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15 maggio 2025

La pronuncia della Cassazione n. 18240 del 2025 fornisce un'interpretazione dettagliata e giuridicamente significativa della locuzione “ragione del suo ufficio o servizio” nel contesto del reato di peculato. Questo commento analizza i principali aspetti della decisione, evidenziando le implicazioni sul profilo soggettivo del reato e sulla qualificazione del comportamento del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

 

La pronuncia della Cassazione n. 18240 del 2025 fornisce un'interpretazione dettagliata e giuridicamente significativa della locuzione “ragione del suo ufficio o servizio” nel contesto del reato di peculato. Questo commento analizza i principali aspetti della decisione, evidenziando le implicazioni sul profilo soggettivo del reato e sulla qualificazione del comportamento del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

### La nozione di “ragione del suo ufficio o servizio”

La Cassazione sottolinea come questa espressione costituisca una caratterizzazione giuridica del potere che deve essere in capo al soggetto attivo del reato. In altre parole, non basta che il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio disponga di denaro o cose mobili, ma è fondamentale che questa disponibilità sia giustificata da una ragione attinente all’esercizio delle sue funzioni.

Il termine indica quindi un collegamento stretto tra la disponibilità patrimoniale e i poteri o doveri funzionali dell’agente. La disposizione di beni o denaro deve derivare da una posizione di potere, di controllo o di gestione, che si inserisce nel quadro delle attribuzioni ufficiali.

### La condizione del possesso “per ragione funzionale”

Secondo la Suprema Corte, affinché si possa configurare il peculato, il soggetto deve appropriarsi del bene “per ragione del suo ufficio o servizio”. Ciò implica che il possesso deve essere correlato all’esercizio delle funzioni pubbliche e non può essere riconducibile a un affidamento “intuitu personae”, cioè basato esclusivamente su un rapporto fiduciario personale e non funzionale.

In particolare, il possesso che deriva da un affidamento “intuitu personae” – cioè di tipo fiduciario, personale, e non collegato a una funzione pubblica – si considera incompatibile con la presenza della ragione funzionale. In tal caso, il comportamento non può essere qualificato come peculato, perché manca il collegamento al potere pubblico o alla funzione ufficiale.

### L’incompatibilità con il possesso fiduciario “intuitu personae”

La decisione evidenzia che un possesso derivante da un affidamento esclusivamente personale e fiduciario non può essere giustificato come funzionale. La distinzione tra un possesso “per ragione del suo ufficio” e un affidamento fiduciario “intuitu personae” è dunque fondamentale per la qualificazione del reato.

Se il pubblico ufficiale gestisce un bene di proprietà altrui in virtù di un rapporto fiduciario di tipo personale (ad esempio, un incarico temporaneo o di fiducia stretta tra soggetti privati), tale comportamento non integra il reato di peculato, perché manca il requisito di un potere o di un controllo ufficiale.

### Implicazioni pratiche e interpretative

La pronuncia chiarisce come il reato di peculato richieda un collegamento diretto tra la disponibilità patrimoniale e la funzione pubblica esercitata. Ciò influisce sulla valutazione dei casi concreti, in particolare:

- La verifica della provenienza del possesso del bene: se deriva da un affidamento “intuitu personae”, si esclude la configurabilità del peculato.
- La distinzione tra gestione fiduciaria di beni e possesso funzionale: solo quest’ultimo può giustificare l’appartenenza del bene al soggetto in qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

### Conclusione

La decisione della Cassazione n. 18240 del 2025 rappresenta un importante chiarimento sulla natura del “potere” che costituisce il presupposto del peculato. La presenza di un “potere” funzionale, collegato all’esercizio delle funzioni pubbliche, è condizione essenziale affinché si possa configurare il reato. Il possesso di beni o denaro derivante da un affidamento “intuitu personae” o da rapporti fiduciari esclusivamente personali non può essere considerato “per ragione del suo ufficio o servizio”, escludendo così la configurabilità del peculato.

Questo orientamento rafforza l’esigenza di un’attenta analisi fattuale e giuridica delle modalità di gestione dei beni pubblici o affidati in modo fiduciario, contribuendo a delineare con maggiore precisione i confini tra comportamenti penalmente rilevanti e quelli che, pur apparentemente simili, non integrano il reato di peculato.

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