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14 aprile 2025

Tar 2025- Il ricorso presentato e alle pronunce giurisprudenziali rilevanti del T.A.R. del Lazio e del Consiglio di Stato può essere strutturato come segue: ### Analisi del Contesto Giuridico 1. **Fondamento del Ricorso**: - Il ricorso esaminato è stato dichiarato privo di fondamento, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale che si è consolidato in situazioni analoghe. Questo implica che le istanze del ricorrente non soddisfano i requisiti di legittimazione necessari per contestare l'operato della pubblica amministrazione in materia di contrattazione collettiva.

 

Tar 2025- Il ricorso presentato e alle pronunce giurisprudenziali rilevanti del T.A.R. del Lazio e del Consiglio di Stato può essere strutturato come segue:

### Analisi del Contesto Giuridico

1. **Fondamento del Ricorso**:
   - Il ricorso esaminato è stato dichiarato privo di fondamento, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale che si è consolidato in situazioni analoghe. Questo implica che le istanze del ricorrente non soddisfano i requisiti di legittimazione necessari per contestare l'operato della pubblica amministrazione in materia di contrattazione collettiva.

2. **Ruolo delle Organizzazioni Sindacali**:
   - Le organizzazioni sindacali rappresentano gli interessi collettivi dei dipendenti pubblici e sono considerate i soggetti legittimati a partecipare ai procedimenti negoziali. Le sentenze citate (T.A.R. Lazio, n. 6488/2022 e n. 3422/2024; Consiglio di Stato, n. 147/2024) chiariscono che i dipendenti pubblici, pur essendo potenziali destinatari dei provvedimenti, non hanno un interesse diretto e immediato rispetto alla loro attuazione.

### Orientamento Giurisprudenziale

3. **Interessi Indiretti e Riflessi**:
   - Secondo il T.A.R. del Lazio, i dipendenti pubblici possiedono un interesse indiretto e riflesso nei procedimenti di contrattazione collettiva. Questo significa che non possono rivendicare diritti in prima persona riguardo ai risultati di tali negoziazioni, ma possono solo beneficiare degli esiti senza avere una legittimazione diretta nel processo.

4. **Legittimazione Attiva**:
   - È stato ribadito che la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti spetta solo ai soggetti che hanno un interesse “concreto ed attuale”. I dipendenti, in questo caso, non possono considerarsi nella posizione di far valere tali inadempimenti, poiché il loro interesse è mediato attraverso le organizzazioni sindacali.

### Conclusione e Applicazione al Caso Specifico

5. **Esito del Giudizio**:
   - La sentenza n. 3422/2024 ha confermato che l’assenza di una posizione differenziata e qualificata da parte dei ricorrenti porta al rigetto delle loro domande. Questo principio è applicabile anche al caso in analisi, dove i ricorrenti non hanno dimostrato di possedere un interesse diretto che giustifichi la loro partecipazione al procedimento.

6. **Implicazioni Pratiche**:
   - La decisione sottolinea l’importanza del ruolo delle organizzazioni sindacali nel tutelare gli interessi dei lavoratori nel contesto della contrattazione collettiva. I dipendenti pubblici devono rivolgersi a queste entità per far valere i loro diritti e interessi, piuttosto che intraprendere azioni legali individuali, che possono risultare infondate.

### Considerazioni Finali

Il caso in esame evidenzia una chiara distinzione tra interessi individuali e collettivi, affermando che la legittimazione a partecipare ai processi decisionali e contrattuali spetta unicamente a chi rappresenta una collettività di interessi. Le sentenze analizzate offrono un’importante giurisprudenza che delimita il confine dell'azione legale dei dipendenti pubblici, stabilendo che per ottenere risultati concreti è necessaria un’azione collettiva attraverso le organizzazioni sindacali.



Pubblicato il 18/03/2025
N. 00085/2025 REG.PROV.COLL.
N. 00348/2021 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 348 del 2021, proposto dai sig.ri …
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Difesa, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il Comando Generale Arma dei Carabinieri, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via Insorti D'Ungheria, n.74;
per il risarcimento del danno per la mancata istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all''articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 marzo 2025 il dott. Sergio Occhionero e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti, tutti dipendenti del Ministero della Difesa, in quanto in servizio a decorrere dal 1° gennaio 2017 nell’Arma dei Carabinieri - ruolo forestale (cui sono stati trasferiti dal Corpo forestale dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile), hanno convenuto in giudizio le Amministrazioni in epigrafe per ottenere la condanna al risarcimento del danno conseguente alla mancata attivazione delle forme di previdenza complementare previste dalla disciplina di settore, e segnatamente dal d.lgs. n. 195/1995 e dall’art. 26 comma 20 della l. n. 448/1998.
2. I predetti hanno in primis sottolineato che “la previdenza complementare vede quali destinatari i dipendenti pubblici per i quali è stata portata a termine la riforma mediante l’istituzione dei fondi pensione, oltre che i lavoratori privati, i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i soci di cooperative, i cittadini titolari di redditi diversi da quelli da lavoro e i familiari a carico dei lavoratori” (cfr. ricorso introduttivo, pag. 8).
Con particolare riguardo al personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, i ricorrenti hanno altresì rappresentato che, “in base al d.lgs. n. 195 del 1995, le forme pensionistiche complementari era disposto fossero oggetto, rispettivamente, della contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: v. art. 3) e delle procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: v. art. 4 e per le forze armate: v. art. 5)”, e hanno aggiunto che “l’articolo 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998 aveva poi previsto che: “Ai fini dell'armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell'istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995” ( cfr. ricorso introduttivo, pagg. 6-7).
Tanto premesso, i ricorrenti hanno dedotto che “resta tuttavia, ingiustificabilmente escluso dall’esercizio di tale diritto il personale dipendente del Comparto Sicurezza e Difesa per il quale, nonostante la previsione normativa prevedesse l’istituzione della previdenza complementare analogamente a tutti gli altri dipendenti pubblici, ad oggi, alcuna forma di previdenza complementare è stata realizzata. I ricorrenti, pertanto, ad oggi non possono usufruire di una previdenza complementare ed in particolare non hanno goduto dei versamenti periodici tesi ad alimentarla a carico dell’Amministrazione datrice di lavoro”.
Da qui l’asserito comportamento contra legem posto in essere dalle Amministrazioni intimate, ancorato, secondo la prospettazione ricorsuale, al mero dato oggettivo storico-fattuale consistito nella mancata istituzione della previdenza complementare.
E il detto comportamento avrebbe cagionato ai ricorrenti un danno ingiusto costituito: a) “dalla mancata alimentazione del fondo per la quota parte gravante sull’Amministrazione sin dal momento in cui i fondi avrebbero dovuto essere istituiti”; b) “dall’impossibilità di avere un risparmio in termini di tassazione IRPEF sulla quota parte di versamento al fondo gravante sul dipendente”; c) “dal pregiudizio economico conseguente alla mancata possibilità di destinare al fondo l’integralità o quota parte del trattamento di fine rapporto o del trattamento di fine servizio, conseguendone un rendimento” (cfr. ricorso introduttivo, pag. 9).
I ricorrenti sottolineano, infine, che “il comportamento delle Amministrazione resistenti è del pari cagione di una tanto evidente, quanto ingiustificabile disparità di trattamento fra i due comparti lavorativi, quello cd. “contrattualizzato” ed il comparto sicurezza e difesa, disparità che si è perpetuata nel tempo, pregiudicando sia la salvaguardia delle aspettative pensionistiche del lavoratore pubblico che la misura del trattamento pensionistico stesso”.
3. Da qui allora la domanda risarcitoria introdotta con l’odierno ricorso, affidata ai motivi così rubricati:
I. Violazione degli articoli 97 della Costituzione, 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, 7, comma 1, del decreto legislativo n. 195 del 1995, 26, comma 20, della legge n. 448 del 1998, 67 del D.P.R. n. 254 del 1999, 3, comma 2, del d.lgs. 252 del 2005 e 2 della legge n. 241 del 1990;
II. Violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU. Violazione dell’art. 12 della Carta sociale europea riveduta letto in connessione con l’art. E della medesima Carta;
III. Sul danno.
4. In resistenza all’impugnativa si è costituta in giudizio, nell’interesse delle Amministrazioni intimate, l’Avvocatura distrettuale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito: 1) l’incompetenza territoriale di questo Tribunale, ritenendo territorialmente competente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 cod. proc. amm., il TAR Lazio; 2) la carenza di interesse ad agire in capo ai ricorrenti, i quali sarebbero privi di un interesse diretto, personale e qualificato avente ad oggetto l’avvio e la successiva conclusione del procedimento amministrativo relativo alla costituzione di forme pensionistiche complementari; 3) il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, “cui non risultano in ogni caso imputabili le omissioni contestate”, chiedendo, pertanto, la loro estromissione dal giudizio.
Infine, nel merito, la difesa pubblica ha concluso per il rigetto dell’impugnativa in quanto infondata.
5. In vista dell’udienza pubblica del 5.3.2025 i ricorrenti hanno depositato una memoria insistendo sulle proprie tesi, e altresì un’istanza di rinvio dell’udienza, atteso che “le questioni oggetto del presente contenzioso sono state portate all’attenzione del Comitato europeo per i diritti sociali con il reclamo n. 213/2022”, da cui la richiesta “di rinviare l’udienza fissata al 05.03.2025 ad una data successiva, utile a conoscere la decisione del Comitato europeo per i diritti sociali sul reclamo n. 213/2022”.
6. All’udienza pubblica, il Tribunale ha, innanzitutto, respinto la richiesta di rinvio avanzata dai ricorrenti, appalesandosi la domanda azionata nel presente giudizio autonoma rispetto a quella oggetto della controversia che risulta esser stata instaurata presso il “Comitato europeo per i diritti sociali”, e difettando elementi utili a giustificare il differimento della trattazione della presente (e risalente) controversia all’esito di quella del detto Comitato.
Sentiti i difensori come da verbale in atti, la causa è stata infine trattenuta per la decisione.
7. Il ricorso è infondato.
8. Preliminarmente, il Tribunale deve disattendere l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa erariale.
Il Collegio ritiene infatti che nel caso di specie debba trovare applicazione il criterio di competenza territoriale della sede di servizio stabilito dall’art. 13, comma 2, cod. proc. amm. per le cause in materia di pubblico impiego: i ricorrenti hanno rappresentato, invero, di prestare servizio presso sedi ubicate nel territorio di competenza di questo T.A.R., e tale circostanza non è stata oggetto di contestazione da parte della difesa pubblica.
Giova ricordare, inoltre, che nella giurisprudenza amministrativa si è affermato il principio per il quale, “nel caso di controversie riguardanti pubblici dipendenti, la competenza territoriale si determina ex art. 13 comma 2, c.p.a. in relazione alla sede di servizio; peraltro, nel caso in cui siano impugnati anche atti aventi efficacia generale prevale il criterio che individua la competenza del Tar Lazio per gli atti ad efficacia generale atteso che, nel caso in cui siano contestualmente impugnati l'atto applicativo e i presupposti atti a valenza generale, esiste una relazione che può definirsi di presupposizione (ossia di condizionamento genetico, sia pur unilaterale), la quale logicamente impone una trattazione congiunta” (cfr. Cons. Stato, Sez. n. 3166 del 2015): nel caso di specie, tuttavia, non ricorre la detta eccezione all’applicabilità del criterio di cui all’art. 13 comma 2 cod. proc. amm., atteso che la presente controversia non investe la contestazione di un atto a contenuto generale, bensì concerne la pretesa risarcitoria dedotta sul rilievo della mancata attivazione delle forme di previdenza complementare previste con riferimento al comparto di appartenenza degli odierni ricorrenti.
L’eccezione in disamina deve, pertanto, essere respinta.
9. Il Tribunale ritiene poi di poter soprassedere alla disamina delle altre eccezioni in rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, in ragione dell’infondatezza nel merito del presente gravame.
10. Questo facendo però salva l’estromissione dal presente giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, giacché, come si evince dagli atti di causa, il ricorso, conformemente a quanto eccepito, non reca alcuna particolare censura avverso comportamenti a questi ultimi ascrivibili. Sicché i medesimi risultano carenti di legittimazione passiva rispetto al processo.
11. Tutto ciò premesso, oggetto della presente controversia è la domanda di risarcimento del danno ingiusto lamentato dai ricorrenti in conseguenza della mancata attivazione, nell’ambito del comparto di loro appartenenza, delle forme di previdenza complementare pur previste dalla legge: sicché, ai fini di causa, è necessario verificare se nella vicenda ricorrano gli elementi costitutivi della responsabilità dell’Amministrazione ex art. 2043 cod. civ..
Al riguardo il Collegio evidenzia, in primis, che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa “la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano; di conseguenza, costituiscono elementi costitutivi di questa fattispecie sia i presupposti di carattere oggettivo, prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale, sia quelli di carattere soggettivo, vale a dire dolo o colpa del danneggiante” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 219/2024, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 6958/2023; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 7/2021).
Quanto agli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, giova altresì ricordare che “in tema di responsabilità civile della P.A., l'ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa, quale conseguenza dell'illegittimo esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo il giudice procedere, in ordine successivo, anche ad accertare se: a) sussista un evento dannoso; b) il danno accertato sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l'ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) l'evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, ad una condotta della P.A.; d) l'evento dannoso sia imputabile alla responsabilità della P.A., sulla base non solo del dato obiettivo dell'illegittimità del provvedimento, ma anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa” (Cass., 12/02/2021, n. 3630; Cass., n. 16196 del 20/06/2018; Cass., 25508/2011; Cass. n. 29335/2017). (Cass. civ. III, 26 settembre 2024, n. 25755).
Quanto al regime dell’onere della prova, la giurisprudenza ha inoltre da tempo chiarito che “nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo dell'art. 2697, comma 1, c.c., opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell'azione giurisdizionale di annullamento; spetta quindi al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi quella della presenza di un nesso causale, che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all'evento dannoso, nonché quella dell'effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove la domanda di risarcimento manchi di tale necessaria prova, essa va respinta” ( cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 8259/2023).
12. Poste tali coordinate ermeneutiche, il Collegio deve subito rilevare che nel caso di specie è mancata da parte dei ricorrenti, che pure vi erano onerati, la identificazione della condotta, ascritta alle Amministrazioni resistenti, che avrebbe in tesi integrato gli estremi del fatto illecito produttivo del danno ingiusto di cui si pretende il risarcimento, secondo il paradigma dell’art. 2043 cod. civ..
In altri termini, i ricorrenti si sono limitati ad allegare il mero fatto oggettivo della mancata attivazione della previdenza complementare, e ad ascriverne per ciò stesso e automaticamente, e per giunta in via esclusiva, la relativa responsabilità alle Amministrazioni coinvolte, senza indicare in alcun modo nemmeno la tipologia di condotta “contra ius” la cui assunzione avrebbe cagionato il danno ingiusto.
La prospettazione ricorsuale appare perciò priva di pregio innanzitutto perché si pone in aperto contrasto con i principi in tema di onere della prova degli elementi costitutivi della responsabilità per danni della pubblica amministrazione.
L’omissione appena riscontrata è poi vieppiù grave per la ragione che la previdenza complementare, ai sensi degli art. 1, 2 e 7 d.lgs. n. 195/1995 e dell’art. 26 comma 20 l. n. 488/1988, lungi dal costituire materia di un obbligo gravante in via esclusiva sulle Amministrazioni convenute, avrebbe dovuto essere istituita a valle di “procedure di negoziazione e di concertazione” tra la parte pubblica (le Amministrazioni intimata) e la parte privata, ossia le organizzazioni rappresentative dei dipendenti (i cd. COCER). Ebbene, il Collegio rileva, sul punto, che i ricorrenti non hanno fornito alcun elemento di allegazione e prova (e neppure un principio di prova) teso a dimostrare che le suddette procedure di negoziazione e concertazione, ad esempio, sul tema in discorso non fossero mai state avviate (sì da far questione di una violazione di obblighi di iniziativa), oppure comunque non si fossero concluse col risultato dell’attivazione della previdenza complementare (magari per ipotetiche resistenze ingiustificate dell’Amministrazione), sì da individuare delle specifiche ragioni causali ascrivibili proprio alla parte pubblica, e ad essa imputabili quale condotta ingiustificata e quindi colpevole.
Tale rilievo appare vieppiù significativo sol che si consideri che la difesa erariale (cfr. memoria depositata in data 31.1.2025, pagg. 11-12) ha invece rappresentato che il Dipartimento per la Funzione Pubblica, in un ampio arco temporale compreso tra il 1999 e il 2018, avrebbe assunto una pluralità di iniziative per dare impulso alla contrattazione di cui si discorre.
Sul punto, alcuna controdeduzione risulta invece avanzata dai ricorrenti; né questi ultimi, come già detto, hanno dedotto che il mancato perfezionamento della previdenza complementare sia dipeso da un deficit di iniziativa o da altri precisi comportamenti delle Amministrazioni intimate, che possano avere in qualche modo arbitrariamente impedito l’avvio o, comunque, il buon esito delle procedure di negoziazione e concertazione.
Anche sotto tale profilo non risulta, pertanto, in alcun modo indicata, ancor prima che dimostrata, la commissione, da parte dell’Amministrazione, della condotta fonte del danno ingiusto lamentato. E il Tribunale non è pertanto messo nemmeno in condizione di accertarne l’efficienza causale e il carattere colpevole.
13. Né vale a giustificare la lacunosa prospettazione ricorsuale l’assunto secondo il quale spetterebbe all’Amministrazione provare, onde andare esente dalla responsabilità risarcitoria, un “inadempimento imputabile alle strutture sindacali ed alle rappresentanze sindacali, ostativo alla realizzazione dei fondi pensione complementari” (cfr. ricorso introduttivo, pag. 20).
Il Collegio deve infatti osservare che l’onere di fornire tale “prova liberatoria” si addice alle ipotesi nelle quali debba valutarsi l’adempimento di un’obbligazione individuale gravante su una specifica parte debitrice nell’ambito di un rapporto obbligatorio. Tale onere non sembra invece attagliarsi a vicende, come quella di cui alla presente controversia, nelle quali un determinato risultato - nella specie, l’attivazione della previdenza complementare – doveva essere frutto di articolate procedure di negoziazione e concertazione tra parti distinte, e portatrici di interessi diversi, chiamate dalla legge, con la loro concertazione, a dar vita al risultato in questione.
In un contesto come quest’ultimo, il Tribunale ritiene, dunque, che non vi sia spazio per alcuna presunzione di responsabilità.
14. Il ricorso si conferma infine destituito di fondamento anche alla luce del condivisibile orientamento giurisprudenziale, formatosi in relazione a controversie simili alla presente, espresso, in particolare, dal T.A.R. del Lazio (ex multis, sez. IV, sentenza n. 6488/2022; sez. IV ter, sentenza n. 3422/2024), e di recente confermato dal Consiglio di Stato (sez. II, 4 gennaio 2024, n. 147), in forza del quale “i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva, o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione, sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali”.
Secondo tale orientamento, invero, “la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi (…) appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell'interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo; pertanto, “i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto, in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi anche all’esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione, in ragione della natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego” ( cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV ter, sentenza n. 3422/2024).
Premesse, queste, sulle quali la stessa sentenza da ultimo citata ha concluso che “dall’assenza di una posizione differenziata e qualificata in capo ai ricorrenti, in relazione alla vicenda in discorso, discende il rigetto delle domande proposte in questo giudizio”.
Conclusione la quale risulta senza dubbio applicabile anche ai fatti per cui è causa.
15. Il ricorso, in definitiva, risultando infondato per le plurime ragioni sopra illustrate, deve pertanto essere respinto.
16. La natura della vicenda contenziosa e le sue peculiarità fattuali giustificano, infine, la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), previa estromissione dal giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2025 con l'intervento dei magistrati:
Nicola Gaviano, Presidente
Luigi Lalla, Referendario
Sergio Occhionero, Referendario, Estensore
         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Sergio Occhionero        Nicola Gaviano
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO

 

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