CPR sotto accusa: il Consiglio di Stato boccia tutela della salute e prevenzione suicidi”
Pubblicato il 07/10/2025
N. 07839/2025REG.PROV.COLL.
N. 03857/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3857 del 2025, proposto:
- dall’Asgi – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Fachile e dall’avv Maria Teresa Brocchetto ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Fachile, sito in Roma via Oslavia n. 30;
- e da Cittadinanzattiva Aps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Loredana Leo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Leo, sito in Roma, via Oslavia n. 30;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 19012/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2025 il Cons. Roberto Prossomariti e viste le conclusioni delle parti come da verbale.
FATTO
1. L’ASGI - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e Cittadinanzattiva Aps hanno impugnato, di fronte al TAR Lazio, il Decreto del Ministro dell’Interno del 4 marzo 2024, il quale ha approvato lo schema di capitolato d’appalto per la gestione e il funzionamento dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR).
Le associazioni ricorrenti hanno contestato specificamente le disposizioni relative all’assistenza sanitaria e al personale medico-sanitario nei CPR, sostenendo che le previsioni fossero insufficienti a tutelare le persone con vulnerabilità psichiatrica o sottoposte a trattamento farmacologico. Le censure si basavano sulla presunta violazione di norme costituzionali (art. 13 e 32 Cost.), primarie e internazionali, sostenendo che il monte ore del personale medico fosse inadeguato, mancassero procedure di osservazione all’ingresso, strumentazione salvavita e un piano antisuicidiario, e che il capitolato non applicasse gli stessi standard previsti per le carceri. Hanno anche denunciato un eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttoria, data la situazione allarmante nei CPR relativa alla salute mentale dei trattenuti.
Il Ministero dell’Interno, costituitosi in giudizio, ha eccepito preliminarmente il difetto di legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti e il difetto di interesse ad agire, sostenendo che il decreto fosse un atto generale e astratto privo di immediata lesività. Nel merito ha, poi, chiesto il rigetto del ricorso.
2. Il Tribunale ha rigettato entrambe le eccezioni preliminari. Per quanto riguarda la legittimazione attiva, il Collegio ha riconosciuto che sia ASGI che Cittadinanzattiva APS possiedono gli indici di rappresentatività necessari, quali finalità statutarie collegate alla salvaguardia degli interessi dei migranti e della salute, e una consolidata operatività stabile e non limitata territorialmente. Ha altresì chiarito che l’interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo tutelabile in giudizio quando l’ente dimostra la sua rappresentatività, anche senza la diretta presenza di soggetti personalmente lesi dall’atto impugnato. Relativamente all’interesse ad agire, il TAR ha ritenuto che il decreto impugnato avesse un impatto immediato, poiché imponeva l’adeguamento dei contratti in essere alle nuove prescrizioni dello schema di capitolato, conferendo così l’attualità necessaria all’interesse delle ricorrenti.
2.1 Nel merito, il ricorso è stato ritenuto non meritevole di accoglimento. Il giudice di primo grado ha ritenuto che il provvedimento impugnato fosse in linea con la normativa vigente, la Costituzione e le norme sovranazionali. Ha respinto l’argomento relativo alla riduzione del monte ore del personale medico, chiarendo che esso è stato razionalizzato in proporzione alla capienza della struttura, aumentando all’aumentare dei posti e mantenendo inalterata la presenza infermieristica per 24 ore al giorno, tenuto anche conto che il servizio di assistenza medica nei CPR è complementare al SSN. Ha inoltre smentito la mancanza di personale sanitario specializzato, richiamando l’articolo 5 comma 8 del capitolato, che prevede l’impiego di personale con profili adeguati e la frequentazione di corsi di formazione e aggiornamento.
Per quanto concerne le procedure di osservazione e presa in carico, il Tribunale ha evidenziato che lo schema prevede una visita di primo ingresso da parte di medici dell’ASL/azienda ospedaliera, anche in orario notturno, per accertare l’assenza di patologie incompatibili con la permanenza nei CPR, inclusi i disturbi psichiatrici. È inoltre prevista la compilazione di una scheda sanitaria aggiornata per ciascun ospite e l’assistenza psicologica a regime.
Infine, il TAR ha rifiutato l’equiparazione tra strutture carcerarie e CPR ai fini della predisposizione delle misure antisuicidiarie. Ha sottolineato la mancanza di dati che dimostrassero un’elevata incidenza di patologie psichiatriche nei CPR, ha evidenziato che la permanenza media nei CPR è di soli 32 giorni ed ha ritenuto che il numero dei suicidi non fosse tale da configurare un’emergenza come paventato dalle ricorrenti.
In conclusione, le scelte dell’Amministrazione sono state ritenute conformi alle pertinenti normative e frutto dell’ampia discrezionalità ministeriale, in linea con le peculiarità del trattenimento nei CPR. Anche il motivo relativo a una presunta carenza di istruttoria è stato ritenuto privo di fondamento.
3. Avverso la suddetta sentenza le Associazioni ricorrenti hanno proposto appello.
Come accennato, le parti dello schema di capitolato contestate sono quelle relative all’Assistenza sanitaria e spese mediche (art. 2 lett. c, integrato dall’allegato 5 bis) e al Personale (art. 5 integrato dall’allegato A “Tabella personale”), con particolare attenzione alle previsioni a tutela delle persone trattenute con vulnerabilità psichiatrica o sottoposte a trattamento farmacologico. Le associazioni ritengono che il capitolato sia inadeguato e che il TAR abbia errato nel non cogliere le criticità dimostrate.
I motivi di appello proposti, articolati in diverse doglianze, sono i seguenti.
I) Le associazioni ritengono che la motivazione del TAR sia viziata sin dalle sue premesse, poiché ha travisato il focus del ricorso. Le doglianze avverso il capitolato nascono dalla sua inadeguatezza, sulla base di dati raccolti e pareri istituzionali, a garantire l’assistenza sanitaria delle persone trattenute, in particolare quelle con vulnerabilità psichiche, e a contenere gli atti di autolesionismo e il rischio suicidario. Questo tema è stato portato all’attenzione del giudice amministrativo come una questione generale riguardante la mancanza di previsioni e regole adeguate nel capitolato. Secondo gli appellanti, gli esempi riportati (relativi a singoli CPR) sono funzionali a dimostrare l’inadeguatezza del capitolato e evidenziano l’assenza di una regola vincolante che fornisca uno standard unitario di gestione per i privati aggiudicatari. La carenza strutturale nel decreto ministeriale delega di fatto la gestione a soggetti privati orientati al profitto, con il rischio che ciascuno di essi gestisca il
II) Le associazioni sostengono, poi, che la sentenza del TAR Lazio sia da riformare per violazione e falsa applicazione di diverse norme, tra cui l’art. 14, comma 2 del d.lgs. n. 286/1998, l’art. 21 del d.P.R. n. 394/1999, l’art. 32 della Costituzione, gli artt. 2 e 3 della CEDU, e la l. n. 195 del 2012 relativa alla ratifica del Protocollo Opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Secondo gli appellanti, il TAR non ha tenuto in debita considerazione le peculiarità della permanenza nei CPR, che impongono l’adozione di precise cautele e una rigida regolamentazione dell’operato degli attori privati coinvolti. Le previsioni del capitolato sono ritenute insufficienti a garantire lo standard minimo di tutela della salute per le persone private della libertà personale, specialmente considerando l’elevata incidenza di patologie psichiatriche, uso di psicofarmaci, eventi suicidari e gesti anticonservativi documentati.
Vengono evidenziate le peculiarità della “detenzione amministrativa” rispetto a quella penale, in particolare il fatto che la gestione dei CPR è affidata a enti privati, il cui operato è disciplinato dal contratto. Ciò richiederebbe una regolamentazione stringente degli aspetti essenziali relativi alla tutela della salute già nello schema di capitolato. Inoltre, gli enti gestori sono soggetti privati che tendono alla massimizzazione dei profitti, con conseguente rischio di un abbassamento della qualità dei servizi.
Andrebbe anche tenuto conto del differente scopo della privazione della libertà: la detenzione amministrativa è finalizzata all’esecuzione del rimpatrio e non ha funzione punitiva o di tutela della sicurezza collettiva, diversamente dalla detenzione carceraria. Pertanto, il bilanciamento tra interesse pubblico e diritto alla salute dovrebbe tendere maggiormente al rispetto di quest’ultimo. Peraltro nel sistema carcerario la tutela della salute è affidata al SSN che opera negli istituti, mentre nei CPR l’intervento del SSN è solo esterno ed eventuale. Questo comporta l’inesistenza di uno standard unitario e il rischio che situazioni mediche particolari non siano adeguatamente attenzionate.
Le appellanti contestano le conclusioni del TAR sulla non equiparabilità tra strutture carcerarie e CPR in termini di afflittività, citando i rapporti del Garante Nazionale dei Detenuti e del Comitato prevenzione tortura (CPT) del Consiglio d’Europa, che definiscono il regime detentivo nei CPR simile a quello carcerario o addirittura a quello speciale ex art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario. La crescente incidenza di patologie psichiatriche nei CPR è resa evidente dall’aumento esponenziale della spesa per psicofarmaci e dai numerosi casi di uscita per “motivi vari” che, in concreto, potrebbero includere ragioni sanitarie. La durata del trattenimento dovrebbe essere considerata in relazione alla durata massima (fino a 30 mesi), non alla media. Il tasso di suicidi nei CPR, se calcolato correttamente, sarebbe superiore a quello delle carceri in alcuni degli anni considerati.
Vengono denunciate le inadeguatezze del sistema approntato dal capitolato, non colte dal TAR, in relazione agli standard che sarebbero desumibili dalla normativa di riferimento (art. 14, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, art. 19, comma 3, d.l. n. 13/2017, art. 7, d.lgs. n. 142/2015) e dal confronto con le garanzie previste nel sistema carcerario. Tali inadeguatezze includerebbero la mancanza di previsioni essenziali per la tutela della salute mentale e la prevenzione del rischio suicidario.
Nello specifico, le carenze riguarderebbero:
- la insufficiente presenza oraria del personale medico rispetto alla capienza dei centri;
- la mancanza di formazione specifica per il personale a contatto con i trattenuti, specialmente per il contenimento del rischio suicidario e le tecniche di primo soccorso;
- la mancanza di competenze specifiche richieste agli operatori socio-sanitari in medicina delle migrazioni e tutela della salute in contesti detentivi;
- l’assenza di procedure di osservazione e presa in carico multidisciplinare per i nuovi giunti e le persone sottoposte a trattamento farmacologico;
- la mancanza di un piano antisuicidiario e di procedure di verifica in caso di atti anticonservativi;
- la mancata previsione di un meccanismo di referral delle vulnerabilità emerse nel corso del trattenimento e di osservazione scientifica della personalità;
- carenze nella tenuta della documentazione clinica;
- carenza di strumentazione salvavita e dispositivi di sicurezza;
- la mancata previsione di una nuova valutazione dell’idoneità al trattenimento in caso di trattamento farmacologico o emersione di elementi di incompatibilità;
- l’assenza di un presidio medico o sanitario h24 e di una distanza minima dal pronto soccorso garantita;
- la mancata attivazione di un servizio di presa in carico psicologica specifica prima del rimpatrio;
- la mancata previsione dell’obbligo di mettere a disposizione le relazioni del servizio socio-sanitario per il fascicolo dell’Autorità giudiziaria e della consegna della scheda sanitaria al trattenuto durante la permanenza;
- la mancanza di una procedimentalizzazione complessiva dell’operato delle diverse figure professionali, che ostacolerebbe l’emersione delle vulnerabilità.
III) La sentenza andrebbe riformata anche perché non ha riconosciuto il mancato svolgimento di un’adeguata istruttoria da parte del Ministero prima dell’adozione dello schema di capitolato. Non sono stati coinvolti soggetti istituzionali con competenze specifiche in materia di salute e detenzione, come il Ministero della Salute e il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Non risulta che i dati raccolti siano stati esaminati e concretamente presi in considerazione, specie alla luce delle segnalazioni di gravi carenze nei CPR. Inoltre, l’istruttoria svolta dal Ministero e confluita nella relazione depositata nel giudizio di primo grado sarebbe incompleta e non sarebbe chiaro come i dati siano stati raccolti, analizzati e presi in considerazione nell’elaborazione dello schema.
IV) Le associazioni appellanti reiterano l’eccezione di tardività dell’adempimento istruttorio del Ministero. La sentenza del TAR sarebbe viziata non solo per aver rigettato questa eccezione, ma soprattutto per la mancata concessione di un adeguato termine a difesa, compromettendo il diritto al contraddittorio effettivo, nonostante l’istruttoria fosse stata ritenuta necessaria dallo stesso giudice. Inoltre, la relazione depositata dal Ministero è apparsa incompleta, tanto da richiedere un’integrazione (che non è stata acquisita agli atti), ma è poi stata, invece, ritenuta sufficiente dal TAR.
V) Si chiede, infine, la riforma del capo della sentenza che ha condannato le ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Secondo le odierne appellanti, la novità della questione trattata e il comportamento processuale dell’Amministrazione avrebbero giustificato la compensazione delle spese di lite.
4. Si è costituito il Ministero dell’Interno, chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo, a sua volta, appello incidentale.
Con il primo motivo dell’appello incidentale, l’Amministrazione contesta il capo della sentenza che ha riconosciuto la legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti. Da un lato l’oggetto del contenzioso non rientrerebbe specificamente nelle finalità statutarie delle associazioni, dall’altro quelli tutelati sarebbero interessi radicati in capo ai soggetti trattenuti nei CPR e non potrebbero, quindi, qualificarsi come interessi “diffusi” e adespoti.
Con il secondo motivo dell’appello incidentale è fatta oggetto di censure la statuizione del TAR circa l’attualità dell’interesse ad agire delle ricorrenti. Infatti il capitolato tipo non avrebbe attitudine direttamente lesiva, fungendo solo da modello per i singoli capitolati, i quali sono posti a base di gare pubbliche che potrebbero condurre ad un innalzamento degli standard minimi di assistenza previsti.
5. Nella memoria depositata il 24.07.2025, le associazioni appellanti, oltre a chiedere il rigetto dell’appello incidentale, hanno insistito per l’accoglimento delle proprie censure. Alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 2025, le stesse hanno chiesto anche di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 7 del d.lgs. n. 142 del 2015, nella parte in cui non prevedono una disciplina dettagliata per l’erogazione del servizio di assistenza sanitaria all’interno dei CPR, in relazione agli artt. 13 e 32 della Costituzione.
6. All’udienza pubblica del 25 settembre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Per ragioni di ordine logico, occorre esaminare prioritariamente l’appello incidentale, volto a contestare la legittimazione ad agire e, in via subordinata, l’attualità dell’interesse delle originarie ricorrenti.
1.1 Il primo motivo dell’appello incidentale è infondato, posto che correttamente il TAR ha ritenuto sussistere la legittimazione dell’ASGI e di Cittadinanzattiva APS.
Al riguardo è opportuno richiamare le conclusioni cui è giunta l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 6/2020, in materia di protezione dei c.d. interessi diffusi. Il Supremo Consesso, dopo aver richiamato la pluridecennale evoluzione giurisprudenziale che ha permesso ad enti esponenziali dotati di determinati requisiti di acquisire la legittimazione ad agire per la tutela di interessi adespoti, ha preso posizione sul caso in cui si verifichi la simultanea sussistenza di interessi collettivi e interessi individuali autonomamente azionabili.
Al punto 10.2 della parte in diritto della richiamata pronuncia, si legge: «In proposito questa Adunanza ritiene che quando vi sia compresenza di interessi collettivi in capo all’ente associativo e di interessi individuali concorrenti, autonomamente azionabili, sia necessario acclarare che l’ente non si sta affiancando alle posizioni individuali di più soggetti nella difesa di un interesse che resta individuale pur se plurisoggettivo – il che potrebbe al più sorreggere una legittimazione al mero intervento - ma sta facendo valere un interesse proprio, di natura collettiva nei termini dianzi evidenziati, che può coesistere con più posizioni individuali.
Tale accertamento non può che essere condotto alla luce dei seguenti punti fermi:
- l’interesse collettivo del quale si è occupata la giurisprudenza, sin qui considerata, è una “derivazione” dell’interesse diffuso per sua natura adespota, non già una “superfetazione” o una “posizione parallela” di un interesse legittimo comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività (sul punto, Consiglio di Stato, Sez V, 12 marzo 2019, n. 1640).
- esso può considerarsi sussistente ove riferito a beni materiali o immateriali a fruizione collettiva e non esclusiva, tenendo comunque presente, in linea generale, che è pur possibile che un provvedimento amministrativo incida al contempo su interessi sia collettivi che individuali, ma che l’associazione è legittimata ad agire solo quando l’interesse collettivo possa dirsi effettivamente sussistente secondo la valutazione che ne fa il giudice;
- la diversità ontologica dell’interesse collettivo (ove accertato secondo il criterio sin qui rappresentato), rispetto all’interesse legittimo individuale, porta ad escludere, in radice, la necessità di un’indagine in termini di omogeneità (oltre che degli interessi diffusi dal quale quello collettivo promana, anche) degli interessi legittimi individuali eventualmente lesi dall’esercizio del potere contestato. Nel senso che se l’interesse collettivo c’è, si tratta di un interesse dell’ente e quindi diventa non pertinente in radice porsi anche il tema dell’omogeneità degli interessi legittimi individuali dei singoli (in tal senso, chiaramente, Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451)».
Nel caso di specie, le associazioni ricorrenti mirano a garantire un livello di tutela della salute nei CPR (specialmente per le persone con vulnerabilità psichiatrica o sottoposte a trattamento farmacologico) compatibile con gli standard normativi interni e internazionali.
Ebbene è lo stesso articolo 32 della Costituzione a definire la tutela della salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Non sembrano esservi dubbi, dunque, sul fatto che la tutela della salute, nell’ambito di luoghi di permanenza anche di lungo periodo come i CPR, rappresenti un interesse diffuso che ben possa essere tutelato da enti aventi i requisiti tradizionalmente richiesti dalla giurisprudenza (effettiva rappresentatività, finalità statutaria, stabilità e, almeno in taluni casi, collegamento con il territorio).
È ovvio che gli atti impugnati possano incidere, in specifici casi, sulle situazioni soggettive di singole persone trattenute nei Centri e, tuttavia, ciò non toglie che vi sia un interesse generalizzato a che l’ordinario funzionamento dei servizi sanitari in discorso sia rispondente a quanto imposto dall’ordinamento giuridico.
Sulle finalità statutarie delle due associazioni ricorrenti, si ritengono corrette le conclusioni del TAR circa la corrispondenza delle stesse al caso di specie.
Quanto all’ASGI, sembra sufficiente richiamare l’art. 5, comma 1, lett. n), che, tra i vari scopi, annovera quello di “tutelare i diritti soggettivi e gli interessi legittimi, anche sotto forma di diritti individuali omogenei, delle persone straniere e degli apolidi, inclusi richiedenti e titolari di protezione internazionale”.
Per ciò che concerne Cittadinanzattiva APS, effettivamente la tutela della salute è solo una delle generiche finalità previste dall’art. 4.1 dello Statuto. Tuttavia il giudice di prime cure ha dato conto del fatto che entrambe le associazioni “risultano operare da molti anni in modo stabile a favore della salvaguardia degli interessi di cui si prefiggono la salvaguardia”, senza che tale asserzione sia stata contestata con l’appello incidentale.
1.2 Anche il secondo motivo dell’appello incidentale è infondato, poiché, come evidenziato dal TAR, il decreto impugnato trova immediata applicazione ai contratti in essere, definendo quindi gli standard attualmente previsti nei CPR.
Inoltre il fatto che nelle singole gare vi potranno essere offerte che innalzino la qualità dei servizi nulla toglie all’interesse, appunto generale, a che le stesse gare si svolgano sulla base di capitolati legittimi.
2. Per l’esame dell’appello principale occorre preliminarmente richiamare il pertinente quadro normativo.
2.1 Lo schema di capitolato al centro della presente controversia ha ad oggetto “la fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al funzionamento dei centri di accoglienza di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 e dei centri di cui agli articoli 10-ter e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”, vale a dire le diverse strutture di prima accoglienza, accoglienza e i centri per i rimpatri, previsti dalla legislazione italiana.
Quanto ai centri di accoglienza, l’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 142 del 2015 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), prevede che siano erogati “oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale, secondo le disposizioni analitiche contenute nel capitolato di gara di cui all’articolo 12”. Il successivo art. 12, infatti, prevede: “Con decreto del Ministro dell’Interno è adottato lo schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura dei beni e dei servizi relativi al funzionamento dei centri […], in modo da assicurare livelli di accoglienza uniformi nel territorio nazionale, in relazione alle peculiarità di ciascuna tipologia di centro”.
Quanto ai centri di permanenza per i rimpatri (CPR), l’art. 14, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998 (nel testo introdotto dal d.l. n. 130 del 2020) dispone: “Lo straniero è trattenuto nel centro, presso cui sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, secondo quanto disposto dall’articolo 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394”. A sua volta, il richiamato art. 21, comma 8, d.P.R. n. 394 del 1999 (regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998), prevede: “Le disposizioni occorrenti per la regolare convivenza all’interno del centro, comprese le misure strettamente indispensabili per garantire l’incolumità delle persone, nonché quelle occorrenti per d
Il 19 maggio 2022 il Ministro dell’Interno ha adottato, con proprio decreto, la “Direttiva recante criteri per l’organizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri previsti dall’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni”, abrogando contestualmente il precedente regolamento recante criteri per l’organizzazione dei centri di identificazione ed espulsione, approvato con d.m. 20 ottobre 2014 (ancora impropriamente richiamato in alcuni punti del capitolato impugnato).
Le modalità del trattenimento previste dall’art. 14, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998, si applicano anche al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, in forza del richiamo contenuto nell’art. 7, d.lgs. n. 142 del 2015, che ribadisce la necessità di assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della dignità del richiedente.
2.2 Recentemente la Corte costituzionale si è pronunciata su alcune questioni di costituzionalità relative al citato art. 14, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998, sollevate dal Giudice di pace di Roma in riferimento agli artt. 13, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 5, par. 1, CEDU. La norma era censurata, tra l’altro, nelle parti in cui non disciplina puntualmente i modi e i procedimenti per la restrizione della libertà personale all’interno dei CPR, non prevede i diritti e le forme di tutela dei trattenuti e rinvia, pressoché integralmente, ad una fonte subordinata, quale l’art. 21, comma 8, d.P.R. n. 394 del 1999.
La Consulta, con sentenza n. 96 del 2025 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 2025), pur ritenendo che il legislatore sia “venuto meno all’obbligo positivo di disciplinare con legge i «modi» di limitazione della libertà personale, eludendo la funzione di garanzia che la riserva assoluta di legge svolge in relazione alla libertà personale nell’art. 13, secondo comma, Cost.”, ha dichiarato le questioni inammissibili, ritenendo che gli strumenti del giudizio di costituzionalità non permettessero di “rimediare al difetto di una legge che descriva e disciplini con un sufficiente grado di specificità i «modi» del trattenimento dello straniero presso il CPR, non rinvenendosi nell’ordinamento una soluzione adeguata a colmare la riscontrata lacuna mediante l’espansione di differenti regimi legislativi”.
3. Come ricostruito nella parte in fatto, le censure delle appellanti si appuntano, in particolare, sull’art. 2, lett. c) (come integrato dall’allegato 5-bis) e sull’art. 5 (come integrato dall’allegato A - Tabella dotazione personale) del capitolato. Si tratta, cioè, delle disposizioni che disciplinano il servizio sanitario e il personale presente all’interno dei Centri.
Secondo le appellanti, sulla base dei dati disponibili, le citate disposizioni del capitolato non sarebbero idonee a tutelare le persone con vulnerabilità psichiatrica o sottoposte a trattamento farmacologico, anche con riferimento alla necessità di contenere atti di autolesionismo e rischio suicidario.
3.1 Le preoccupazioni delle associazioni trovano, effettivamente, riscontro anche nel “Documento di sintesi sui CPR, anche alla luce dell’attività di monitoraggio realizzata dai garanti territoriali nell’esercizio della delega di visita loro conferita dal Garante nazionale nel periodo gennaio-marzo 2023”, redatto dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale il 26 aprile 2023, rispetto ai contenuti del quale il Ministero non ha preso specificamente posizione.
Secondo tale documento, nei CPR la situazione delle persone con vulnerabilità psichiatrica o sottoposte a trattamenti farmacologici è problematica e presenta diverse criticità, per le ragioni esposte nel documento medesimo e sintetizzabili come segue.
Sebbene la normativa estenda la verifica del benessere psicofisico all’accertamento di possibili stati di vulnerabilità e di segni di trauma o esiti di tortura, queste valutazioni vengono spesso trascurate o sottovalutate. Ciò ha un forte impatto sul diritto alla salute degli stranieri, in particolare per coloro che soffrono di disagio mentale o si trovano in condizioni di particolare vulnerabilità.
Le verifiche sanitarie all’ingresso sono sovente limitate all’accertamento dell’assenza di malattie infettive, senza considerare disturbi psichiatrici o patologie croniche degenerative che non possono ricevere un trattamento adeguato nelle strutture detentive. È stata rilevata una considerevole presenza di problemi di tossicodipendenza e psicologici tra i migranti trattenuti, il che renderebbe necessario un forte coinvolgimento dei servizi sanitari locali a supporto dei medici dell’ente gestore, per la fornitura di servizi specialistici. Tuttavia, persiste una scarsa coordinazione tra le strutture sanitarie interne ai CPR e il Servizio Sanitario Nazionale, con gravi criticità nella gestione della salute mentale e nella somministrazione dei farmaci specialistici. In alcuni CPR, le prescrizioni di farmaci specialistici vengono formalmente emesse da medici esterni che non conoscono la persona, su richiesta dei medici del centro, una pratica che solleva serie preoccupazioni, specialmente per i farmaci psicotropi
Per quanto riguarda il contenimento degli atti di autolesionismo e il rischio suicidario, il documento indica che, nonostante i numerosi episodi di autolesionismo, non vengono attuati protocolli o interventi di prevenzione del rischio. Il Garante Nazionale sottolinea che la prevenzione del suicidio rientra pienamente nella difesa della salute e della vita e, pertanto, nei doveri di custodia. A tal fine, raccomanda l’adozione di piani di prevenzione del rischio di autolesionismo e suicidio, in collaborazione con i servizi territoriali competenti, per identificare tempestivamente gli indicatori di vulnerabilità, predisporre supporti adeguati e implementare programmi di formazione per il personale.
Un’ulteriore carenza che può avere un impatto decisivo su eventi critici, inclusi quelli legati all’autolesionismo e al rischio suicidario, è la cronica mancanza di sistemi di chiamata all’interno delle aree detentive in alcuni CPR. Un caso emblematico citato è la morte di un cittadino georgiano, che potrebbe essere stato soccorso in ritardo a causa del malfunzionamento del dispositivo di allarme nel suo settore di detenzione. Per garantire standard minimi di sicurezza e un intervento tempestivo da parte del personale, il Garante raccomanda che i settori siano dotati di campanelli accessibili dall’interno per le chiamate in caso di necessità.
Situazioni assai problematiche sono in seguito state confermati anche dal Rapporto al Governo Italiano sulla visita in Italia effettuata dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti o Pene Inumani o Degradanti (CPT, organismo del Consiglio d’Europa) dal 2 al 12 aprile 2024 (documento del 13 dicembre 2024). Dal rapporto emergono, infatti, casi di somministrazione diffusa di psicofarmaci non prescritti, mancanza di controllo sulla distribuzione dei farmaci, valutazioni superficiali e tardive sull’idoneità alla permanenza nel CPR, superficialità nella registrazione delle lesioni osservate nei soggetti all’ammissione o durante la permanenza, carenza di assistenza psicologica e psichiatrica, assenza di protocolli strutturati per la prevenzione dell’autolesionismo e del suicidio.
4. Pur essendo, dunque, difficilmente contestabile che nei CPR persistano situazioni di criticità, anche sotto il profilo dell’assistenza sanitaria, ai fini della presente controversia è necessario tenere distinti il piano dell’insufficienza della normativa primaria e delle eventuali lacune o inadeguatezze della direttiva del Ministro dell’Interno del 19.05.2022 (non oggetto di impugnazione), da quello dei presunti vizi delle parti dello schema di capitolato fatte oggetto di impugnazione.
Va, inoltre, evidenziato che molte delle situazioni negative descritte dai report citati dalle appellanti riguardano fatti che, con tutta probabilità, si configurano come fattispecie concrete di illeciti anche rispetto al quadro normativo vigente, rispetto ai quali dunque non vengono direttamente in rilievo profili di illegittimità della normativa o degli atti amministrativi generali su cui si basa la gestione dei Centri.
4.1 Ad ogni modo, quanto ai denunciati profili di illegittimità costituzionale della normativa sui CPR, nella parte in cui la stessa non riconosce quantomeno l’erogazione dei servizi previsti in ambito carcerario dall’art. 11, l. n. 354 del 1975, il Collegio ritiene, allo stato, di non poter sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale.
È infatti trascorso un torno temporale troppo breve dalla pubblicazione della citata sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 2025, la quale, tra l’altro, ha statuito: “Non può in tale prospettiva offrire precisi punti di riferimento nemmeno l’ordinamento penitenziario, dovendo la detenzione amministrativa presso il CPR restare estranea a ogni connotazione di carattere sanzionatorio.
Ricade, perciò, necessariamente sul legislatore – in quanto incide sulla libertà personale – l’ineludibile dovere di introdurre una disciplina compiuta che detti, in astratto e in generale per tutti i soggetti trattenuti, contenuti e modalità delimitativi della discrezionalità dell’amministrazione, in maniera che il trattenimento degli stranieri assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona senza discriminazioni (quanto, indicativamente, alle caratteristiche degli edifici e dei locali di soggiorno e pernottamento, alla cura dell’igiene personale, all’alimentazione, alla permanenza all’aperto, all’erogazione del servizio sanitario, alle possibilità di colloquio con difensore e parenti, alle attività di socializzazione).
Spetta, dunque, al legislatore adottare una disciplina che assicuri un’adeguata base legale alle enunciate istanze, tanto più urgente in considerazione della centralità della libertà personale nel disegno costituzionale” (punto 11 in diritto).
4.2 Venendo alla direttiva ministeriale del 2022, l’art. 3 della stessa prevede, per quanto qui di interesse, che l’accesso al Centro sia preceduto da una visita medica per accertare l’assenza di patologie incompatibili con la vita in comunità ristretta (es. malattie infettive contagiose, gravi disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico-degenerative che non possano ricevere cure adeguate). La visita deve attestare la compatibilità delle condizioni di salute o vulnerabilità. Viene effettuato uno screening medico completo per valutare lo stato di salute generale, eventuali vulnerabilità e la necessità di visite specialistiche. Particolare attenzione è dedicata alla ricerca di segni di traumi o esiti di torture, seguendo apposite linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni. Le visite si svolgono in un presidio sanitario attrezzato con personale medico e paramedico (quest’ultimo deve essere presente nei Centri h 24). Per ogni straniero è predisposta una scheda sanitaria, di cui viene rilasciata co
Al riguardo deve essere evidenziato come le disposizioni del capitolato che si conformano alla direttiva non possono essere considerate illegittime e che, come già visto, la direttiva stessa non è oggetto di impugnazione.
5. Le censure delle appellanti, dunque, devono essere esaminate esclusivamente con riferimento a possibili contrasti del capitolato con la normativa di riferimento, con la direttiva ministeriale del 2022 o per ciò che riguarda le modalità di esercizio della discrezionalità amministrativa negli spazi lasciati liberi dalla normativa e dalla direttiva ministeriale.
5.1 Se in linea generale è corretta la posizione del TAR, circa l’impossibilità, per il giudice, di sostituirsi alle valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, va anche evidenziato come alcune difformità del capitolato dalla direttiva ministeriale, sostanzialmente sovrapponibili a quelle denunciate dalle appellanti, siano state stigmatizzate anche dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, con lettera al Ministro dell’Interno dell’11.06.2024.
Il Collegio concorda con la necessità che il capitolato impugnato sia reso più conforme alle seguenti disposizioni della direttiva ministeriale del 2022:
- art. 3, comma 4, con riferimento alla necessità di una nuova valutazione della ASL, in caso emergano elementi che possano determinare l’incompatibilità con la vita in comunità ristretta e alla possibilità che gli stranieri vengano alloggiati in stanze di osservazione su disposizione del medico;
- art. 3, comma 6, con riferimento al diritto dello straniero di ricevere, in ogni momento, una copia della propria scheda sanitaria;
- art. 3, comma 7, con riferimento alla necessità che, nei fascicoli trasmessi all’Autorità giudiziaria e alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, siano inserite anche le relazioni del servizio socio-sanitario;
- art. 4, comma 2, lett. p), circa la necessità di tenuta di un registro in cui siano annotati anche gli atti di autolesionismo e suicidari, nonché i colloqui con i servizi di informazione legale, assistenza sociale e psicologica.
Resta fermo, peraltro, che i gestori dei Centri devono rispettare quanto previsto dalla direttiva ministeriale, anche qualora le relative disposizioni non siano esplicitamente richiamate nel capitolato di gara.
5.2 Devono invece essere respinte le ulteriori doglianze dei primi due motivi di appello, aventi, essenzialmente, come parametro normativo, la disciplina della detenzione carceraria. Come emerge anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 96/2025, in mancanza di una scelta legislativa in tal senso, non è possibile estendere la disciplina carceraria ai CPR neppure in via interpretativa (fermo restando quanto si dirà oltre). Ne consegue che, negli spazi non coperti dalla legge, permane una sfera di discrezionalità amministrativa che non consente, al giudice, di indicare soluzioni alternative univoche.
6. È, invece, meritevole di accoglimento il terzo motivo di appello, relativo al difetto di istruttoria.
In un contesto delicato come quello della gestione dei CPR, è essenziale non solo che l’Amministrazione procedente abbia una conoscenza profonda della realtà nella quale va ad incidere l’azione amministrativa, ma anche che la stessa si avvalga del supporto di tutte le Amministrazioni che dispongono di competenze relative alla materia affrontata.
Questa intuitiva esigenza di principio è confortata dal dato normativo. L’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 142 del 2015, prevede che sullo schema di capitolato siano acquisite le valutazioni del “Tavolo di coordinamento nazionale di cui all’articolo 16”, cioè del Tavolo insediato presso il Ministero dell’Interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, di cui all’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 251 del 2007.
Il Tavolo, ai sensi dell’art. 29, comma 3, cit., è ordinariamente composto da rappresentanti del Ministero dell’Interno, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle Regioni, dell’Unione delle province d’Italia (UPI) e dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), ed è integrato, in sede di programmazione delle misure di integrazione degli stranieri (tra l’altro anche con riferimento all’accesso all’assistenza sanitaria), con un rappresentante del Ministro delegato alle pari opportunità, un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), un rappresentante della Commissione nazionale per il diritto di asilo e, “a seconda delle materie trattate, con rappresentanti delle altre amministrazioni o altri soggetti interessati”.
L’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 142 del 2015 prevede che il Tavolo individui le linee di indirizzo e predisponga la programmazione degli interventi diretti a ottimizzare il sistema di accoglienza previsto dal decreto. Il comma 4 prescrive che, a tali fini, la composizione e le modalità operative del Tavolo stesso siano stabilite con decreto del Ministro dell’Interno.
Il coinvolgimento del Tavolo previsto dall’art. 12, d.lgs. n. 142 del 2015 (che, come visto, rinvia all’art. 16 del medesimo decreto), sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica delle disposizioni sopra richiamate, induce a ritenere che, nel caso dell’approvazione del capitolato oggetto del presente giudizio, sia necessario che ad apportare il proprio contributo conoscitivo siano anche il Ministero della Salute e il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
Quanto al Ministero, per i propri compiti istituzionali, non vi è dubbio che si tratti della più qualificata autorità nazionale che sia in grado di valutare le esigenze legate all’assistenza sanitaria dei soggetti trattenuti nei Centri, similmente a quanto avviene per la sanità penitenziaria ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 230 del 1999.
Quanto al Garante, si tratta dell’autorità di garanzia con competenze di vigilanza anche sul rispetto dei diritti nei centri per stranieri (art. 7, comma 5, lett. e), d.l. n. 146 del 2013). Tra le competenze dello stesso vi è quella di “formulare raccomandazioni alle autorità competenti al fine di migliorare il trattamento e le condizioni in cui versano le persone private della libertà”, in qualità di “meccanismo nazionale di prevenzione” ai sensi dell’art. 19 del Protocollo opzionale alla convenzione ONU contro la tortura, ratificato con legge n. 195 del 2012 (si veda art. 7, comma 1-bis, d.l. n. 146 del 2013).
6.1 Nel caso di specie, oltre a non essere note le valutazioni espresse dal Tavolo di coordinamento, non risulta (anche sulla base delle difese del Ministero dell’Interno), che vi sia stato un coinvolgimento del Ministero della Salute, mentre è sicuramente da escludere che sia stato interpellato il Garante delle persone private della libertà personale, il quale ha, poi, anche stigmatizzato la circostanza nella richiamata lettera dell’11.06.2024.
La necessità di un’istruttoria particolarmente approfondita è, invece, resa ancor più ineludibile a causa della lacuna nella normativa primaria accertata dalla Corte costituzionale. Il vulnus alla riserva di legge imposta dall’art. 13 Cost. deve essere, almeno in parte, colmato dalla partecipazione dei soggetti istituzionalmente deputati alla tutela della salute e, in generale, alla tutela dei soggetti in condizione di detenzione.
Nelle more dell’indispensabile intervento del legislatore, le Amministrazioni competenti sono chiamate ad un attento esame della situazione fattuale nei Centri, affinché la riformulazione delle disposizioni impugnate del capitolato possa tener conto di ogni elemento rilevante, nella prospettiva di garantire livelli di assistenza socio-sanitaria in linea con le previsioni costituzionali e sovranazionali. Anche la direttiva del Ministro dell’Interno del 19.05.2022 dovrà essere seguita scrupolosamente, superando le attuali discrasie di cui sopra si è dato conto.
6.2 Può, infine, osservarsi che, sebbene non vi sia un obbligo di riprodurre nei centri per stranieri i medesimi istituti che caratterizzano la sanità penitenziaria, questi ultimi possono essere presi come riferimento quando permettono di innalzare gli standard dell’assistenza sanitaria e psicologica.
La cogenza di quanto previsto dall’ordinamento penitenziario è stata esclusa, dalla Consulta, per evitare di attribuire connotazioni sanzionatorie alla permanenza nei CPR. Al contrario non vi è, ovviamente, alcun ostacolo ad adottare soluzioni migliorative rispetto a quelle esistenti e, anzi, sotto tale profilo, il raffronto con quanto avviene nelle strutture carcerarie potrà essere un utile elemento per valutare la sufficienza della tutela garantita ai soggetti trattenuti, ferma restando la possibilità di tener conto delle peculiarità dei CPR, adottando soluzioni ad hoc ragionevoli e motivate.
7. L’accoglimento del terzo motivo di appello porta all’assorbimento del quarto. In definitiva l’appello principale è accolto nei sensi di cui in motivazione, con riferimento al riscontrato difetto di istruttoria e alla necessità del puntuale rispetto della direttiva ministeriale del 2022.
8. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Deve, inoltre, essere confermata l’ammissione di Cittadinanzattiva APS al patrocinio a spese dello Stato, già disposta dalla competente Commissione con decreto n. 118/2025.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, rigetta l’appello incidentale e accoglie l’appello principale, e, per l’effetto, annulla il Decreto del Ministro dell’Interno del 4 marzo 2024, il quale ha approvato lo schema di capitolato d’appalto per la gestione e il funzionamento dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) nei sensi e limiti di cui in motivazione.
Conferma l’ammissione di Cittadinanzattiva APS al patrocinio a spese dello Stato per il grado di appello.
Condanna il Ministero dell’Interno alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore dell’ASGI e di Cittadinanzattiva APS. Tali spese si liquidano in euro 6.000 (seimila/00), oltre accessori di legge, in favore di ciascuna associazione, di cui 3.000 (tremila/00) per ciascun grado di giudizio.
Il pagamento della metà dell’importo dovuto a Cittadinanzattiva APS (euro 3.000) sarà eseguito da parte dell’Amministrazione soccombente a favore del pertinente capitolo del bilancio della giustizia amministrativa, ai sensi dell’art. 133 t.u. n. 115/2002, e a tal fine la presente sentenza sarà trasmessa, a cura della segreteria della Sezione, all’Amministrazione soccombente nella sede reale e presso l’Avvocatura domiciliataria.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2025 con l’intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Giovanni Pescatore, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Roberto Prossomariti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Roberto Prossomariti Rosanna De Nictolis
IL SEGRETARIO
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