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16 luglio 2025

Cassazione 2025-Principio della Autonomia degli Addebiti nel Licenziamento per Giusta Causa

 

Cassazione 2025-Principio della Autonomia degli Addebiti nel Licenziamento per Giusta Causa

Introduzione
La sentenza della Corte di Cassazione del 17 giugno 2025 (n. 16358) affronta un aspetto fondamentale del diritto del lavoro riguardante il licenziamento per giusta causa fondato su più addebiti disciplinari. In particolare, si evidenzia che ogni singolo addebito conservi una propria autonoma rilevanza, salvo che la parte interessata dimostri che soltanto la valutazione congiunta di tutte le condotte possa giustificare la cessazione del rapporto lavorativo.

Principio di Autonomia degli Addebiti
Il principio cardine enunciato dalla Cassazione è che, in presenza di un licenziamento motivato da più condotte, ciascuna di esse costituisce un’autonoma base di giustificazione del licenziamento, a meno che il datore di lavoro non dimostri che la loro valutazione complessiva, considerata nel suo insieme, è tale da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto di lavoro.

In altre parole, la presenza di uno o più addebiti infondati o meno gravi non invalida automaticamente gli altri che abbiano carattere autonomo e sufficiente per giustificare il licenziamento. La decisione di reintegrare il lavoratore, quindi, deve essere presa considerando ciascuna condotta singolarmente e non esclusivamente sulla base della loro valutazione complessiva, salvo il caso in cui si dimostri che soltanto la loro analisi congiunta può giustificare la cessazione.

Caso di Applicazione: La Vicenda della ...
Il caso esaminato riguarda una ... dipendente di una ... lirico-sinfonica, licenziata per due addebiti disciplinari:
1. Allontanamento dalla residenza durante le fasce di reperibilità in periodo di malattia.
2. Partecipazione non autorizzata a una cerimonia religiosa, dove ha cantato in un coro.

La Corte di merito aveva ritenuto che la seconda condotta (partecipazione alla cerimonia religiosa) non fosse rilevante ai fini disciplinari, poiché non costituiva attività professionale e non risultava essere stata oggetto di preventiva autorizzazione, quindi aveva escluso la sua valenza come motivo di licenziamento. Di conseguenza, aveva disposto la reintegra della dipendente.

La Cassazione, invece, con una pronuncia di riforma, afferma che anche le condotte in apparenza meno gravi o marginali (come la partecipazione a un coro religioso) conservano una loro autonomia e idoneità a giustificare il licenziamento, se considerati isolatamente. La rilevanza di ciascun addebito deve essere valutata separatamente, salvo il caso in cui si dimostri che soltanto la loro valutazione congiunta possa rendere il licenziamento legittimo.

Implicazioni Pratiche
La pronuncia chiarisce che:
- La presenza di più addebiti non comporta automaticamente la nullità o l’inesistenza di uno o più di essi.
- La verifica della giustificazione del licenziamento deve essere condotta analizzando ogni addebito singolarmente, e non solo come parte di un insieme.
- La parte che intende contestare la validità di uno degli addebiti può dimostrare che soltanto la loro valutazione complessiva rende il licenziamento legittimo, al fine di ridimensionare o escludere la rilevanza di singoli fatti.

Conclusione
La sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto disciplinare nel rapporto di lavoro: ogni condotta contestata ha una propria autonomia e rilevanza, e tale autonomia può essere riconosciuta o meno a seconda delle circostanze specifiche e delle prove acquisite. Questo approccio tutela sia il datore di lavoro nella possibilità di adottare sanzioni proporzionate e motivate, sia il lavoratore, che può difendersi singolarmente da ogni addebito contestato, senza che la validità di uno di essi automaticamente comprometta tutta la contestazione disciplinare.

In definitiva, la Cassazione conferma che la valutazione della giusta causa deve essere fatta analizzando con attenzione ogni singolo addebito, e non può essere ridotta a una mera somma di fatti, a meno che non si dimostri che solo la loro valutazione congiunta possa giustificare la cessazione del rapporto di lavoro.


CORTE DI CASSAZIONE 17 giugno 2025, n. 16358
 Svolgimento del processo
1.Con sentenza n. 1660/2024 pubblicata l’1.3.2024 il Tribunale di Napoli – sezione Lavoro – ha respinto l’opposizione proposta da ... avverso l’ordinanza di rigetto dell’impugnativa del licenziamento intimatole dalla ... ... ... con lettera del 30.6.2022 a seguito di contestazione disciplinare del 9.6.2022. Con tale missiva la ... aveva contestato alla ..., dipendente con mansioni di ... dal 21.9.2009, che durante il periodo di malattia dal 3 maggio al 12 giugno 2022, coperto da certificazione medica, si era allontanata dal domicilio nelle date del 21 e 28 maggio, durante le ore di reperibilità, per pranzare fuori con il suo compagno, fare acquisti nei negozi e cantare durante cerimonie religiose e ciò a dispetto del suo stato di malattia; e di aver cantato con altri coristi tra cui il Sig. ... al di fuori del ... senza richiedere la prescritta autorizzazione.
2. Con sentenza n. 2700/2024 del 28 giugno 2024 la Corte d’Appello di Napoli ha parzialmente accolto il reclamo proposto dalla lavoratrice e, in riforma dell’impugnata sentenza, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, ordinato l’immediata reintegrazione della ... nel posto di lavoro precedentemente occupato e condannato la ... al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a n. 8 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita (pari a Euro 2.600,27 lordi mensili), oltre accessori di legge dalla maturazione fino al soddisfo ed al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, oltre interessi. La Corte ha, invece, rigettato la domanda di risarcimento del danno da aggravamento delle patologie dalle quali la lavoratrice era affetta in conseguenza dell’illegittimo licenziamento. La Corte territoriale, premesso che nonostante la contestazione disciplinare si riferisse anche “ad un’altra uscita, in data 28 maggio 2002 alle ore 13.05 circa, le difese delle parti, come pure la decisione del Giudice, sono concentrate sul primo e più significativo episodio di svolgimento di attività canora (cioè quella propria della ricorrente a livello professionale, per la quale lo stato di malattia era stato ritenuto ostativo), senza la dovuta richiesta di autorizzazione preventiva”, ha ritenuto che le condotte descritte nella relazione investigativa posta a fondamento della contestazione disciplinare, pacifiche sotto l’aspetto fattuale, non fossero idonee ad integrare gli illeciti disciplinari contestati. In particolare, la Corte napoletana ha, da un lato, escluso, anche alla luce della natura della patologia diagnosticata (disturbo depressivo reattivo), che le attività svolte dalla ... fossero incompatibili con la malattia o tali da determinare il rischio di pregiudicare o ritardare il recupero fisico; dall’altro, ha ritenuto che l’attività occasionale di partecipazione ad un coro in una funzione religiosa privata fosse di modesta portata e contenuta nei limiti della vita privata, non potendo qualificarsi in termini di prestazione professionale, così da non richiedere la preventiva autorizzazione da parte della .... Alla luce delle suddette considerazioni la Corte concludeva per “l’insussistenza del fatto contestato di cui all’art. 18 comma 4 dello statuto dei lavoratori, come modificato dalla L. n. 92/2012, art. 1, comma 42, lett. b)” atteso che “il fatto, pur esistente nella sua materialità era privo di quella connotazione di illiceità, offensività, o antigiuridicità tale e necessaria da rendere apprezzabile la rilevanza disciplinare” ritenendo applicabile la tutela reintegratoria attenuata con condanna del datore di lavoro ad una indennità che, “tenuto conto dell’età della ricorrente (nata nel 1971) al momento del licenziamento, della durata del rapporto di lavoro nonché delle obiettive difficoltà di reperimento di altra occupazione, delle dimensioni dell’impresa”, quantificava in otto mensilità della retribuzione globale di fatto.
3. Avverso tale decisione la ... ... ... ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
4. Ha resistito con controricorso la ... svolgendo ricorso incidentale affidato ad un motivo.
5. Le parti hanno prodotto memoria.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso la ... lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 3 legge 20 maggio 1970 n. 300, nonché dell’art. 1453 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., art. 183 c.p.c., art. 420 c.p.c. e 437 c.p.c. per avere la sentenza, in assenza di motivazione e autorizzazione disposto la reintegra nel posto di lavoro sebbene la ricorrente avesse esercitato l’opzione, alternativa al posto di lavoro, con il ricorso introduttivo di lite come risultante inequivocabilmente sia alla luce delle deduzioni in diritto circa gli effetti economici del licenziamento, diffusamente argomentate nel ricorso introduttivo di lite, sia per le conseguenti conclusioni rassegnate nel ricorso ex art. 1, co. 48,legge 92/12, come trascritti in ricorso. Evidenzia, infatti, che l’esercizio dell’opzione alternativa al posto di lavoro, ricavabile agevolmente dalla espressa volontà manifestata nel ricorso, dalla quantificazione della somma richiesta in sede di condanna (pari alla somma delle 12 mensilità di indennizzo con le 15 dell’opzione) e dalla voluta assenza di una domanda di reintegra, determinava la rinuncia “irreversibile” della lavoratrice alla prestazione alternativa e, nello specifico, alla continuazione del rapporto di lavoro con maturazione della preclusione della possibilità in prosieguo di chiedere la reintegra, in ragione della natura negoziale della dichiarazione di volontà di cessazione del rapporto (cfr. Cassazione, 3775/2009). La Corte di Appello, pertanto, ha erroneamente accolto la domanda di reintegra, svolta solo in sede di appello e, pertanto, inammissibile, omettendo qualsiasi motivazione sul punto, alterando l’originario petitum.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 e 22 del CCNL versato in atti nonché violazione degli artt. 1362 c.c. e seguenti nonché dell’art. 23 del D.Lgs. 367/96 nonché dell’art. 3 del d.l. 30 aprile 2010 n. 64 convertito con legge 100/2010 nella parte in cui la sentenza impugnata, nonostante avesse accertato che la ... ha posto in essere i comportamenti materiali contestati, ha escluso la rilevanza giuridica del fatto addebitato attribuendo, in violazione delle norme di interpretazione dei contratti, rilevanza a circostanze del tutto estranee alla specifica fattispecie sanzionatoria individuata dal CCNL che all’art. 21, comma 2 alla rubrica “diritti e doveri” recita: “Fatte salve le deroghe previste per lo scritturato in forza degli artt. 2A e 3 del presente contratto, durante il periodo di validità del contratto è fatto assoluto divieto allo scritturato di prendere parte ad alcun altro spettacolo, sia pubblico che privato, e di prestare la propria opera per la produzione e la sincronizzazione di film, per trasmissioni radiofoniche o televisive, per incisioni di dischi o per la realizzazione di documentari o shorts pubblicitari.” La norma collettiva, infatti, impone all’artista un divieto assoluto di partecipare a eventi pubblici e privati, tra i quali rientra anche la partecipazione in qualità di corista ad una cerimonia privata nuziale per intonare canti di accompagnamento per allietare la cerimonia.
3. Con il terzo motivo di ricorso la ... deduce la Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 legge 20 maggio 1970 n. 300, dell’art. 2119 c.c. nonché dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 2697 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nella parte in cui non ha ritenuto provato il carattere “professionale” della prestazione della ... in assenza di un contratto con i nubendi e di prova di pagamento di un corrispettivo, così invertendo l’onere probatorio. Lamenta la ricorrente che a fronte della pacifica esistenza di circostanze oggettive fattuali, quale la prestazione canora connessa con la specifica professionalità artistica della ..., resa in occasione della cerimonia nuziale, incombeva alla lavoratrice l’onere di dimostrare il carattere estraneo al divieto connesso con la prestazione e non alla datrice di lavoro l’onere di provare il carattere “professionale” della stessa, peraltro desumibile anche in base a presunzioni. Lamenta, altresì, l’omessa valutazione della allegata circostanza fattuale della presenza di recidive in attività professionali parallele non autorizzate, decisiva al fine di valutare il carattere professionale e non ludico della condotta contestata ed il suo carattere non occasionale. L’allegazione della “recidiva”, ritenuta inammissibile dalla Corte d’Appello, era invero rituale e rilevante in quanto finalizzata a valutare soggettivamente la condotta a prescindere dalla sua contestazione specifica richiesta solo se integrante una recidiva cd “tecnica”.
4. Anche con il quarto motivo di ricorso la ... lamenta l’omessa valutazione di un fatto deciso per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai fini dell’art. 2119 c.c. deducendo che la sentenza impugnata, nel ritenere che l’attività in contestazione era occasionale, di modesta portata e non configurante una condotta antigiuridica ha omesso di valutare, come rilevato nel precedente motivo di ricorso, che la ... aveva già posto in essere condotte in violazione del divieto, subendo anche sanzioni specifiche. Evidenzia che tali fatti, ove esaminati, avrebbero impedito il giudizio formulato dalla Corte di Appello per la quale la prestazione contestata “è stata occasionale ed è rimasta contenuta nei limiti della vita privata”.
5. Con il quinto motivo si censura la sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. nonché dell’art. 112 c.p.c. per assenza di motivazione e disamina delle contestazioni relativamente all’allontanamento della ... durante le fasce orarie di reperibilità nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e dell’art. 1 del D.M. 11 gennaio 2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Espone che la sentenza impugnata, concentrando il proprio decisum sulla rilevanza disciplinare della contestazione relativa alla prestazione canora resa senza autorizzazione dalla Sig.ra ..., ha del tutto omesso di motivare e analizzare i fatti oggetto di addebiti formulati nella lettera di contestazione e relativi ad una serie di episodi riguardanti allontanamenti durante le fasce orarie di reperibilità.
6. Con il sesto ed ultimo motivo di ricorso la ... deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 della legge 20 maggio 1970 n. 300 nella parte in cui ha disposto la reintegra nel posto di lavoro della ... nonostante la prova delle violazioni connesse con gli obblighi scaturenti dalla sua assenza per malattia essendo risultato accertato che la lavoratrice in almeno due episodi si è allontanata dal domicilio sottraendosi alla possibilità di essere sottoposta alle visite di controllo.
7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la lavoratrice censura la sentenza per falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, D.Lgs. 23 del 2015 e violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, St. lav. in relazione alla misura dell’indennità risarcitoria. Lamenta che la Corte di Appello di Napoli, dopo aver correttamente accertato l’illegittimità ed inefficacia del recesso intimato alla ... e condannato la ... a reintegrare in forza dell’art. 18, comma 4, St. lav. la lavoratrice nel posto di lavoro, ha poi errato non solo nel fare riferimento alla norma di cui all’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 23 del 2015 ma, soprattutto, nel limitare l’indennità risarcitoria dovuta per il periodo intercorrente tra la data del recesso e la reintegrazione nel posto di lavoro a 8 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, benchè quest’ultima – dovuta per il periodo intercorrente dalla data del recesso e la reintegrazione nel posto di lavoro – per voluntas legis non possa superare le 12 mensilità, ma non può essere inferiore a tale misura laddove il periodo di durata tra l’illegittimo licenziamento e la reintegra sia superiore all’anno.
8. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. L’odierna ricorrente contesta il fatto che la Corte d’Appello, a fronte di una originaria domanda di condanna della ... al pagamento dell’indennità nella misura di 15 mensilità, alternativa alla reintegra nel posto di lavoro, abbia accolto nel giudizio di secondo grado una domanda che, in tesi, sarebbe nuova in quanto svolta unicamente in sede di reclamo, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 345 del codice di rito, così violando il principio di cui all’art. 112 c.p.c.
8.1. Ciò premesso, va evidenziato che della questione dell’asserito esercizio del diritto di opzione da parte della ... non vi è traccia in sentenza. Va, pertanto, rilevata l’inammissibilità della censura, non essendo né allegata l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, né, in virtù del principio di autosufficienza, indicato in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto. Va, infatti, rilevato che i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (cfr Cass. n. 18018/2024, Rv. 671850 – 01).
8.2. La censura è, altresì, inammissibile per carenza di autosufficienza in relazione alla dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., correlata alla violazione dell’art. 345 c.p.c. per novità della domanda di reintegra asseritamente svolta solo in sede di reclamo. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione imponeva, infatti, che l’odierna ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto degli atti che sorreggevano la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a una autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi. Al contrario la ricorrente si è limitata a riprodurre, peraltro parzialmente, il contenuto delle allegazioni in fatto e le deduzioni in diritto e le conclusioni svolte dalla ... nel solo ricorso svolto ex art. 1, comma 48 della L. 92/2012. La ... ha, invece, omesso di riportare, neppure per stralci, il contenuto dell’atto di opposizione svolto ex art. 1, comma 51, della medesima legge e dell’atto di reclamo proposto dalla ..., nel quale sarebbe stata svolta la domanda nuova né della sua comparsa di costituzione in sede di reclamo. In tal modo non ha posto questa Corte nella condizione di apprezzare compiutamente il fondamento della censura svolta anche tenuto conto di quanto ripetutamente affermato da questa Corte in relazione alla struttura unica a composizione bifasica del giudizio di primo grado nel rito cd. Fornero ed alle relative conseguenze in tema di mutatio libelli (Cfr. Cass. n. 9458 del 04/04/2019, Rv. 653605-01; Cass. Sez. Un. n. 19674/2014, nonché Cass. n. 38209 del 03/12/2021, Rv. 663027-01). Inoltre, la deduzione sulla novità della domanda non risulta essere stata posta nel giudizio di appello dalla odierna ricorrente dato che il ricorso nulla dice espressamente su questo punto e dalle conclusioni spiegate dalle parti come riportate nella sentenza impugnata non emerge affatto che tale questione fu posta alla Corte in sede di reclamo (Sul punto si vedano la considerazione svolte da Cass. n. 5815 del 2023; Cass. n. 21381 del 2018). In mancanza di una simile indicazione le doglianze in esame risultano giocoforza inammissibili, per violazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ..
9. Il secondo motivo è infondato. Come evidenziato anche dalla Corte d’Appello in sentenza, “ai sensi del D.Lgs. n. 367/96 il personale delle fondazioni liriche ha, con il datore di lavoro, un rapporto a carattere esclusivo che non consente ulteriori rapporti a meno che non si tratti di lavoro autonomo per prestazioni ad alto valore artistico e professionale, previa specifica autorizzazione del consiglio di amministrazione della ... e sempre che ciò non ne pregiudichi le esigenze produttive. La successiva legge n. 100/2010, confermando il precedente orientamento, all’art. 3 ha statuito che il personale dipendente delle fondazioni lirico sinfoniche, previa autorizzazione del sovrintendente, può svolgere attività dì lavoro autonomo per prestazioni di alto valore artistico e professionale nei limiti, definiti anche in termini di impegno orario percentuale in relazione a quello dovuto per il rapporto di lavoro con la ... di appartenenza, e con le modalità previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro, sempre che ciò non pregiudichi le esigenze produttive della ...”.
9.1. L’art. 21 CCNL applicato, d’altra parte, al comma 2 “diritti e doveri” prevede che “Fatte salve le deroghe previste per lo scritturato in forza degli artt. 2A e 3 del presente contratto, durante il periodo di validità del contratto è fatto assoluto divieto allo scritturato di prendere parte ad alcun altro spettacolo, sia pubblico che privato, e di prestare la propria opera per la produzione e la sincronizzazione di film, per trasmissioni radiofoniche o televisive, per incisioni di dischi o per la realizzazione di documentari o shorts pubblicitari. In deroga a quanto sopra, peraltro, l’impresa a richiesta dello scritturato, gli consentirà negli ultimi 15 giorni di impegno lavorativo, di prestare altrove la propria opera purché essa si riferisca a rapporti contrattuali aventi decorrenza e termine rispettivamente anteriore e posteriore alla scadenza della scrittura teatrale. L’attività in questione dovrà in ogni caso svolgersi nella città ove agisce la compagnia e non comportare alcuna prestazione al pubblico. La violazione dei divieti fissati dal presente articolo comporterà l’applicazione nei confronti dello scritturato dei provvedimenti disciplinari previsti dal Regolamento di palcoscenico, salva l’ulteriore responsabilità per i danni arrecati all’impresa”. La parte della norma contrattuale in cui si attribuisce rilievo, ai fini della necessità dell’autorizzazione, alla partecipazione ad uno spettacolo, sia pubblico che privato, diverso da quello oggetto del contratto di scrittura teatrale, va letta, dunque, unitamente alla sua seconda parte in cui si esplicita che l’oggetto del divieto è costituito dalla prestazione d’opera relativa “a rapporti contrattuali” (che, in deroga al divieto stesso, può essere “consentita negli ultimi 15 giorni di impegno lavorativo”).
9.2. Ciò posto in diritto, premesso che è incontestato che la ... il giorno 21 maggio 2022 ha partecipato ad un coro durante una cerimonia religiosa privata, deve rilevarsi che la Corte d’Appello non ha violato le norme indicate avendo, in base ad accertamento in fatto insindacabile, accertato che la partecipazione alla cerimonia religiosa, per le sue caratteristiche (modesta durata, occasionalità) non rientrasse tra le attività precluse, difettando il carattere della professionalità (mancando la prova di un preventivo ingaggio e dell’elargizione di un compenso) cui correlare la necessità della preventiva richiesta autorizzatoria. La Corte ha, infatti, correttamente evidenziato che non è sufficiente a qualificare come professionale l’attività svolta dalla ... al di fuori del ... la mera coincidenza con l’oggetto di quella svolta professionalmente né il contenuto artistico in quanto “Non può sostenersi che la partecipazione ai canti in Chiesa di cui si discute – se fatta da un’artista canora – costituisca ex se una prestazione professionale”.
9.3. La Corte territoriale ha, dunque, correttamente interpretato le previsioni del contratto collettivo ed ha bene individuato il discrimine tra attività lavorativa e attività della vita privata, sempre consentita ove anche abbia un contenuto artistico, e ricondotto, con ampia e condivisibile motivazione, a quest’ultima l’attività di partecipazione ad un coro durante una cerimonia religiosa.
10. Il terzo motivo è palesemente inammissibile. In primo luogo, ci si trova di fronte ad un motivo c.d. “misto” – deducendosi sia il l’omesso esame di fatto decisivo sia la violazione o falsa applicazione di legge – con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
10.1. Le censure sono altresì inammissibili, in quanto la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. ricorre solo quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541), evenienza che, nel caso in esame, non è stata nemmeno dedotta dalla ricorrente. La valutazione della ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. e dell’idoneità degli elementi presuntivi considerati a fondare una inferenza di tipo probabilistico riguardo ai fatti ignoti da provare, costituisce, invece, attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito. È, dunque, inammissibile il motivo quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali, per essere il giudice partito da un presupposto fattuale erroneo, o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.
10.2. Né sussiste la violazione dell’art. 2697 cod. civ., che si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769). Va, infatti, rilevato che l’art. 5 della L. n. 604 del 1966 pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova di tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato.
11. Per quanto poi attiene alla censura ex art. 360 n. 5 di cui all’ultima parte del terzo motivo coincidente con il quarto motivo, va rilevato che la Corte d’Appello, ha ritenuto, sebbene con motivazione erronea, (cfr. ex multis Cassazione, 14 luglio 2023 n. 20284 “La preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione del licenziamento disciplinare, anche la recidiva, e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva applicabile, rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già un mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l’infrazione disciplinare commessa”) che la recidiva fosse “irrilevante”. Ciò va letto con la successiva parte della motivazione in cui la Corte riconduce la condotta materiale della ... (aver cantato ad una cerimonia religiosa) ad un fatto del tutto privo di rilievo giuridico, rispetto al quale resta completamente estranea la questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta rispetto alla sanzione espulsiva, nella cui valutazione è possibile tener conto della recidività, cioè della reiterazione delle medesime condotte quale dato rilevante al fine della valutazione di gravità dell’elemento soggettivo.
11.1. In ogni caso la considerazione della recidiva ai fini della valutazione, sotto il profilo soggettivo, del fatto addebitato spetta alla valutazione del giudice del merito, unitamente a ogni ulteriore elemento idoneo a qualificare la gravità della condotta e l’importanza dell’inadempimento, sicché la sua eventuale pretermissione, di per sé sola, non è idonea a privare di fondamento il convincimento del giudice (Cfr. Cass. n. 107 del 2024).
12. Il quinto motivo è, invece, fondato. Occorre, infatti, sottolineare che la contestazione disciplinare aveva, pacificamente, ad oggetto due distinte condotte, concretizzatesi in primo luogo nell’allontanamento della ... dalla sua residenza durante le fasce di reperibilità e, in secondo luogo, nell’aver svolto attività (pranzare fuori con il suo compagno, fare acquisti nei negozi e cantare durante cerimonie religiose) a dispetto del suo stato di malattia. La stessa Corte d’Appello dà atto che “la contestazione si riferisce pure ad un’altra uscita, in data 28 maggio 2022 alle ore 13.05 circa”.
12.1. Va, al riguardo, considerato che qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente non in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservano la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento (cfr. Cass. n. 454 del 14/01/2003, Rv. 559688-01). Non è dunque il datore di lavoro a dover provare di aver licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensì la parte che ne ha interesse, ossia il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro (In tal senso Cass. n. 18836/2017, Rv. 645250 – 01). In ordine al secondo addebito la sentenza impugnata, pur rilevando che “gli episodi di allontanamento dal domicilio sono ormai pacifici tra le parti, di modo che non appare necessaria l’attività istruttoria pure sollecitata dalla reclamante”, non si pronuncia in alcun modo, limitandosi ad affermare che “le difese delle parti, come pure la decisione del Giudice, sono concentrate sul primo e più significativo episodio di svolgimento di attività canora (cioè quella propria della ricorrente a livello professionale, per la quale lo stato di malattia era stato ritenuto ostativo), senza la dovuta richiesta di autorizzazione preventiva”.
12.2. Osserva, inoltre, il Collegio che principio giurisprudenziale consolidato di questa Suprema Corte è quello secondo il quale la parte vittoriosa in primo grado, che veda integralmente accolta la sua posizione processuale per tutte o per alcune soltanto (come nella specie) delle ragioni prospettate, non è tenuta né a proporre impugnazione incidentale, né a riproporre con espresse deduzioni le ragioni non delibate o, comunque, pretermesse in sentenza, essendo necessario unicamente che ad esse non rinunci, né esplicitamente, né implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame ove necessario, e pertanto non abdicativa.
12.3. In applicazione dei suddetti principi, dunque, il Giudice di rinvio dovrà riesaminare il fatto e determinare se l’addebito, ritualmente contestato e considerato pacifico nella sua materialità, relativo all’allontanamento della ... dalla sua residenza nelle fasce di reperibilità in due occasioni (21 e 28 maggio 2022) sia di per sé insufficiente a giustificare un licenziamento.
13. Il sesto motivo del ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale, attinenti alle conseguenze dell’illegittimità del licenziamento, risultano assorbiti dall’accoglimento del quinto.
14. In conclusione, dichiarati inammissibili i motivi da 1 a 4, ed assorbiti il sesto motivo di ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale, il ricorso va accolto limitatamente al quinto motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei principi sopra esposti provvedendo, altresì, alle spese del presente giudizio di legittimità.
15. In considerazione della natura della controversia, venendo in rilievo dati sensibili, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del D.Lgs. n. 196 del 2003, va disposto l’oscuramento di ufficio delle generalità e degli altri dati identificativi di ...
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale e dichiara inammissibili il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti il sesto motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, alla quale demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi le generalità e gli altri dati significativi di ...



 

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