Licenziamento Disciplinare e Pendenza di un Procedimento Penale
Il rapporto tra procedimento penale e sanzione disciplinare nel contesto lavorativo rappresenta un tema di grande rilevanza giuridica, soprattutto alla luce delle recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali.
**1. Il quadro normativo di riferimento**
L’articolo 2119 del Codice Civile stabilisce che il datore di lavoro può procedere al licenziamento disciplinare in presenza di un comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione degli obblighi contrattuali o regolamentari. Il principio generale è che la sanzione disciplinare può essere adottata indipendentemente dall’esito di un procedimento penale pendente, a meno che non sussistano specifici limiti o condizioni.
L’articolo 27, comma 2, della Costituzione italiana, sancisce il principio della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, garantendo che nessuno possa essere considerato colpevole senza un giudizio irrevocabile. Tuttavia, questa tutela si riferisce alla pretesa punitiva dello Stato e non si estende automaticamente alla sfera del rapporto di lavoro.
**2. La posizione del datore di lavoro**
Il datore di lavoro ha il diritto di procedere alla contestazione disciplinare e al licenziamento anche se pende un procedimento penale, poiché il potere disciplinare deriva dalla natura contrattuale e statutaria del rapporto di lavoro, e non è soggetto alle garanzie del sistema penale.
Inoltre, la giurisprudenza consolidata afferma che il datore di lavoro può agire anche prima che il procedimento penale si concluda, in quanto la presunzione di innocenza non rappresenta un ostacolo automatico alla sanzione disciplinare. Tuttavia, occorre sempre valutare la gravità del comportamento e la proporzionalità della sanzione.
**3. La distinzione tra procedimento penale e procedimento disciplinare**
È fondamentale sottolineare che il procedimento penale e quello disciplinare sono distinti: il primo riguarda l’accertamento di un reato ai fini penali, il secondo riguarda il comportamento del lavoratore in relazione alle regole aziendali o contrattuali.
Il fatto che un lavoratore sia coinvolto in un procedimento penale non implica automaticamente la commissione di un illecito disciplinare, ma un comportamento che, anche se contestato nel procedimento penale, può costituire una violazione disciplinare.
**4. La presunzione di innocenza e il potere disciplinare**
La presunzione di innocenza, sancita dall’art. 27, comma 2, della Costituzione, tutela il lavoratore dalla presunzione di colpevolezza in ambito penale, ma non limita automaticamente il potere disciplinare del datore di lavoro.
Tuttavia, in casi di comportamenti particolarmente gravi o che evidenzino una condotta incompatibile con il rapporto di lavoro, il datore può procedere a sanzioni anche in presenza di un procedimento penale pendente, sempre tenendo conto dei principi di proporzionalità e correttezza.
**5. Casistica e orientamenti giurisprudenziali**
Le corti hanno più volte chiarito che:
- La presenza di un procedimento penale pendente non costituisce di per sé motivo di licenziamento, ma può essere considerata come elemento di valutazione, soprattutto se si tratta di reati gravi o se il comportamento del lavoratore rappresenta un rischio per l’azienda o per altri dipendenti.
- La condotta contestata deve essere valutata alla luce delle prove acquisite nel procedimento disciplinare, e non esclusivamente sulla base di quanto emerso nel procedimento penale.
- In alcune pronunce, si sottolinea che l’azienda può agire anche prima della definizione del procedimento penale, ma deve rispettare il principio di proporzionalità e garantire il diritto di difesa del lavoratore.
**6. Conclusioni pratiche**
Per il 2025, è importante che i datori di lavoro:
- Non attendano necessariamente l’esito di un procedimento penale prima di agire con un procedimento disciplinare, purché le motivazioni siano fondate e proporzionate.
- Valutino attentamente la natura del comportamento contestato, la gravità del reato, e le implicazioni per l’azienda.
- Assicurino che il procedimento disciplinare sia condotto nel rispetto delle garanzie del lavoratore, inclusa la possibilità di difesa.
- Considerino eventuali implicazioni di carattere penale, ma senza che queste siano l’unico elemento determinante per le sanzioni disciplinari.
**In conclusione**, la normativa e la giurisprudenza del 2025 confermano che il datore di lavoro può procedere con un licenziamento disciplinare anche in presenza di un procedimento penale pendente, purché siano rispettati principi di proporzionalità, correttezza e garanzia del diritto di difesa del lavoratore.
TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA 22 maggio 2025, n. 989
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in cancelleria il 22/02/2023, parte ricorrente in epigrafe indicata, agiva in questa sede, al fine di ottenere la reintegra nel proprio posto di lavoro, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla convenuta società contestando l’intempestività della contestazione disciplinare, la mancata affissione del codice disciplinare e infondatezza dei motivi posti a fondamento del licenziamento e sproporzionalità del provvedimento espulsivo. A tal fine detta parte rappresentava: a) di aver prestato servizio alle dipendenze della società resistente, dal 1° gennaio 2013 al 25 luglio 2022, inquadrato nel livello professionale “C” con ruolo di “operatore senior” del CCNL -2021; b) di aver ricevuto il 25.7.22 la contestazione di addebito del 21 luglio 2022, riscontrata il 24 agosto 2022; c) che il 29 agosto 2022, disattese le giustificazioni addotte, ritenendo che i fatti addebitati fossero di gravità tale da non consentire, neppure provvisoriamente, il prosieguo del rapporto di lavoro, la società intimava al ricorrente, a far data del 25 luglio 2022, il licenziamento senza preavviso di cui agli artt. 54, comma 6, lett. a) c) e k) e dell’art. 80, lett. e) del C.C.N.L. del 23 giugno 2021 (fasc. ric. all. 3); d) di aver contestato il suddetto licenziamento con nota del 29 settembre 2022, recapitata il successivo 5 ottobre; e) di aver tempestivamente proposto opposizione avverso il decreto penale di condanna posto a fondamento del provvedimento sanzionatorio; f) di trovarsi in stato di disoccupazione all’atto di deposito del ricorso presente.
Tutto ciò premesso concludeva chiedendo all’intestato Tribunale:
“1. Dichiarare illegittimo e, comunque, annullare il licenziamento per giusta causa comunicato da XXXX Spa al sig. XXXX con nota del 29 agosto 2022;
2. Condannare, per l’effetto, ai sensi dell’art. 18, legge n. 300/1970, XXXX S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla reintegra dell’odierno ricorrente nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifica, e alla corresponsione di tutto quanto dovutogli a titolo di retribuzioni e oneri accessori, a far data dall’intervenuto licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione nel suo posto di lavoro, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, dichiarando la non interruzione del rapporto di lavoro;
3. Condannare la società resistente, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, al pagamento di un’indennità, a titolo di risarcimento dei danni, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione nonché al versamento di tutti i contributi assistenziali e previdenziali dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione.
4. In via subordinata, in caso di applicabilità del regime della tutela obbligatoria, condannare, la società XXXX S.p.a. alla riassunzione del sig. XXXX nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifica entro il termine di tre giorni, o in alternativa al risarcimento del danno da quantificarsi nella misura tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge;
5. Con vittoria di spese competenze ed onorari di lite da distrarsi ex art. 93 c.p.c. in favore dei sottoscritti procuratori i quali dichiarano di aver anticipato le prime e non riscosso le seconde.”. Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si costituiva in giudizio XXXX S.P.A., contestando le avverse pretese e instando per la reiezione della domanda attorea. La causa, istruita con la documentazione prodotta dalle parti, è stata decisa all’odierna udienza mediante lettura della sentenza con motivazione contestuale.
Motivi della decisione
1.Il ricorso è infondato.
2. A motivo della contestazione disciplinare la società resistente ha giustificato il proprio operato, specificando nella lettera ricevuta da P.C. il 25.7.22 quanto segue: << solo di recente abbiamo acquisito gli atti del decreto penale di condanna n. 154/2022 emesso in data 21 aprile 2022, depositato il 22 aprile 2022 presso la cancelleria dell’Ufficio GIP del Tribunale di Vibo Valentia, nell’ambito del procedimento penale n. … R.G.N.R. – n. … R.G. GIP. Abbiamo così appreso che Lei: “quale impiegato delle XXXX ed Operatore di Sportello presso l’Ufficio di T…, in data 04/11/2017, con artifizi e raggiri, consistiti nel predisporre, contrariamente a quanto verbalmente richiesto dalla persona offesa, una operazione postale di prelievo dal libretto nominativo ordinario nr. … per un importo totale di euro 628,13 che in realtà rispetto alla somma dovuta per i pagamenti delle bollette Enel di euro 75,71 e Tim di euro 49,42, per un totale di euro 128,13 che in realtà solo successivamente, nel ricontrollare le operazioni effettuate sul libretto di risparmio, riscontrava un contestuale prelievo di 500,00 euro in contanti che non aveva richiesto, così procurandosi un ingiusto profitto con correlativo danno per la parte offesa ammontante ad euro 500,00”. Nella denuncia presentata presso i Carabinieri di T…, nel disconoscere l’operazione di prelevamento di € 500 del 4/11/2017, l’anziano cliente ha evidenziato: “ … quel giorno l’impiegato mi fece firmare un foglio anche se non so di cosa si trattasse, ho firmato nella convinzione che fosse un atto da me dovuto … la mia avanzata età mi porta a fare le cose con estrema fiducia nei confronti degli altri e so per certo di essere stato raggirato …” Il Tribunale di Vibo Valentia, ritenuta la fondatezza dei fatti sulla base degli atti d’indagine esperiti, l’ha condannata alla pena di €. 6.850,00 di multa applicate le attenuanti generiche e tenuto conto della diminuzione di cui all’art. 459 comma 2 c.p.p. In attesa di un accertamento definitivo sulla vicenda l’Azienda Le aveva notificato già in data 19 aprile 2018 un provvedimento ex art. 56 C.C.N.L. di assegnazione provvisoria ad altro incarico facendo espressa riserva di eventuali azioni a tutela degli interessi per tutte le evidenze riferibili a Sue eventuali responsabilità. Ciò posto, la condotta da Lei tenuta e sopra rappresentata, oltre ad avere rilevanza penale, costituisce per effetto del rapporto di lavoro intercorrente con questa Società gravissima violazione dei doveri e degli obblighi su di Lei gravanti ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2104 e 2105 del codice civile, come espressamente richiamati dall’art. 52 del C.C.N.L. del 23/06/2021 e risulta altresì in contrasto con i principi ispiratori del Codice Etico in vigore in Azienda che impone a ciascun dipendente di improntare il proprio comportamento ai principi di onestà, correttezza e trasparenza. Tale condotta, strettamente connessa all’attività da Lei espletata per XXXX, costituisce grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro che dovrebbero caratterizzare l’esecuzione della prestazione lavorativa e riveste particolare gravità in considerazione della Sua funzione in Azienda e della connessa spiccata importanza che l’elemento fiduciario assume riverberando, inoltre, effetti negativi sull’immagine della Società che svolge un servizio di pubblica utilità”>>.
3. Successivamente il datore di lavoro in data 29 agosto 2022 ha irrogato licenziamento disciplinare riportandosi alla contestazione sopra citata. Nell’atto di contestazione di addebiti si fa espresso riferimento al procedimento penale n. n. … e del relativo decreto penale di condanna n. … emesso in data 21 aprile 2022, depositato il 22 aprile 2022. Veniva nello specifico contestato all’istante di aver: “quale impiegato delle XXXX ed Operatore di Sportello presso l’Ufficio di T… in data 04/11/2017, con artifizi e raggiri, consistiti nel predisporre, contrariamente a quanto verbalmente richiesto dalla persona offesa, una operazione postale di prelievo dal libretto nominativo ordinario nr. … per un importo totale di euro 628,13 che in realtà rispetto alla somma dovuta per i pagamenti delle bollette Enel di euro 75,71 e Tim di euro 49,42, per un totale di euro 128,13 che in realtà solo successivamente, nel ricontrollare le operazioni effettuate sul libretto di risparmio, riscontrava un contestuale prelievo di 500,00 euro in contanti che non aveva richiesto, così procurandosi un ingiusto profitto con correlativo danno per la parte offesa ammontante ad euro 500,00”.
Dall’esame della copiosa documentazione in atti si evince che i fatti emersi e contestati in sede penale e posti alla base dell’intimato licenziamento riguardano l’episodio verificatosi in data 04/11/2017, data in cui il ricorrente, avrebbe pertanto adottato la condotta censurata, sopra richiamata.
4. Parte ricorrente formula l’eccezione di intempestività del licenziamento, fondata sul rilevante lasso temporale trascorso tra la conoscenza dei fatti contestati e l’avvio del procedimento disciplinare.
Tale doglianza è destituita di fondamento.
In materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nella legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, commi 3 e 4, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata. (Cass. 27/6/2013 n. 16227).
Come opportunamente osservato di recente per una identica fattispecie dal giudice di merito, con orientamento condiviso anche in questa sede,: << Occorre, altresì, rammentare che il lasso temporale tra i fatti e la contestazione, ai fini della valutazione dell’immediatezza del provvedimento espulsivo, deve decorrere dall’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall’astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi; in particolare, il datore di lavoro deve fornire la prova del momento in cui ha avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore e non anche delle circostanze per cui non abbia potuto effettuare la contestazione a ridosso dei fatti (cass., 7.11.2013, n.25070; cass. n. 21546/2007).
In sostanza, il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente al datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (cass. 28.11.2013, n. 26655). Il dipendente si troverebbe, infatti, nella situazione di dover ricostruire la dinamica dei fatti in oggetto e di fornire eventualmente una diversa ricostruzione degli stessi con evidenti difficoltà.
Invero, secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, “la tempestività della contestazione disciplinare nel rapporto di lavoro deve essere valutata non con riferimento all’astratta conoscibilità dell’infrazione, bensì nel momento in cui il datore di lavoro acquisisce in concreto la piena conoscenza del fatto, non essendo sufficienti a tal fine meri sospetti” (Cass. Civ., Sez. Lav., Sent. n. 50/2017).
Pertanto, il principio di immediatezza e tempestività della contestazione “va inteso in senso relativo, posto che si deve tener conto della natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle relative indagini da parte del datore di lavoro, tempo che è tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale” (Cass. Civ., Sez. Lav., Sent. 12 giugno 2019, n. 15777). Alla luce della richiamata giurisprudenza, il principio di tempestività è un requisito flessibile, influenzato da una pluralità di elementi.
In determinati casi la complessità della struttura organizzativa dell’impresa e/o l’eventuale difficoltoso accertamento dei fatti oggetto di contestazione potrebbero determinare un ritardo nell’instaurazione del procedimento disciplinare da parte del datore di lavoro. Rimane comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano il ritardo (cfr. Cass., S.U., 27 dicembre 2017, n. 30985) e la valutazione compiuta è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.
La tempestività nell’apertura del procedimento disciplinare va valutata in relazione al momento in cui il datore di lavoro ha avuto effettiva conoscenza del fatto e non a quello in cui lo stesso è stato commesso. Non si può dunque ritenere violato il principio di tempestività sulla base del solo decorso di un intervallo temporale (anche piuttosto lungo) tra l’illecito commesso e la contestazione disciplinare.>> (Trib. Brindisi – Sent. n. 232/2025 pubbl. il 12/02/2025).
Nella fattispecie in esame, deve ritenersi debitamente provato dalla documentazione in atti che la società resistente – come dalla stessa riconosciuto nella contestazione di addebito (all. 6 –) fosse a conoscenza dei fatti addebitati al ricorrente almeno sin dal momento dell’assegnazione ad altro ufficio, disposta il 19 aprile 2018 in applicazione dell’art. 56 punto II CCNL ratione temporis applicabile.
Nello specifico, bisogna capire se in pendenza di un procedimento penale avente ad oggetto condotte del dipendente di rilevanza anche disciplinare, il datore di lavoro possa procedere con la contestazione e il licenziamento o debba necessariamente attendere l’esito delle indagini o addirittura dell’intero processo penale.
Ciò rileva soprattutto ai fini della verifica della tardività o meno della contestazione disciplinare, che deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire piena e completa conoscenza della riferibilità del fatto al lavoratore.
Vero che per giurisprudenza conforme sul punto, il datore di lavoro non deve necessariamente attendere l’esito del giudizio penale per procedere alla contestazione disciplinare, atteso che la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva (principio sancito dall’art. 27, co. 2, Cost.) concerne le garanzie relative alla pretesa punitiva dello Stato e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro del potere disciplinare in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa integrare gli estremi del reato: se i fatti commessi sono di tale gravità da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro non è necessario attendere la sentenza definitiva di condanna (Cass. 28914/2018).
Inoltre, non può assumere autonomo rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza del procedimento penale, considerata l’autonomia tra i due procedimenti e la circostanza che l’eventuale accertamento dell’irrilevanza penale del fatto non determina di per sé l’assenza di disvalore in sede disciplinare (Cass. 13675/2016).
Tuttavia, ritiene il giudicante legittima la scelta datoriale di differire la contestazione disciplinare al momento dell’accertamento dei fatti imputati con il decreto penale di condanna del ricorrente al fine di evitare reazioni disciplinari infondate a danno del dipendente.
Non è stato pertanto violato il principio di tempestività della contestazione, atteso che, come precisato dalla Corte di Cassazione “ove il fatto di valenza disciplinare abbia anche rilievo penale, il principio dell’immediatezza della contestazione non è violato qualora il datore abbia scelto di attendere l’esito degli accertamenti svolti in sede penale per giungere a contestare l’addebito”. (Cass. 25 ottobre 2018, 27069).
5. Quanto al secondo profilo di doglianza, dalla documentazione in atti emerge che la condotta posta in essere dal ricorrente è idonea a ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro, anche in ragione del ruolo rivestito, alle funzioni svolte dal ricorrente e dal servizio di pubblica utilità esercitato dalla società resistente.
Essendo, pertanto, inconfutabili la prova dei fatti storici verificatisi ed addebitati al ricorrente, il provvedimento espulsivo adottato dalla società appare legittimo.
Invero, la condotta contestata è stata fatta rientrare nella disciplina di cui all’art. 54 comma VI lett. a), c) e k), e dell’art. 80 lett. e) del CCNL del 23.6.21 per la quale è stabilita la sanzione del licenziamento senza preavviso.
L’art. 80 lett. e) rinvia alla nozione di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c.
L’art. 54 comma VI prevede: “Si applica la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per una delle seguenti mancanze:
a) per illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di spettanza o pertinenza della società o ad essa affidati … …
c) per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio che possono arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla Società o a terzi;
d) per aver dolosamente alterato, falsificato o sottratto documenti, registri o atti della Società o ad essa affidati, al fine di trarne profitto; … ….
k) in genere per fatti o atti dolosi, anche nei confronti di terzi, compiuti in connessione con il rapporto di lavoro, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro … …”
La condotta contestata al ricorrente risulta idonea a ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario tra le parti e rientra, pertanto, tra quelle per cui è prevista la sanzione del licenziamento.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono determinate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione,
– Rigetta il ricorso;
– condanna XXXX, alla rifusione delle spese di lite di XXXX S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, liquidate complessivamente, in 1.500,00 euro, oltre I.V.A., C.P.A., eventuali spese documentate, e spese generali forfettarie al 15%, come per legge.
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