Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 30 luglio 2025 n. 21952.
- Oggetto: riconoscimento di malattia professionale e attribuzione di rendita INAIL in presenza di carcinoma tiroideo, nell’ambito dell’uso di videoterminali.
- Tesi cassativa: la Corte nega la rendita per carcinoma tiroideo in assenza di esposizione qualificata a radiazioni.
- Nucleo problematico: quando il tumore tiroideo possa essere attribuito a ventaglio di rischi professionali (in particolare radiazioni ionizzanti) e quali requisiti probatori siano necessari per la riconduzione della patologia, quale malattia professionale, al lavoro svolto.
- Oltre alla semplice effettiva presenza del cancro, la decisione fa leva sull’inesistenza di esposizione qualificata a radiazioni come presupposto essenziale per l’esposizione a rischio e quindi per la concessione della rendita INAIL.
2) Quadro normativo di riferimento
- Malattie professionali e rendita INAIL: in Italia, l’istituto della rendita è previsto per le malattie/lesioni riconosciute come conseguenza dell’attività lavorativa, con i relativi criteri di accertamento individuati dal sistema INAIL e dal D.P.R. 1124/1965 (Testo Unico delle Malattie Professionali) e dalle normative successive che regolano la protezione assicurativa del lavoro.
- Esposizione qualificata a radiazioni: per alcune patologie di origine professionale legate a radiazioni ionizzanti, la ricostruzione del nesso causale richiede una prova di esposizione qualificata, tipicamente supportata da documentazione dosimetrica, profilo professionale che comporti esposizione a radiazioni e/o perizia medico-legale che accrediti una relazione di causa-effetto tra esposizione e patologia. In assenza di tale esposizione qualificata, la possibilità di riconoscere la malattia professionale (e di concedere la rendita) viene significativamente compromessa.
- Carcinoma tiroideo e radiazioni: la relazione tra esposizione a radiazioni ionizzanti e carcinoma tiroideo è nota in letteratura e giurisprudenza, ma la legittimazione del carcinoma tiroideo quale malattia professionale dipende dall’esistenza di una esposizione lavorativa qualificate a radiazioni. L’assenza di radiazioni qualificate rende difficile invocare un nesso causale automatico, soprattutto in assenza di presunzioni o di una specifica predisposizione normativa.
3) Tratti probatori e parametri decisivi della fattispecie
- Onere probatorio: nel sistema giuridico italiano sull’inabilità professionale o rendita INAIL, grava sul lavoratore dimostrare il nesso causale tra la patologia e l’attività lavorativa, con particolare rigore in materia di malattie professionali. Quando la patologia è un carcinoma tiroideo, come nel caso in questione, l’accertamento si fonda spesso sull’esposizione a radiazioni e sulle caratteristiche dell’esposizione (qualificata o meno) e sulla presenza di una relazione causale stretta con la patologia.
- Esposizione qualificata: la nozione “qualificata” implica che l’esposizione sia idonea, documentata (dosimetria, registrazioni, attestazioni di attività svolta in contesti di esposizione a radiazioni) e tale da permettere di inferire una causalità nel contesto lavorativo. Senza tale esposizione, la possibilità di attribuire al lavoro la patologia è ridotta o negata.
- Perizia medica: in casi controversi, è frequente che si svolga una perizia medico-legale per valutare il nesso di causalità tra attività lavorativa e patologia. Se la perizia non individua esposizione qualificata a radiazioni o non riconosce una relazione causale adeguata, la parcella probatoria per la rendita può non essere soddisfatta.
- Apprezzamento del Giudice: la Cassazione, in materia di malattie professionali e rendite INAIL, sottolinea in molte pronunce la necessità di una prova rigorosa del nesso causale e di riferimenti normativi e/o presunzioni che permettano di superare l’onere probatorio. L’assenza di esposizione qualificata può essere decisiva per rigettare la domanda di rendita.
4) Ragionamento giuridico probatorio (logica tipica di decisione cassazionale in materia)
- Criterio di inquadramento: per riconoscere una malattia professionale (e di conseguenza una rendita) è necessario dimostrare che la patologia sia associata, in modo qualificante, all’attività lavorativa. Se non esiste una esposizione qualificata a radiazioni, la procedura di riconoscimento si complica o si chiude con esito negativo.
- Presunzione e onere della prova: la giurisprudenza tende ad applicare la presunzione solo quando ricorrano specifici presupposti di esposizione, di tipo qualificato, o quando la letteratura o la prassi indichino una relazione di causalità altamente probabile. In assenza di tali presupposti, l’onere probatorio resta a carico del lavoratore e, nel caso di oncologia tiroidea e radiazioni, la Corte può ritenere non sussistente il nesso di causalità sufficiente per la rendita.
- Limiti della prova in caso di VDUs: l’uso di videoterminali, a differenza di esposizioni ai raggi X o altre fonti di radiazioni ionizzanti, non comporta esposizione qualificata a radiazioni. La Corte potrebbe ribadire che l’ordinamento non riconosce automaticamente l’esposizione a radiazioni per l’uso di strumenti comuni da ufficio, soprattutto se non supportato da dosimetria o da una descrizione operativa che provi l’esposizione in contesto lavorativo. In tal caso, la patologia non può essere qualificata come malattia professionale correlata a radiazioni.
- Conseguenza decisoria: se la Corte conferma l’assenza di esposizione qualificata, ciò giustifica la negazione della rendita, restando eventualmente aperte altre forme di tutela non legate al riconoscimento di malattia professionale (es. tutela sanitaria o indennità di natura civile, a seconda del caso e delle tutele disponibili).
5) Implicazioni pratiche della pronuncia
- Per i lavoratori: è essenziale dimostrare la presenza di esposizione qualificata a radiazioni, non limitandosi all’uso di strumenti in sé. Occorre raccogliere dosimetrie, certificazioni aziendali, attestazioni di mansioni che prevedevano esposizione, registrazioni di radioprotezione, e una perizia medica che certifichi la relazione tra esposizione e carcinoma tiroideo.
- Per i datori di lavoro e gli enti assicurativi: la pronuncia sottolinea l’esigenza di tutelare i lavoratori esposti a radiazioni identificando chiaramente i contorni della esposizione qualificata: senza tale elemento, la rendita per carcinoma tiroideo non è automatico. Può spingere a una migliore documentazione progressiva delle esposizioni e a una gestione più mirata delle tutele assicurative.
- Per gli avvocati: la chiave è l’elemento probatorio dell’esposizione qualificata a radiazioni. In assenza di tale elemento, anche una patologia oncologica potenzialmente correlata al lavoro potrebbe non essere riconosciuta come malattia professionale. La scelta strategica è quindi riuscire a reperire o produrre elementi di prova sull’esposizione radiologica.
6) Confronto con orientamenti giurisprudenziali pregressi
- Generalmente, la giurisprudenza ha richiesto una solida dimostrazione del nesso causale tra esposizione a radiazioni e patologia oncologica per la riconversione del caso in malattia professionale. In assenza di esposizione qualificata, il riconoscimento della malattia professionale è meno probabile, soprattutto per patologie non tipicamente incluse in elenchi predisposti.
- Alcune pronunce hanno ammesso la possibilità di riconoscere patologie oncologiche come conseguenza professionale solo in presenza di specifici fattori di rischio (esposizione radiogena documentata, dosimetria, contesto occupazionale a elevato rischio). In questo contesto, una sentenza come quella indicata rispecchia una linea interpretativa rigida sulla necessità di esposizione qualificata.
7) Conseguenze pratiche e suggerimenti operativi per le parti
- Se sei l’avvocato della parte interessata:
- Metti in primo piano la necessità di produrre evidenze dell’esposizione radiologica qualificata. Richiedi e allega dosimetrie, registri di radioprotezione, attestazioni aziendali delle mansioni svolte.
- Se non esistono elementi di dosimetria, valuta la possibilità di utilità di perizie integrative o di elementi di fatto che possano supportare l’esposizione qualificata in modo indiretto.
- Esamina attentamente se vi siano altre vie di tutela (infortunio sul lavoro, indennità civile, ecc.) compatibili con la situazione clinica e la documentazione disponibile.
- Se sei il datore di lavoro o l’INAIL:
- Assicurati che i processi di monitoraggio dell’esposizione radiologica siano adeguatamente documentati e conservati.
- Fornisci al lavoratore indicazioni chiare su come venga monitorata l’esposizione e quali documenti possono essere utili in sede di eventuale riconoscimento della malattia professionale.
- Per entrambe le parti, in sede di giudizio:
- Sfrutta la possibilità di perizie medico-legali mirate a verificare se esiste o meno l’esposizione qualificata e se la relazione causale tra esposizione e carcinomas tiroideo sia idonea a soddisfare i requisiti di legge.
8) Limiti e punti di cautela
- La lettura qui fornita non sostituisce l’analisi del testo ufficiale della sentenza. Le ragioni decisive, la grammatica giuridica e i riferimenti normativi specifici possono essere differenti e determinanti ai fini della motivazione.
- La categoria della “malattia professionale” è strettamente legata a elenchi e presunzioni normative; non ogni carcinoma tiroideo, anche se diagnosticato in un lavoratore, sarà riconosciuto come malattia professionale senza la prova di esposizione qualificata a radiazioni o altre condizioni previste dalla normativa.
9) Sintesi operativa
- La sentenza in oggetto sembra rafforzare l’idea che l’uso di videoterminali, di per se, non è fonte di esposizione a radiazioni e, senza elementi di dosimetria o di contesto di esposizione, non basta a far nascere il nesso di causalità necessario per la rendita.
- L’obiettivo pratico è strutturare la documentazione in modo da mostrare (o smentire) l’esposizione qualificata: dosimetrie, storia lavorativa dettagliata, attestazioni di mansioni, eventuali misurazioni di radiazioni e perizie mediche che supportino o confutino la relazione causale.
Riassunto
- La lettura attinente al tema indica che la Corte ha posto l’accento sull’esistenza dell’esposizione qualificata a radiazioni come elemento essenziale per riconoscere una malattia professionale e la relativa rendita, in particolare per carcinoma tiroideo, in assenza della quale la rendita viene negata. Il videotelefono o l’uso generico di videoterminali non configurano, di per sé, esposizione qualificata a radiazioni. In questo contesto, la prova della nesso causale resta cruciale e richiede elementi probatori specifici (dosimetria, registro di esposizioni, perizia medica mirata) per giustificare la rendita INAIL.
Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 luglio 2025, n. 21952
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. GARRI Fabrizia - Presidente
Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere
Dott. ORIO Attilio Franco - Consigliere
Dott. GANDINI Fabrizio - Relatore
Dott. GNANI Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23494/2020 R.G. proposto da
OMISSIS, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell'avvocato OMISSIS che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
I.N.A.I.L., in persona del dirigente con incarico di livello generale, elettivamente domiciliato in ROMA VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell'avvocato ROMEO LUCIANA che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato OTTOLINI TERESA
-controricorrente-
avverso
SENTENZA di CORTE D'APPELLO BARI n. 579/2020
pubblicata il 03/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere FABRIZIO GANDINI.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza n. 579/2020 pubblicata il 03/06/2020, ha rigettato il gravame proposto da OMISSIS nella controversia con INAIL.
2. La controversia ha per oggetto il riconoscimento della rendita per malattia professionale lamentata dalla OMISSIS (impiegata presso la Banca Popolare di Bari con mansioni di capo ufficio, addetta al servizio crediti ed in via continuativa applicata ai video-terminali), nella misura da accertarsi in relazione al danno biologico patito.
3. Il Tribunale di Bari, dopo avere espletato le prove testimoniali e disposto una CTU medico-legale, rigettava la domanda.
4. Per la cassazione della sentenza ricorre la OMISSIS, con ricorso affidato a tre motivi. INAIL resiste con controricorso. Al termine della camera di consiglio il collegio riservava il deposito dell'ordinanza nel termine previsto dall'art. 380 bis.1 ultimo comma cod. proc. civ.
Diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. 27/04/2004 e delle precedenti tabelle, degli artt. 40 e 41 cod. pen., degli artt. 1362 e segg. cod. civ., dell'art. 112 cod. proc. civ., dell'art. 21 della legge n.422/2000, del'art. 2697 cod. civ., con riferimento all'art. 360 comma primo nn.3 e 4 cod. proc. civ.; nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e illogica motivazione.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., con riferimento all'art. 360 comma primo nn.3 e 4 cod. proc. civ.; motivazione in parte omessa in parte illogica, su fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
3. Con il terzo motivo lamenta omesso esame di altro fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonché apparente e illogica motivazione su un punto decisivo controverso, con riferimento all'art. 360 comma primo n.5 cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 e degli artt. 2727 e segg. cod. civ., con riferimento all'art. 360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
4. Nel primo e articolato motivo la ricorrente, sotto diversi profili, censura il vizio logico del CTU, a suo dire recepito da entrambi i giudici del merito, consistito nella contraddizione tra il riconoscimento della natura tabellata della malattia (D.M. 27/04/2004, gruppo VI, n.15) e l'esclusione della presunzione legale che ne deriva, presunzione che può essere vinta solo provando che a provocare la malattia sia stata una diversa causa extralavorativa.
5. Con riferimento alla patologia tumorale (carcinoma tiroideo), la corte territoriale ha recepito le valutazioni del CTU e ha ritenuto che "sulla base della lavorazione impiegatizia cui era addetta la OMISSIS, delle caratteristiche dei VDT utilizzati e della modalità di svolgimento delle prestazioni" fosse esclusa l'esposizione in concreto al rischio professionale, "giudicando l'esposizione a radiazioni e campi elettromagnetici irrilevante".
6. In buona sostanza, la corte territoriale ha ritenuto che la lavorazione svolta dalla OMISSIS non fosse tabellata, mancando la prova di una concreta e rilevante esposizione alle radiazioni ionizzanti giusta le tabelle di cui al D.M. 27/04/2004 e del successivo D.M. 09/04/2008.
7. Sul punto si intende dare continuità all'orientamento di questa Corte, secondo il quale "il sistema tabellare esonera il lavoratore dalla prova del nesso di causalità tra la lavorazione tabellata e la malattia, ma non dalla prova dell'adibizione professionale alla prima. Le tabelle richiamate all'art. 3 del D.P.R. n. 1124 del 1965 vengono rinnovate tenendo conto delle acquisizioni della scienza medica nelle forme e nei modi previsti dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 10, attraverso i lavori dell'apposita Commissione scientifica, ed hanno ad oggetto lavorazioni astrattamente individuate come tipiche. Per far scattare la presunzione di nesso causale in concreto ed in relazione al caso specifico, la prova del lavoratore dovrà dunque avere ad oggetto (oltre alla contrazione della malattia tabellata) lo svolgimento di una lavorazione che rientri nel perimetro legale della correlazione causale presunta e dunque che sia ritenuta idonea, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, a provocare la malattia. Solo in tal caso la fattispecie concreta potrà ritenersi aderente a quella astratta prevista dalla tabella e potrà scattare la presunzione di eziologia professionale con specifico riferimento a quel lavoratore" (Cass. 04/02/2020 n.2523).
8. Il CTU ha spiegato in modo dettagliato le ragioni che lo hanno portato a ritenere che l'esposizione ai raggi X generati dai videoterminali a tubo catodico in concreto utilizzati dalla OMISSIS non potesse qualificarsi quale esposizione a radiazione ionizzante, prendendo in considerazione "i principali studi disponibili sui rischi per la salute pubblica legati ai campi elettromagnetici", ivi compresi uno studio dell'OMS del 2007 e una monografia IARC del 2002.
9. Il motivo di ricorso, in parte qua, si limita ad esprimere un dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice rispetto alle conclusioni del CTU, senza addurre alcuna devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o omissioni di accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non avrebbe potuto prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi.
10. È quindi da escludersi la violazione della presunzione legale in materia di malattia professionale tabellata, nei termini dedotti.
11. Il motivo è infondato anche con riferimento alla violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., con riguardo alla asserita genesi multifattoriale della neoplasia. Sul punto la corte territoriale ha recepito le conclusioni del CTU, laddove ha ritenuto che "gli agenti patogeni lavorativi erano privi di efficacia causale, riscontrandosi, invece, fattori extralavorativi autonomamente dotati di tale efficacia.
12. Sul punto si intende dare continuità all'orientamento di questa Corte, secondo il quale poiché nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione il principio di equivalenza causale di cui all'art. 41 c.p., è sufficiente per far sorgere la tutela in favore del lavoratore che l'esposizione a rischio sia stata concausa concorrente della malattia, non richiedendosi che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente (Cass. 2523/2020 cit.).
13. Nel caso che ci occupa la corte territoriale, oltre ad aver accertato in fatto la mancata adibizione ad una lavorazione tabellata (vedi sopra), ha inoltre accertato la esclusione di qualsiasi efficacia causale degli "agenti patogeni lavorativi" nella causazione delle patologie lamentate dalla OMISSIS, essendo queste imputabile esclusivamente ai "fattori extralavorativi". Anche in questo caso il motivo di ricorso si confronta a malapena con la ratio decidendi, risolvendosi in un mero dissenso diagnostico. Avuto riguardo ai principi di diritto richiamati, il motivo è comunque infondato.
14. Nella parte restante (art. 360 comma primo n.5 cod. proc. civ. e motivazione illogica il motivo è inammissibile per una pluralità di motivi ex art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., perché la corte territoriale ha confermato sul punto la pronuncia del Tribunale; perché non viene in ogni caso prospettato l'omesso esame di un fatto della natura, ma una diversa valutazione diagnostica dei medesimi elementi di fatto; perché la censura di illogicità della motivazione non appartiene più al motivo di critica vincolata in esame.
15. Il secondo motivo è inammissibile. Per quanto riguarda le censure proposte sub art. 360 comma primo nn.3 e 4 cod. proc. civ., il motivo si risolve in una diversa valutazione delle prove testimoniali espletate, inammissibile in questa sede, oltre che nel dissenso diagnostico rispetto alle conclusioni del CTU, recepite dalla corte territoriale, in ordine alle quali valgono le considerazioni sopra esposte.
16. Nella parte restante (art. 360 comma primo n.5 cod. proc. civ. e motivazione omessa e illogica il motivo è inammissibile per una pluralità di motivi ex art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., perché la corte territoriale ha confermato sul punto la pronuncia del Tribunale; perché non viene in ogni caso prospettato l'omesso esame di un fatto della natura, ma una diversa valutazione diagnostica dei medesimi elementi di fatto; perché la censura di mancanza o illogicità della motivazione non appartiene più al motivo di critica vincolata in esame.
17. Le medesime considerazioni svolte con riferimento ai motivi precedenti valgono anche con riferimento al terzo motivo di ricorso, afferente alle patologie diverse da quella tumorale.
18. Per tutti questi motivi il ricorso deve essere rigettato. La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
19. In caso di diffusione della presente pronuncia vanno oscurati i nomi della parte ricorrente, venendo in rilievo dai sensibili per la natura della patologia dalla quale il coniuge della ricorrente è risultato affetto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Ai sensi dell'art. 52 comma 5 del D.Lgs. n. 196/2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte ricorrente.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2025.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2025.
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