Consiglio di Stato 2025 - Il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi su un ricorso in appello proposto dagli appellanti contro la sentenza del T.A.R. per la Puglia, Lecce – Sezione Seconda, n. 442/2024, che ha respinto il loro ricorso riguardante una nota del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Risorse Umane, datata 13 novembre 2020 (n. 333-A/U.C./xxxi/Misc/PP/4038). Tale nota avrebbe fornito una risposta implicitamente negativa alla richiesta avanzata dagli appellanti di computo ai fini dell’anzianità di servizio e pensionistici del corso quadriennale per Allievo aspirante vice commissario, frequentato presso l’Istituto Superiore di Polizia, ai sensi dell’art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341/1982.
**Analisi dettagliata:**
1. **Oggetto del contenzioso:**
- Gli appellanti hanno chiesto l’annullamento di una nota ministeriale che avrebbe negato loro il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante il corso quadriennale, ai fini pensionistici e di anzianità di servizio.
- La richiesta si basa sulla presunta erronea interpretazione o applicazione delle norme che regolano il computo del servizio formativo come tale utile ai fini pensionistici.
2. **Decisione del T.A.R.:**
- La sentenza ha respinto il ricorso principale, probabilmente ritenendo che la nota ministeriale fosse corretta o che non vi fosse una legittima pretesa degli appellanti al riconoscimento richiesto.
- La motivazione potrebbe aver riguardato interpretazioni normative, circolari ministeriali o prassi consolidate che escludono il computo del servizio formativo ai fini pensionistici, o comunque non riconosciuto come tale dalla nota impugnata.
3. **Motivazioni del ricorso in appello:**
- Gli appellanti contestano tale decisione, sostenendo che la nota ministeriale avrebbe errato nel negare il computo del servizio.
- Potrebbero argomentare che il corso quadriennale, essendo parte integrante della formazione professionale richiesta per il ruolo di vice commissario, debba essere considerato utile ai fini del computo dell’anzianità di servizio e pensionistica.
- Potrebbero inoltre sostenere che vi siano interpretazioni normative più favorevoli o che sussistano precedenti o prassi amministrative che riconoscono tale diritto.
4. **Questioni di diritto rilevanti:**
- La corretta interpretazione dell’art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341/1982, che disciplina il riconoscimento del servizio formativo come utile ai fini dell’anzianità e pensionistici.
- La compatibilità tra il corso quadriennale e le norme che regolano il computo del servizio nel pubblico impiego e nelle forze di polizia.
- La natura della nota ministeriale e se questa possa essere considerata un atto di natura interpretativa o di mero indirizzo, oppure un atto amministrativo vincolante.
5. **Valutazioni del Consiglio di Stato:**
- Il Consiglio di Stato, quale giudice di secondo grado, dovrà valutare se la motivazione del T.A.R. sia corretta e se la nota ministeriale sia coerente con la normativa vigente.
- La giurisprudenza consolidata afferma che i corsi di formazione e specializzazione, per essere utili ai fini pensionistici, devono essere esplicitamente riconosciuti come tali dalle norme o dagli atti amministrativi di riferimento.
- Se si ritiene che il corso quadriennale, per la sua natura e per le norme applicabili, debba essere considerato utile ai fini del computo, il Consiglio di Stato potrebbe riformare la sentenza e ordinare il riconoscimento dell’anzianità di servizio e pensionistica.
**Conclusioni:**
Il ricorso in appello verte sulla corretta interpretazione delle norme relative al riconoscimento del servizio formativo per fini pensionistici. La soluzione dipenderà dall’analisi della normativa applicabile, delle prassi amministrative e delle eventuali sentenze precedenti. Se si dimostra che il corso quadriennale debba essere considerato utile ai fini del computo dell’anzianità, il Consiglio di Stato potrebbe riformare la sentenza del T.A.R. e accogliere la domanda degli appellanti, riconoscendo loro il diritto al computo richiesto.
**Nota finale:**
Per una valutazione più approfondita, sarebbe utile analizzare le norme specifiche, le circolari ministeriali di riferimento e la giurisprudenza consolidata in materia di riconoscimento del servizio formativo ai fini pensionistici nel settore pubblico.
Pubblicato il 12/08/2025
N. 07021/2025REG.PROV.COLL.
N. 08108/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8108 del 2024, proposto da
xx;
contro
Ministero dell'Interno, Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Seconda) n. 442/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2025 la Cons. Gudrun Agostini e udito per gli appellanti l’avvocato Massimo Zhara Buda;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso in appello si chiede la riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Lecce – Sezione Seconda, n. 442/2024, che ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti ai fini dell’annullamento della nota del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Risorse Umane, n. 333-xx/PP/4038 del 13.11.2020, con la quale è stata fornita risposta implicitamente negativa alla formale diffida al computo ai fini dell’anzianità di servizio e pensionistici del corso quadriennale per Allievo aspirante vice commissario di cui all’art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341 del 1982, frequentato presso il preesistente Istituto Superiore di Polizia e per l’accertamento del relativo diritto.
2. Qui di seguito si riportano in sintesi le premesse in punto di fatto.
2.1. I ricorrenti, appartenenti ai ruoli direttivi o dirigenti della Polizia di Stato, che avevano avuto accesso al ruolo iniziale dei commissari di Polizia a seguito della frequenza del corso quadriennale per allievo aspirante vice commissario, di cui all’art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341 del 1982, sostenuto presso il preesistente Istituto Superiore di Polizia, invocavano il riconoscimento del diritto al computo “gratuito” di detto periodo ai fini dell’anzianità di servizio e pensionistici.
2.2. Il Ministero dell’Interno, in riscontro all’istanza in tal senso formulata, dava risposta negativa facendo presente che il riconoscimento del corso quadriennale fosse previsto “solo qualora venga conseguita la laurea, così come previsto dall’art. 16 del citato d.P.R. n. 341/1982, previo riscatto a titolo oneroso, in applicazione del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184”.
2.3. Ne seguiva ricorso al Tar Lecce, affidato a tre motivi con cui si lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 59 della l. 121/1981, di varie disposizioni contenute nel D.P.R. 341/1982 e dell’art. 8, comma 1, lett. a) n. 1) della legge 7.8.2015 n. 124, dell’art. 45 del D.Lgs. 95/2017.
2.4. Ad esito del giudizio il T.a.r. rigettava il ricorso, ritenendo infondato il preteso diritto al computo del periodo di formazione per l’assenza in tale fase di un rapporto di impiego; riteneva infondata anche la questione di illegittimità costituzionale sollevata in primo grado.
2.5. Ne è seguita l’impugnazione con ricorso, depositato in data 30 ottobre 2024, affidato a quattro motivi con sono state riproposte in esame le originarie censure, che risultano come segue rubricate:
I. “Erroneità e/o illegittimità della sentenza, nonché omessa pronuncia sul motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 59 della legge 1.4.1981 n. 121, nonché degli articoli 8, 9, 11, 17, 18, 20 e 21 del D.P.R. 24.4.1982 n. 341”;
II. “Omessa pronuncia del motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. a) n. 1) della legge 7.8.2015 n. 124 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del D.Lgs. 29.5.2017, n. 95, che estende espressamente agli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile, tra gli altri l’art. 1811 del D.Lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) - Violazione del principio di equiordinazione del personale delle Forze di polizia”;
III. “Illegittimità e/o erroneità della sentenza laddove ha ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 55, lett. a) e 59 della legge 1.4.1981 n. 121, nella formulazione vigente fino all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 334 del 2000, in relazione agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione”.
IV. “Violazione Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 – Istanza di rimessione della questione alla Corte di Giustizia della Comunità Europea”.
2.6. Nel giudizio d’appello si è costituita, in data 4 novembre 2024, con memoria di stile l’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza delle amministrazioni.
3. All’odierna udienza pubblica la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso per quanto si dirà è infondato.
1.1. Con il primo motivo si censura la sentenza per aver in parte omesso e comunque erroneamente pronunciato sul primo motivo originario con cui i ricorrenti avevano dedotto che le modalità di svolgimento del corso e gli istituti giuridici ad esso relativi contengono molti elementi indicativi - che puntualmente hanno elencato – che confermerebbero la sussistenza di un “rapporto di impiego” anche durante lo svolgimento del corso di formazione e quindi il diritto al computo ai fini richiesti. Non sarebbero invece pertinenti i pareri e le pronunce giurisprudenziali richiamate dall’amministrazione, considerate decisive dal Tar, per il fatto che riguardano il “servizio di leva”.
1.2. Con il secondo motivo di impugnazione si lamenta omissione di pronuncia sul secondo motivo originario con cui avevano dedotto che i periodi di frequenza dei corsi di formazione sarebbero sempre stati valutati nel computo dell’anzianità di servizio e ai fini pensionistici, per tutte le Forze di Polizia ad ordinamento civile, compresa la Polizia di Stato e per gli appartenenti alle Forze di Polizia ad ordinamento militare che vengono “reclutati” (allievi nelle accademie militari dei Carabinieri e della Guardia di Finanza per i quali si veda l’art. 32 D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092), con evidente disparità di trattamento. Le riforme più recenti in tema si basano sul criterio dell’equiordinazione dei diversi ordinamenti militari e civili; pertanto dovrebbe essere privilegiata un’interpretazione sistematica, con allineamento delle disposizioni applicate al personale omologo dei vari ordinamenti, evitando disomogeneità ed ingiusti trattamenti differenziati.
2. Entrambe le censure che possono essere esaminate congiuntamente sono infondate.
In passato, l’assunzione nei ruoli dei commissari della Polizia di Stato avveniva, secondo la formulazione originaria dell’art. 55 della legge n. 121 del 1981, con due modalità: i) frequenza con esito positivo dell’Istituto Superiore di Polizia di cui all’art. 58; ii) mediante concorso pubblico riservato ai laureati.
Ai fini dell’assunzione secondo quanto previsto alla lett. a), l’art. 58 prevedeva l’istituzione dell’Istituto Superiore di Polizia, individuando i relativi principi di funzionamento, in seguito attuati con il D.P.R. 341/1982.
L’art. 6 D.P.R. n. 341/1982 ha quindi istituito l’Istituto Superiore di Polizia, destinato ad organizzare i corsi per la nomina a Vice Commissario in prova. L’ammissione al corso in questione era riservata a coloro che avessero superato un apposito concorso per esami, i cui requisiti di accesso, comprensivi del possesso del diploma di scuola superiore, erano fissati dal successivo art. 9.
Alla selezione avrebbero potuto partecipare anche gli appartenenti ai ruoli del personale della Polizia di Stato che espletava funzioni di Polizia, ove in possesso dei requisiti individuati dall’art. 9.
Per quel che qui rileva, l’art. 11 prevedeva poi che i vincitori del concorso “1. Sono nominati allievi aspiranti commissari in prova ed ammessi a frequentare il corso quadriennale presso l’Istituto superiore di polizia; i vincitori provenienti dai ruoli della Polizia di Stato sono posti in aspettativa per la durata del corso mantenendo, se più favorevole, il trattamento economico già in godimento. 2. Per quanto non diversamente disposto, agli allievi aspiranti commissari in prova sono estese, in quanto applicabili, le disposizioni concernenti gli allievi degli istituti di istruzione della Polizia di Stato. 3. Il servizio prestato per due anni come allievo aspirante commissario in prova è valido agli effetti dell’adempimento degli obblighi di leva; gli allievi durante il primo biennio di frequenza del corso hanno diritto al rinvio della chiamata di leva.”.
L’art. 13 stabilisce inoltre che, al termine del primo biennio, gli allievi aspiranti Commissari in prova che avessero superato gli esami previsti e ottenuto il giudizio di idoneità da parte del direttore dell’istituto erano nominati aspiranti Commissari in prova. Al termine dei quattro anni, gli aspiranti Commissari in prova che avessero superato gli esami previsti erano ammessi a sostenere l’esame finale per il conseguimento del diploma (art. 14).
Ai sensi dell’art. 15 gli aspiranti che avessero superato l’esame finale erano nominati in prova nel ruolo dei Commissari, secondo l’ordine di graduatoria e ammessi a frequentare il corso di formazione previsto dall’art. 56, co. 1, l. 1° aprile 1981, n. 121, presso la seconda sezione dell’Istituto superiore di polizia.
L’art. 17 individuava le ipotesi di dimissioni dal corso, contemplando la rinuncia dell’allievo, l’inidoneità, il mancato superamento degli esami, nonché motivi di carattere disciplinare. Qualora la dimissione avvenisse per la perdita dell’idoneità fisica, psichica, per infermità o lesioni, riportate durante il corso e per causa di esso, era prevista l’applicazione del trattamento pensionistico privilegiato di cui alle leggi nn. 280/1981 e 308/1981.
Con l’art. 18 si demandava all’approvazione di un apposito regolamento l’individuazione delle sanzioni disciplinari e l’introduzione delle norme volte a regolare il relativo procedimento. In caso di applicazione di una sanzione disciplinare più grave della deplorazione, ai sensi dell’art. 19, era prevista l’espulsione dal corso.
Per quel che invece riguarda il “trattamento economico” degli allievi del corso, l’art. 59 della legge n. 121 del 1981 prevedeva che questo fosse determinato in misura proporzionale alla retribuzione della qualifica iniziale cui il corso dava accesso, con decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministero del Tesoro, riservando il trattamento più favorevole eventualmente in essere agli allievi provenienti dagli altri ruoli della Polizia di Stato.
Dal quadro normativo appena delineato emerge chiaramente che gli aspiranti commissari venivano immessi nel ruolo dei commissari di Polizia e quindi “in servizio” soltanto dopo aver frequentato e concluso, con esito positivo, il corso di formazione quadriennale e una volta che avevano superato l’esame finale previsto dall’art. 14 cui conseguiva la nomina in prova “nel ruolo di commissario”.
L’ammissione al corso, in seguito al concorso, non dava quindi luogo ad un rapporto di servizio ma ad un rapporto di formazione “in prova” dedicato all’istruzione, alla preparazione professionale degli aspiranti allievi e al completamento della selezione, finalizzata alla instaurazione di un futuro rapporto di servizio al quale alcuni istituti dell’ordinamento della pubblica sicurezza hanno trovato applicazione, in quanto ritenuti dal legislatore compatibili a questa fase di accesso alla carriera. Questa è la ragione per la quale agli indicatori elencati nel ricorso dalla lett. a) alla lett. h) non è possibile attribuire l’effetto voluto dagli appellanti.
Si tratta, invero, di istituti che trovano applicazione anche agli allievi aspiranti commissari in formazione perché ritenuti dal legislatore compatibili con tale regime.
Quanto, nello specifico, all’aspetto delle “trattenute sul trattamento economico”, emerge che l’amministrazione ha applicato soltanto le trattenute assistenziali e previdenziali e non quelle pensionistiche. La circostanza non risulta essere contestata. Le trattenute erano finalizzate a garantire all’allievo l’assicurazione per infortuni e malattia durante il periodo di formazione (INPS e INAIL).
Invece non si ravvisa alcuna disparità di trattamento con gli allievi aspiranti provenienti da altri ruoli della Polizia di Stato – per i quali l’art. 11 del D.P.R. 341/1982 prevedeva la posizione di aspettativa per la durata del corso, e ai quali il periodo è stato computato ai fini dell’anzianità e pensionistici, per il fatto che gli stessi già erano stati immessi nei ruoli alle dipendenze dell’amministrazione con evidente differenza sostanziale della loro posizione rispetto a quella degli appellanti, soltanto aspiranti a tale ruolo.
A nulla rileva la previsione dell’accesso al corso di formazione mediante concorso per esami e requisiti previsti per il pubblico impiego per il fatto che i posti erano limitati e quindi era necessario procedere tramite concorso pubblico.
Per quanto attiene al previsto “trattamento economico”, non si tratta di corrispettivo, nella logica di un rapporto sinallagmatico, in seguito ad una prestazione compiuta a favore dell’amministrazione, ma di una sorta di ricompensa per l’impegno formativo che rientrava nei redditi “assimilati” ai redditi di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50, co. 1, lett. c), D.P.R. n. 917 del 1986, che includono “le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante”.
Anche l’estensione nei confronti degli allievi aspiranti delle altre disposizioni concernenti gli allievi già in ruolo degli istituti di istruzione della Polizia di Stato non ha nessuna rilevanza, posto che è del tutto logico che si applicassero, in un Istituto di Polizia, le stesse disposizioni nei confronti di tutti gli allievi.
Con riguardo all’art. 1811 del D. Lgs. 66/2010, citato dagli appellanti a fondamento della loro tesi sviluppata nel secondo motivo, il quale dispone: “1. Agli ufficiali generali e agli ufficiali superiori, nel caso di promozione o maturazione dell'anzianità di servizio dal conseguimento della nomina a ufficiale o della qualifica di aspirante, lo stipendio nella nuova posizione è determinato considerando la differenza tra gli anni di servizio computabili e il numero degli anni di seguito indicati per ciascun grado….”, si dà atto che da tale norma non è dato ricavare la decorrenza del termine dell’anzianità di servizio dalla qualifica di aspirante, ma solo il riconoscimento delle nuove posizioni stipendiali per ciascun grado. Né la diversa interpretazione dei ricorrenti, in assenza di una previsione espressa, può essere sostenuta sulla base del principio di equiordinazione del personale delle forze di Polizia ricavato dall’art. 8 della legge 124 del 2015.
Da tali norme si ricava un principio di equiordinazione, principalmente sotto il profilo economico e tendenzialmente rivolto al futuro. Sotto il profilo esegetico non si ritiene corretto impiegare un criterio interpretativo ricavabile dal riordino operato nel 2015 riferito ad un corso di formazione disciplinato dal un D.P.R. dell’82, trattandosi di elementi di comparazione distonici che, inevitabilmente, conducono a conseguenze contrastanti con quanto previsto dalla legislazione dell’epoca.
Il principio invocato va quindi correttamente inteso come avente natura tendenziale e programmatica, non impedendo, tuttavia, che in presenza di titoli durante la frequenza del corso le trattenute applicate ai ricorrenti sul loro trattamento economico erano solo quelle di carattere assistenziale, e non quelle di carattere previdenziale e contributivo, a conferma della natura meramente formativa del corso. specifiche peculiarità caratterizzanti un caso concreto, venga applicato un trattamento differente.
Per le ragioni esposte merita di essere confermato il pronunciamento di primo grado che si pone in linea con la giurisprudenza di questo Consiglio che ha negato la sussistenza di un rapporto di pubblico impiego tra l’allievo e il Ministero durante il periodo di frequentazione del corso di formazione presso l’Istituto superiore di Polizia nonostante la presenza di alcune condizioni tipiche del rapporto di pubblico impiego, tra cui l’incardinamento nelle strutture dell’apparato pubblico, la sottoposizione a poteri gerarchici, la valutabilità del tempo così trascorso ai fini della progressione in carriera, equiparabilità rispetto a quanto avviene presso le Accademie Militari, il trattamento economico prefissato, la previsione di possibili assenze e periodi di malattie, la strumentazione disciplinare, l’orario giornaliero di attività ed altri (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 6539/2002).
3. Con il terzo motivo di appello è stata risollevata l’eccezione di incostituzionalità degli artt. 55 lettera a) e 59 della Legge 121/1981, nella formulazione previgente all’entrata in vigore del d.lgs. 334/2000 in relazione agli artt. 3, 36, 38 e 97 Cost. Sul punto gli appellanti considerano la motivazione del primo giudice illogica e incongrua per il fatto che al corso si accede con concorso e perché sulla base di una corretta lettura delle norme si dovrebbe necessariamente giungere alla qualifica dello stesso quale rapporto di lavoro.
3.1. La questione di illegittimità costituzionale è manifestamente infondata.
In ordine alla dedotta violazione del principio di uguaglianza e dell’art. 3 della Costituzione non è ravvisabile nel caso di specie un diverso trattamento di due fattispecie identiche. Come già evidenziato in precedenza, con riferimento agli aspiranti allievi appartenenti alla Polizia di Stato, non sussiste una identità di situazioni rispetto alla condizione degli allievi esterni, per il fatto che i primi erano già incardinati nei ruoli dell’amministrazione e ammessi a beneficiare, ai sensi dell’art. 11, co. 2, D.P.R. n. 341/1982, di un periodo di aspettativa (computato ai fini dell’anzianità di servizio e retribuito in misura più elevata rispetto agli altri allievi) che segue logiche legate al rapporto di lavoro già in essere, e che non potrebbero estendersi ad aspiranti per i quali tale rapporto non era ancora sussistente, né negarsi ai lavoratori che già erano dipendenti dell’amministrazione resistente.
Per quanto concerne gli aspiranti dirigenti delle altre forze di Polizia ad ordinamento civile, e di quelle ad ordinamento militare, la parte ricorrente si limita ad accennare alla sussistenza di regimi diversi e più favorevoli, senza individuarne gli estremi normativi e lo specifico tenore.
Non è dunque dato comprendere quali siano i regimi cui la difesa intenda riferirsi, e quale ne sia il contenuto. Nell’impossibilità di affrontare in termini maggiormente specifici la questione (che anche in relazione alla sua incompleta formulazione viene ritenuta manifestamente infondata), si evidenzia come, relativamente all’accesso alle qualifiche da ufficiale nelle forze armate, la modalità ordinaria di reclutamento è quella che prevede la previa ammissione alle Accademie militari, che (al pari del corso quadriennale di cui al D.M. 341/1982) non dà luogo all’immissione in ruolo prima dell’avvenuta conclusione con esito positivo del percorso di studio degli allievi (art. 720 d.lgs. n. 66/2010). Nelle forze di Polizia a ordinamento civile sono invece attualmente in vigore modalità di reclutamento del personale dirigente tramite concorso al quale si accede se in possesso di laurea magistrale (ad esempio: in architettura o ingegneria per i vigili del fuoco secondo il d.lgs. 217/2005, in materie giuridiche per i commissari di Polizia, ai sensi dell’attuale d.lgs. 334/2000), e a seguito del cui superamento si è immediatamente immessi in ruolo, senza che ciò possa evidenziare alcuna irragionevole disparità di trattamento con i vincitori del concorso di ammissione al corso quadriennale oggetto di causa. Quest’ultimo, infatti, costituisce una modalità di selezione completamente diversa, rivolta a soggetti non laureati, avente un contenuto prettamente formativo, al punto da consentire ex post, con l’esito positivo del percorso e al massimo tre esami aggiuntivi (art. 12, co. 2, D.P.R. 341/1982), il conseguimento della laurea in giurisprudenza, e con il riconoscimento degli esami sostenuti anche per i corsi di laurea in economia o scienze politiche (art. 16, D.P.R. n. 341/1982).
Non si ravvisano, in definitiva, anche sotto tale profilo, aspetti censurabili in sede di vaglio di costituzionalità.
Per quanto attiene alla questione del computo, nell’anzianità di servizio, degli anni necessari al conseguimento della laurea si osserva come la questione non possa essere sollevata trattandosi di eccezione relativa a norme – disposizioni che disciplinano ratione temporis il momento di collocazione in quiescenza e il computo della laurea ai fini del raggiungimento dei relativi requisiti (rispettivamente artt. 13 e 32 D.P.R. 1092/1973 art. 2 D. Lgs. 184/1997) - in relazione alle quali non è stata articolata l’eccezione, sollevata invece con riferimento agli artt. 55 e 59 l. 121/1981.
Inoltre tali norme, in quanto riguardanti gli anni di laurea, non rilevano ai fini della definizione del presente giudizio, con conseguente non rilevanza della questione.
La questione è manifestamente infondata anche sotto il profilo della violazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione, per le ragioni già esposte rispetto all’insussistenza di una disparità di trattamento rispetto ai colleghi collocati in aspettativa, la cui posizione di lavoratori dipendenti della Polizia attribuisce diritti non estensibili agli aspiranti Commissari, ancora estranei al Corpo e per il fatto che, come esposto sopra, i corsisti non hanno subito trattenute pensionistiche a differenza dei dipendenti in aspettativa.
Il contrasto con l’art. 97 della Costituzione è, del pari, insussistente, non potendosi ravvisare alcuna irragionevolezza del provvedimento adottato, il quale è stato considerato dal Collegio legittimo alla luce delle considerazioni sopra esposte.
4. Per quanto attiene alla questione sulla pretesa violazione della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 con richiesta di remissione alla Corte di Giustizia della questione in ordine alla natura lavorativa del corso quadriennale di formazione, si ritiene che difettino entrambi i requisiti sia quello della rilevanza sia la fondatezza. Come sopra ben evidenziato, il corso sostenuto dai ricorrenti non rientra nell’attività formativa imposta in costanza di rapporto di lavoro che, ancora, non è stato costituito con conseguente irrilevanza della direttiva concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro per come interpretata dalla CGUE.
Proprio il precedente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, al quale ha fatto riferimento la difesa dei ricorrenti ossia la sentenza del 28.10.2021 n. 909–C–909/19, ha stabilito il seguente principio: “L’art. 2.1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che il lasso di tempo durante il quale un lavoratore segue una formazione professionale impostagli dal suo datore di lavoro, che si svolge al di fuori del suo luogo di lavoro abituale, nei locali del prestatore dei servizi di formazione, e durante il quale egli non esercita le sue funzioni abituali, costituisce orario di lavoro, ai sensi di tale disposizione” depone nel senso della riferibilità della nozione di orario di lavoro a contenuto formativo imposto in presenza di rapporto di lavoro già in essere e non a quello da instaurare.
5. Per le ragioni tutte esposte il ricorso in appello deve essere respinto.
Sussistono, nondimeno, giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti anche in ragione del fatto che la parte pubblica ha depositato soltanto una semplice costituzione di stile.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Stefano Toschei, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Gudrun Agostini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gudrun Agostini Giancarlo Montedoro
IL SEGRETARIO
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