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25 luglio 2025

La pronuncia della Corte di Cassazione del 3 marzo 2025, n. 5623, affronta con particolare attenzione la questione dell’illegittimità del licenziamento per soppressione del posto di lavoro, quando tale licenziamento sia stato adottato in un contesto in cui il lavoratore licenziato è stato successivamente sostituito da altro lavoratore, anche se si tratta di uno stagista.

 

 


La pronuncia della Corte di Cassazione del 3 marzo 2025, n. 5623, affronta con particolare attenzione la questione dell’illegittimità del licenziamento per soppressione del posto di lavoro, quando tale licenziamento sia stato adottato in un contesto in cui il lavoratore licenziato è stato successivamente sostituito da altro lavoratore, anche se si tratta di uno stagista.

**1. Il principio di illegittimità del licenziamento per soppressione del posto**

In via generale, la Cassazione ribadisce che il licenziamento per motivi oggettivi (come la soppressione del posto) deve essere fondato su una reale e concreta esigenza di riorganizzazione aziendale. La giurisprudenza consolidata sottolinea che la mera dichiarazione di soppressione del posto, senza riscontro in una reale esigenza aziendale, determina l’illegittimità del licenziamento.

**2. La verifica della effettività della soppressione del posto**

La sentenza si concentra sulla verifica dell’effettiva soppressione del posto di lavoro. La Corte evidenzia come il datore di lavoro non possa limitarsi a operare una mera dichiarazione formale di soppressione, ma deve dimostrare che la posizione è realmente cessata, senza che essa venga successivamente riassegnata o sostituita con altri lavoratori.

Nel caso in esame, la circostanza che il datore di lavoro abbia assunto un altro lavoratore, anche se stagista, in tempi successivi al licenziamento, rappresenta un elemento di rilievo. La presenza di un nuovo assunto per le stesse mansioni può suggerire che la posizione non si sia effettivamente estinta, ma sia stata semplicemente sospesa o riorganizzata in modo da mascherare un licenziamento illegittimo.

**3. La sostituzione del lavoratore e il suo ruolo probatorio**

La Corte sottolinea che la sostituzione del lavoratore licenziato con altro soggetto, anche se stagista, può assumere un valore probatorio OMISSISortante circa l’effettiva inesistenza di un’esigenza reale di soppressione del posto. La presenza di un nuovo lavoratore incaricato di svolgere le medesime mansioni può indicare che la posizione lavorativa non è stata realmente eliminata, ma eventualmente riassegnata o temporaneamente sospesa.

In particolare, la natura del nuovo incarico – anche se temporaneo o in forma di stage – non può essere considerata come una semplice coincidenza, bensì come elemento che evidenzia la mancanza di una reale esigenza di riorganizzazione, rendendo il licenziamento illegittimo.

**4. La tutela del lavoratore e le conseguenze**

In conclusione, la pronuncia ribadisce che il datore di lavoro che licenzia un lavoratore per soppressione del posto, ma contemporaneamente sostituisce tale lavoratore con altro soggetto incaricato di mansioni equivalenti, agisce in violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuale. Ciò comporta la illegittimità del licenziamento e il diritto del lavoratore alla reintegra o, in alternativa, al risarcimento del danno.

**5. OMISSISlicazioni pratiche e interpretative**

La sentenza chiarisce che, ai fini della verifica dell’effettiva soppressione del posto, la presenza di un successivo nuovo incarico, anche temporaneo o in forma di stage, costituisce un elemento di grande rilevanza. La Cassazione, quindi, mira a tutelare il lavoratore contro pratiche discriminatorie o artificiose tese a mascherare licenziamenti illegittimi, promuovendo un’interpretazione rigorosa delle norme sui licenziamenti individuali.

**Conclusione**

In definitiva, la sentenza cassazione n. 5623 del 2025 rafforza il principio secondo cui il licenziamento per soppressione del posto di lavoro deve essere fondato su una reale e documentata esigenza aziendale. La sostituzione del lavoratore con altro soggetto, anche se stagista, costituisce un elemento che può invalidare la presunzione di effettiva soppressione, rendendo illegittimo il licenziamento stesso e tutelando così il principio di buona fede e correttezza nelle relazioni di lavoro.




CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA 3 marzo 2025, n. 5623
Svolgimento del processo
1.la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza OMISSISugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la decisione di prime cure che aveva ritenuto l’illegittimità del licenziamento intimato il 9.11.2021 a OMISSIS dalla OMISSIS OMISSIS Srl per giustificato motivo oggettivo;
2. la Corte, in estrema sintesi, ha condiviso la ratio decidendi posta a fondamento della decisione di prime cure e ravvisata nel fatto che “la soppressione del posto di lavoro della OMISSIS, posta a giustificazione del licenziamento…, non può ritenersi effettiva, perché la società, poco dopo il licenziamento, ha ricercato (‘a scopo di assunzione) personale da inserire nell’organizzazione aziendale con le stesse mansioni della lavoratrice licenziata (ancorché, formalmente, sulla base di uno stage)”;
la Corte, in particolare, ha ritenuto che “le circostanze valorizzate dal primo giudice siano gravi, precise e concordanti nel senso di far ritenere che il posto di lavoro della OMISSIS non sia stato effettivamente soppresso, in quanto la società, con la formale ricerca, a soli due mesi dal licenziamento, di stagisti, da inserire nella medesima posizione (‘la risorsa risponderà direttamente al Site Manager’) ed a cui affidare sostanzialmente le medesime mansioni dell’addetto all’Ufficio Traffico, ha palesato che le mansioni della OMISSIS non erano state soppresse o redistribuite sui lavoratori rimasti in forze ed adibiti anche ad altre attività, ma erano rimaste ‘scoperte, tanto da necessitare l’inserimento di personale da dedicare esclusivamente a tali attività”;
3. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la società soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso l’intimato;
4. la Consigliera delegata ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., rilevando l’inammissibilità dei motivi di OMISSISugnazione;
5. la società ricorrente, tramite difensore munito di nuova procura speciale, ha depositato nei termini istanza per chiedere la decisione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; è stato, quindi, instaurato il procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.;
parte ricorrente ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Motivi della decisione
1.i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. il primo motivo denuncia in rubrica: “violazione art. 3 legge n. 604/1966, anche in relazione agli artt. 41 Cost. e 30 legge n. 183/2010, 2094 c.c. e all’art. 18 della legge n. 196/1997; violazione artt. 111 comma 6 cost., e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione artt. 2727 e 2729 c.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.)”;
nello stesso motivo sono articolati più profili di censura:
1.1.1. col primo si deduce la violazione dell’art. 3 L. n. 604 del 1966, sostenendo che “la soppressione del posto di lavoro a tempo indeterminato può essere ritenuta radicalmente insussistente solo se il lavoratore licenziato venga effettivamente ‘sostituito’, in concomitanza o a breve distanza temporale dal recesso, da un altro lavoratore subordinato a tempo indeterminato neoassunto che sia chiamato a svolgere in via tendenzialmente definitiva le stesse attività cui era adibito il lavoratore licenziato”; a sostegno si evidenzia pure la violazione dell’art. 2094 c.c. e dell’art. 18 L. n. 196 del 1997, rilevando che “lo stage o tirocinio non è (e non è in alcun modo assimilabile) a un rapporto di lavoro subordinato”;
1.1.2. con la seconda censura si denuncia la “violazione dell’obbligo generale di motivazione di cui agli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c.”, lamentando che “lungi dall’essere in presenza di presunzioni, la Corte territoriale ha deciso la controversia facendo un “processo alle intenzioni””;
1.1.3. con l’ultimo profilo di critica del primo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione dei principi che governano la prova per presunzioni ex art. 2727 e 2729 c.c.”, contestando che la mera “ricerca… di stagisti” assuma quel rilievo di “gravità” a fini dimostrativi dell’asserita permanenza della posizione del lavoratore licenziato nell’organico aziendale;
1.2. il secondo motivo denuncia in rubrica: “falsa applicazione artt. 115 e 434 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione artt. 2727 e 2729 (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.)”;
nello stesso motivo sono articolati due profili di censura:
1.2.1. con il primo si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 434 c.p.c., nella parte in cui la sentenza gravata ha ritenuto non contestata “la riferibilità” alla OMISSIS Srl degli annunci di “ricerca… di stagisti” effettuati da società terza, quando il profilo di contestazione atteneva piuttosto alla circostanza che taluni contenuti dell’annuncio erano stati inseriti dall’Agenzia per il Lavoro GiGroup;
1.2.1. col secondo profilo si critica il ragionamento presuntivo operato dalla Corte territoriale nel punto in cui ha ritenuto “verosimile” che l’Agenzia terza “abbia formulato gli annunci in base alle esigenze rappresentate da OMISSIS”;
1.3. il terzo mezzo denuncia in rubrica: “violazione artt. 115, 116 e 188 c.p.c., falsa applicazione artt. 2721 c.c., 2697 c.c. e 5 legge n. 604/1966, nonché violazione artt. 111 comma 6 cost., 132 comma 2 n. 4 c.p.c.; violazione art. 421 e 437 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.)”;
nello stesso motivo è articolata una duplice censura:
1.3.1. con la prima si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere i giudici di entrambi i gradi ammesso la prova testimoniale richiesta dalla difesa della società, a dire della medesima avente “valenza decisiva”, senza neanche motivare, quindi anche in violazione dell’obbligo generale di motivazione;
1.3.2. con la seconda doglianza si critica la sentenza OMISSISugnata per aver ritenuto che la prova “negativa” di non avere effettuato nuove assunzioni con profilo professionale analogo a quello posseduto dal lavoratore licenziato dovesse essere necessariamente offerta per via documentale mediante produzione del LUL e non anche attraverso la prova testimoniale, pure richiesta; si eccepisce inoltre che “la Corte territoriale avrebbe dovuto al più chiedere a OMISSIS di esibire/produrre proprio quel più volte menzionato LUL”,
esercitando poteri istruttori ufficiosi alla ricerca della verità materiale;
2. la Corte giudica il ricorso non meritevole di accoglimento;
2.1. opportuno rammentare in premessa che, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, resta saldo il controllo sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’OMISSISrenditore a giustificazione del recesso e tale controllo è demandato al giudice del merito (per tutte v. Cass. n. 10699 del 2017); a questi è affidata, infatti, la valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità della ragione addotta dall’OMISSISrenditore e si tratta di accertamento che investe pienamente la quaestio facti, rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, che non consente una diversa ricostruzione della vicenda storica;
pertanto, condivisibilmente nella proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. è stato rilevato che “lo stabilire se il posto/ufficio sia stato effettivamente soppresso… è un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito”,
come ogni accertamento di fatto può essere sindacato innanzi a questa Corte nei ristretti limiti posti dal novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., vizio nella specie neanche prospettato in ricorso e comunque precluso dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, D.Lgs. n. 149 del 2022), ovvero può essere sindacato nel caso in cui la motivazione che sostiene detto accertamento sia in violazione del cd. minimum costituzionale, con radicale nullità della sentenza ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.;
in ogni caso, le Sezioni unite di questa Corte hanno sempre ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
ne consegue che ogni censura contenuta nei motivi di ricorso volta, nella sostanza, a contestare l’accertamento di fatto compiuto nel doppio grado di merito circa l’insussistenza della soppressione del posto di lavoro posta dalla datrice di lavoro a giustificazione del recesso risulta, in questa sede di legittimità, inammissibile;
resta da verificare se l’attività compiuta dai giudici per raggiungere tale persuasione resista alle ulteriori censure che sono mosse dai motivi di ricorso e che vanno esaminate partitamente;
2.2. la prima censura contenuta nel primo motivo è infondata;
dalla ricognizione dell’enunciato normativo dell’art. 3 L. n. 604 del 1966, di cui si deduce la violazione, così come dalla giurisprudenza che lo ha interpretato, non si evince in alcun modo l’assunto posto a base della doglianza secondo cui “la soppressione del posto di lavoro” che giustifica il licenziamento economico possa “essere ritenuta radicalmente insussistente solo se il lavoratore licenziato venga effettivamente ‘sostituito’, in concomitanza o a breve distanza temporale dal recesso, da un altro lavoratore subordinato a tempo indeterminato neoassunto che sia chiamato a svolgere in via tendenzialmente definitiva le stesse attività cui era adibito il lavoratore licenziato”;
la soppressione o meno di un posto di lavoro è un fatto, indissolubilmente legato alle circostanze del caso concreto, che può essere provato con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, e il suo accertamento è inevitabilmente affidato – come innanzi ribadito – all’apprezzamento del giudice del merito;
ciò posto si rivelano inconferenti anche le pretese violazioni dell’art. 2094 c.c. e dell’art. 18 L. n. 196 del 1997, atteso che, nella sentenza OMISSISugnata, in alcun modo si afferma che “lo stage o tirocinio” siano rapporti di lavoro subordinato;
2.3. sono infondate anche le censure, contenute nel primo e nel terzo motivo, in cui si lamentano carenze motivazionali della sentenza OMISSISugnata, che certamente supera, nel suo complessivo OMISSISianto, la soglia del cd. minimum costituzionale;
invero, le Sezioni unite civili già citate (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno ritenuto che l’anomalia motivazionale, OMISSISlicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016);
il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per confermare la pronuncia di primo grado e non è sufficiente a determinare il vizio radicale della nullità della sentenza né una eventuale insufficienza della motivazione, né, tanto meno, la circostanza che la medesima non soddisfi le aspettative di chi è rimasto soccombente;
2.4. le censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., contenute nel primo e nel secondo motivo, risultano inammissibili;
2.4.1. è noto che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione; spetta quindi al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010);
la delimitazione del campo affidato al giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017); essendo compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato, i quali presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria, nonché l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, l’esito dell’operazione si sottrae al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 9054 del 2022), salvo che esso non si presenti intrinsecamente OMISSISlausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto, chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.; più di recente v. Cass. n. 1234 del 2019) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053/8054 del 2014 cit. (in tali sensi cfr. Cass. n. 28772 del 2022 e Cass. n. 20540 del 2023);
2.4.2. ciò posto, nel caso che occupa il Collegio la denuncia di violazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. neanche è formulata, né poteva esserlo stante la preclusione della cd. “doppia conforme”, e per il resto non emerge la radicale illogicità del ragionamento probatorio compiuto dai giudici del merito, atteso che, avuto riguardo al primo motivo, il fatto noto valorizzato dai giudici non è stato la sola ricerca di personale per uno stage, bensì la ricerca di persone da destinare ad uno stage con la finalità di essere assunte ed inserite – secondo l’accertamento intangibile del merito – “nell’organizzazione aziendale con le stesse mansioni del lavoratore licenziato”, mentre, avuto riguardo al secondo motivo, l’inferenza logica circa la rispondenza dell’annuncio al mandato di chi ricerca il personale non è affatto priva di plausibilità;
2.5. parimenti inammissibile la prima censura del secondo motivo di ricorso, con cui si contesta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 434 c.p.c., per l’applicazione del principio di non contestazione, in coerenza con l’orientamento di questa Corte secondo cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (tra molte: Cass. n. 3680 del 2019; Cass. n. 3126 del 2019);
2.6. infine, non possono trovare accoglimento le residue doglianze contenute nel terzo motivo di ricorso in tema di prova;
2.6.1. quanto alla mancata ammissione delle prove richieste, per risalente e condiviso insegnamento di questa Corte, la mancata ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 16214 del 2019; da ultimo: Cass. n. 18072 del 2024); inoltre spetta esclusivamente al giudice del merito valutare gli elementi di prova già acquisiti e la pertinenza di quelli richiesti – senza che possa neanche essere invocata la lesione dell’art. 6, primo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo al fine di censurare l’ammissibilità di mezzi di prova concretamente decisa dal giudice nazionale (Cass. n. 13603 del 2011; Cass. n. 17004 del 2018) – con una valutazione che non è sindacabile nel giudizio di legittimità al di fuori dei rigorosi limiti OMISSISosti dalla novellata formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054/2014 cit.);
più di recente (Cass. n. 30810 del 2023; conf. Cass. n. 27610 del 2024) è stato ribadito che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è, in astratto, censurabile, o per inosservanza di norme processuali oppure per vizio di motivazione, ma in tale secondo caso solo nei ristretti limiti nei quali è oggi deducibile secondo il ristretto paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.; circa il primo aspetto, in via di principio, non va posto in dubbio il rilievo che il diritto alla prova assume quale strumento di un effettivo esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio attraverso un giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.; art. 6, par. 1, CEDU) di guisa che la sua violazione, ove per l’appunto si risolva in violazione anche di tali diritti-fine, è certamente censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; tuttavia una tale violazione è, però, configurabile allorquando il giudice del merito rilevi decadenze o preclusioni insussistenti (cfr. Cass. n. 910 del 1977) ovvero affermi tout court l’inammissibilità del mezzo di prova richiesto per motivi che prescindano da una valutazione, di merito, della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite; ove invece ci si muova in tale seconda prospettiva, ancorché la decisione del giudice di merito si risolva pur sempre nel rifiuto di ammettere il mezzo di prova richiesto, non viene in rilievo una regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore ma piuttosto – come è stato rilevato – “il potere (del giudice) di operare nel processo scelte discrezionali, che, pur non essendo certamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta” (Cass. SS.UU. n. 8077 del 2012); in tal caso, “la decisione si riferisce, certo, ad un’attività processuale, ma è intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciata con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa e, in definitiva, della sostanza stessa della lite. Il che spiega perché siffatte scelte siano riservate in via esclusiva al giudice di merito e perché quindi, pur traducendosi anch’esse in un’attività processuale, esse siano suscettibili di essere portate all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della motivazione che le ha giustificate, senza che a detta Corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierle” (Cass. SS.UU. n. 8077/2012 cit.); la mancata ammissione della prova pone, dunque, in tale ipotesi, solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e può pertanto essere denunciata in sede di legittimità (solo) per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 20693 del 2015; n. 66 del 2015; n. 5377 del 2011; n. 4369 del 1999);
2.6.2. tanto esposto, con le doglianze in esame neanche viene prospettato il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; inoltre, non può neanche essere condivisa la valenza decisiva delle circostanze capitolate, nel senso che le stesse, ove ammesse, avrebbero condotto ad un esito diverso della lite con prognosi quanto meno di rilevante probabilità;
circa l’esibizione del LUL, poi, la Corte territoriale non ha fatto discendere solo dalla mancata produzione di tale documento l’esito della lite, né ha affermato che la dimostrazione del fatto di cui la società datrice era onerata dovesse essere offerta esclusivamente mediante tale produzione;
in ogni caso, va anche rammentato che “la discrezionalità del potere officioso del giudice di ordinare alla parte o ad un terzo, ai sensi degli artt. 210 e 421 c.p.c., l’esibizione di un documento sufficientemente individuato, non potendo egli sopperire all’inerzia delle parti nel dedurre i mezzi istruttori, rimane subordinata alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118 e 210 c.p.c., nonché all’art. 94 disp. att. c.p.c., ed è ricollegata alla necessità dell’acquisizione del documento ai fini della prova di un fatto, senza che possa ordinarsi d’ufficio l’esibizione di documenti, di una parte o di un terzo, di cui l’interessato è in grado, di propria iniziativa, di acquisire una copia e di produrla in causa” (Cass. n. 38062 del 2021);
3. conclusivamente, il ricorso, nel suo complesso, deve essere respinto, con le spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
3.1. secondo le Sezioni unite di questa Corte, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, OMISSISrocedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, ma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. un., n. 36069 del 2023);
è stato anche affermato il principio secondo il quale: “non deve farsi luogo alla sanzione processuale di cui all’ultimo comma dell’art. 380 bis cod. proc. civ. laddove la definizione collegiale del ricorso prescinda del tutto dalla proposta di definizione anticipata, come nel caso in cui, a fronte d’una proposta di rigetto o d’inammissibilità nel merito, il ricorso venga dichiarato OMISSISrocedibile o inammissibile ab origine, oppure, come nel caso in esame, venga rigettato prendendo in esame motivi non vagliati in sede di proposta” (Cass. n. 21668 del 2024);
pertanto, nella specie il Collegio reputa di non disporre la condanna ex art. 96 c.p.c. in considerazione del rilievo che l’esito del giudizio di cassazione non risulta conforme alla proposta di definizione anticipata nella parte in cui o sono state disattese censure contenute nei motivi di gravame non specificamente esaminate nella proposta ovvero talune di esse sono state ritenute in questa sede infondate piuttosto che inammissibili;
3.2. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore OMISSISorto a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore OMISSISorto a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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