commento teorico / interpretativo utile — che tiene conto delle regole prevalenti in materia di agevolazione “prima casa”, del concetto di decadenza dal beneficio, e del regime dei diritti reali (quali l’usufrutto).
Quadro normativo di riferimento
Prima di addentrarci nel tema specifico, è utile richiamare alcuni principi generali:
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L’agevolazione “prima casa” è disciplinata dall’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 131/1986, nota II-bis. Essa prevede che chi acquista un fabbricato (non di lusso) per adibirlo a propria abitazione principale può godere di imposte ridotte, a condizione che non possieda già un’altra “casa di abitazione” nello stesso comune (o che rinunci al beneficio su quella preesistente), e che adempia altri requisiti (residenza, non possesso di altre agevolazioni, ecc.).
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La normativa (nella versione storica e successive modifiche) prevede che, se l’immobile acquistato con le agevolazioni venga trasferito (venduto, donato, permutato, o altro atto a titolo oneroso o gratuito) prima che siano trascorsi cinque anni, il contribuente decade dal beneficio, salvo che entro un anno dall’alienazione acquisti un’altra abitazione da destinare a sua casa principale. (Questo è il cosiddetto “periodo quinquennale di decadenza” previsto dalla Nota II-bis).
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La decadenza del beneficio implica che l’Amministrazione fiscale possa recuperare le imposte ordinarie (anziché le agevolate), con sanzioni e interessi.
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I diritti reali parziari, come l’usufrutto, costituiscono una forma di godimento su un bene altrui: l’usufruttuario ha il diritto di usare il bene e raccogliere i frutti, ma non può disporne della proprietà (salvo che sia titolare anche della nuda proprietà). Il nudo proprietario mantiene la proprietà ma non il godimento.
Ipotesi e tesi sostenuta
La tesi che vuoi che sia commentata è la seguente:
“La decadenza dall’agevolazione prima casa si verifica solo se si trasferisce (vendita, donazione, permuta) l’immobile acquistato con il beneficio; non si applica invece la decadenza nell’ipotesi in cui sull’immobile si costituisca il diritto di usufrutto in favore di terzi.”
In altri termini: dare in usufrutto l’immobile (cioè concedere il godimento del bene, ma senza trasferirne la proprietà) non equivarrebbe, secondo questa tesi, a un “trasferimento” che determini la perdita del beneficio fiscale.
Analisi logica e giuridica della tesi
Ecco come si può articolare un commento con pro e contro, e le possibili implicazioni.
Argomenti a favore della tesi
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Differenza essenziale tra trasferimento e costituzione di diritto reale
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Il trasferimento (atto tipico che modifica la titolarità del diritto di proprietà) è esplicitamente menzionato nella normativa come fatto che può determinare la decadenza (quando avviene entro il quinquennio).
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La costituzione di un diritto reale minore come l’usufrutto non muta la proprietà: il bene resta di proprietà del soggetto che ha ottenuto l’agevolazione. L’usufruttuario acquista solo un diritto d’uso.
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In ragione di ciò, può sostenersi che il legislatore abbia inteso come evento decadenziale solo i trasferimenti del diritto di proprietà, non gli atti che costituiscono diritti minori sul bene.
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Certezza del contribuente / principio di tassatività delle cause di decadenza
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In tema tributario, le norme che prevedono decadenza, revoca o decurtazione di benefici devono essere interpretate restrittivamente. Se la normativa non ha previsto espressamente che la costituzione di usufrutto comporti decadenza, estendere la decadenza anche a quella ipotesi può contrastare il principio di tassatività degli istituti sfavorevoli al contribuente.
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Intervenire con una interpretazione estensiva che equipari l’atto di usufrutto al trasferimento potrebbe introdurre una sorpresa normativa, contraria al principio di certezza.
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Rispetto del regime dei diritti reali
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L’usufrutto è un diritto ben noto e separato che non implica alienazione della proprietà. Fondare la decadenza su un atto che non tocca la proprietà potrebbe sollevare questioni di ragionevolezza e coerenza sistematica.
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In sede di controllo fiscale, l’Amministrazione dovrebbe dimostrare che, anche nella costituzione dell’usufrutto, vi fosse intento elusivo o dissimulatorio, e non che l’atto fosse normalmente considerato un trasferimento.
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Precedenti o prassi che distinguono le situazioni
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Anche se non ho trovato al momento la pronuncia 25863 del 2025 che affermi esplicitamente il principio, in alcune risposte dell’Amministrazione delle Entrate (interpelli) si accenna alla distinzione fra acquisto del diritto d’usufrutto e acquisto della proprietà (o trasferimenti). (Vedi “agevolazione prima casa e acquisto del solo diritto di usufrutto” in alcune analisi di prassi: cfr. l’articolo “agevolazione prima casa | Le successioni” che segnala che, secondo prassi, l’acquisto di usufrutto non eviterebbe la decadenza se è l’atto che sostituisce la proprietà precedente — tuttavia, quella stessa nota suggerisce che la questione sia controversa). +
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In quella nota si legge: “l’acquisto del semplice diritto di usufrutto su nuova casa di abitazione non evita la decadenza della agevolazione prima casa precedentemente fruita sul primo acquisto.” (quindi quella prassi sembra andare nella direzione opposta). +
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Però una giurisprudenza recente potrebbe avere fornito chiarimenti in senso contrario (come ipotizzato nella formulazione che tu proponi).
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Argomenti contro la tesi (e rischi)
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Interpretazione letterale della “decadenza in caso di trasferimento”
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Se la normativa parla di “trasferimento” (atto che implica cambio di titolarità), l’Amministrazione potrebbe sostenere che la costituzione dell’usufrutto costituisce una forma di “trasferimento parziale” del diritto di godimento e che possa rientrare nella nozione estensiva di “trasferimento” prescritto dalla norma fiscale.
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In particolare, potrebbe argomentarsi che concedere l’usufrutto equivale a trasferire una “quota di godimento” del bene e che, se l’intento fosse quello di disfarsi del godimento (o di sfruttare fiscalmente il bene), nulla vieta che la norma includa anche quella ipotesi.
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Rischio di elusione / abuso del diritto
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Anche se la costituzione di usufrutto non cambia la proprietà, può essere strumentale a scopi elusivi: per esempio, il contribuente potrebbe voler svuotare il “peso” del possesso reale per ottenere il nuovo acquisto agevolato, pur mantenendo la proprietà ma concedendo l’usufrutto a un terzo (anche magari con corrispettivo). In questi casi, l’Amministrazione potrebbe sostenere che l’atto costituisce una manovra elusiva che meriti l’applicazione del principio anti-abuso.
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La giurisprudenza fiscale potrebbe valorizzare indici (tempestività del negozio, circostanze anomale, mancanza di corrispettivo, condizioni funzionali) per ricondurre anche atti “apparentemente innocui” (come l’usufrutto) nell’ambito della decadenza, se il contribuente non prova l’assenza di intento elusivo.
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Delimitazione della giurisprudenza e cambiamenti ermeneutici
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Anche se una pronuncia favorevole venisse resa (ad esempio la 25863), essa potrebbe essere vincolante solo per casi analoghi e non estendibile automaticamente a ogni situazione di costituzione di usufrutto.
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È possibile che le Corti inferiori, fino all’eventuale consolidamento della Cassazione, continuino a contestare l’atto di costituzione dell’usufrutto nelle operazioni sospette.
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Precedenti contrari o prassi ministeriale prevalente
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Come accennato, alcune note e dottrina riferiscono che l’Agenzia delle Entrate, nella prassi, considera che l’acquisto del solo usufrutto possa non evitare la decadenza dall’agevolazione precedente. Questa prassi, pur non avendo valore vincolante, influenza l’orientamento degli uffici e dei giudici tributari. +
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Se la prassi ministeriale prevalente o le pronunce dei giudici tributari di merito continuassero a ritenere l’usufrutto suscettibile di provocare decadenza, vi sarebbe disallineamento fino a che non intervenga un orientamento consolidato della Cassazione.
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Ipotesi applicative ed esempi pratici
Ecco come si applicherebbe il principio (nella versione che tu proponi):
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Caso A (trasferimento): il contribuente acquista la casa con agevolazione “prima casa”. Dopo tre anni, la vende (o la dona). In assenza di un nuovo acquisto entro l’anno o altri requisiti, decade dal beneficio e il fisco può recuperare le imposte ordinarie.
→ In questa ipotesi la decadenza opera chiaramente, secondo la normativa, ed è ben consolidato il recupero. -
Caso B (costituzione di usufrutto): il contribuente acquista la casa con agevolazione. Dopo un anno, costituisce l’usufrutto a favore di un soggetto terzo (ad esempio un parente). Secondo la tesi favorevole, qui non si verificherebbe la decadenza, perché non vi è trasferimento della proprietà, bensì costituzione di diritto reale minore sul bene. Il contribuente manterrebbe il beneficio originario, fintanto che non alieni il bene.
→ È un’ipotesi che tutela il contribuente che voglia usare strumenti successivi per disciplinare la titolarità del godimento, senza perdere i benefici acquisiti.
Ma attenzione: affinché questa tesi regga, il contribuente dovrebbe poter dimostrare che l’atto di costituzione dell’usufrutto non era finalizzato esclusivamente all’aggiramento della normativa, e che non compromette la finalità dell’agevolazione (cioè abitazione principale). In un contenzioso, l’Amministrazione potrebbe sollevare il dubbio di abuso, valutare indici (tempestività, convenienza economica, caratteristiche del negozio) e chiedere prove.
Valutazione complessiva e prospettive
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La tesi che la decadenza dalle agevolazioni “prima casa” non si estenda alla mera costituzione dell’usufrutto è ragionevolmente difendibile, in ragione della distinzione giuridica fra trasferimenti della proprietà (tipicamente contemplati dal legislatore) e costituzione di diritti reali minori.
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Tuttavia, la tenuta della tesi dipende fortemente da interpretazioni giurisprudenziali e da come la Cassazione stessa (o le sezioni tributarie) decideranno di affrontare l’argomento, soprattutto in presenza di possibili elementi indiziari di abuso.
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Anche in caso di pronuncia favorevole (come, ipoteticamente, quella 25863/2025 che dici), è probabile che la decisione definisca limiti e condizioni (ad esempio, che non vi sia corrispettivo irrisorio, che l’atto sia motivato e coerente, che non si configuri manovra elusiva, che il contribuente sia in grado di dimostrare che l’usufrutto non ha compromesso l’uso abitativo, etc.).
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