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21 giugno 2025

Cassazione 2025-la sentenza della Cassazione Civile, Sez. Lav., del 11 giugno 2025, n. 15549, riguarda un'importante pronuncia in materia di molestie sessuali sul luogo di lavoro. La decisione si inserisce in un quadro normativo che mira a tutelare la dignità dei lavoratori e a garantire ambienti di lavoro privi di comportamenti molesti, anche verbali.

 

Cassazione 2025-la sentenza della Cassazione Civile, Sez. Lav., del 11 giugno 2025, n. 15549, riguarda un'importante pronuncia in materia di molestie sessuali sul luogo di lavoro. La decisione si inserisce in un quadro normativo che mira a tutelare la dignità dei lavoratori e a garantire ambienti di lavoro privi di comportamenti molesti, anche verbali.

**Contesto e fatti di causa**

La vicenda riguarda un lavoratore che è stato oggetto di un episodio di molestia sessuale di natura verbale da parte di un collega o superiore. Nonostante il singolo episodio, il datore di lavoro ha deciso di sospendere il lavoratore in attesa di approfondimenti. La questione è stata portata all'attenzione del giudice, che ha verificato se la sospensione fosse giustificata e legittima.

**Principali argomenti e decisione della Cassazione**

La Corte di Cassazione ha sottolineato che, in materia di molestie sessuali sul luogo di lavoro, anche un solo episodio può essere sufficiente a legittimare una misura cautelare come la sospensione, soprattutto quando tale episodio sia grave e idoneo a minare il clima di fiducia e sicurezza nell'ambiente lavorativo.

La Suprema Corte ha richiamato le norme del Codice Penale e del D.Lgs. 198/2006 (Statuto dei lavoratori, con particolare riferimento alle norme sulla tutela della dignità e contro le molestie) e ha evidenziato che:

- La tutela della dignità del lavoratore impone di adottare misure immediate in presenza di comportamenti molesti, anche se isolati.
- La sospensione cautelare può essere disposta senza dover attendere un procedimento penale o disciplinare completo, qualora ci siano elementi che evidenzino la gravità dell'episodio e il rischio di danno per il lavoratore o per l'azienda.
- È necessario, tuttavia, che la misura sia proporzionata e motivata, con attenzione alle circostanze specifiche del caso.

**Implicazioni pratiche**

La pronuncia ribadisce che:

- Un episodio di molestia verbale, anche se singolo, può essere considerato grave, soprattutto se accompagnato da altre circostanze che evidenzino l'impatto sulla vittima.
- La sospensione del lavoratore può essere legittima anche senza un procedimento penale in corso.
- Le aziende devono adottare politiche di tolleranza zero e intervenire tempestivamente per garantire un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso.

**Conclusioni**

La sentenza della Cassazione conferma la linea interpretativa secondo cui la tutela della dignità e della incolumità psicofisica dei lavoratori prevale anche sui diritti del lavoratore sospettato, purché le misure adottate siano motivate e proporzionate. Ciò rafforza l'obbligo per le imprese di intervenire prontamente in presenza di comportamenti molesti, anche singoli, per prevenire il diffondersi di un clima di intimidazione o molestia.

**In sintesi**

- Basta un episodio di molestia verbale per giustificare la sospensione del lavoratore.
- La misura cautelare deve essere adeguatamente motivata e proporzionata.
- La decisione si inserisce in un contesto di rafforzamento delle tutele contro le molestie sul lavoro, in linea con gli obblighi di tutela della dignità e della sicurezza dei lavoratori. 

 

 

Fatto
 


La Corte di appello di Bologna rigettava il ricorso proposto da R.A. avverso la decisione con cui il tribunale aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare inflitta da (OMISSIS) spa al ricorrente (otto giorni sospensione) per la condotta tenuta dal ricorrente nei confronti della collega di lavoro, consistente in molestie sessuali verbali nel luogo di lavoro.

La corte aveva ritenuto fondato l'addebito, per quanto risultante dalle testimonianze raccolte, e adeguata la massima sanzione conservativa, a nulla rilevando la pregressa storia professionale del dipendente.

Avverso detta decisione proponeva ricorso R.A., cui resisteva con controricorso (OMISSIS) spa.

 

Diritto



Si riportano riassuntivamente i motivi di censura come articolati dal ricorrente.

1)- Con il primo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 7 della legge n. 300 del 1970 e degli articoli 2104 e 2105 c.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per errata applicazione del principio di tassatività e determinatezza della contestazione disciplinare del 1° luglio 2023 nella parte in cui omette di indicare sia “l'orario in cui si sarebbero verificati gli episodi considerati” e sia la” indicazione del nome dei colleghi menzionati”.

2)-Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della legge n. 300 del 1970 unitamente agli articoli 414 n. 4 e 5 c.p.c. e 415 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Incoerenza logica nell'applicazione del principio di “circolarità” tra onere di allegazione e onere della prova nelle motivazioni svolte dal giudice di merito in ordine all'assolvimento degli oneri di allegazione e probatori a carico del datore di lavoro.

3)- Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e 111 della Costituzione in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per omessa indicazione del criterio logico assunto dalla Corte territoriale nell'ambito del quadro probatorio e, quindi, del proprio convincimento nella parte in cui, richiamando l'intero portato testimoniale, omette di indicare ogni criterio circa la preferenza dei testi tutti ritenuti attendibili: contradictio in adiecto e semiplenae probationes.

4)- La quarta censura ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c.: Anomalia motivazionale e violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare.

5)- Con ultima censura si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2106 c.c.: violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 132 comma 2 n. 4 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 cpc.

6)- Il primo motivo è infondato. La corte territoriale, in punto di contestazione, ha valutato, con giudizio di merito a lei rimesso, che la contestazione era sufficientemente determinata sia sotto il profilo della condotta contestata che delle circostanze di tempo e di luogo in cui la stessa si era verificata. Assume infatti che il fatto contestato (molestie verbali a carattere sessuale nei confronti di altra dipendente) si era verificato il 23.6.2021, a ciò non rilevando l'esatta indicazione dell'orario o il nome di tutti i colleghi presenti, in quanto l'addebito riporta i fatti essenziali caratterizzanti la condotta sanzionata.

Il giudizio espresso costituisce accertamento da parte del giudice di merito, risolvendosi in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio (Cass.n. 15161/2015). La valutazione della corte, rispondente ai requisiti di coerenza e ragionevolezza, non può dunque essere oggetto di rivisitazione in questa sede di legittimità.

7)- Il secondo motivo ha inteso censurare la sentenza della Corte di appello di Bologna nella parte in cui – pur ritenendo che << … La contestazione al riguardo è del tutto specifica, a prescindere dall'omessa indicazione dell'orario in cui si sarebbero verificati gli episodi considerati e dall'omessa indicazione del nome dei colleghi menzionati nella nota datoriale…>> - ha ritenuto rilevante, ai fini dell'accertamento del fatto contestato e, quindi, ai fini dell'assolvimento dell'onere della prova incombente sul datore di lavoro, collocare temporalmente l'accaduto, ove, invece, la contestazione era rimasta generica sul punto.

Deve osservarsi che la motivazione della corte territoriale deve essere “letta” nella sua interezza per coglierne l'iter logico che ha determinato la decisione assunta. Infatti, a seguito delle testimonianze esaminate e riportate nel testo integrale di interesse, il giudice d'appello ha correttamente indicato presumibilmente gli orari per valutare la coerenza dei testi con quanto contenuto nell'addebito, ed ha valutato che talune delle dichiarazioni fornite, pur essendo rese da lavoratori che guardavano l'accaduto solo in lontananza, risultavano compatibili con gli orari invece indicati da altri testi e dunque coerenti con le circostanze dell'addebito. Anche in tal caso la coerenza e ragionevolezza del ragionamento rende la valutazione confinata nel giudizio rimesso alla sola corte di merito. Il motivo è da disattendere.

8)-La terza censura intende contestare la sentenza impugnata nella parte in cui, disattendendo il primo motivo di appello sull'errata valutazione della effettiva rilevanza della “storia lavorativa” del ricorrente e dell'ambiente ostile in cui operava, ha ritenuto di soffermarsi sull'unico e residuo fatto contestato sul quale è stata ritenuta raggiunta piena prova proprio in ragione del carattere del tutto dettagliato.

La censura si sostanzia in una riproposizione di elementi fattuali già proposti in sede di merito e di cui si chiede un esame, non consentito, in sede di legittimità. Peraltro, si osserva che rispetto ad una vicenda oggetto di contestazione disciplinare, quale l'aver molestato verbalmente con implicazioni sessuali una collega di lavoro, risulta del tutto ragionevole concentrare l'attenzione sullo specifico addebito ed impostare la valutazione essenzialmente su di essa. Il motivo si appalesa inammissibilmente prospettato.

9)- Sotto altro profilo la sentenza qui impugnata viene censurata nella parte in cui ha collocato l'orario dei fatti contestati “attorno alle ore 9.35” pur in assenza di indicazione in tal senso nella lettera di contestazione così interpolando - in violazione dei poteri decisori e ledendo il principio di immutabilità della contestazione disciplinare la contestazione disciplinare con l'indicazione di un orario mai indicato dal datore di lavoro nella contestazione disciplinare.

In sostanza viene contestato (anche) il vizio di anomalia motivazionale in quanto – attraverso una corposa istruttoria testimoniale – la corte, nella decisione, avrebbe integrato, attraverso una non consentita interpolazione della contestazione disciplinare, lesiva anche del principio di immutabilità, l'addebito disciplinare attraverso la collocazione oraria del fatto contestato, pur avendo ritenuto non rilevante l'omessa indicazione della collocazione oraria. La censura prospetta un vizio motivazionale incidente sulla decisione che non considera l'intero iter argomentativo utilizzato dal giudice d'appello. Invero, come già sopra indicato, la lettura della sentenza deve essere completa poiché solo in tal modo è possibile evincere eventuali discrasie. La decisione in esame, infatti, valutando i singoli elementi istruttori acquisiti, ed in particolare le testimonianze rese, evidenzia come sia coerente l'addebito con gli elementi di fatto acquisiti. L'elemento dell'orario e la sua esattezza non sono evidentemente decisori rispetto all'addebito in sé, in quanto non rileva se le molestie siano avvenute in una certa ora piuttosto che in un'altra, ma ciò che rileva è invece la coerenza di quanto affermato in sede di addebito e quanto risultante dall'istruttoria assunta, al fine di verificare l'esattezza degli accadimenti imputati al ricorrente. Pertanto, nessuna integrazione o interpolazione della contestazione si è verificata, ma solo un controllo sulla coerenza dei fatti risultanti all'esito dell'indagine istruttoria.

Il motivo è dunque inammissibilmente posto.

10)- Con ultimo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2106 c.c.: violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 132 comma 2 n. 4 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.

La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui, nel confermare la sentenza di primo grado, ha chiarito che, pur non potendosi dare rilievo, per la loro genericità, alle altre due contestazioni in origine addebitate al ricorrente ed inserite nell'addebito per dar conto del clima di disagio provocato dallo stesso alla collega, ha comunque valorizzato la rilevanza disciplinare del nucleo del fatto imputato che, anche considerato nella sua singolarità, giustificava l'entità della sanzione inflitta.

Si tratta, anche in questo caso, di una valutazione di merito, in tema di proporzionalità della sanzione, effettuata dalla corte di appello, circostanziata nel ragionamento e chiara nella scelta decisoria, dunque non suscettibile di rivalutazione, non ammessa, in questa sede di legittimità.

Si è a riguardo statuito che <<In materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l'elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia>> ( Cass.n. 107/2024).

Il ricorso deve essere complessivamente rigettato. Le spese seguono il principio di soccombenza.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.

Si dispone l'oscuramento del nome del ricorrente.

 

P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 5.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. 

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