Tar 2025- L'analisi della sentenza mette in evidenza diversi elementi chiave riguardanti la concertazione sindacale nel settore della difesa e della pubblica sicurezza, nonché il rapporto tra le disposizioni legislative e i diritti sindacali sanciti dalla Carta.
1. **Effetti Diretti delle Disposizioni della Carta**: Si segnala che, sebbene le disposizioni della Carta menzionate dai ricorrenti non abbiano effetti diretti, ciò non implica che le normative esistenti non possano essere esaminate alla luce di tali disposizioni. Il Collegio ritiene che le procedure di concertazione sindacale nel settore pubblico, in particolare per la difesa e la pubblica sicurezza, non violino i parametri stabiliti dalla Carta.
2. **Differenziazione tra Settori**: Si sottolinea la legittimità della differenziazione tra i comparti della difesa e della pubblica sicurezza rispetto ad altri comparti del pubblico impiego. Questa differenziazione è considerata una conseguenza naturale della libertà negoziale delle parti sociali, che è un principio fondamentale nel contesto della contrattazione collettiva.
3. **Diritti Sindacali e Libertà di Associazione**: L'articolo 5 della Carta, che si occupa dei diritti sindacali, afferma l'importanza della libertà per i lavoratori e i datori di lavoro di formare organizzazioni per proteggere i loro interessi. È importante notare che la legislazione nazionale può determinare l'applicazione di tali garanzie ai membri delle forze di polizia e delle forze armate, conferendo una certa discrezionalità agli Stati nel bilanciare diritti sindacali e esigenze di sicurezza.
4. **Concertazione Collettiva**: Il metodo della contrattazione collettiva è fondamentale per l'istituzione e l'attuazione di sistemi di previdenza complementare. La scelta di regolare tali sistemi attraverso la concertazione è vista come un esercizio legittimo della libertà negoziale, che può comportare risultati diversi a seconda del settore.
In sintesi, il Collegio sembra sostenere che le normative vigenti relative alla concertazione sindacale nel settore della difesa e della pubblica sicurezza non violano i diritti sindacali come delineati dalla Carta, ma piuttosto riflettono una sana pratica di libertà negoziale e una necessaria differenziazione tra i vari comparti del pubblico impiego.
Pubblicato il 25/03/2025
N. 00266/2025 REG.PROV.COLL.
N. 00969/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 969 del 2021, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Egidio Lizza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa e Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, in persona dei rispettivi legale rappresentante “pro tempore”, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliataria “ex lege” in Cagliari, via Dante, 23;
in punto
domanda di risarcimento del danno derivante dalla mancata istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa e Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2025 il dott. Roberto Montixi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I ricorrenti in epigrafe espongono di essere attualmente dipendenti del Ministero della Difesa, in quanto trasferiti dal Corpo Forestale dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile, all'Arma dei Carabinieri, con assegnazione nella qualifica militare corrispondente a quella rivestita nella forza di polizia ad ordinamento civile, a decorrere dal 1° gennaio 2017.
2. Si dolgono gli esponenti del fatto che, per il personale delle Forze Armate, non siano mai state attivate le procedure per la determinazione delle forme di previdenza complementare; precisano come in capo alle amministrazioni convenute incombesse l'obbligo di assumere l'iniziativa del procedimento per la concertazione/contrattazione avente ad oggetto l’attuazione di forme di previdenza complementare, e denunciano il contegno inerte di tali enti che, in tesi, si sarebbero resi inadempienti a tali obblighi.
3. Di qui il ricorso all’esame del Collegio, per l’accertamento e la declaratoria dell’illegittimità del comportamento omissivo assunto dalle Amministrazioni resistenti in ordine alla attivazione e conclusione delle procedure per l’istituzione della previdenza complementare in loro favore, e per la conseguente condanna delle Amministrazioni medesime al risarcimento del danno stimato nella misura:
- dell’equivalente economico della quota parte delle contribuzioni al fondo di previdenza complementare che si sarebbe dovuto istituire, con oneri gravanti sull’Amministrazione;
- del risparmio in termini di tassazione IRPEF che si sarebbe avuto sulla quota parte di versamento al fondo gravante sul dipendente nei limiti di legge, e
- della rivalutazione del 2,5% annuo del trattamento di fine servizio che sarebbe stato destinato al fondo.
4. I ricorrenti, con un primo ordine di doglianze, deducono la violazione degli articoli 97 della Costituzione, dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’art. 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, dell’art. 7, comma 1, del decreto legislativo n. 195 del 1995, dell’art. 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998, dell’art. 67 del D.P.R. n. 254 del 1999, dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 252 del 2005 e dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990.
4.1. Espongono che, per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 448 del 1998 ed in particolare in conformità a quanto disposto dall’articolo 26, comma 20, in combinato disposto con l’articolo 3, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 195 del 1995, le Amministrazioni di cui i ricorrenti sono dipendenti sarebbero state tenute ad avviare le procedure di negoziazione per il personale del comparto sicurezza e difesa volte ad istituire le forme pensionistiche complementari previste dalla legge. Pertanto, a decorrere dal 1998, sulle Amministrazioni del comparto sicurezza e difesa incombeva l’obbligo di avviare le procedure di negoziazione per l’istituzione dei fondi finalizzati alla realizzazione della previdenza complementare.
4.2. In tale ambito, la parte pubblica avrebbe dovuto assumere un ruolo di promozione, istruzione e conclusione della procedura, preminente, in assenza del quale le finalità imposte dalla legge non potevano essere raggiunte.
4.3. Evidenziano gli esponenti che la protratta inazione delle Amministrazioni coinvolte si sarebbe tradotta in un contegno illegittimo e foriero di danno per gli stessi in quanto ha rappresentato il presupposto affinché rimanessero inevasi gli obblighi di legge, vanificando, del tutto, quello che era l’obiettivo della “riforma Dini”, ossia consentire la salvaguardia di adeguati livelli di copertura previdenziale per i lavoratori che per legge si sono ritrovati ad essere assoggettati al calcolo della pensione incentrato sul c.d. “sistema contributivo”, meno favorevole di quello basato sul “sistema retributivo”.
4.4. L’inerzia delle Amministrazioni, concludono sul punto gli esponenti, ha quindi fatto sì che gli stessi siano stati privati della possibilità di compensare il trattamento pensionistico mediante la previdenza complementare, in violazione di quanto disposto dal legislatore e risultando, altresì, penalizzati rispetto ai dipendenti pubblici del c.d. comparto pubblico privatizzato, per i quali, viceversa, sono stati istituiti i fondi di previdenza complementare.
5. Con un secondo ordine di argomentazioni i ricorrenti deducono il mancato rispetto dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e la violazione dell'art. 12 della Carta sociale europea letta in connessione con l'art. E della medesima Carta.
Assumono i ricorrenti che il comportamento omissivo dell’amministrazione avrebbe generato una ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici. Infatti, il personale appartenente al comparto della sicurezza e della difesa sarebbe stato ingiustificatamente discriminato rispetto a quello incardinato negli altri comparti del pubblico impiego i quali hanno invece visto riconosciuta la possibilità di aderire a forme di previdenza complementare di tipo categoriale.
6. Dalla omessa attivazione di tale istituto previdenziale deriverebbe ai ricorrenti - quali portatori di un interesse legittimo pretensivo all'istituzione, per il comparto di appartenenza, della previdenza complementare - un danno alla propria posizione pensionistica la cui stima, ritengono i ricorrenti, potrebbe essere effettuata prendendo a riferimento i rendimenti del fondo "Espero", unico fondo negoziale in essere per i dipendenti pubblici con una serie storica sufficientemente lunga.
7. Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate (Ministero della Difesa, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Presidenza del Consiglio dei Ministri), deducendo, con memoria depositata il 14 febbraio 2025, in via preliminare, l'inammissibilità del gravame per difetto di legittimazione attiva in capo ai singoli ricorrenti, sia relativamente alla costituzione di forme pensionistiche complementari, che all’attivazione e positiva conclusione delle procedure di negoziazione e concertazione, cui il legislatore ha demandato la facoltà di definire la differente disciplina del trattamento di fine rapporto e la conseguente istituzione di forme pensionistiche complementari.
Nel merito, le amministrazioni intimate hanno dedotto comunque la infondatezza del gravame.
8. Con atti depositati in data 17 giugno 2024, parte ricorrente ha dichiarato la permanenza dell’interesse ad una decisione di merito sulla vicenda.
9. Parte ricorrente, con nota depositata il 18 febbraio 2025, ha formulato istanza di rinvio sul presupposto della pendenza del reclamo presentato al Comitato Europeo per i diritti sociali.
10. All'udienza pubblica del 19 marzo 2025, previo deposito di memoria di replica dei ricorrenti, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente deve essere disattesa l'istanza di rinvio della trattazione del merito formulata dalla parte ricorrente.
Rammenta il Collegio che nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, al di fuori dei casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge.
Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell'udienza. Ciò in quanto alle parti spetta la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le parti stesse non hanno anche la disponibilità dell'organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l'esercizio del diritto di difesa di tutti coloro che si rivolgono al giudice.
In linea di principio appaiono, infatti, evidenti i riflessi negativi di un rinvio della causa sulla fluidità e speditezza della azione giurisdizionale amministrativa. In ogni caso, la decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta al giudice, e la domanda di rinvio deve fondarsi su "situazioni eccezionali" (come recita il comma 1-bis dell'art. 73 c.p.a.: "Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza (…)"). Tali situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti.
Nella specie, la motivazione indicata nella istanza di rinvio, consistente della pendenza di un contenzioso sulle medesime questioni oggetto del presente giudizio dinanzi al Comitato europeo per i diritti sociali, introdotto con reclamo n. 213/2022, non rientra tra quelle che potrebbero giustificare un eventuale differimento, non sussistendo una ragione di pregiudizialità e presentandosi la causa matura per la decisione.
Nel caso in esame non si ravvisano dunque le ipotesi eccezionali che, ai sensi dell'art. 73, comma 1-bis, del c.p.a., consentono di disporre il rinvio della trattazione della causa (sul carattere eccezionale delle ragioni che consentono di disporre il rinvio della udienza si rimanda, comunque, alle recenti sentenze di questo TAR nn. 323 e 82 del 2024 e 394 del 2023).
2. Sempre in via preliminare, osserva il Collegio come la controversia in esame sia stata incardinata dal personale militare, attualmente in servizio, transitato dal Corpo Forestale dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile, all'Arma dei Carabinieri, e riguardi la mancata attivazione, da parte delle amministrazioni pubbliche evocate in giudizio, di forme di previdenza complementare per la categoria di lavoratori dell'Arma dei Carabinieri.
Più in particolare, il presupposto da cui muove l'impianto argomentativo costruito dai ricorrenti discende dal fatto che le amministrazioni pubbliche da cui essi dipendono avrebbero l'obbligo giuridico di avviare le procedure di creazione di forme previdenziali complementari, e - non avendo adempiuto a tale obbligo - le stesse sarebbero responsabili del danno patrimoniale causato ai lavoratori.
L'azione promossa col ricorso in esame tende quindi, in prima battuta, ad accertare, seppure incidentalmente (non essendo stato contestualmente proposto dai ricorrenti ricorso ai sensi degli artt. 31 e 117, c.p.a.), l'inadempimento da parte delle PP.AA. in rapporto all'obbligo di avviare e portare a compimento le citate procedure istitutive della previdenza complementare e, in seconda battuta, ad ottenere la condanna delle stesse amministrazioni a risarcire i danni asseritamente arrecati ai lavoratori in conseguenza del denunciato omesso avvio delle procedure.
3. Il ricorso si palesa inammissibile, non sussistendo in capo ai ricorrenti la legittimazione a proporre l’azione risarcitoria posta all’attenzione del Collegio; e ciò in disparte la infondatezza del ricorso nel merito per le ragioni che verranno comunque esplicitate.
3.1. Il Consiglio di Stato ha più volte evidenziato, con riguardo al richiamato profilo in rito, che "non vi è ragione di discostarsi dall'orientamento giurisprudenziale consolidato che ha escluso la legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l'accertamento dell'obbligo di provvedere all'attuazione della previdenza complementare, orientamento recentemente riaffermato con la decisione di questa Sezione n. 8440/2021 del 20.12.2021 con la quale si è ribadito che la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell'interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo", mentre i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione; ciò in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego; ma non sono legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti” (Cons. Stato Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 502; n. 503, n. 504; 24 ottobre 2011, n. 5697; n. 5698; Cons. Stato, Sez. II, Sent., 09/12/2022, n. 10803 Cons. Stato, II, 2593/2022; nello stesso senso anche Cons. Stato, II, 8440/2021).
3.2. Nel caso di specie non assume, peraltro, rilevanza il fatto -evidenziato in memoria dalla difesa dei ricorrenti- per cui le pronunce emesse dal Consiglio di Stato in analoghe vicende siano state rese in giudizi avviati ex art. 117 c.p.a. per contestare il silenzio/inadempimento dell'amministrazione. Invero, da una parte, va detto che in quei giudizi i dipendenti avevano articolato anche domanda di risarcimento danni; d'altra parte, e soprattutto, non è secondario il rilievo che accertare la violazione di un obbligo di provvedere gravante sulla PA è anche l'oggetto del presente giudizio, nel quale -come già detto- i ricorrenti chiedono il risarcimento del danno subìto, sul presupposto che l'amministrazione/datore di lavoro abbia disatteso un asserito preciso obbligo di legge. Che poi quell'accertamento sia finalizzato ad ottenere una condanna dell'amministrazione a "provvedere" (come nel rito del "silenzio"), o sia funzionale ad una condanna al risarcimento dei danni patrimoniali (come nel caso di specie), non assume particolare rilievo (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I bis, Sent., 19/02/2025, n. 3692 e, ivi, altri riferimenti a precedenti giurisprudenziali ulteriori).
3.3. Ciò che assume rilevanza è, pertanto, il fatto che l'art. 26, co. 20, L. n. 448 del 1998 abbia riservato espressamente alle procedure di negoziazione e di concertazione previste dal D.Lgs. n. 195 del 1995 sia la disciplina del trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2, co. 5-8, L. n. 335 del 1995 sia l'istituzione delle forme pensionistiche complementari ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. n. 124 del 1993.
3.3.1. Gli artt. 40 e 67 del D.P.R. n. 254 del 1999 (recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare) e l'art. 24 del D.P.R. n. 255 del 1999, con riferimento al personale delle Forze Armate, hanno precisato che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate ai sensi del citato art. 26, co. 20, L. n. 448 del 1998 sono abilitate a definire la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare; la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare. Prevedono una concertazione tra varie amministrazioni, i rappresentanti delle OO.SS. legittimate a parteciparvi e i rappresentanti del Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), mentre l'iniziativa del procedimento per la concertazione spetta al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Dette procedure si concludono con l'emanazione di appositi decreti del Presidente della Repubblica.
3.3.2. Nel suddetto contesto normativo i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d'interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali (v. Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440, le cui conclusioni sono state da ultimo ribadite da Cons. Stato, Sez. II, 08.04.2022 n. 2593).
3.3.3. In definitiva, "è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali pacificamente, anche nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva, ad esempio per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell'orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione" (cfr., ancora, Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440).
3.4. In ragione di quanto sopra, deve affermarsi carente la legittimazione di parte ricorrente alla proposizione del gravame all’esame del Collegio.
4. Ad ogni modo, anche prescindendo da tale dirimente profilo in rito, il ricorso si rivela infondato anche nel merito in quanto, come già evidenziato in più occasioni dalla giurisprudenza (cfr., tra le tante, TAR Lazio Sez. I bis, Sent., 19/02/2025, n. 3692; Tar Catania 1470/2023; TAR Umbria Perugia, Sez. I 13.2.2025, n° 116; T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. III, Sent., 19/12/2023, n. 3792),
il sistema della previdenza complementare è stato dal Legislatore integralmente devoluto alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni intimate non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia, né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare. Difetta, pertanto, in fattispecie come quella in esame, il presupposto per poter predicare una responsabilità dell'Amministrazione per i danni patrimoniali subiti dai dipendenti a seguito della mancata istituzione della previdenza complementare, essendo smentita l'antigiuridicità della condotta (cfr. T.A.R. Umbria, Sent., 13/02/2025, n. 116).
4.1. Dalla disciplina normativa nazionale prima richiamata risulta altresì evidente, come chiarito in giurisprudenza (v. Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440 e Sez. II, 08.04.2022 n. 2593), che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del D.Lgs. n. 195 del 1995, non potendo esse unilateralmente disciplinare la materia. Né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare.
Nessun potere in ordine all'avvio e alla conduzione delle procedure di negoziazione per il personale del comparto sicurezza e difesa volte ad istituire le forme pensionistiche complementari previste dalla legge può essere infine ravvisato in capo alle Amministrazioni resistenti. Invero, l'obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs. n. 195 del 1995, è rimesso al Ministro per la Pubblica Amministrazione (il quale non è stato neppure chiamato in giudizio), non già ai singoli Ministeri datori di lavoro e neppure alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In ogni caso, come condivisibilmente rilevato dal Consiglio di Stato nella fondamentale decisione n. 8440/21, "si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio né una responsabilità, ai sensi dell'art. 2 bis della L. n. 241 del 1990".
L'assenza, nella materia “de qua”, di un obbligo di provvedere da parte delle Amministrazioni resistenti, e di termini tassativi per la definizione della propedeutica e imprescindibile procedura di concertazione sindacale impediscono, pertanto, di riconoscere un ritardo imputabile, foriero di responsabilità risarcitoria, in capo alle predette Amministrazioni.
4.2. D’altronde, l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).
4.2.1. Le superiori considerazioni evidenziano dunque come gli esponenti non possano rivendicare un diritto al risarcimento del danno connesso all'inerzia o al ritardo asseritamente imputabile alle Amministrazioni convenute nella conduzione e definizione del procedimento “de quo”, in considerazione della mancanza di "ingiustizia" del danno stesso, non rinvenendosi in capo ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 2 bis della L. n. 241 del 1990, situazioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo, essendo per converso rinvenibile solo un interesse indiretto e di mero fatto la cui lesione non integra il presupposto della tutela risarcitoria.
4.3. Una diversa considerazione della posizione legittimante degli istanti non può, d'altro canto, essere desunta dalle norme sovranazionali indicate in ricorso.
4.3.1. In primo luogo, l'aspettativa, ancorché fondata sulla legge, all'introduzione della previdenza complementare di categoria non costituisce un "bene" ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, neanche nella sua più ampia accezione accolta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nei cui confronti l'inerzia datoriale della p.a. possa quindi configurare una indebita ingerenza.
La Corte EDU, nella sentenza emessa sul ricorso Agrati e altri c. Italia, 7.6.2011 (73), rammenta che "secondo la sua giurisprudenza, un ricorrente può addurre una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. (...) solo se le decisioni da lui contestate si riferiscono ai suoi "beni" ai sensi di tale disposizione. Il concetto di "beni" può coprire tanto i "beni attuali" quanto i valori patrimoniali, compresi, in alcune situazioni ben definite, i crediti. Perché un credito possa essere considerato un "valore patrimoniale" rientrante nel campo di applicazione dell'articolo 1 del Protocollo n. (...), il titolare del credito deve dimostrare che esso ha una base sufficiente nel diritto interno, ad esempio che è confermato da una giurisprudenza ben consolidata degli organi giudicanti. Una volta acquisito ciò, può entrare in gioco il concetto di "legittima aspettativa" (Maurice c. Francia GC, n. 11810/03, 63, CEDU 2005 IX)".
Oggetto di tutela, da parte della previsione convenzionale è, in altri termini, qualsiasi elemento del patrimonio dell'individuo, costituito, oltre che da beni corporali (mobili e immobili), anche da diritti di credito. Viceversa, la mera aspettativa all'introduzione di sistemi di previdenza complementare non può assimilarsi a un diritto di credito, quale posta attiva "attuale" del patrimonio del lavoratore ai sensi dell'art. 2740 c.c. Ed invero, diritti di credito del lavoratore rispetto a prestazioni di previdenza complementare a carico dei fondi di previdenza collettiva potranno sorgere eventualmente dopo, in seguito alla costituzione dei fondi e al concreto versamento di una quota della retribuzione o del TFR del lavoratore a uno specifico fondo pensione.
4.2.2. In secondo luogo, non trovano applicazione immediata nella presente vicenda le norme della Carta sociale europea, in particolare l'art. 12 ("Diritto alla sicurezza sociale") in connessione con il suo articolo E ("Non discriminazione" nel godimento dei diritti riconosciuti dalla medesima Carta), di cui i ricorrenti assumono la violazione.
Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, "la Carta (…) deve qualificarsi fonte internazionale, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost. Essa è priva di effetto diretto e la sua applicazione non può avvenire immediatamente ad opera del giudice comune ma richiede l'intervento di questa Corte, cui va prospettata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del citato primo comma dell'art. 117 Cost., della norma nazionale ritenuta in contrasto con la Carta. Ciò tanto più in considerazione del fatto che la sua struttura si caratterizza prevalentemente come affermazione di princìpi ad attuazione progressiva, imponendo in tal modo una particolare attenzione nella verifica dei tempi e dei modi della loro attuazione" (Corte cost. n. 120/2018, 10.1).
Nel caso di specie, non vengono prospettati dalla parte ricorrente dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina primaria relativa alla previdenza complementare alla stregua delle disposizioni della Carta quali parametri interposti per giudicare della legittimità costituzionale della legge ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost.; al contrario, l'art. 12 della Carta in connessione col suo articolo E viene richiamato al fine di stigmatizzare un asserito ritardo amministrativo nell'attuazione della disciplina legislativa e sulla base di un presunto effetto diretto che le norme della Carta sociale europea in realtà non possiedono.
4.2.3. A ogni modo, ancorché le disposizioni della Carta invocate dai ricorrenti siano prive di effetti diretti, il Collegio ritiene che comunque sia da escludere che il complesso delle disposizioni legislative regolanti lo svolgimento delle procedure di concertazione sindacale nel settore considerato integri una possibile violazione dei menzionati parametri, in quanto la possibilità di situazioni differenziate tra i comparti della difesa e pubblica sicurezza e gli altri comparti del pubblico impiego quanto ai sistemi di previdenza complementare, una volta devoluta l'istituzione e attuazione di tali sistemi al metodo della contrattazione/concertazione collettiva, è una evenienza del tutto fisiologica e normale della libertà negoziale delle parti sociali e dei diritti sindacali riconosciuti dalla legge e tutelati dall'art. 5 della Carta, la cui rubrica reca "Diritti sindacali", e prevede che: "Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s'impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il principio dell'applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e la misura in cui sarebbero applicate a questa categoria di persone è parimenti determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale".
4.3. Infine, nel caso di specie, non vi è prova di un danno effettivo alla posizione pensionistica degli odierni istanti, concretamente apprezzabile in termini di attualità e di concretezza, visto che, come è noto, in base al D.Lgs. n. 252 del 2005, i trattamenti pensionistici complementari maturano in parallelo al diritto alla pensione e i ricorrenti, al contrario, sono tutti dipendenti in servizio. Il danno è altresì generico, indeterminato e congetturale, perché non si può stabilire allo stato quali forme di previdenza complementare saranno concretamente istituite all'esito della procedura di concertazione prevista dalla legge né si possono fare previsioni fondate sull'adesione o meno, e a quali condizioni, dei ricorrenti a forme di previdenza attualmente inesistenti.
4.4. Vi è da considerare, inoltre, l'intrinseca incertezza e aleatorietà legata ai costi e ai rendimenti dei fondi pensione che potrebbero essere introdotti nello specifico comparto e che rendono vieppiù ardua la possibilità di determinare attualmente il danno, distinguendosi in proposito i fondi a prestazione definita (i quali garantiscono un risultato predeterminato, ma esigono il versamento di contributi in misura variabile secondo l'andamento della gestione) dai fondi a contribuzione definita, i quali richiedono dall'assicurato dazioni in misura fissa, ma pagano prestazioni parametrate al risultato finanziario (che in ipotesi potrebbe anche essere negativo) conseguito da chi li amministra.
4.5. A ogni modo, anche a voler assumere quale riferimento le prestazioni attualmente garantite dal fondo di previdenza complementare "ESPERO" (non potendosi certo prevedere il livello di rendimento del fondo per il futuro fino al tempo in cui i ricorrenti andranno in pensione), il Collegio deve prendere atto che i ricorrenti non hanno fornito - come era loro onere - alcun dato retributivo e contabile da cui potere desumere e calcolare, del caso tramite CTU, il danno secondo i criteri prospettati.
4.6. Infine, in un'ottica di contenimento del danno "futuro" astrattamente allegato, resta, comunque, ferma la possibilità di sottoscrivere forme di previdenza complementare su base volontaria, usufruendo dei benefici anche di carattere fiscale previsti dalla legge, potendo in tal modo i ricorrenti premunirsi contro il danno temuto per la propria posizione pensionistica.
5. Conclusivamente, e per le suesposte considerazioni, il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti alla proposizione del gravame e comunque infondato nel merito non essendovi prova né dell'an né del quantum del pregiudizio lamentato e constando l'insussistenza del nesso di causalità con la condotta omissiva asseritamente imputabile alle Amministrazioni resistenti, oltre alla mancanza dei requisiti dell'antigiuridicità della condotta produttiva di danno e dell'ingiustizia di quest'ultimo.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura quantificata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore delle Amministrazioni resistenti, che liquida in € 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre agli accessori di legge, ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2025 con l'intervento dei magistrati:
Marco Buricelli, Presidente
Oscar Marongiu, Consigliere
Roberto Montixi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Montixi Marco Buricelli
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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