Consiglio di Stato 2025- Il presente commento analizza nel dettaglio la decisione del Consiglio di Stato relativa all’appello proposto dall’Assistente Capo della Polizia di Stato contro la sentenza del Tar del Veneto, che aveva respinto il ricorso avverso una sanzione disciplinare di sospensione di un mese inflitta dal Capo della Polizia.
**Contesto fattuale e procedimentale**
L’appellante, in qualità di Presidente e rappresentante legale dell’Associazione «...», si trova coinvolto in un procedimento che ha portato alla sua sospensione disciplinare. La sospensione deriva da un procedimento disciplinare avviato in relazione a comportamenti ritenuti gravemente negligenti o non improntati a lealtà e correttezza, e che si inserisce nel quadro di un più ampio procedimento di cancellazione dall’Albo regionale dei Gruppi Volontari di Protezione Civile e dal Registro Regionale delle Organizzazioni di Volontariato.
L’associazione stessa era stata cancellata per aver evidenziato comportamenti dannosi o irrispettosi verso le istituzioni e la collettività, tra cui l’utilizzo improprio di mezzi di servizio, tra cui autovetture con dispositivi di emergenza e grafiche simili a quelli di polizia, e comportamenti in violazione dei divieti comunali e delle norme sulla gestione dei rifiuti e sulla circolazione su strade silvo-pastorali.
**Fatti rilevanti**
Per ciò che concerne i fatti di interesse:
1. **Utilizzo di mezzi simil-polizia**: L’associazione possedeva due autovetture dismesse dalla Polizia di Stato, con allestimenti e colorazioni simili a quelle dei mezzi ufficiali, che sono state oggetto di scrutinio. In particolare, la ... presentava un allestimento «già in uso alla Polizia Stradale», e ciò ha sollevato sospetti circa l’uso improprio di mezzi con caratteristiche di ufficialità.
2. **Sanzioni e verifiche**: Il 7 marzo 2016, la Polizia Stradale di ... ha sanzionato un Assistente della Polizia di Stato per violazione del Codice della Strada, rilevando che la vettura Volvo utilizzata dall’associazione aveva un allestimento simile a quello di un mezzo della Polizia. La notifica del verbale e il ritiro della carta di circolazione sono stati effettuati dalla Polizia Locale del Comune di ... della ..., che ha anche proceduto alle contestazioni e alle verifiche sui documenti di circolazione.
3. **Comportamenti contestati**: La condotta contestata include l’utilizzo di mezzi e dispositivi di emergenza in modo non conforme, nonché comportamenti che hanno sollevato dubbi sulla legittimità dell’impiego di tali mezzi e sulla gestione dei servizi di volontariato.
**Argomentazioni del Consiglio di Stato**
Il Consiglio di Stato, nel pronunciarsi sull’appello, analizza varie questioni, tra cui:
- La legittimità della sospensione disciplinare in relazione alle norme del d.P.R. n. 737/1981 e delle relative disposizioni sul comportamento dei pubblici ufficiali e delle forze di polizia.
- La valenza e l’impatto delle condotte contestate in relazione alla posizione di rappresentanza e alla condotta dell’Assistente Capo, tenendo conto anche del ruolo di rappresentanza dell’associazione e delle implicazioni di eventuali comportamenti non conformi.
- La valenza delle prove acquisite, tra cui i verbali di contestazione, le verifiche sui mezzi e la documentazione relativa alle circolazioni e all’uso dei veicoli.
In conclusione, il Consiglio di Stato valuterà se la sanzione disciplinare sia giustificata e proporzionata alle condotte contestate, e se siano stati correttamente applicati i principi di legge, considerando anche eventuali elementi di attenuazione o di difesa dell’appellante.
**Sintesi**
Il caso si inserisce in un contesto di controllo e disciplina delle associazioni di volontariato che utilizzano mezzi propri, con particolare attenzione all’uso di veicoli che possano creare equivoci circa la loro identità e il loro ruolo. La decisione del Consiglio di Stato dovrà bilanciare il principio di lealtà e correttezza richiesto agli operatori di polizia e volontariato, con la tutela dei diritti dell’appellante, e valutare la fondatezza delle contestazioni e la proporzionalità della sanzione.
**Note conclusive**
L’intera vicenda evidenzia l’importanza di rispettare le norme sulla circolazione, sull’impiego di mezzi con caratteristiche di ufficialità, e sulla gestione delle associazioni di volontariato, al fine di evitare comportamenti che possano compromettere la credibilità e la legittimità del sistema di protezione civile e delle forze di polizia. La decisione del Consiglio di Stato sarà determinante nel chiarire i limiti e le responsabilità di tali soggetti nell’ambito delle attività di volontariato e di tutela dell’ordine pubblico.
Pubblicato il 11/07/2025
N. 06097/2025REG.PROV.COLL.
N. 05011/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5011 del 2024, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato ... ..., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n.12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. -OMISSIS-/2024, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2025 il Cons. Marco Poppi;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’odierno appellante, Assistente Capo della Polizia di Stato, con il presente appello censura la sentenza del Tar per il Veneto che respingeva il ricorso proposto avverso la sanzione disciplinare della sospensione per la durata di un mese inflitta dal Capo della Polizia con decreto del 3 dicembre 2018 ai sensi dell’art. 6, n. 1, del d.P.R. n. 737/1981 «in relazione all’art. 4, n. 18» della medesima fonte.
Per esigenze di completezza espositiva deve sin d’ora evidenziarsi che l’appellante rivestiva la carica di Presidente pro tempore e legale rappresentante dell’Associazione «...», destinataria di un provvedimento di cancellazione dal Registro Regionale delle Organizzazioni di Volontariato per perdita dei requisiti necessari (decreto n. 271 del 25 settembre 2015 della Regione Veneto che, con successivo decreto n. 12 del 20 luglio 2017, respingeva l’istanza di reiscrizione).
La cancellazione veniva disposta per accertate «gravi negligenze o ripetuti comportamenti non improntati a lealtà e correttezza» del Presidente e del Vice Presidente «dannosi per la collettività e irrispettosi nei confronti delle istituzioni e dell’associazione stessa».
La Regione Veneto, in data 22 agosto 2018, disponeva altresì la cancellazione dell’Associazione dall’Albo regionale dei Gruppi Volontari di Protezione Civile rilevando gravi comportamenti da parte dei membri dell’organizziamone specificate nell’utilizzo dei mezzi di servizio, muniti di dispositivi acustici e luminosi d’emergenza, «in modo incompatibile con il loro impiego all’interno del Sistema regionale di protezione civile», incuria nella gestione di rifiuti e transito su strade silvo-pastorali in violazione dei vigenti divieti comunali.
Deve ulteriormente premettersi che l’Associazione era proprietaria, per quanto qui di interesse, di due autovetture (... e ...) dismesse dalla Polizia di Stato, munite di dispositivi di emergenza acustici e luminosi. e recanti colorazioni originali e grafiche simili, quando non identiche, a quelle dei mezzi di istituto.
Quanto ai fatti di interesse ai presenti fini si evidenzia che:
- in data 7 marzo 2016, la Polizia Stradale di ... sanzionava l’Assistente -OMISSIS- per la violazione dell’art. 78, commi 3 e 4, del Codice della Strada (di seguito Codice) rilevando come la vettura ... presentasse un allestimento «già in uso alla Polizia Stradale»;
- le operazioni di notifica del verbale e ritiro della carta di circolazione per gli aggiornamenti del caso venivano demandate alla Polizia Locale del Comune di ... della ... che provvedeva il 6 giugno 2016 e nell’occasione l’appellante, qualificatosi mediante esibizione del tesserino di riconoscimento, chiedeva agli operanti l’esibizione dei documenti del loro mezzo di servizio provvedendo il 14 giugno successivo, alla contestazione della medesima violazione;
- il verbale notificato all’appellante veniva dapprima impugnato dinanzi al Prefetto che lo dichiarava inammissibile con provvedimento successivamente impugnato con ricorso proposto dinanzi al Giudice di Pace di Conegliano Veneto che lo respingeva;
- in data 6 agosto 2016 la Polizia Locale di ... della ... contestava all’appellante la violazione dell’art. 78, commi 3 e 4, del Codice relativamente alla .... La contravvenzione veniva impugnata dinanzi al Giudice di Pace di Conegliano Veneto che respingeva il ricorso;
- il 19 giugno 2017 il medesimo Ufficio contestava nuovamente all’Assistente Capo -OMISSIS- la stessa violazione in quanto fermato l’11 giugno precedente alla guida del mezzo senza aver provveduto alla richiesta di aggiornamento della carta di circolazione (cancellazione dell’indicazione «dotato di dispositivi lampeggianti e sirena bitonale ad uso protezione civile» con invito ad esibire il documento per il ritiro in un termine assegnato ai sensi dell’art. 180, comma 8, del Codice, cui seguiva in luogo dell’esibizione la trasmissione, da parte del -OMISSIS-, di copia del documento tramite pec);
- il 10 agosto 2017 la Polizia Stradale di ... rilevava la permanenza dell’allestimento della vettura per servizi istituzionali con presenza sul tettuccio del mezzo della grafica a «V» e del «numero aereo “92”».
Gli episodi sopra descritti, nel loro complesso, costituivano oggetto di segnalazione da parte del Dirigente della Polizia Stradale di Padova alla Questura di ... con atto del 24 agosto 2017 con il quale l’Ufficio segnalante esponeva come «l’atteggiamento adottato dall’Assistente -OMISSIS- -OMISSIS- appare particolarmente grave non avendo egli compreso la portata delle sue condotte. Non ha tenuto in alcun conto il verbale elevatogli nel marzo 2016 né la successiva decisione del Prefetto di ... sul ricorso, né quanto emerso nella sentenza su indicata del Giudice di Pace ed è in corso in una nuova violazione dello stesso articolo perseverando in un comportamento che più Autorità hanno nei diversi modi dichiarato non conformi alle vigenti normative. Si evidenzia anche che appare molto grave che abbia consapevolmente operato al fine di non effettuare la consegna della carta di circolazione del veicolo che doveva essere ritirata».
Il Questore di ..., sulla scorta di quanto rappresentato, avviava un procedimento disciplinare a carico dell’Assistente Capo -OMISSIS- nominando in data 8 settembre 2017, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, il Funzionario Istruttore che procedeva alla contestazione degli addebiti il 25 settembre 2017.
In detta sede, richiamati gli artt. 24 («Compiti istituzionali della Polizia di Stato») e 68 («Doveri fuori servizio per gli appartenenti all'Amministrazione della pubblica sicurezza») della L. n. 121/1981 e l’art. 13 («Norme generali di condotta») del d.P.R. n. 782/1985 («Regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza»), il Funzionario contestava le seguenti violazioni del d.P.R. n. 737/1981 (recante «Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti»)
- art. 6, n. 1: «mancanze previste dal precedente art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità ovvero siano reiterate o abituali» (il richiamato art. 4 specifica le violazioni sanzionate con pena pecuniaria);
- art. 6, n. 4: «comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto»;
- art. 6, n. 6: «atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione».
Veniva quindi investito il successivo 18 novembre il Consiglio Provinciale di Disciplina (di seguito CPD) che nella seduta del 28 gennaio 2018, richiamati gli episodi oggetto della citata segnalazione al Questore e i precedenti disciplinari dell’incolpato (Richiamo scritto del 14 giugno 2016 e Pena pecuniaria del 31 agosto 2016: sanzioni impugnate con ricorso gerarchico respinto) formalizzava la proposta di sanzione individuandola nella sospensione disciplinare per mesi due.
Il Capo della Polizia, cui compete la ratifica della proposta del CPD, con decreto del 22 marzo 2018, annullava gli atti del procedimento disciplinare a partire dalla contestazione degli addebiti del 25 settembre 2017 ritenendo:
- che la contestazione, in violazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 737/1981, non contenesse «l’indicazione e la descrizione dei fatti materiali, riferendoli ad una puntuale fattispecie sanzionatoria che ne rifletta la specificità»;
- che l’indeterminatezza della contestazione pregiudicasse «l’efficace esercizio del diritto alla difesa».
In particolare rilevava che dall’esame dei fatti non emergesse la riconducibilità degli stessi alla previsione normativa prevista dall’art. 6, nn. 4 e 6 del d.P.R. n. 737/1981) e che la contestazione si caratterizzasse per la «“indeterminatezza” della fattispecie sanzionatoria posta a carico dell’inquisito», disponendo che il Questore rivalutasse «ex novo la vicenda in esame».
L’amministrazione procedeva quindi alla riedizione del procedimento con contestazione degli addebiti del 2 maggio 2018 con la quale venivano nuovamente contestati, con maggior dovizia di particolari (peraltro desumibili dalla documentazione acquisita il procedimento) gli episodi del 6 marzo 2016 e 19 giugno 2017 e formalizzata la contestazione eliminando i riferimenti ai nn. 4 e 6 dell’art. 6 del d.P.R. n. 737/1981.
Il CPD, nella seduta del 18 settembre 2018, sulla base delle evidenze già note, e ritenuto che la condotta del -OMISSIS- fosse connotata da «reiterazione e abitualità», giudicava lo stesso «responsabile della sanzione disciplinare prevista dall’art. 6, n. 1 DPR 737/1981» proponendo la sanzione della sospensione dal servizio per mesi uno.
Il Capo della Polizia, chiamato a rideterminarsi in merito alla sanzione, con decreto del 3 dicembre 2018, riteneva «di non doversi discostare dal giudizio espresso dal Consiglio Provinciale di Disciplina».
Con ricorso iscritto al n. 239/2019 l’Assistente Capo impugnava dinanzi al Tar per il Veneto «la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno a decorrere dal giorno successivo a quello di notifica del presente decreto, per i motivi contenuti nell’unita deliberazione del 18 settembre 2018, che si intendono integralmente trascritti», unitamente alla delibera del CPD di ... del 18 settembre 2018, richiamata per relationem e al Rapporto Informativo redatto sul proprio conto con riferimento al servizio prestato nell’anno 2018 che, in considerazione di detta sanzione, rivedeva al ribasso il punteggio valutativo precedentemente assegnato al proprio rendimento.
Il Tar respingeva il ricorso con sentenza n. 198 del 6 febbraio 2024, impugnata con appello depositato il 20 giugno 2024 deducendone l’erroneità per:
I. «Illegittimità della sentenza impugnata per violazione ed errata applicazione dell’art. 73 c.p.a.»;
II. «Illegittimità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione e per travisamento e/o errato supposto di fatto e di diritto in relazione ai primi due motivi di ricorso»;
III. «Illegittimità della sentenza impugnata per omessa valutazione delle risultanze processuali, per travisamento dei fatti e per difetto assoluto di motivazione in relazione al terzo motivo di ricorso»;
IV. «Illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge (art. 180, comma 8, C.d.S.), per travisamento ed errato supposto di fatto e di diritto e per difetto assoluto di motivazione in relazione al quarto motivo di ricorso»;
V. «Illegittimità della sentenza impugnata per travisamento ed errato supposto di fatto e di diritto, per omessa valutazione delle risultanze processuali e per difetto di motivazione in relazione al quinto motivo di ricorso»;
VI. «Illegittimità della sentenza impugnata per erronea valutazione delle risultanze probatorie e per travisamento degli atti di causa in relazione al sesto motivo di ricorso»;
VII. «Illegittimità della sentenza impugnata per erroneità ed illogicità manifeste in relazione al settimo motivo di ricorso».
L’amministrazione, costituita in giudizio il 2 luglio 2024, con successiva memoria del 15 luglio confutava nel merito le censure riferite al provvedimento sanzionatorio affermando altresì la legittimità della diminuzione del punteggio attribuito con il Rapporto Informativo censurato in quanto «conseguenza» dell’illecito disciplinare.
L’appellante depositava memoria ex art. 73 c.p.a. il 16 maggio 2025, controdeducendo alle difese dell’amministrazione e insistendo per l’accoglimento dell’appello.
All’esito della pubblica udienza del 3 luglio 2025 la causa veniva decisa.
Deve in premessa rilevarsi che ai sensi dell’art. 68 della L. n. 121/1981 «gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza sono comunque tenuti, anche fuori dal servizio, ad osservare i doveri inerenti alla loro funzione».
Il «Regolamento di servizio» all’art. 13 dispone che «il personale della Polizia di Stato deve avere in servizio un comportamento improntato alla massima correttezza, imparzialità e cortesia e deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione», precisando altresì che «il personale anche fuori servizio deve mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni».
L’appellante veniva sanzionato con la sospensione dal servizio prevista dall’art. 6 n. 1 del d.P.R. n. 737/1981, consistente «nell’allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi, con la privazione della retribuzione mensile, salva la concessione di un assegno alimentare di importo pari alla metà dello stipendio e degli altri eventuali emolumenti valutabili a tal fine a norma delle disposizioni vigenti, oltre gli assegni per carichi di famiglia».
Detta sanzione è prevista in presenza di «mancanze previste dal precedente art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità ovvero siano reiterate o abituali».
Il richiamato art. 4 definisce le violazioni passibili di pena pecuniaria fra le quali, al n. 18, «qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza».
In sintesi, l’art. 6 n. 1, costituente base giuridica della misura contestata, sanziona condotte che di per sé non sarebbero passibili della più grave sanzione della sospensione dal servizio ma che assumono rilievo a tali fini in presenza di una loro reiterazione o di una particolare gravità del singolo episodio.
Nel caso di specie l’amministrazione rilevava nel comportamento del -OMISSIS- una pluralità di condotte non conformi al decoro professionale (sopra descritte), non sanzionate singolarmente con la pena pecuniaria, che tuttavia integravano, in ragione della loro reiterazione, il presupposto per l’applicazione della più grave sanzione della sospensione dal servizio.
All’appellante, come sopra illustrato, venivano addebitati comportamenti contrari al decoro delle funzioni che gli sono proprie in qualità di appartenente alla Polizia di Stato, posti in essere anche nella qualità di Presidente dell’Associazione ..., che determinavano, oltre all’applicazione di contravvenzioni stradali, anche gravi misure a carico dell’Associazione stessa che veniva cancellata, come anticipato, tanto dall’Albo delle Associazioni di Volontariato quanto da quello delle Associazioni di Protezione Civile inducendo finanche la Regione Veneto a rilevare a carico del -OMISSIS- «comportamenti non improntati a lealtà e correttezza» con evidente compromissione del prestigio dell’istituzione.
Ciò premesso può procedersi alo scrutino delle censure di merito dell’appello.
Con il primo motivo l’appellante lamenta la violazione dell’art. 73 c.p.a. in ragione dell’erronea ammissione agli atti del giudizio della relazione n. 333-CAL/D (1820) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno recante «Ricorso al T.A.R. per il Veneto – ..., proposto dall’Assistente capo -OMISSIS- -OMISSIS- avverso la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, inflitta con decreto 3 dicembre 2018, nonché avverso il rapporto informativo relativo all’anno 2018», depositata dall’Avvocatura Distrettuale il 23 dicembre 2023 in vista della discussione del ricorso fissata alla pubblica udienza del 24 gennaio 2024.
Espone l’appellante che detta relazione, in quanto «vero e proprio documento», ai sensi della disposizione che si assume essere violata, poteva essere prodotta sino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, ovvero «entro e non oltre 14.12.2023».
In ogni caso, espone di aver dedotto in primo grado che, anche nell’ipotesi in cui la Relazione fosse da considerarsi alla stregua di una memoria, il deposito sarebbe ugualmente tardivo essendo anche il più vantaggioso temine di 30 giorni spirato il 22 dicembre 2023.
La sentenza è quindi censurata nella parte in cui respinge l’eccezione di tardività sul rilievo che la relazione integrasse una replica alla memoria depositata dal ricorrente il 6 dicembre 2023 non rilevando la veicolazione delle difese a mezzo della relazione dell’amministrazione posto che ai sensi dell’art. 121 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del richiamo di cui all’art. 39 c.p.a., «gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo».
L’appellante, premesso che la Relazione non era qualificata né come memoria né come replica, precisa che non potrebbe in ogni caso integrare una replica alle difese di controparte atteso che non reca alcuna controdeduzione in ordine alle allegazioni contenute nelle proprie difese a confutazione delle contestazioni mossegli dall’amministrazione.
Il motivo è infondato.
Deve condividersi la valutazione del Tar circa la natura della relazione in commento che deve considerarsi, per le ragioni esposte dal giudice di prime cure, alla stregua di una memoria e non di un documento.
È inoltre pacifico che la tempistica del deposito (che segue il deposito della memoria del ricorrente) ed i contenuti dell’atto concorrano a qualificare l’atto in termini di memoria di replica risultando pertanto rispettato il termine di 20 giorni liberi di cui all’art. 73.
Con il secondo motivo, articolato in una pluralità di censure, ciascuna rubricata, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui disattende le doglianze di cui al primo e secondo motivo di ricorso) con i quali veniva contestata la legittimità tanto della riattivazione del procedimento disciplinare a seguito dell’annullamento disposto in un primo tempo dal Capo della Polizia, quanto della contestazione degli addebiti.
Sostiene l’appellante (sotto capo II.1) che l’annullamento in autotutela degli atti del procedimento sanzionatorio «a partire dalla contestazione degli addebiti del 25 settembre 2017», disposto dal Capo della Polizia, dovendo quest’ultimo atto «contenere la descrizione dei fatti materiali, riferendoli ad una puntuale fattispecie sanzionatoria che ne riflettesse la specificità», avrebbe dovuto essere inteso come un «implicito proscioglimento» dagli originari addebiti con conseguente consumazione della potestà disciplinare, pena la violazione del principio del ne bis in idem.
La doglianza è infondata.
In via preliminare deve rilevarsi che l’amministrazione con il richiamato annullamento degli atti del procedimento «a partire dalla contestazione degli addebiti» esercitava i propri poteri di autotutela, avvalendosi del rimedio dell’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies della L. n. 241/1990 cui è possibile ricorrere in presenza di profili di illegittimità del provvedimento (restando non scalfito il merito della determinazione) residuando in capo all’amministrazione il potere di rideterminarsi emendando il vizio, escluso ogni significato di «proscioglimento».
Nel caso di specie, il vizio riscontrato dal Capo della Polizia consisteva nella contestazione da parte del Funzionario Istruttore delle fattispecie di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 6 del d.P.R. n. 737/1981, ritenute non adeguatamente configurate: ragione per la quale l’annullamento in questione risaliva a detto atto.
Deve evidenziarsi ulteriormente che l’annullamento disposto dal Capo della Polizia interveniva in fase procedimentale, ovvero in un momento precedente all’adozione della conclusiva misura sanzionatoria e tale circostanza impedisce di per sé la qualificazione della riedizione del procedimento in termini di violazione del principio del ne bis in idem che invece vieta che possa procedersi più volte all’adozione di una sanzione a fronte della contestazione dei medesimi fatti (cfr., Cons. Stato, Sez. III, 7 novembre 2018 n. 6281).
Come infatti già precisato dalla giurisprudenza in presenza di fattispecie sovrapponibile, «non è corretto, poi, affermare che si sarebbe verificata dopo la prima contestazione una violazione del canone del ne bis in idem per consunzione del potere disciplinare, non venendo qui in considerazione un siffatto principio che vieta solo che un’identica condotta sia sanzionata più volte a seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica (Cass. 23 dicembre 2019, n. 34368; Cass., Sez. L, 30 ottobre 2018 n. 27657; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26815; conf. Cass. 24752 del 2017; Cass. n. 17912 del 2016; Cass. n. 22388 del 2014)» (Cass. civ., Sez. lav., 17 ottobre 2024, n. 26936).
L’appellante deduce inoltre (contraddittoriamente) che «stante l’identità sostanziale del contenuto tra le due diverse contestazioni degli addebiti, l’aver dapprima disposto l’annullamento di tutti gli atti del procedimento a partire dalle prime contestazioni degli addebiti, salvo poi asseverare come conforme ai requisiti di legittimità la sostanziale impostazione della seconda contestazione … si risolveva in una evidente illogicità e/o in una manifesta insanabile contraddizione» (pag. 11 dell’appello) salvo dedurre successivamente una «illegittima introduzione di ulteriori incolpazioni» (pag. 12).
Entrambe le affermazioni non sono corrette.
Se, infatti, la pretesa identità è riferita alle fattispecie nelle due occasioni contestate, non può che richiamarsi quanto già esposto evidenziando come la ragione dell’annullamento si rinveniva nell’erronea (rectius, non meglio circostanziata) contestazione da parte del Funzionario Istruttore delle fattispecie di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 6 del d.P.R. n. 737/1981, determinando la necessità di rieditare il procedimento dalla contestazione di addebiti: circostanza che determinava l’espunzione delle fattispecie di cui ai richiamati nn. 4 e 6.
Quanto alla pretesa novità delle «ulteriori incolpazioni» oggetto della seconda contestazione di addebiti, non può che evidenziarsi la sostanziale identità dei fatti che ne costituivano oggetto ancorché meglio circostanziati.
In ogni caso non può che rilevarsi come l’ultimo dei plurimi episodi complessivamente esaminati dall’amministrazione a fini disciplinari risale al 19 giugno 2017. Seguiva in data 24 agosto la segnalazione del Dirigente della Polizia Stradale al Questore che avviava il procedimento che conduceva alla contestazione degli addebiti già il 25 settembre 2017: tempistica coerente con la complessità dell’accertamento avente ad oggetto una pluralità di condotte e giustificata dalla pendenza dei ricorsi proposti avverso le contravvenzioni elevate a carico del -OMISSIS- definiti dal Giudice di Pace con sentenza n. 28 del 16 febbraio 2017 e 91 del 31 maggio successivo (circa l’esito delle impugnazioni di dette decisioni, come si evidenzierà annullate dal Tribunale di ..., v. infra)
L’appellante (sotto capo II.2) lamenta che in un momento successivo alla produzione delle proprie deduzioni sarebbe comparsa fra gli atti del procedimento «la lettera della Prefettura di ... del 7.4.2016» con la quale all’appellante e al di lui fratello (anch’esso appartenente alla Polizia di Stato e Vice Presidente dell’Associazione) veniva contestato di aver «omesso di dichiarare la loro appartenenza alle forze dell’ordine», da ritenersi incompatibile con la qualifica di guardia zoofila, al fine di conseguire il porto d’armi.
La doglianza (che trova riscontro nelle istanze depositate in giudizio nelle quali è spesa la qualità di appartenente alla Polizia di Stato) non è sorretta da un concreto interesse.
Sebbene infatti la nota trovi menzione nella conclusiva delibera del CPD (pag. 6), lo stesso atto, precisa che «in relazione alle memorie difensive presentate in data odierna dall’incolpato …relativamente alla nota della lettera della Prefettura di ... del 07.04.2016 … trattasi di un elemento che questo Consiglio ritiene ininfluente ai fini della valutazione» (pag. 8).
L’appellante (sotto capo II.3) deduce in merito alla «cancellazione dal registro delle associazioni di volontariato» affermando che il fatto, risalente al 29 settembre 2015 «faceva la sua comparsa per la prima volta nella relazione istruttoria» pur essendo a conoscenza dell’amministrazione sin dal 25 marzo 2016 (data del protocollo della nota ricevuta dalla Regione Veneto).
Sul punto afferma che le proprie difese al riguardo «venivano rigettate, o forse sarebbe meglio dire scientemente ignorate».
A tacere del fatto che lo stesso appellante riconosce di essersi difeso sul punto (ancorché in modo ritenuto inefficace dall’amministrazione) la doglianza, formulata nei suesposti generici termini e senza richiamo alcuno alle difese asseritamente non considerate, è inammissibile non consentendo di cogliere il concreto profilo di censura.
L’appellante (sotto capo II.4) richiamata l’intervenuta «cancellazione dal registro delle associazioni di protezione civile», evidenzia come fosse stata decretata il 22 agosto 2018, successivamente alla conclusione dell’istruttoria esponendo di aver interloquito sul punto con il CPD rappresentando che il 14 giugno 2018 (ad Associazione ancora iscritta) la Motorizzazione immatricolava un nuovo veicolo «“ad uso protezione civile” con installazione di “due lampeggianti blu e sirene di allarme”».
Ciò nonostante la circostanza veniva utilizzata dall’amministrazione «per introdurre l’ennesima ulteriore censura mai in precedenza contestata» rilevando come «tale certificato dimostra come il -OMISSIS-, anziché astenersi, anche in presenza di procedimento disciplinare nonché dell’imminente cancellazione dall’apposito albo regionale della protezione civile, persista nel procurarsi nuovi mezzi».
Espone inoltre che l’amministrazione affermava «che la volontà del ricorrente di “persistere nel voler svolgere questa attività va analizzato particolarmente anche alla luce della recente Direttiva Ministeriale del 20 luglio 2018, c.d. Direttiva Piantedosi, che sancisce, al punto 8), la necessità che in dette occasioni l’espletamento delle mansioni venga svolto da soggetti “iscritti ad associazioni di protezione civile riconosciute”».
A parere dell’appellante si tratterebbe di un elemento estraneo all’oggetto della contestazione, assunto a supporto della determinazione del CPD incorrendo in un travisamento dei fatti poiché la richiamata Direttiva Piantedosi, pur prevedendo che la gestione della sicurezza debba essere effettuata da «soggetti iscritti ad associazioni di protezione civile riconosciute», estenderebbe l’ambito soggettivo dei soggetti autorizzati anche ad «operatori in possesso di adeguata formazione in materia» legittimando in tal modo l’impiego in attività ausiliarie per la gestione di manifestazioni pubbliche anche di soggetti non iscritti ad alcun registro.
Le suesposte deduzioni non colgono nel segno.
Preliminarmente deve rilevarsi:
- che alla data del 22 agosto 2018 l’istruttoria non era affatto terminata atteso che la delibera del CPD, che è atto istruttorio endoprocedimentale in quanto privo di immediata lesività dovendo essere ratificato dal Capo della Polizia, è datato 8 settembre 2018;
- che la circostanza che le difese sul punto del -OMISSIS- trovano menzione nella delibera del CPD confermando in tal modo come la circostanza abbia costituito oggetto di contraddittorio.
Quanto al merito della censura deve invece rilevarsi come le deduzioni dell’appellante siano fuorvianti in quanto basate su una rappresentazione fedele ma parziale delle conclusioni del CPD.
Come emerge dal chiaro dato letterale della delibera in questione, ciò che costituiva oggetto di contestazione non era unicamente la già intervenuta cancellazione dell’Associazione dall’Albo regionale della Protezione civile, tanto meno l’aver proceduto alla immatricolazione di un mezzo, ma il fatto che il -OMISSIS-, nonostante il procedeimto disciplinare in atto e l’imminente cancellazione dell’Associazione dall’Albo, in sede di contraddittorio esternava «tranquillamente la volontà di continuare a svolgere, in qualità di Presidente protempore/legale rappresentante, l’attività associativa consistente principalmente in “assistenza su richiesta ad eventi organizzati da enti pubblici locali o da privati che insistono sul territorio di riferimento (sagre paesane, corse ciclistiche, ecc.)”»: affermazioni che denotano una scarsa comprensione del significato delle contestazioni che gli venivano mosse e del rilevo delle condotte che gli venivano addebitate.
Sostiene l’appellante che un ulteriore «elemento inedito» (sotto capo II.5) introdotto nel corso del procedimento fosse rappresentato dalla segnalazione della Sezione della Polizia Stradale di ... del 10 agosto 2017 che «informava -OMISSIS-, in qualità di presidente pro tempore dell’associazione proprietaria del veicolo, che la Direzione dell’Autocentro Polizia di Stato di Padova ha formalmente evidenziato come l’autovettura in questione risultava essere ancora parzialmente allestita per i servizi istituzionali. Situazione, quest’ultima, consentita solo in presenza di apposito e specifico provvedimento Prefettizio che non risultava essere presente. Inoltre l’Autocentro di Padova ha rilevato “l’opportunità che il legittimo proprietario del veicolo provveda immediatamente alla rimozione di tutti i dispositivi, distintivi, delle insegne, delle attrezzature che caratterizzano la vettura in servizio di polizia, ed inoltre riverniciare la vettura con colore diverso da quello istituzionale RAL 5023».
Espone a tal proposito che la vettura in questione era parte di un lotto di veicoli della Polizia Stradale dismessi e che la circostanza fosse nota sin dal 7 marzo 2016, data di accertamento della violazione ad opera della stessa Polizia Stradale di ..., senza, anche in questo caso, che l’amministrazione procedesse disciplinarmente.
Il CPD inoltre avrebbe parzialmente accolto le proprie difese laddove, pur respingendo le deduzioni riferite alla tardività della contestazione e alla mancata menzione del fatto nell’atto iniziale di contestazione, precisava come «sugli allestimenti veicolari non conformi, questo Consiglio ritiene di doversi uniformare a quanto emerso dall’istruttoria, ovvero al fatto che, tranne il colore dell’autovettura, tutto il resto doveva essere conforme a quanto previsto dalla legge (dall’istruttoria emerge che sul tetto dell’autovettura era rimasta la serigrafia a V con il numero progressivo in uso alle autovetture con colori di istituto. Se vi fosse stato un servizio aereo d’istituto sicuramente l’autovettura sarebbe stata ritenuta un veicolo in servizio attivo».
Evidenzia ulteriormente che il CPD avrebbe escluso la rilevanza del colore dell’autovettura (lo stesso delle autovetture di servizio) dando rilievo unicamente alla presenza della «serigrafia a V con il numero progressivo in uso alle autovetture con colori di istituto» nonostante il numero non fosse presente sul tettuccio ove figurava unicamente la scritta «VdE» (allega a comprova documentazione fotografica – sub doc. 35 del fascicolo di primo grado).
Le suesposte deduzioni non colgono nel segno.
La censura sconta una strumentale parcellizzazione delle proposizioni contenute nell’atto del CPD che, lette nel loro complesso, rendono chiaro il profilo oggetto di contestazione, ovvero, l’allestimento del mezzo che, come comprovano le stesse fotografie richiamate dall’appellante (peraltro di data non certa) rendono evidente come il mezzo presenti accentuate similitudini con le autovetture in suo alla Polizia di Stato, come rilevato tanto dal Funzionario istruttore quanto dalla CPD.
Enfatizzato, e non coerente con il senso complessivo della contestazione, è in particolare il riferimento alla locuzione «tranne il colore dell’autovettura» dalla quale l’appellante deduce l’irrilevanza della colorazione d’istituto posto che la lettura dell’intero periodo palesa un significato diverso.
Afferma infatti il CPD che «tranne il colore dell’autovettura, tutto il resto doveva essere conforme a quanto previsto dalla legge»: affermazione che esclude la sussistenza di un divieto espresso di utilizzo di quel colore su autovetture civili ma che non esclude (anzi afferma) che la colorazione possa concorrere, unitamente alla presenza dei dispositivi di emergenza e delle serigrafie tipiche della autovetture di servizio, a indurre, in presenza di un concomitante «servizio aereo d’istituto» (sinergie assolutamente ordinarie nell’espletamento di servizi di polizia) che si tratti di un’auto della Polizia di Stato (con tutti i rischi potenzialmente introdotti da un tale profilo di incertezza).
Irrilevante è altresì la presenza sul tettuccio dell’autovettura della scritta «VdE» in luogo del numero «92» posto che è pacifico che, come contestato dall’amministrazione, in ragione degli altri elementi (colore, V bianca sul tettuccio, e dispositivi di emergenza) il mezzo possa prestarsi ad essere confuso con un mezzo in servizio di Polizia.
L’appellante deduce infine in ordine alle «motivazioni con le quali la sentenza del T.A.R. Veneto n. 198/2024 ha respinto i motivi di ricorso suesposti» (sotto capo II.6) replicando quanto già rassegnato con i precedenti sotto capi d’impugnazione: deduzioni da ritenersi infondate per le ragioni già esposte.
Con il terzo motivo l’appellante premesso che censura la sentenza nella parte in cui disattendeva il terzo motivo di ricorso ignorando le sentenze del Tribunale di ... che annullavano i verbali di contestazione al Codice della Strada costituenti «l’asse portante» del procedimento disciplinare, articola il capo d’impugnazione in 3 sotto capi.
L’appellante deduce (sotto capo III.1) in ordine alle «argomentazioni addotte a sostegno del terzo motivo di ricorso» lamentando che «buona parte dei comportamenti» per i quali veniva sanzionato erano noti all’amministrazione molto prima dell’avvio del procedimento sanzionatorio.
Espone a tal proposito che in virtù del richiamo contenuto nell’art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, troverebbe applicazione al caso di specie l’art. 103, comma 2, del d.P.R. n. 3/1957 laddove dispone che «l’ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni».
La censura è infondata.
Preliminarmente deve ribadirsi che, come già argomentato il procedimento veniva avviato a seguito della segnalazione del 24 agosto 2017 e che oggetto di contestazione non erano i singoli episodi in sé ma il complessivo comportamento del -OMISSIS-.
In ogni caso la giurisprudenza ha già avuto mod di precisare che «i procedimenti finalizzati all'applicazione delle sanzioni disciplinari al personale dell'amministrazione di pubblica sicurezza, non è previsto alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti ex art. 12 cit. (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 17/05/2006, n. 2863)» (Cons. Stato, Sez. III, 1° dicembre 2021, n. 8018).
L’appellante deduce ancora (sotto capo III.2) in merito ai «fatti avvenuti in ... della ... il 6 giugno 2016» (già illustrati) esponendo che sarebbero emersi solo in sede di nuove contestazioni di addebiti del 2 maggio 2018 (a distanza adi circa due anni).
La doglianza è infondata.
Sotto un primo profilo deve rilevarsi che l’episodio, già illustrato, che vedeva il -OMISSIS- contestare agli Agenti della Polizia Locale la medesima violazione oggetto del verbale che gli stessi gli notificavano, trova menzione nella prima delibera del CPD del 24 gennaio 2018 201(pag.8) ove viene contestata l’omessa informazione al «proprio superiore di fati rilevanti come quello di elevare un verbale alla pattuglia della polizia municipale …».
Sotto un secondo e decisivo profilo, deve rilevarsi l’inammissibilità della censura che integra una mera trasposizione in appello del corrispondente capo d’impugnazione III.2 del ricorso di primo (in buona parte ritrascritto) senza muovere alcun rilevo specifico alla sentenza di primo grado.
Sul punto la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che «secondo un risalente e non superato insegnamento giurisprudenziale, l'appello deve sempre contenere, accanto alla parte volitiva, anche una parte critica, a confutazione della sentenza di primo grado, non trattandosi di un novum iudicium ma di una revisio prioris istantiae. Sicché l'appello non può essere limitato a una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi dal giudice di primo grado, ma deve contenere una puntuale critica ai capi della sentenza appellati; a tal fine, pur non richiedendosi l'impiego di formule sacramentali, si esige l'onere specifico, a carico dell'appellante, di formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza appellata in modo che il giudice di appello sia posto nella condizioni di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo giudice avrebbe dovuto decidere diversamente (ex multis, da ultimo Cons. giust. amm. Sicilia, 20 febbraio 2024, n. 115; Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2021, n. 3159; sez. VI, 8 aprile 2021, n. 2843; sez. IV, 18 febbraio 2020, n. 1228)» (Cons. stato, Sez. V, 1° luglio 2024, n. 5778).
L’appellante richiama poi «le motivazioni con le quali la sentenza del T.A.R. Veneto ha respinto le censure sollevate dal ricorrente» (sotto capo III.3) censurando la sentenza nella parte in cui disattendeva le censure di tardività formulate con il terzo motivo di ricorso deducendo che a tali fini rilevasse la data dell’ultimo episodio contestato il 19 giugno 2017.
La censura è infondata.
Sul punto non possono che richiamarsi le considerazioni già esposte circa la tempestività della contenzione alla luce anche della riferibilità delle valutazioni disciplinari ad un complesso di condotte che assumevano rilievo nel loro complesso, in coerenza con la specifica norma oggetto di contestazione (art. 6, n.1) che come già evidenziato, sanziona la reiterazione o l’abitualità di condotte di per sé non passibili della irrogata sanzione della sospensione dal servizio.
L’appellante, con il medesimo sotto capo d’impugnazione espone che le decisioni del Giudice di Pace intervenute a seguito dell’impugnazione dei verbali di contestazione dell’infrazione all’art. 78 del Codice della Strada venivano riformate dal Tribunale di ... con sentenze n. 1663/2020 e n. 686/2023 depositate dinanzi al Tar il 5 dicembre 2023 e richiamate con memoria ex art. 73. Ciò nonostante dette pronunzie non venivano considerate dal giudice di prime cure.
La censura non coglie nel segno.
Circa tale specifica censura non può che rilevarsi come il provvedimento sanzionatorio impugnato venisse adottato con decreto del Capo della Polizia del 3 dicembre 2018 mentre le sentenze invocate risalgono al 3 aprile 2023 la n. 686 e al 19 novembre 2020 la n. 1663.
Sul punto la giurisprudenza, conformandosi a risalente orientamento, ha di recente ribadito che eventuali esiti processuali sopravvenuti «non possono refluire sul sindacato di legittimità sull’atto impugnato in quanto la legittimità di un atto amministrativo va accertata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id., sez. IV, 21 marzo 2016, n. 1126)” (Cons. Stato, sez. III, 8 marzo 2021, n. 1908)» (Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2025, n. 5658).
L’amministrazione non poteva quindi che determinarsi sulla base della situazione esistente al momento dell’adozione del provvedimento, semmai rilevando le invocate sopravvenienza in presenza di una eventuale richiesta di riesame (della quale non è documentata alcuna presentazione) e sempre che ne ricorrano i presupposti.
Con il quarto motivo l’appellante lamenta il mancato accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado articolando le censure in due sotto capi d’impugnazione.
Sotto un primo profilo richiama «le argomentazioni addotte a sostegno del quarto motivo di ricorso» (sotto capo IV.1) a proposito della contestata mancata consegna del libretto di circolazione del veicolo contravvenzionato che a parere dell’amministrazione integrerebbe una condotta «inconciliabile con i doveri di un appartenente alla Polizia di Stato» che «di fatto, vuole eludere la finalità dell’interesse tutelato, ovvero quello che l’autovettura non deve circolare e il libretto deve essere ritirato».
A tal proposito l’appellante deduce che l’obbligo di consegna del libretto non sia previsto da alcuna norma.
Sotto un secondo profilo l’appellante richiama «le motivazioni con le quali la sentenza del T.A.R. Veneto ha respinto le censure avanzate dal ricorrente» (sotto capo IV.2) con riferimento al profilo precedente, espresse dal Tar ritenendo che «la finalità evidenziata – il ritiro – vale a colorare di significato il termine esibizione» e che le «argomentazioni addotte dal ricorrente, e sintetizzate nella descrizione del motivo in esame pertanto sono superabili alla luce della specifica finalità che l’esibizione riveste nel caso concreto – il ritiro appunto – che impone, per la sua realizzazione, la consegna materiale della carta di circolazione».
L’appellante deduce in particolare che l’utilizzo da parte del legislatore del termine esibizione escluderebbe la possibilità del ritiro come si evincerebbe dal testo del comma 8 dell’art. 180 del Codice ove si precisa che «l’invito a presentarsi per esibire i documenti di cui al presente articolo non si applica nel caso in cui l'esistenza e la validità della documentazione richiesta possano essere accertate tramite consultazione di banche di dati o archivi pubblici o gestiti da amministrazioni dello Stato accessibili da parte degli organi di polizia stradale, ad eccezione delle ipotesi in cui l'accesso a tali banche di dati o archivi pubblici non sia tecnicamente possibile al momento della contestazione»: onere assolto inviando via pec copia della carta di circolazione.
Le suesposte doglianze sono pretestuose prima ancora che infondate.
Ai sensi dell’art. 78, comma 3, del Codice della Strada ratione temporis vigente «chiunque circola con un veicolo al quale siano state apportate modifiche alle caratteristiche indicate nel certificato di omologazione o di approvazione e nella carta di circolazione, oppure con il telaio modificato e che non risulti abbia sostenuto, con esito favorevole, le prescritte visita e prova, ovvero circola con un veicolo al quale sia stato sostituito il telaio in tutto o in parte e che non risulti abbia sostenuto con esito favorevole le prescritte visita e prova, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 422 a Euro 1.695».
Ai sensi del successivo comma 4, «le violazioni suddette importano la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della carta di circolazione».
Il suesposto dato normativo palesa senza possibilità di equivoco come la violazione dell’art. 78 comporti il «ritiro» della carta di circolazione con la conseguenza che la disposta esibizione del documento non possa che essere intesa come materiale consegna dello stesso.
Ulteriore conferma di quanto affermato si ricava dall’art. 180 della medesima fonte ove stabilisce che «chiunque senza giustificato motivo non ottempera all’invito dell’autorità di presentarsi, entro il termine stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell'accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 430 a € 1.731».
Ne deriva l’assoluta infondatezza della pretesa sufficienza dell’invio tramite pec di copia della carta di circolazione da aggiornare.
Con il quinto motivo l’appellante deduce in ordine alle «argomentazioni addotte a sostegno del quinto motivo di ricorso».
Sotto un primo profilo richiama «le argomentazioni addotte a sostegno del quinto motivo di ricorso» (sotto capo V.1) deducendo ancora una volta la distanza temporale fra i fatti contestati e l’avvio del procedimento con riferimento alla seconda «serie di violazioni» ascrittegli dal Consiglio di Disciplina consistenti nell’allestimento con sirene e lampeggianti di alcuni veicoli dell’Associazione presieduta: condotte il cui disvalore sarebbe stato smentito dal Tribunale di ...».
Sotto un secondo profilo richiama «le motivazioni con le quali la sentenza ha respinto le tesi difensive. Illegittimità» (sotto capo V.2) censurandola nella parte in cui afferma la legittimità del provvedimento impugnato poiché «costituito da una serie di condotte ritenute, nel loro complesso, rilevanti ai fini della sanzione disciplinare comminata al dipendente (pagg. 13,14 sent. appellata)» (pag. 29 dell’appello).
Le suesposte censure, integranti temi già affrontati, possono essere disattese richiamando quanto già esposto circa la legittimità della valutazione unitaria delle plurime mancanze commesse dall’appellante e l’irrilevanza nei sensi già precisati, delle sopravvenute sentenze del Tribunale di ....
Con il sesto motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui disattende le censure oggetto del sesto motivo di ricorso.
Sotto un primo profilo richiama «le argomentazioni addotte a sostegno del sesto motivo di ricorso» (sotto capo VI.1) a sostegno della pretesa incongruità della sanzione applicata rilevando come l’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 737/1981 preveda la sanzione della sospensione da uno a sei mesi in relazione a «mancanze previste dal precedente articolo 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità, ovvero siano reiterate o abituali».
La valutazione del CPD sarebbe erronea posto che la reiterazione non potrebbe essere riconosciuta in presenza «di vicende che, oltre che ontologicamente distinte, sono suscettibili di una ben diversa considerazione ai fini disciplinari» (Cons. Stato, n. 3844/2016).
Diversamente opinando, a parere dell’appellante, potrebbe sostenersi che ogni successiva mancanza comporti in via automatica l’irrogazione di una sanzione di livello afflittivo superiore anche in presenza di precedenti disciplinari disomogenei.
In disparte ogni considerazione circa il fatto che anche la presente censura è sviluppata con riferimento alle conclusioni del CPD e non alle motivazioni della sentenza con le quali veniva respinto il motivo di primo grado, non può non rilevarsi come il principio giurisprudenziale invocato venisse enunciato con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 7, comma 2, n. 6, ovvero dell’irrogazione della sanzione della destituzione «per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari» e che il Consiglio di Stato ritenesse l’insussistenza dei relativi presupposti affermando che «il provvedimento disciplinare impugnato, nel mentre fa cenno dell’esistenza di molti precedenti disciplinari a carico dell’interessato, poi nulla dice riguardo alla addebitata “reiterazione” delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione disciplinare».
In altri termini, l’accoglimento di quell’appello si determinava sul rilievo della non ricorrenza del presupposto di precedenti «infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio».
Nel caso di specie, la norma, individuata nell’art. 6, n.1, presenta una analoga struttura, ovvero, ricollega l’irrogazione della sanzione più grave (la sospensione dal servizio) alla reiterazione di mancanze per le quali è prevista la sanzione pecuniaria.
La non ricorrenza della fattispecie (ovvero di pregresse mancanze non astrattamente passibili di pena pecuniaria) non è comprovata da parte dell’appellante. Al contrario è documentata la reiterazione di condotte riconducibili alla fattispecie di cui al n. 18 dell’art. 4, ovvero, si ribadisce, «qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza» (mancanza in sé passibile di sanzione pecuniaria): reiterazione che, una volta documentata, non richiede ulteriori motivazioni a sostegno della non applicazione della misura di minor gravità prevista per il singolo episodio.
Sotto un secondo profilo l’appellante richiama «le motivazioni con le quali la sentenza ha respinto le tesi difensive. Illegittimità» (sotto capo VI.2) censurando la sentenza nella parte in cui il Tar valuta la congruità della sanzione irrogata prendendo atto che erano stati esaminati tutti gli elementi a favore dell’incolpato pervenendo ad un giudizio unanime.
Espone a tal proposito l’appellante che il Tar sarebbe «incorso in un clamoroso errore di valutazione della documentazione in atti, poiché il passaggio testuale richiamato in sentenza (pag. 14) è contenuto nella delibera del primo provvedimento disciplinare poi annullato dal Capo della Polizia» e non nella delibera successiva oggetto di impugnazione (pag. 32 dell’appello)
La censura è pretestuosa trattandosi di un evidente refuso.
Il Tar infatti imputava al CPD di aver «deliberato all’unanimità di individuare in proporzione l’applicazione di mesi 2 di sospensione» mentre, con delibera del 18 settembre 2018, la Commissione proponeva «a maggioranza di 4/5» che al -OMISSIS- venisse «inflitta la sanzione disciplinare della sospensione per la durata di mesi uno».
L’errore è peraltro privo nel concreto di ricadute atteso che la decisione conferma il provvedimento impugnato il cui contenuto propositivo veniva espresso nei termini da ultimo richiamati.
Con il settimo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui disattendeva il settimo motivi di ricorso
Sotto un primo profilo richiama «le argomentazioni addotte a sostegno del settimo motivo di ricorso» (sotto capo VII.1) con il quale era censurato il rapporto informativo relativo all’anno 2018 con il quale il punteggio veniva ridotto di 8 punti in ossequio all’art. 62, comma 3, del d.P.R. n. 335/1982 per illegittimità derivata dall’illegittimità della sanzione.
L’appellante riconosce che la norma dispone che il personale sanzionato con una sospensione dal servizio non possa ottenere una valutazione superiore a «buono» ma «in virtù del principio simul stabunt simul cadent doveva essere travolto dall’eventuale accoglimento del ricorso».
La censura, peraltro formulata in via ipotetica (in caso di accoglimento del ricorso), è superata dall’infondatezza, in questa sede confermata del gravame.
Per le medesime ragioni deve essere disattesa anche l’ultima censura formulata dall’appellante in merito alle «motivazioni con le quali la sentenza del T.A.R. Veneto ha respinto le censure avanzate dal ricorrente» (sotto capo VII.2) riaffermando in forma estremante generica sostanzialmente la già dedotta, e già disattesa, illegittimità derivata del Rapporto Informativo.
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
Le questioni appena vagliate esauriscono l’ambito del contenzioso sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).
Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge per le causali di cui in motivazione.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in € 3.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. dell’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marco Poppi Sergio De Felice
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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