 4, lettera e) e 6 lettera a) dell’articolo 4 della legge 5 agosto 2022, n. 118, come da ultimo modificata, si evince che, sotto il profilo economico, la selezione comparativa degli operatori si incentra sull’offerta al rialzo dell’indennizzo (rispetto al suo “importo minimo”, quantificato nel bando di gara), e non sulla “misura del canone” (che pure deve essere ivi indicata, ai sensi del comma 4, lettera d) del medesimo articolo).
L’articolo 6, comma 3 dello schema di regolamento si fa, di conserva, carico di precisare – con l’obiettivo di scongiurare l’evidente irrazionalità di una ipotetica riversione dell’importo maggiorato dell’indennizzo al gestore uscente, che si risolverebbe di per sé in un vantaggio del tutto privo di giustificazione – che la (eventuale) differenza tra “importo offerto” (destinato a qualificare il tratto competitivo della proposta negoziale) e “importo minimo” (destinato alla riversione a favore del gestore uscente) “affluisce all’entrata del bilancio dello Stato”.
La Sezione non può esimersi dal segnalare che si tratta di un meccanismo per più rispetti incongruo.
Innanzitutto, e sotto un profilo generale, una logica di adeguata valorizzazione delle risorse pubbliche (specie a fronte del rilievo, più volte oggetto di risalente e vigorosa denunzia da parte della Corte dei conti, per cui i canoni attualmente imposti non risultano, in termini generali, proporzionali ai fatturati conseguiti dai concessionari attraverso l’utilizzo dei beni demaniali dati in concessione) imporrebbe, a fronte della acclarata scarsità, un affidamento concorrenziale orientato alla potenziale massimizzazione dei canoni offerti, in obbedienza ad una direttiva di efficienza ed efficacia della gestione del demanio, informata, anche sulla spinta delle esigenze di risanamento dei pubblici bilanci, ad un principio di buon andamento dell’azione amministrativa (articolo 97 della Costituzione).
Con ogni evidenza, il prefigurato criterio del rilancio competitivo sulla misura dell’indennizzo, ancorché temperato dalla regola di riversione una tantum dell’eccedenza dell’importo offerto dall’aggiudicatario nel bilancio pubblico, finisce per sovrappesare, senza adeguata giustificazione, gli interessi degli operatori economici privati, a scapito di quelli erariali e collettivi.
Inoltre, sotto un profilo più tecnico, non sono chiare le modalità con le quali il meccanismo potrà operare relativamente alla posizione dei gestori uscenti, per i quali, in via di principio, non è configurabile una voce di offerta dedicata ad un “indennizzo a sé stessi”.
Osservazioni di carattere particolare.
16.- Con l’articolo 2 dello schema di decreto, sono fissati i “criteri di selezione degli investimenti da considerare ai fini dell’indennizzo e dell’equa remunerazione”.
L’opzione di fondo, che è dato cogliere – non senza qualche incertezza – nell’ordito normativo, è quella di distinguere, al (dichiarato) fine di evitare indebite duplicazioni:
a) gli investimenti relativi a beni materiali, rilevanti ai fini della quantificazione dell’indennizzo (articolo 1, comma 1, lettera a);
b) gli investimenti relativi a beni immateriali, rilevanti ai fini della quantificazione dell’equa remunerazione (articolo 1, comma 1, lettera b).
Tra gli investimenti destinati a beni materiali, sono presi in (distinta e concorrente) considerazione (in quanto “non ammortizzati” alla scadenza):
a) i “beni non amovibili” (corrispondenti, di fatto, alle infrastrutture direttamente realizzate dal gestore, in quanto necessarie all’esercizio della concessione);
b) le “opere di difficile rimozione” (corrispondenti a beni accessori strumentali, direttamente realizzati od anche solo acquistati da terzi, e destinati, a guisa di pertinenze, al migliore e più efficiente uso delle infrastrutture);
c) i “beni amovibili” (necessari per la “fornitura del servizio”).
Per tutti tali beni, sono richiesti:
a) il requisito della strumentalità, inteso del senso che si debba trattare di “parte integrante ed essenziale” della concessione, tale che si renda, in concreto, necessario il loro trasferimento al nuovo gestore, per “garantire la continuità nella fornitura del servizio”, con coerente esclusione di quei beni per i quali sia stata disposta (ai sensi dell’articolo 49 del codice della navigazione, la demolizione, con rimessione delle aree in pristino stato);
b) il requisito della legittimità, sotto il profilo della piena conformità al titolo concessorio, dovendosi, con ciò, trattare di beni e/o opere debitamente ed espressamente autorizzate dall’ente concedente, integrati da quelli correlati b1) ad eventi calamitosi debitamente dichiarati dall’autorità competente e b2) a sopravvenuti obblighi di legge;
c) il requisito della regolarità, sotto il profilo urbanistico (e – occorrerebbe aggiungere –edilizio).
Relativamente agli investimenti in beni immateriali, sono per contro presi in comprensiva considerazione tutti quelli effettuati nei cinque anni anteriori alla scadenza del rapporto.
17.- La Sezione ribadisce, come chiarito in premessa, che non è in grado di formulare, per difetto dei necessari elementi documentali ed informativi, i termini di un possibile confronto con la disciplina regolamentare approntata e i limiti di fonte eurocomune, nel contesto della pendente procedura di infrazione.
Nondimeno, alla luce delle osservazioni generali formulate, si limita a segnalare taluni potenziali profili di criticità.
18.- Si osserva, anzitutto, che il criterio della strumentalità appare generico, al pari dei criteri dell’inerenza (rispetto ai beni non amovibili: cfr. il comma 2, lettera b) dell’articolo 2) e della necessità (rispetto alla fornitura del servizio: cfr. il comma 2, lettera c) dell’articolo 2) cui fa riferimento il comma 2, unitamente peraltro al criterio della strumentalità (sub lettera a): “realizzati per l’esercizio della concessione demaniale”), utilizzato una seconda volta, dopo che già il comma 1, lettera a) – i cui criteri devono essere applicati con priorità rispetto a quelli del comma 2, in quanto quest’ultimo prevede espressamente che resta fermo “il rispetto dei criteri di cui al comma 1” – stabilisce il criterio della strumentalità rispetto alla concessione (“investimenti strumentali alla concessione”).
Parimenti generica, e probabilmente ridondante, è la qualificazione degli “investimenti strumentali alla concessione” in termini di “parte integrante ed essenziale della concessione” (comma 1, lettera a) dell’articolo 2). Per un verso, infatti, non si comprende in quali ipotesi un “investimento” possa ritenersi “parte integrante ed essenziale della concessione”. Per altro verso, non è chiaro se si tratti di un criterio ulteriore rispetto a quello della strumentalità o se, invece, si tratti di una ulteriore caratterizzazione, probabilmente ultronea, dello stesso criterio della strumentalità.
Come detto, l’articolo 4, comma 9 del decreto-legge n. 131 del 2024 distingue due componenti dell’indennizzo: una prima componente pari al valore degli “investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione”; una seconda componente “pari a quanto necessario per garantire al concessionario uscente un’equa remunerazione sugli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni”, senza prevedere alcun criterio di distinzione tra le due componenti, in particolare per quanto concerne la natura dei beni cui gli investimenti si riferiscono.
È il comma 4 dell’articolo 2 dello schema a prevedere per la prima volta una espressa limitazione degli investimenti cui è parametrata l’equa remunerazione agli “investimenti in beni immateriali” (effettuati nei cinque anni antecedenti la data di avvio della procedura di affidamento) – una limitazione implicita è già anticipata, per vero, dal comma 2 che, nell’indicare i beni cui sono destinati gli investimenti utilizzati come parametro per la determinazione della prima componente dell’indennizzo utilizza qualificazioni (“non amovibili”, “di difficile rimozione” e “amovibili”) necessariamente riferite a beni materiali –, a fronte di una norma primaria riferita, più genericamente, agli “investimenti effettuati negli ultimi cinque anni”, ossia agli investimenti tout court, senza ulteriori specificazioni.
Sotto questo profilo dalla relazione illustrativa emerge che “[i] criteri specifici [vale da dire i criteri specificamente riferiti a ciascuna delle due componenti dell’indennizzo, contrapposti ai criteri trasversali che, nella dicotomia utilizzata dalla relazione, si riferiscono ad entrambe le componenti] distinguono, in ossequio al principio di non duplicazione dei parametri di riferimento sui quali tali valori sono calcolati, rispettivamente, gli investimenti effettuati sui beni materiali non ammortizzati dagli investimenti immateriali destinati ad incrementare il valore commerciale dell’area affidata in concessione. Tale criterio consente di evitare che il medesimo investimento sia calcolato due volte ai fini della determinazione delle due componenti dell’indennizzo, bilanciando pertanto due esigenze distinte: l’esigenza di valorizzare adeguatamente gli investimenti effettuati dal concessionario uscente su beni ed opere che formeranno oggetto della concessione, anche al fine di prevenire situazioni di ingiustificato vantaggio economico in favore dei concessionari subentranti; l’esigenza di evitare che valori di indennizzo non ponderati sull’effettiva consistenza degli investimenti si traducano in un implicito ostacolo all’ingresso di nuovi operatori di mercato”. In sostanza, in sede regolamentare, al fine di evitare duplicazioni, le due componenti dell’indennizzo contemplate dalla norma primaria sono state distinte riferendo ciascuna componente ad una categoria di beni (materiali o immateriali) diversa.
La Sezione osserva che, se con riferimento all’indennizzo la logica ad esso sottesa – pur non scevra delle criticità sopra rilevate, che ne rendono quantomeno incerto il fondamento sotto il profilo logico-giuridico – pare riconducibile all’impoverimento subito dal concessionario uscente e al correlato (ma a dir poco incerto, per le ragioni sopra già esposte) arricchimento conseguito dal subentrante, incertezze ancora più significative connotano il fondamento e l’oggetto della “remunerazione” – che pare connotarsi in senso funzionale, trattandosi, almeno per quanto desumibile dal nomen utilizzato dal legislatore, di una componente dell’unitario “indennizzo” chiamata a “remunerare” la mancata disponibilità di una somma di denaro utilizzata per realizzare gli investimenti – già dalla norma primaria qualificata come “equa” senza che, peraltro, né la legge, né lo schema di regolamento stabiliscano i criteri che dovrebbero garantire la pretesa equità. Sono state, verosimilmente, queste incertezze – oltre alla dichiarata finalità di evitare le paventate duplicazioni – ad indurre l’autorità titolare del potere regolamentare, ravvisata la necessità di tradurre operativamente le vaghe indicazioni rinvenibili nella norma primaria, ad ancorare l’equa remunerazione ai beni immateriali, laddove l’indennizzo riguarda essenzialmente opere, beni e investimenti materiali (amovibili o meno)
Ciò, tuttavia, ha determinato – nel silenzio della legge che, oltre alla generica funzione di “remunerazione”, non fornisce alcuna specifica indicazione per la determinazione dell’oggetto del componente in esame – l’inclusione nell’indennizzo, unitariamente considerato, di una componente concernente i beni immateriali il cui acquisto è sostanzialmente imposto al concessionario subentrante, nella misura in cui quest’ultimo è comunque obbligato a corrispondere all’uscente una somma di denaro a fronte di investimenti in beni immateriali eseguiti nei cinque anni antecedenti alla data di avvio della procedura di affidamento.
Va, per tal via, segnalata la criticità della omnicomprensiva ricomprensione, quale presupposto del riconoscimento di una “equa remunerazione”, di beni immateriali genericamente “funzionali all’acquisto di servizi strumentali all’accrescimento di valore commerciale dell’area affidata in concessione” e comechessia effettuati negli ultimi cinque anni. Invero, marchi, brevetti, diritti d’autore, licenze, know-how, software, attività di ricerca e sviluppo, tutti beni intangibili iscritti nel bilancio dell’impresa e, per giunta, assoggettati a regole di ammortamento, contribuiscono senz’altro all’incremento di valore di quest’ultima, ma sono, in via di principio, destinati a restare, alla scadenza del rapporto, di proprietà del gestore uscente, essendo come tali suscettibili di eventuale ed autonoma negoziazione, senza automatismi traslativi.
La Sezione osserva, peraltro, che non è dato comprendere se tra i beni immateriali cui l’equa remunerazione si riferisce sia annoverabile l’avviamento, che costituisce effettivamente un bene immateriale ma non presuppone – come invece richiede l’articolo 2, comma 4 dello schema, laddove precisa che la “determinazione dell’equa remunerazione” è “parametrata sugli investimenti in beni immateriali” – uno specifico investimento (tantomeno in beni immateriali), rappresentando l’avviamento una qualità del patrimonio aziendale, in esso incorporata, conseguente semmai – ma pur sempre in via indiretta – al complesso degli investimenti eseguiti (quale che sia la natura, materiale o immateriale, dei beni cui essi si riferiscono) nel corso degli anni e comunque non necessariamente correlata agli investimenti eseguiti negli ultimi cinque anni.
Né è possibile valutare la pertinenza del riferimento (contenuto nel comma 2 dell’articolo 4) alla norma UNI 11729:2018 recante le “Linee guida per la stima del valore delle imprese concessionarie demaniali marittime, lacuali e fluviali a uso turistico ricreativo”, non trasmessa alla Sezione e da questa non autonomamente conoscibile (trattandosi di norma di carattere tecnico), che sembra peraltro riferita – sulla base della denominazione citata nello schema – alla stima del valore dell’impresa nel suo complesso – donde la possibile rilevanza della stessa anche rispetto alle immobilizzazioni materiali, e non soltanto dei beni immateriali dell’impresa medesima.
19.- Tra gli investimenti rilevanti ai fini della quantificazione degli indennizzi, lo schema di decreto prende in considerazione anche quelli relativi a beni “amovibili” [articolo 2, comma 2, lettera c)], i quali tuttavia – ancorché destinati alla fornitura del servizio – restano, per definizione (in quanto sottratti alla logica della necessaria accessione relativamente al demanio), di proprietà del concessionario, potendo come tali essere oggetto di negoziazione in via contrattuale: sicché l’accollo dei relativi costi sul gestore subentrante sembra risolversi, di fatto, in indebito vantaggio, per traslazione del rischio di impresa.
La relazione illustrativa riferisce, sul punto, che “la disposizione, nel prevedere anche i beni amovibili, con il vincolo della strumentalità e necessarietà per la fornitura del servizio, non [determinerebbe] oneri indebiti che possano scoraggiare nuovi operatori”. Precisa, sotto questo profilo, che “il meccanismo per cui il nuovo concessionario corrisponde un indennizzo al concessionario uscente su tali beni è il medesimo che consente al nuovo concessionario di avviare un’attività non su un’area demaniale marittima scoperta, ma su una struttura già realizzata e pronta a generare profitto successivamente all’aggiudicazione della concessione, riducendone contestualmente il rischio di impresa. Peraltro, tale meccanismo è conforme anche ai principi di economia circolare, evitando che il nuovo concessionario debba affrontare nuovi investimenti per nuova struttura e nuovi beni ad essa strumentali, del tutto similari a quelli del concessionario uscente. Infine, tale meccanismo non costituisce impedimento alla realizzazione di progetti alternativi da parte degli aspiranti concessionari, in quanto, all’attualità, le aree demaniali marittime in argomento sono oggetto di particolareggiato piano di utilizzazione degli arenili da parte dei comuni, attraverso il quale sono individuati le finalità, opere e caratteristiche ammesse”.
È evidente, tuttavia, il rischio che il subentrante sia costretto ad accollarsi opere (e i relativi costi) che potrebbero essere agevolmente rimosse, accettando così uno stato di fatto del bene che potrebbe non corrispondere al proprio progetto imprenditoriale. Non si comprende, sotto questo profilo, la rilevanza attribuita dalla relazione illustrativa alla circostanza che le aree demaniali marittime siano comprese nei piani di utilizzazione degli arenili.
21.- Tra gli investimenti rilevanti, sono ricompresi quelli relativi ad opere non già propriamente “non amovibili” (quali possono essere considerate solo infrastrutture fisse, come per esempio pontili, moli, scogliere artificiali, o costruzioni, come per esempio edifici o strutture permanenti, quali stabilimenti o ristoranti) ma semplicemente “di difficile rimozione” [articolo 2, comma 2 lettera b)]: concetto, in sé, vago e piuttosto elastico, che ricomprende espressamente anche beni semplicemente “acquistati” da terzi e, dunque, suscettibili di mera installazione), che sembra autorizzare una indebita traslazione dei costi di rimozione.
22.- Tra gli investimenti rilevanti, sono inclusi quelli genericamente correlati ad “eventi calamitosi” [articolo 2, comma 3], ancorché debitamente dichiarati dalle autorità competenti, senza una (necessaria) distinzione tra le spese destinate al ripristino o all’adeguamento funzionale degli impianti e delle strutture esistenti (autorizzabili nei limiti della loro necessità) e spese destinate all’acquisto di beni, prodotti o anche servizi rientranti nelle ordinarie scelte (e rischi) di impresa, meramente occasionati dagli eventi calamitosi, che appare non congruo accollare automaticamente al gestore subentrante.
23.- Vengono, ancora, prese in considerazione tutte le spese genericamente correlate a “sopravvenuti obblighi di legge”, senza distinzione tra quelle relative a beni inamovibili (per i quali, in quanto destinati al trasferimento al nuovo gestore, è in via di principio plausibile ritenere che si tratti di costo imposto) e quelle relative a beni amovibili, o anche solo di difficile rimozione (per i quali, in quanto di proprietà del gestore, l’obbligatorio adeguamento, nel tempo, alla disciplina di settore fa carico all’imprenditore, in termini di rischio di impresa.
24.- Con l’articolo 3, comma 3 dello schema di decreto, si prevede che “ai soli fini di cui al presente articolo, nell’ultimo bilancio disponibile il valore di cui al comma 1 può essere rivalutato secondo i criteri di cui all’articolo 11 della legge 21 novembre 2000, n. 342, in quanto applicabili”.
Sul punto, si segnala – di là dal non chiaro riferimento ad una rivalutazione operante ai soli fini della quantificazione degli indennizzi – che la relativa previsione appare prima facie priva di una base normativa, in assenza di una disposizione di rango primario che la autorizzi. Per un verso, infatti, la fattispecie contemplata dal menzionato articolo 11 della legge n. 342 del 2000 comprende i beni materiali e immateriali e le partecipazioni costituenti immobilizzazioni, “risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2002”. Per altro verso, l’articolo 4, comma 9 della legge n. 118 del 2022 commisura la prima componente dell’indennizzo “al valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione”, senza prevedere alcuna rivalutazione. D’altra parte, se, per le ragioni già illustrate al n. 4, la scelta di disciplinare unitariamente in sede regolamentare tanto l’indennizzo (inteso, in senso stretto, come quella componente calibrata sugli investimenti in beni immateriali non ammortizzati) quanto l’equa remunerazione è giustificabile alla luce delle sopra descritte esigenze di unitarietà, il tenore letterale della norma primaria impone particolare cautela nell’introdurre in sede regolamentare elementi di dirompente novità quale è il sopra descritto meccanismo di rivalutazione.
In ogni caso, si osserva che il riferimento – contemplato al dichiarato scopo di porre un limite alla rivalutazione di cui sopra – ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in (non meglio specificati) “mercati regolamentati italiani o esteri” non pare coerente con la circostanza che i beni in questione sono classificati come immobilizzazioni materiali (e non finanziarie) lato sensu pertinenti alla concessione.
Andrebbero comunque contestualizzati i riferimenti, contenuti nel comma 4, al bilancio “in forma abbreviata o in altre forme semplificate”, precisando se con la prima locuzione si intenda fare riferimento all’articolo 2435-bis cod. civ. e quale sia il significato della generica e onnicomprensiva locuzione “bilancio […] in altre forme semplificate” (ad esempio, se si intende fare riferimento anche, o soltanto, alla contabilità semplificata per le imprese minori di cui all’articolo 18, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 o anche ad altre ipotesi).
25.- Il comma 2 dell’articolo 6 dello schema di decreto sancisce che “il pagamento dell’indennizzo di cui all’articolo 1, comma 1, da corrispondere al concessionario uscente, è garantito dal concessionario subentrante mediante la cauzione di cui all’articolo 17 del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328”.
Si segnala che – non essendo previsto che il gestore uscente, abilitato a concorrere alla nuova aggiudicazione della concessione, formuli una offerta di indennizzo – non sussiste a suo carico un corrispondente obbligo di prestare cauzione, gravante invece su tutti gli altri concorrenti. Si tratta di un potenziale vantaggio competitivo, che può essere sterilizzato dalla semplice sanzione della decadenza dall’aggiudicazione in caso di mancato adempimento, nei termini previsti dall’articolo 4, comma 9 della legge n. 118 del 2022, della relativa obbligazione.
26.- Il comma 3 dell’articolo 6 dello schema di decreto prevede che “l’importo di cui all’articolo 4, comma 6, lettera a), della legge n. 118 del 2022 affluisce all’entrata del bilancio dello Stato”.
Sul punto, si rinvia alle osservazioni formulate supra (non essendo chiare le modalità con le quali anche il gestore uscente sia abilitato a formulare offerte di indennizzo esclusivamente ‘al rialzo’).
P.Q.M.
nei sensi delle considerazioni che precedono è il parere della Sezione.
GLI ESTENSORI IL PRESIDENTE
Giovanni Grasso, Davide Miniussi, Sebastiano Galdino Luciano Barra Caracciolo
IL SEGRETARIO
Alessandra Colucci
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