Consiglio di Stato 2025-Il sig. -OMISSIS- ha impugnato un provvedimento adottato dal Prefetto di ... (prot. n. -OMISSIS-), che disponeva il suo divieto di detenere armi, munizioni e prodotti esplodenti ai sensi dell’art. 39 TULPS, nonché il successivo decreto della Questura di ... (prot. n. -OMISSIS-) con cui è stato respinto il suo ricorso per il rinnovo della licenza di porto d’armi per difesa personale. La questione principale riguarda la legittimità di tali provvedimenti, basati sulla presunta mancanza di garanzie del ricorrente di non abusare delle armi in suo possesso, e sulla comunicazione di notizia di reato per omessa custodia di armi.
2. **Fatti e motivazioni alla base dei provvedimenti amministrativi**
Il provvedimento di divieto e il rigetto del rinnovo sono stati motivati dal fatto che il ricorrente era stato coinvolto in un procedimento penale per il reato di cui all’art. 20-bis legge n. 110/1975, ovvero “Omessa custodia di armi”. La Questura di ... ha comunicato agli uffici competenti che, in occasione di un’istanza di rinnovo della licenza, il ricorrente aveva riferito di aver lasciato la pistola nell’ufficio della propria -OMISSIS-, e non con sé al momento del colloquio.
3. **Valutazione del quadro giuridico**
L’art. 39 TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) prevede che il Prefetto possa vietare o revocare il porto di armi qualora sussistano motivi di sicurezza pubblica o di ordine pubblico, o in presenza di elementi che rendano il soggetto non affidabile. La norma consente inoltre alle autorità di adottare misure preventive sulla base di elementi di fatto o di notizie di reato, anche se non ancora definiti con sentenza definitiva.
Il reato di omessa custodia di armi, di cui all’art. 20-bis legge n. 110/1975, rappresenta un elemento che può influire sulla valutazione della affidabilità del detentore di armi, poiché evidenzia una condotta che può mettere a rischio la sicurezza pubblica, specialmente in relazione alla custodia e alla corretta conservazione delle armi.
4. **Principi di diritto e valutazione del Consiglio di Stato**
Il Consiglio di Stato ha più volte affermato che le misure di divieto o di revoca del porto d’armi devono essere adottate sulla base di elementi concreti e qualificati, che attestino un reale rischio per l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone. La presenza di un procedimento penale, anche non ancora concluso, può costituire un elemento di valutazione, ma non può essere automaticamente assunta come causa di divieto, se non supportata da elementi concreti di pericolo.
Nel caso in esame, la comunicazione di reato per omessa custodia di armi, sebbene rilevante, non può di per sé configurare di per sé una prova di pericolosità del soggetto, specie se egli stesso ha riferito di non avere con sé l’arma al momento del controllo, e l’arma era custodita in modo sicuro presso la propria -OMISSIS-.
5. **Analisi della motivazione e delle garanzie del ricorrente**
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che il provvedimento impugnato appare motivato principalmente sulla base di una notizia di reato e di una presunta mancanza di garanzie di affidabilità del ricorrente. Tuttavia, la semplice notizia di reato, senza ulteriori elementi di pericolo concreto, non può giustificare in modo assoluto il divieto di detenzione o il diniego del rinnovo del porto d’armi.
Inoltre, la circostanza che il ricorrente abbia lasciato l’arma in un ufficio e abbia dichiarato di non averla con sé al momento del controllo può essere interpretata come un comportamento responsabile, che non giustifica l’applicazione di misure restrittive preventive di portata più ampia.
6. **Conclusioni e principi di diritto applicati**
Il Consiglio di Stato ha concluso nel senso che i provvedimenti impugnati devono essere valutati alla luce dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza. L’adozione di un divieto di detenere armi e il diniego di rinnovo del porto d’armi devono essere motivati da elementi concreti di rischio, adeguatamente valutati, e non soltanto da notizie di reato o da presunzioni.
Nel caso di specie, i motivi addotti risultano insufficienti a giustificare un divieto assoluto, e pertanto, i provvedimenti impugnati devono essere annullati o riformati, con reintegrazione del diritto del ricorrente di detenere armi, previa una valutazione più approfondita delle circostanze di fatto.
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**In sintesi:** Il Consiglio di Stato sottolinea la necessità di un equilibrio tra la tutela della sicurezza pubblica e il rispetto dei diritti del soggetto interessato, affermando che le misure restrittive devono essere motivate da elementi concreti e specifici, e non possono essere adottate sulla base di mere notizie di reato o presunzioni prive di adeguata supportazione probatoria.
Pubblicato il 17/03/2025
N. 02201/2025REG.PROV.COLL.
N. 00377/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 377 del 2025, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato .. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,
l’Ufficio Territoriale del Governo di ... e la Questura di ..., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 509/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di ... e della Questura di ...;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2025 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Il sig. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del Prefetto di ... prot. n. -OMISSIS-, recante il divieto nei suoi confronti di detenere armi, munizioni e prodotti esplodenti ex art. 39 TULPS sul rilievo che il medesimo “non offre garanzie di non abusare delle armi in suo possesso”, nonché il consequenziale decreto della Questura di ... prot. n. -OMISSIS-, con il quale è stato disposto il rigetto dell’istanza con la quale il suddetto aveva richiesto il rinnovo della licenza per il porto di pistola per difesa personale.
Il provvedimento di divieto e quello consequenziale di diniego di rinnovo del porto d’armo derivano, essenzialmente, dalla comunicazione di notizia di reato emessa a carico del ricorrente per il reato di cui all’art. 20-bis l. n. 110/1975 (“Omessa custodia di armi”).
I fatti che hanno determinato il deferimento del ricorrente all’A.G. sono evincibili dalla annotazione della Questura di ... -OMISSIS-, nella quale si legge che:
- al fine di acquisire informazioni in ordine alla necessità per il suddetto di disporre della licenza di porto d’arma per ragioni di difesa personale, di cui aveva chiesto il rinnovo, in data -OMISSIS- il ricorrente è stato convocato presso gli uffici della Questura dove, durante la verbalizzazione, ha riferito di non avere con sé la pistola, avendola lasciata nell’ufficio della sua -OMISSIS-;
- essendo apparsa la suddetta collocazione non idonea ai pubblici ufficiali procedenti, essi si sono recati insieme all’istante presso l’-OMISSIS- al fine di verificare le modalità di custodia della pistola;
- ivi giunti, hanno potuto constatare che all’interno dell’ufficio, in un mobiletto con ripiani a vista, vi era il borsello del sig. -OMISSIS- con all’interno due pistole, regolarmente detenute;
- è stato inoltre rilevato che nell’ufficio, sebbene chiuso con una normale porta in legno, era presente una grossa finestra a vetri scorrevoli senza alcun sistema di chiusura e che accanto all’ufficio vi erano lo spogliatoio ed i servizi igienici, ai quali i dipendenti avevano accesso liberamente;
- le descritte modalità di custodia sono apparse agli operatori non idonee, tanto da indurli a procedere al ritiro amministrativo delle armi e del titolo di polizia, anche considerato che il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- aveva subito il furto di una pistola presso la sua -OMISSIS-, che l’ufficio veniva utilizzato anche per ricevere i clienti dell’-OMISSIS- e che nell’-OMISSIS- erano avvenuti almeno quattro furti -OMISSIS-.
Con nota prot. n. -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- è stato anche denunciato alla A.G. per il reato di cui sopra mentre, con nota prot. n. -OMISSIS-, la Questura di ... ha chiesto alla Prefettura di ... di procedere all’adozione del provvedimento di divieto ex art. 39 TULPS, di fatto successivamente, come si è visto, adottato insieme al diniego di rinnovo del porto d’armi.
In seguito alla citata denuncia, il Giudice penale ha emesso il decreto penale di condanna, cui è seguita l’oblazione richiesta dal ricorrente.
Il T.A.R. adito, con la sentenza n. 509 del 16 luglio 2024, ha respinto le censure formulate a corredo della domanda di annullamento del provvedimento di divieto e dichiarato inammissibili quelle rivolte nei confronti del provvedimento di diniego di rinnovo del porto d’arma, in quanto strettamente consequenziale rispetto al primo.
La sentenza costituisce oggetto delle osservazioni critiche formulate dall’originario ricorrente con l’appello in esame, al fine di ottenerne la riforma in vista del consequenziale accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Con il primo motivo di appello, l’appellante deduce l’erroneità e la carenza motivazionale della statuizione reiettiva della censura intesa a lamentare che l’Amministrazione ha omesso di illustrare le ragioni per le quali non ha ritenuto di accogliere le osservazioni dal medesimo presentate in sede procedimentale.
Con il successivo motivo di appello, l’appellante ribadisce la carenza motivazionale dei provvedimenti impugnati in primo grado, i quali non consentirebbero all’interessato di ricostruire l’iter logico-giuridico sotteso alla loro adozione.
Con l’ulteriore motivo di appello, l’appellante deduce in primo luogo che né il decreto penale di condanna (da lui opposto ai fini della estinzione del procedimento penale mediante il pagamento di una oblazione), né la mera comunicazione di notizia di reato sono sufficienti a giustificare l’adozione dei provvedimenti impugnati.
Egli lamenta inoltre che l’Amministrazione ha omesso di attribuire la dovuta rilevanza alle circostanze rappresentate in sede procedimentale, secondo cui:
- durante il giorno egli custodisce una pistola sulla propria persona, con apposita fondina, oppure, quando ciò non è possibile, chiudendola a chiave all’interno del proprio ufficio, nel cassetto in ferro della scrivania;
- in ogni caso, la custodia è ulteriormente garantita dalla presenza fisica in ufficio del sig. -OMISSIS- personalmente e/o dalla vigilanza della -OMISSIS-, collaboratrice del -OMISSIS-, che detiene un porto d’armi ad uso sportivo ed è quindi esperta e ben istruita sulla custodia delle armi;
- quando il sig. -OMISSIS- si allontana, la porta che dall’-OMISSIS- dà accesso all’ufficio viene da lui chiusa a chiave, anche perché lì sono custoditi gli incassi giornalieri dell’-OMISSIS-;
- l’unico che detiene copia delle chiavi è lo stesso sig. -OMISSIS- o, in sua assenza, la -OMISSIS-, che non lascia mai il locale aperto e incustodito e staziona all’interno o comunque nei pressi sino al ritorno del -OMISSIS-;
- in -OMISSIS-, davanti alla porta di accesso all’ufficio del Sig. -OMISSIS-, sono sempre presente i due operai addetti, i quali non hanno le chiavi di accesso all’ufficio in assenza del titolare, ma ricevono gli eventuali clienti provenienti dall’ingresso dell’-OMISSIS-, per cui non è plausibile che alcuno possa introdursi inosservato nei locali stessi e da lì indisturbatamente possa forzare la porta d’accesso all’ufficio del ricorrente, men che meno aprire la finestra a vetri che affaccia sull’-OMISSIS- e scavalcarla;
- l’ufficio ha anche una finestra che dà verso l’esterno, che è chiusa da un’inferriata a saracinesca con lucchetto;
- sul retro dell’ufficio vi è un locale spogliatoio (dove peraltro si cambiano il sig. -OMISSIS- e un solo operaio) al quale si accede o attraverso l’ufficio del sig. -OMISSIS-, attraversando una porta interna munita di serratura e chiavistello che è sempre chiusa (a meno che non sia il -OMISSIS- a doversi recare nello spogliatoio), oppure dall’esterno, attraverso una porta anch’essa serrata a chiave;
- l’accesso allo spogliatoio è possibile comunque soltanto quando sono presenti il sig. -OMISSIS- o -OMISSIS- e le chiavi delle porte anzidette sono tutte custodite dal sig. -OMISSIS- personalmente o in sua assenza dalla -OMISSIS-;
- finita la giornata lavorativa, depositati gli incassi allo sportello bancario -OMISSIS- della cassa continua, il sig. -OMISSIS- porta su di sé l’arma sino a casa propria;
- l’arma viene custodita durante la notte nella camera da letto, sotto al materasso sul quale il sig. -OMISSIS- riposa; nella casa vivono unicamente il sig. -OMISSIS- e -OMISSIS-; in assenza del ricorrente l’arma viene allocata nella cassaforte, dove solitamente resta depositata l’altra pistola.
Lamenta inoltre il ricorrente che nulla si dice nel provvedimento impugnato in ordine all’occasionalità ed, anzi, all’eccezionalità del fatto che il sig. -OMISSIS- abbia lasciato le armi in ufficio proprio per recarsi in Questura, convocato per il rinnovo del porto d’armi, ritenendo non opportuno presentarsi nell’ufficio armato.
Deduce inoltre l’appellante che il giorno della convocazione presso la Questura di ... non aveva ritenuto opportuno portare con sé le pistole, ma le aveva lasciate nel proprio ufficio per esser più vicino alle armi (rispetto alla propria abitazione) nel caso in qui in Questura gliene venisse chiesta l’esibizione.
Lamenta quindi l’appellane che anche la sentenza appellata, che non esamina le circostanze allegate, è viziata sul piano motivazionale.
Infine, deduce che, permanendo le ragioni che hanno determinato i plurimi rinnovi del titolo di polizia, e non avendo mai dato luogo a rilievi inerenti alla sua condotta, anche il provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo si presenta viziato per carenza di motivazione ed eccesso di potere.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata, per opporsi all’accoglimento dell’appello.
Ciò premesso, l’appello, ad avviso del Collegio, non è meritevole di accoglimento.
Deve preliminarmente osservarsi che, tra gli indici sintomatici dell’inaffidabilità dell’interessato in ordine alla detenzione (ed all’eventuale porto) di armi e munizioni, rientra la mancata osservanza delle cautele necessarie ad evitare che di tali strumenti, anche regolarmente detenuti e pur se custoditi presso il proprio domicilio, entrino in possesso persone diverse da chi ne ha denunciato la detenzione o sia titolare della relativa licenza di porto.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che “non è illogico far discendere il giudizio sulla scarsa affidabilità del detentore di armi da una situazione di oggettiva negligenza nella custodia delle armi e dalla mancata adozione, a tal fine, di adeguate precauzioni; il rischio di possibile abuso o di non corretto utilizzo delle armi è infatti ritenuto desumibile anche da comportamenti omissivi, consistenti nel mancato assolvimento di quegli oneri di diligente custodia che l’ordinamento impone a chi detenga armi e esplosivi” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 1 aprile 2019, n. 2135; id. 25 marzo 2019, n. 1972).
La medesima giurisprudenza ha evidenziato che incorre in un “abuso il titolare della licenza di porto d’armi che custodisca la propria arma in modo tale che altri possa utilizzarla ovvero con modalità palesemente inadeguate, ad esempio collocandola in una cassapanca, in un cassetto di un mobile sia pure chiuso con un lucchetto, ovvero in un armadio, e cioè con modalità che consentano l’asportazione della stessa arma; va infatti rispettato il principio per il quale il titolare della licenza deve porre in essere le misure volte a consentire il proprio esclusivo utilizzo dell’arma, con modalità tali da rendere oltremodo difficile che altri ne facciano uso e, comunque, evitare che l’arma possa essere, nella sostanza, liberamente appresa ed utilizzata da altri” (Consiglio di Stato, Sez. III , 14 dicembre 2016 n. 5271).
E’ infatti evidente che chi sia autorizzato a detenere o portare armi assume nel contempo il dovere di adottare tutte le misure per evitare che l’eccezionale facoltà ad esso concessa dall’ordinamento si traduca in un pericolo per la sicurezza pubblica, quale si realizzerebbe se l’arma detenuta o portata fosse esposta al rischio di appropriazione da parte di terzi e venisse sottratta, quindi, al regime di circolazione limitata e controllata che, in ragione della loro intrinseca pericolosità, caratterizza lo statuto giuridico dei beni de quibus.
Il suddetto obbligo di diligenza in custodiendo si amplifica laddove l’interessato sia anche titolare di porto d’arma, in quanto la facoltà che siffatto titolo di polizia attribuisce di circolare armati aumenta le possibilità che l’arma sia esposta al pericolo di sottrazione, imponendo conseguentemente al titolare della licenza una più vigile attenzione nell’adottare le accortezze necessarie a far sì che essa rimanga sotto il permanente ed attento controllo del suo possessore.
Applicando le illustrate coordinate interpretative alla fattispecie in esame, deve osservarsi che i provvedimenti impugnati, anche alla luce degli atti istruttori ai quali essi rinviano, descrivono compiutamente i profili di negligenza che hanno caratterizzato le modalità di custodia delle armi da parte del ricorrente: le stesse, infatti, sono state rinvenute, all’interno di un borsello, su uno scaffale aperto, a sua volta situato nell’ufficio dell’-OMISSIS- del medesimo ricorrente, agevolmente accessibile sia attraverso una finestra semplicemente munita di vetri scorrevoli, sia attraverso le due porte in legno che collegano la stanza, rispettivamente, con l’esterno e con un locale spogliatoio.
Le modalità di custodia delle armi sono oggettivamente indicative di superficialità e imperizia, essendo evidente che l’esistenza di porte, peraltro di semplice legno e quindi suscettibili di facile effrazione, non costituisce una misura adeguata per metterle al riparo da condotte appropriative.
Nemmeno può ritenersi idonea a compensare la suddetta oggettiva carenza custodiale l’affermata presenza, durante l’allontanamento del ricorrente dall’ufficio, del-OMISSIS- del medesimo, in quanto non è affatto dimostrato che la stessa fosse costantemente presente nei pressi dell’ufficio (essendo invece plausibile che, quale addetta alla -OMISSIS-, fosse sovente costretta ad allontanarsene) e che, comunque, la sua ipotizzata vigilanza non fosse eludibile.
Del resto, il dovere di custodia che fa capo al possessore dell’arma deve esplicarsi con modalità che impediscano non solo a terzi estranei alla compagine familiare o professionale del titolare della licenza di venire in possesso dell’arma, ma anche alle persone che facciano parte di quella cerchia e nei confronti delle quali l’Amministrazione, mediante il rilascio del titolo, non abbia potuto compiere alcuna diretta valutazione di affidabilità: in tale ottica, se da un lato nessun elemento dimostrativo offre il ricorrente in ordine all’asserito possesso della licenza anche da parte del-OMISSIS-, dall’altro lato resta il fatto che nessuna efficace misura cautelativa risulta adottata dall’interessato al fine di evitare che delle armi potessero entrare in possesso i dipendenti (anche attraverso la porta in legno che collega l’ufficio allo spogliatoio).
La stessa asserita abituale custodia all’interno di un cassetto in ferro chiuso a chiave non è sicuramente equiparabile alla sua detenzione all’interno di una cassaforte, alla luce della agevole manomissione di cui il primo può essere oggetto.
Nemmeno è idonea a sminuire la negligenza caratterizzante l’operato del ricorrente la tesi del carattere eccezionale della modalità di custodia riscontrata dai funzionari della Questura di ....
In primo luogo, in proposito, l’affermazione secondo cui una delle due pistole sarebbe solitamente detenuta all’interno della cassaforte collocata nell’abitazione del ricorrente, mentre sarebbe stata portata presso il luogo di lavoro del medesimo in previsione dell’eventuale esibizione della stessa ai funzionari della Questura in occasione del colloquio funzionale al rinnovo del titolo di polizia, non risulta verosimile, dal momento che, ove così fosse stato, sarebbe stato ragionevole attendersi da parte del ricorrente una maggiore cautela nella custodia delle stesse, onde evitare i prevedibili rilievi da parte degli operatori.
In secondo luogo, non può attribuirsi rilievo esimente all’asserito carattere episodico della contestazione, in quanto la condotta che ne costituisce oggetto è indicativa di un atteggiamento di trascuratezza che trascende lo specifico evento posto a base del provvedimento di divieto.
Inoltre, i precedenti furti subiti dal ricorrente – di cui uno, -OMISSIS-, avente ad oggetto proprio l’arma da fuoco e verificatosi presso l’-OMISSIS- – avrebbero dovuto indurre ad usare particolare diligenza nella custodia delle pistole, con la conseguente maggiore gravità del giudizio di negligenza formulabile nei suoi confronti sulla scorta dei fatti illustrati.
Deve aggiungersi che le valutazioni dell’Amministrazione si muovono su un piano diverso ed autonomo rispetto a quelle proprie del giudice penale, con la conseguenza che l’esito estintivo del relativo procedimento, conseguente alla definizione dello stesso mediante ricorso all’oblazione, non impediva alla prima di assumere le sue determinazioni assumendo a base delle stesse i fatti storici acquisiti attraverso l’istruttoria procedimentale, non risultando il loro accadimento smentito dalle contrarie allegazioni dell’interessato.
Infondata è anche la censura con la quale viene ribadito il vizio asseritamente derivante dall’omesso esame delle osservazioni procedimentali del ricorrente, con la conseguente carenza motivazionale del provvedimento impugnato.
Deve invero rilevarsi che le ragioni poste a base della sua adozione valgono nel contempo, sebbene implicitamente, quali argomenti di confutazione delle deduzioni difensive dell’interessato, assumendo rispetto a queste, nella complessiva logica giustificativa del provvedimento impugnato, carattere preminente e, quindi, assorbente, senza che possa ritenersi necessaria l’espressa e singola analisi delle stesse: tale valenza recessiva del resto, come si evince dalle considerazioni che precedono, non irragionevolmente l’Amministrazione ha ad esse riconosciuto, escludendo conseguentemente che potessero condurre ad una determinazione provvedimentale di segno diverso.
Quanto invece alla mancata audizione del ricorrente, deve rilevarsi che correttamente la sentenza appellata, non specificamente censurata in parte qua dall’appellante, ha posto in evidenza l’estraneità di tale adempimento allo schema procedimentale del potere in esame.
Nel contesto illustrato, assumono rilievo secondario anche le allegazioni formulate dal ricorrente al fine di dimostrare la permanente esigenza di mantenimento della licenza di porto d’arma, avendo la sentenza appellata evidenziato che il diniego di rinnovo del suddetto titolo di polizia deriva in termini vincolati dal provvedimento di divieto di detenzione di armi e munizioni, che si basa legittimamente sul pericolo di abuso da parte dell’interessato, con la conseguente inammissibilità della relativa domanda di annullamento.
Lo stesso prolungato possesso della licenza di polizia, in forza dei reiterati rinnovi assentiti dall’Amministrazione, non è sufficiente ad inficiare il giudizio di inaffidabilità da essa formulato con il provvedimento impugnato, derivando questo da fatti nuovi che hanno inciso negativamente sulle condizioni legittimanti la perdurante titolarità di quel titolo.
L’appello quindi, alla luce dei rilievi che precedono, deve essere complessivamente respinto, mentre l’originalità della fattispecie esaminata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, respinge l’appello.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2025 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore
Luca Di Raimondo, Consigliere
Angelo Roberto Cerroni, Consigliere
Enzo Bernardini, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ezio Fedullo Rosanna De Nictolis
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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