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14 agosto 2025

Consiglio di Stato 2025 – la pronuncia del Consiglio di Stato relativa alla causa dei dipendenti della Guardia di Finanza, della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria riguarda vari aspetti fondamentali, tra cui la natura della domanda, la decisione del giudice amministrativo e le implicazioni sulla posizione previdenziale dei ricorrenti.

 

Consiglio di Stato 2025 – la  pronuncia del Consiglio di Stato relativa alla causa dei dipendenti della Guardia di Finanza, della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria riguarda vari aspetti fondamentali, tra cui la natura della domanda, la decisione del giudice amministrativo e le implicazioni sulla posizione previdenziale dei ricorrenti.

**1. Contesto e soggetti coinvolti**  
Gli odierni appellanti sono dipendenti di forze di polizia e di sicurezza, specificamente:  
- 34 appartenenti alla Guardia di Finanza  
- 11 alla Polizia di Stato  
- 2 alla Polizia Penitenziaria  

Essi hanno proposto un ricorso volto ad ottenere il riconoscimento di un diritto al risarcimento dei danni subiti e subendi a causa dell’inerzia dello Stato nell’attuazione delle forme di previdenza complementare previste dalla legge n. 225/1995.

**2. La sentenza impugnata**  
Il T.A.R. per il Lazio, Sezione Quarta, con la sentenza n. 3422/2024, ha respinto il ricorso proposto originariamente da 182 ricorrenti. La decisione si fonda sulla considerazione che non sussistono i presupposti per il riconoscimento di un diritto al risarcimento, né per la dichiarazione dell’illegittimità dell’inerzia amministrativa.

**3. Motivazioni del T.A.R.**  
Il Tribunale Amministrativo ha probabilmente ritenuto che:  
- La mancata attuazione delle forme di previdenza complementare, pur rappresentando un problema per i lavoratori, non costituisca di per sé un danno risarcibile, a meno che non sia dimostrato un danno effettivo e quantificabile.  
- La legge n. 225/1995 prevede un sistema di previdenza complementare, ma la sua attuazione concreta potrebbe essere soggetta a complessità o ritardi, che comunque non legittimano automaticamente un’istanza di risarcimento senza una prova specifica del danno subito.  
- La domanda di reintegro della posizione previdenziale deve essere valutata nel quadro di strumenti già previsti dalla normativa, e non attraverso un’istanza risarcitoria generica.

**4. La richiesta degli appellanti**  
Gli appellanti chiedono:  
- La riforma della sentenza del T.A.R., affinché venga riconosciuto loro il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata attuazione delle forme pensionistiche complementari.  
- La quantificazione del danno in misura corrispondente ai rendimenti non realizzati, cioè alla perdita di benefici economici attesi dal sistema previdenziale complementare.  
- L’adozione di ogni misura idonea a reintegrare le loro posizioni previdenziali, con la finalità di garantire un adeguato risarcimento e la corretta tutela dei loro diritti previdenziali.

**5. Considerazioni sulla posizione giuridica**  
Il dibattito ruota attorno alla natura del danno e alla sua tutela:  
- Se la mancata attuazione delle forme pensionistiche integrative possa configurare un danno risarcibile, in assenza di una prova concreta di perdita patrimoniale effettiva.  
- La possibilità di riconoscere un diritto al risarcimento per il mancato perfezionamento di strumenti previdenziali (ad esempio, i rendimenti non realizzati) è una questione complessa, che richiede un’attenta valutazione del nesso causale e dell’effettivo pregiudizio subito.  

**6. Implicazioni e prospettive**  
La decisione del Consiglio di Stato potrebbe avere effetti sulla tutela dei diritti previdenziali dei dipendenti pubblici in relazione alle modalità di attuazione delle forme di previdenza complementare. La pronuncia potrebbe anche contribuire a chiarire i limiti della responsabilità dello Stato in materia di previdenza integrativa e il loro ambito di tutela risarcitoria.

**Conclusione**  
Il ricorso degli appellanti si inserisce in un contesto di tutela dei diritti previdenziali, ma la decisione del T.A.R. ha ritenuto che non sussistano i presupposti per il riconoscimento del danno e, quindi, per il risarcimento. La questione rimane comunque aperta, e l’esito di eventuali ulteriori impugnative o di nuove iniziative giudiziarie potrebbe dipendere dall’accertamento del danno concreto e della responsabilità dell’amministrazione in relazione alla mancata attuazione delle forme di previdenza complementare.


Pubblicato il 12/08/2025
N. 07023/2025REG.PROV.COLL.
N. 07626/2024 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7626 del 2024, proposto da
xxxx
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero della Giustizia, Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta) n. 3422/2024, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato per le Amministrazioni appellate;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le istanze di passaggio in decisione senza discussione orale delle parti;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2025 la Cons. Gudrun Agostini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO
1. Gli odierni appellanti, dipendenti della Guardia di Finanza (n. 34), della Polizia di Stato (n. 11) e della Polizia Penitenziaria (n. 2), hanno chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sezione Quarta, n. 3422/2024, che ha respinto il ricorso originariamente proposto da 182 ricorrenti, per l’accertamento del diritto al risarcimento dei danni subiti e subendi, in conseguenza della mancata attuazione delle forme pensionistiche complementari previste dalla L. 8 agosto 1995, n. 225, da quantificarsi in misura corrispondente ai rendimenti non realizzati nonché all’adozione di ogni misura idonea a reintegrare la loro posizione previdenziale.
2. L’impugnata sentenza, con richiamo a precedenti del T.a.r. Lazio e del Consiglio di Stato, ha rigettato le domande ritenendo che “i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto, in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziali destinatari delle misure da adottarsi anche all’esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione, in ragione della natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego”.
3. Ne è seguita l’impugnazione con ricorso, depositato in data 11 ottobre 2024, con cui si denuncia l’erroneità della sentenza in relazione al rigetto del ricorso teso a denunciare la “violazione dell’art. 2 legge 335/95, art. 8 d.lgs. n. 124/93, art. 26, c. 20, legge n. 448/1998, art. 7 del d.lgs. n. 195/95. Motivazione omessa e/o apparente in ordine alle argomentazioni difensive sulla legittimazione attiva e sulla titolarità dell’interesse legittimo. Violazione di legge. Motivazione omessa e/o insufficiente in relazione alla dedotta violazione degli artt. 2, 3, 24, 38, 97 3 113 della Cost.”.
3.1. Nel giudizio d’appello si è costituita, in data 14 ottobre 2024, l’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza delle amministrazioni intimate. Con successive memorie la difesa erariale, richiamandosi alle relazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Funzione Pubblica n. 68825 del 11.10.2024, del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria n. 508714.U del 3.12.2024 e del Ministero dell’Interno - Dipartimento Pubblica Sicurezza del 19.12.2024 ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. All’odierna udienza pubblica la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con un unico e articolato motivo di gravame i ricorrenti deducono che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che la legittimazione spetti soltanto ai soggetti ai quali la norma attributiva del potere ha riconosciuto il potere di partecipare al procedimento in questione. A riguardo evidenziano che, in forza dei principi stabiliti dall’art. 2 TUE ma anche degli artt. 24, Cost. e 81 e 99 c.p.c., l’azione dei poteri pubblici deve essere oggetto di ricorso giurisdizionale anche quando l’agire della pubblica amministrazione produce effetti negativi nella sfera giuridica dei cittadini, come nel caso di specie dove l’iniziativa all’avvio della procedura di contrattazione è attribuita alla parte pubblica, che è rimasta inerte per tantissimi anni, e i beneficiari finali delle misure sono i dipendenti che sono i titolari dell’interesse all’introduzione della previdenza complementare, posto che il procedimento per l’istituzione della stessa, ove concluso, andrebbe ad incidere direttamente, ed in senso favorevole, sulla loro posizione giuridica soggettiva. Il primo giudice avrebbe errato anche nel ritenere che il sindacato sia “sostituto necessario ed esclusivo” rispetto all’esercizio delle azioni riguardanti la categoria rappresentata. Gli appellanti insistono quindi nell’azione risarcitoria a sostegno della quale in prime cure riassuntivamente avevano dedotto le seguenti circostanze:
- l’art. 2 della legge n. 335/1995 ha attribuito alla contrattazione collettiva il compito di definire le modalità di attuazione di quanto previsto dall’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 21 aprile 1993 n. 124 e successive modificazioni ed integrazioni, disciplinante le forme pensionistiche complementari;
- nel corso degli anni, con legge delega n. 243/2004 e decreto attuativo n. 252/2005, sono stati istituiti diversi fondi pensione sia per i dipendenti del settore privato che di quelli del pubblico impiego privatizzato, ma non per il personale militare e quello delle Forze di Polizia, che continuava a restare tagliato fuori, nonostante l’art. 26, comma 20, della l. n. 448/1998, avesse riservato espressamente alle procedure di negoziazione e di concertazione previste dal d.lgs. n. 195/1995 sia la disciplina del trattamento di fine rapporto, di cui all’art. 2, commi 5 e 8, l. 335/1995, sia l’istituzione delle forme pensionistiche complementari previste dall’art. 3, d.lgs. n. 124/1993 e gli artt. 40 e 67 del D.P.R. n. 254/1999 (recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare) e l’art. 24 del D.P.R. n. 255/1999, con riferimento al personale delle Forze Armate, avevano precisato che “1. Le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione, ai sensi dell'articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, provvedono a definire: a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo 21 aprile 1993, n.124, della legge 8 agosto 1995, n.335, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego; b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare…”;
- l’art. 7 del d.lgs. n. 195/95, che affermano essere la norma principale prevede “1. Le procedure per l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 2 sono avviate dal Ministro per la funzione pubblica almeno quattro mesi prima dei termini di scadenza previsti dai precedenti decreti” e, dunque, attribuiva al Ministro per la Pubblica Amministrazione il compito di assumere l’iniziativa per il procedimento e la concertazione;
- in data 2.11.2021 i dipendenti hanno diffidato le amministrazioni intimate a risarcire il danno loro derivato dall’inerzia serbata da quasi 30 anni nell’attivazione delle forme di previdenza complementare che avrebbero consentito di generare un evidente risparmio fiscale e più elevati livelli di copertura previdenziali;
- l’istanza risarcitoria è rimasta priva di positivo riscontro e per questo hanno dovuto adire il Tribunale affinché accerti “l’inadempimento di prestazioni inerenti il rapporto di impiego” e la conseguente fondatezza della pretesa risarcitoria;
- motivavano il loro interesse legittimante all’azione dal fatto di essere nella qualità di dipendenti portatori di un vero e proprio interesse legittimo, posto che il provvedimento finalizzato all’introduzione della previdenza complementare è destinato ad incidere direttamente, e non soltanto in via ipotetica ed eventuale sugli interessi degli stessi danneggiandoli.
1.2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica nella nota difensiva dimessa dalla difesa erariale ha delineato il complesso procedimento negoziale che sostiene essere estraneo alle dinamiche del procedimento amministrativo in quanto presuppone che le parti trovino un’intesa - che ad oggi non è stata raggiunta nonostante le iniziative avviate dal Ministero per la Pubblica Amministrazione che ivi si elencano; il Dipartimento FP rinvia quindi, analogamente al Ministero della Giustizia nella propria nota, ai molteplici ricorsi già in passato proposti da dipendenti per opporsi all’inerzia dell’Amministrazione nella presente materia e alle richieste risarcitorie dagli stessi avanzate e ai molteplici precedenti del Tar Lazio e di questo consiglio di Stato (ex plurimis n. 5697/2011, n. 5698/2011 e n. 10803/2022) che sulla scorta dell’ormai consolidata giurisprudenza hanno (i) escluso la legittimazione dei singoli dipendenti ad azionare l’inerzia delle Amministrazioni nel procedimento negoziale in questione; (ii) accertato l’infondatezza delle domande di accertamento dell’obbligo di provvedere e (iii) respinto analoghe richieste risarcitorie per il fatto che sulla base del quadro normativo sopra citato e delle azioni concretamente intraprese dal Ministero non è riscontrabile alcun ritardo dell’Amministrazione convenuta.
In ordine al presunto danno patrimoniale quantificato e sul richiesto risarcimento, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha rappresentato che il passaggio al regime del TFR potrebbe rivelarsi anche meno vantaggioso rispetto alle modalità di calcolo oggi assicurate in regime di TFS. Dunque, anche ove dovesse essere ipoteticamente riconosciuta una voce di danno, occorrerebbe, comunque, valutarsi l’incidenza negativa derivante dal calcolo della buonuscita a fine servizio secondo la mutata modalità di calcolo. Al riguardo richiama la pronuncia della Corte dei conti, sezione giurisdizionale Abruzzo (sentenza n. 40/2017), secondo cui “la mancata trasformazione del TFS del personale non contrattualizzato in TFR, pur pregiudicando, nell’attualità, la possibilità di conferire il TFR stesso a un fondo pensione, comporta per converso la conservazione di un regime di calcolo di regola più vantaggioso”.
1.3. Il Ministero dell’Interno invece ha rimarcato il proprio ruolo marginale nella procedura di attivazione del Fondo e ha fatto presente che il legislatore con la Legge di bilancio 30 dicembre 2021, n. 234 che ai commi 95 e 96 dell’art. 1 ha previsto l’istituzione di un fondo per la realizzazione di interventi perequativi di natura previdenziale per il suddetto personale finalizzato all’adozione dei provvedimenti normativi anche attraverso forme pensionistiche complementari.
2. Il ricorso è infondato.
Il Collegio prende atto dell’ormai consolidato orientamento di questo Consiglio che ha escluso la legittimazione dei singoli dipendenti a far accertare l’obbligo delle Amministrazioni di provvedere all’attuazione della previdenza complementare e al quale ha aderito l’impugnata sentenza.
E’ stato, infatti, costantemente affermato, in analoghe fattispecie, che i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d'interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. In particolare, la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione dei provvedimenti in questione, in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego, non spetta al singolo dipendente non essendo lo stesso titolare di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere (ex plurimis Cons. di Stato, Sez. II, n. 10803/2022; Id. n. 5697/2011 e n. 5698/2011; n. 502/2014 e n. 503/2014; n. 8440/2021; n. 2593/2022).
Come affermato nella sentenza del CdS n. 10803/2022, infatti, “..nel caso di specie, è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali pacificamente, anche nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva, ad esempio per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell'orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione.”
Invece con specifico riguardo alle domande volte a ottenere il risarcimento del danno derivante dal mancato compimento delle attività necessarie all’attuazione della previdenza complementare, la giurisprudenza ha poi affermato che “(...) il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni (...) non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare; con conseguente infondatezza della domanda per l’accertamento dell’obbligo di provvedere e di conseguenza della domanda risarcitoria, non sussistendo alcun ritardo dell’Amministrazione convenuta e non avendo i dipendenti alcuna posizione immediatamente tutelabile nei confronti dell’Amministrazione, ma rimanendo l’intera disciplina attribuita all’attività negoziale nell’ambito della rappresentanza sindacale” (Cons. Stato, n. 2593 del 2022, cit., Id. Cons. Stato, n. 10803/2022).
Le suddette conclusioni, sull’assenza di un autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni, alla luce del sottostante quadro normativo sono pienamente estensibili alla presente controversia.
In primo luogo, il comma 20 dell’art. 26 della l. n. 448 del 1998 ha previsto che: “ai fini dell'armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell’istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal D.Lgs. 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2, commi da 5 a 8, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l'istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 1, del citato D.Lgs. n. 195 del 1995”.
Ai sensi dell’art. 3 comma 2 del d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 - che all’art. 21 ha disposto l’abrogazione del d.lgs. n. 124 del 1993 – “per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all’articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni”.
In base all’art. 59 comma 56 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 “fermo restando quanto previsto dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell'indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa all'indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all’1,5 per cento, verrà destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.
L’art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254, “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999”, ha previsto: “1. Le procedure di negoziazione e di concertazione attivate, per la prima applicazione, ai sensi del citato articolo 26, comma 20, della L. n. 448 del 1998, provvedono a definire:
a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, della L. n. 335 del 1995, della L. n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;
b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;
c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare”.
Da tale disciplina risulta evidente che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del d.lgs. n. 195 del 1995.
Non può essere, peraltro, neppure accolta la ricostruzione difensiva che ritiene sussistente in capo alle Amministrazioni intimate l'obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995.
In primo luogo, si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio né una responsabilità, ai sensi dell'art. 2 bis della L. n. 241 del 1990.
Infatti, l’art. 31 c.p.a. prevede che “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere”; mentre, ai sensi dell’art. 2 bis della l. n. 241 del 1990, “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
Le procedure in questione si concludono, in base alla espressa previsione del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 195 del 1995, con l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica.
Inoltre, ai sensi del comma 13 dell’art. 7 del medesimo decreto legislativo, “nel caso in cui l’accordo e le concertazioni di cui al presente decreto non vengano definiti entro centocinquanta giorni dall'inizio delle relative procedure, il Governo riferisce alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica nelle forme e nei modi stabiliti dai rispettivi regolamenti”, con conferma della irrilevanza del termine di conclusione del procedimento rispetto alle attività di negoziazione sindacale, inscritte alla fine in un procedimento di valenza politica, non potendosi escludere che il Parlamento, nell’inerzia, possa provvedere con la legislazione ordinaria ove ritenga la mancata scelta dell’autonomia collettiva – cui pure è stata riservata la definizione dei contenuti della disciplina della materia - lesiva dell’interesse generale.
In particolare, poi, in base al comma 1 dell’art. 7 “Le procedure per l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 2 sono avviate dal Ministro per la funzione pubblica almeno quattro mesi prima dei termini di scadenza previsti dai precedenti decreti. Entro lo stesso termine, le organizzazioni sindacali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile possono presentare proposte e richieste relative alle materie oggetto delle procedure stesse. Il C.I. può presentare nel termine predetto, anche separatamente per sezioni Carabinieri, Guardia di finanza e Forze armate, le relative proposte e richieste al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro della difesa e, per il Corpo della Guardia di finanza, al Ministro delle finanze, per il tramite dello Stato Maggiore della difesa o del Comando generale corrispondente”.
Anche a ritenere che tale norma configuri un autonomo procedimento di avvio della negoziazione e/o concertazione in capo al Dipartimento della Funzione pubblica, il cui termine scadrebbe quattro mesi prima della scadenza dei precedenti decreti, il singolo dipendente non potrebbe agire a tutela dell'interesse alla rapida conclusione della procedura, trattandosi di una materia ex ante attribuita dalla legge alle organizzazioni sindacali del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e al Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), per i militari e le Forze di polizia ad ordinamento militari, i quali - se mai- potrebbero richiedere l'avvio della procedura.
In ogni caso, la determinazione del contenuto del successivo accordo sindacale rimane di competenza delle parti in sede di negoziazione e di concertazione, essendo anzi prevista in capo alle organizzazioni sindacali e al COCER interforze la facoltà di presentare proposte e richieste anche, nella fase precedente all'avvio della procedura, mentre i commi 4, 6 e 8 prevedono la trasmissione di osservazioni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Ministri competenti da parte delle organizzazioni sindacali e delle sezioni del COCER dissenzienti rispetto allo schema di accordo ( per le Forze di Polizia ad ordinamento civile) o di provvedimento (per le Forze di Polizia ad ordinamento militare e per i militari).
Pertanto, l’art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995, che riguarda la disciplina generale del procedimento per l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica che recepiscono gli accordi sindacali, per le forze di polizia ad ordinamento civile, e la concertazione, per i militari, non prevede nelle materie di competenza della negoziazione sindacale un potere del Dipartimento della funzione pubblica e/o della Presidenza del Consiglio di determinare il contenuto degli accordi e della concertazione e dei provvedimenti finali, se non nei casi espressamente previsti ovvero, in base al comma 11, al momento dell'approvazione dell'accordo sulla base della verifica delle compatibilità finanziarie e delle esame delle osservazioni di cui ai commi 4, 6 e 8.
Ne deriva che anche il riferimento alla disciplina dell’art. 7 è del tutto irrilevante nel caso di specie, non potendo da questa inferirsi alcun obbligo di provvedere, ma trovando integrale conferma la competenza della contrattazione sindacale.
Nel caso di specie, quindi, la tutela dei singoli passa necessariamente attraverso le loro eventuali istanze all'interno degli organi di rappresentanza sindacale.
Nella fattispecie, così come evidenziato dalla difesa erariale nella sua memoria, il suddetto Ministero ha avviato negli anni 1999-2000 le specifiche procedure aventi ad oggetto la materia del TFR e della previdenza complementare, convocando anche le rappresentanze sindacali e militari del personale del comparto, senza, peraltro, giungere ad un accordo condiviso tra le parti interessate.
Successivamente, a seguito della modifica introdotta dall’art. 3 del D. L.vo n. 129/2000 che ha innovato gli artt. 3, 4 e 5 del D. L.vo n. 195/1995 inserendo espressamente, tra le materie oggetto di contrattazione e di concertazione, la disciplina del trattamento di fine rapporto e delle forme pensionistiche complementari, il Dipartimento della Funzione Pubblica, negli anni 2005 e 2006, ha di nuovo convocato i rappresentanti istituzionali delle amministrazioni allo scopo di riavviare le trattative e la concertazione, ma anche in questo caso non si è giunti ad una positiva conclusione a causa del mancato raggiungimento di un accordo tra le parti interessate.
In occasione poi delle procedure negoziali e di concertazione relative ai rinnovi contrattuali del triennio 2016-2018, i tavoli, avviati su impulso del Ministro per la pubblica amministrazione, per condiviso volere delle parti, si sono concentrati esclusivamente sugli aspetti economici, destinando integralmente le risorse finanziare disponibili agli adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione e, in misura marginale, alla retribuzione accessoria incrementi stipendiali.
Nel dicembre del 2018 il Dipartimento della Funzione Pubblica ha convocato una nuova riunione tecnica con i Dicasteri interessati, anche sollecitando il Ministero dell’economia e delle finanze a valutare la possibilità di prevedere appositi stanziamenti da destinare in via esclusiva alla realizzazione dell’istituto in oggetto in favore del comparto Sicurezza-Difesa che costituisce presupposto indispensabile.
Da ultimo, infine, anche nell’intento di arginare il crescente contenzioso sulla materia, il Dipartimento, in coincidenza con procedure negoziali e di concertazione relative ai rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021, ha riproposto la fattispecie all’attenzione dei tavoli, senza peraltro che le parti addivenissero ad accordo alcuno.
In considerazione del fatto che non è ravvisabile alcun obbligo autonomo ed esclusivo per la parte pubblica non è configurabile il denunciato inadempimento.
Per le ragioni esposte il ricorso in appello deve essere respinto.
Sussistono, nondimeno, giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Stefano Toschei, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Gudrun Agostini, Consigliere, Estensore
         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Gudrun Agostini        Giancarlo Montedoro
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO

 

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