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31 marzo 2025

Cassazione 2025-La sentenza della Suprema Corte di Cassazione riguardo al licenziamento di un dipendente che ha abusato del congedo parentale rappresenta un importante intervento giurisprudenziale in materia di diritto del lavoro. Il caso specifico si riferisce a un dipendente di una società privata che, mentre si trovava in congedo parentale, ha svolto un'attività lavorativa continuativa e retribuita presso un altro datore di lavoro.

 

Cassazione 2025-La sentenza della Suprema Corte di Cassazione riguardo al licenziamento di un dipendente che ha abusato del congedo parentale rappresenta un importante intervento giurisprudenziale in materia di diritto del lavoro. Il caso specifico si riferisce a un dipendente di una società privata che, mentre si trovava in congedo parentale, ha svolto un'attività lavorativa continuativa e retribuita presso un altro datore di lavoro.
Principi Legali Fondamentali
1.    Congedo Parentale: Il congedo parentale è un diritto riconosciuto ai genitori per prendersi cura dei propri figli, consentendo loro di assentarsi dal lavoro senza perdere il posto. Tuttavia, questo diritto è soggetto a limitazioni e deve essere utilizzato esclusivamente per la finalità per cui è stato concesso.
2.    Obbligo di Buona Fede: Il rapporto di lavoro si basa sull'obbligo di buona fede e correttezza tra le parti. Questo principio implica che il dipendente deve agire in modo leale nei confronti del datore di lavoro e non deve abusare dei diritti riconosciutigli.
Rilevanza del Caso
Nel caso in questione, la Cassazione ha ritenuto che il dipendente, svolgendo un'altra attività lavorativa durante il periodo di congedo parentale, abbia violato non solo le norme relative al congedo stesso, ma anche i principi di lealtà e buona fede. Tale comportamento è stato considerato grave e giustificativo del licenziamento.
Motivazioni della Sentenza
1.    Abuso di Diritto: La Corte ha sottolineato che l’utilizzo del congedo parentale per scopi diversi da quelli previsti dalla legge rappresenta un abuso di diritto. Questo comportamento non solo danneggia il datore di lavoro, ma mina anche la fiducia che è alla base del contratto di lavoro.
2.    Ingiustificata Assenza: Svolgere un'attività lavorativa retribuita mentre si è in congedo parentale implica un'ingiustificata assenza dal lavoro, in quanto il dipendente non sta adempiendo ai suoi doveri lavorativi nei confronti dell'azienda.
3.    Interesse dell'Impresa: La Corte ha evidenziato che il licenziamento è una misura necessaria per tutelare l’interesse dell'impresa, che non può tollerare comportamenti di questo tipo, in quanto minano la disciplina e l'organizzazione del lavoro.
Implicazioni Pratiche
Questa sentenza ha importanti ripercussioni per i lavoratori e i datori di lavoro:
•    Per i Lavoratori: È fondamentale che i dipendenti comprendano la gravità delle conseguenze derivanti dall'abuso dei diritti, come il congedo parentale. La violazione di tali norme può portare a sanzioni disciplinari severe, incluso il licenziamento.
•    Per i Datori di Lavoro: Le aziende devono essere vigili e monitorare l’uso dei congedi da parte dei dipendenti. È importante avere procedure chiare per la gestione e il controllo delle assenze, al fine di prevenire abusi.
Conclusione
La sentenza della Cassazione sul licenziamento per finto congedo parentale rinforza l'idea che i diritti dei lavoratori devono essere bilanciati con le esigenze e la dignità del lavoro e del datore di lavoro. Essa ribadisce l'importanza della correttezza e della trasparenza nelle relazioni lavorative, oltre a stabilire un precedente significativo in materia di abusi dei diritti riconosciuti dalla legge.



Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 04/12/2024) 04/02/2025, n. 2618
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. MANNA Antonio - Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere
Dott. LEONE Margherita Maria - Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella - Relatore
Dott. PONTERIO Carla - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 17090-2023 proposto da
- ricorrente -
contro
rappresenta e difende;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 837/2023 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 28/02/2023 R.G.N.
2293/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2024 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. OLGA PIRONE, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso;
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta
la domanda di A.A. intesa all'accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa
intimato in data 13 novembre 2020 da XXX Spa sulla base di contestazione che addebitava al
dipendente di avere, durante il periodo di congedo parentale retribuito ex art. 32 D.Lgs. n 151/2001,
svolto attività lavorativa di compravendita di autovetture, in conflitto con le finalità per le quali era
stato concesso il congedo; la società aveva inoltre contestato la violazione dell'art. 43 c.c.n.l. relativa
all'obbligo di comunicazione alla società dello svolgimento di altra attività professionale.
2. La Corte di merito, in dichiarata condivisione della valutazione del giudice di prime cure, ha ritenuto
provata la condotta oggetto di addebito emersa all'esito di verifica effettuata dall'agenzia investigativa
incaricata dalla società datrice; ha evidenziato che la agenzia in questione era titolare della relativa
licenza prefettizia e che in osservanza dell'art. 5 del decreto del Ministero dell'Interno n. 269/2010
aveva ritualmente comunicato alla Prefettura il nome del collaboratore del quale si avvaleva per le
investigazioni, che era colui che nello specifico aveva materialmente svolto l'attività di indagine; tanto
risultava dalla documentazione prodotta dalla società rispetto alla quale era da escludere la eccepita
tardività del relativo deposito la cui necessità era scaturita dalla eccezione, formulata per la prima
volta dalla difesa del A.A. solo nel corso dell'udienza di primo grado. Il giudice di appello ha
ulteriormente osservato che, in ogni caso, l'acquisizione di tale documentazione, necessaria per
l'accertamento della verità di fatti rilevanti al fine della decisione, era stata effettuata dal giudice di
primo grado ai sensi dell'art. 421 c.p.c. e che la utilizzabilità e ritualità della stessa, attinente alla
relazione investigativa, si desumeva implicitamente dalla stessa motivazione di prime cure, non
richiedendosi un provvedimento ad hoc per la relativa acquisizione.
3. Tanto premesso, il giudice d'appello, esclusa la tardività della contestazione e dell'irrogazione del
provvedimento espulsivo, ha ritenuto che i fatti oggetto di addebito avevano trovato pieno conforto
nelle risultanze processuali dalle quali era emerso lo svolgimento sistematico da parte del A.A., durante
il periodo di congedo parentale, di attività lavorativa remunerata (consistente nella compravendita di
automobili da parte della Prestige Auto Srl della quale il A.A. era amministratore unico); lo svolgimento
di tale attività, né saltuaria, né episodica, si poneva in contrasto con le finalità del congedo parentale
retribuito le quali postulano che durante la sua fruizione, i tempi e le energie del padre lavoratore
siano dedicati, anche attraverso la propria presenza, al soddisfacimento dei bisogni affettivi del
minore. La condotta del dipendente si configurava quindi quale abuso del diritto al congedo parentale
per sviamento della relativa funzione e giustificava l'adozione della sanzione espulsiva venendo in
rilievo un comportamento che oltre che contrario ai principi di correttezza e buona fede, era connotato
da evidente disvalore, anche sociale.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.A. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha
depositato controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Parte ricorrente ha formulato richiesta di
"oscuramento".
6. Il P.G. ha depositato memoria scritta concludendo per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue.
2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e
falsa applicazione dell'art. 5 del decreto del Ministero dell'Interno n. 269/2010 e dell'art. 2 della licenza
del 10.9.2018 rilasciata dalla Prefettura Provinciale di Roma alla IFI Advisory Intelligence e Fraud
Investigation Srl, agenzia investigatrice alla quale XXX. Spa aveva conferito l'incarico; deduce, inoltre,
violazione e falsa applicazione dell'art. 134 r.d. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.).
2.1. Si duole che la Corte di appello, nel ritenere rispettate le richiamate disposizioni, non avesse
tenuto conto a) della prescrizione contenuta nell'art. 2 della licenza rilasciata alla IFI Advisory
Intelligence e Fraud Investigation Srl che obbligava il legale rappresentante della società a svolgere
personalmente l'attività oggetto di autorizzazione di polizia, con espresso divieto di impiegare
collaboratori; b) dell'assenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il collaboratore e la società, per
cui le operazioni investigative erano state svolte da un soggetto privo di autorizzazione, con violazione
dell'art. 134 TULPS ; c) della nullità della relazione investigativa, in assenza di un incarico scritto
conferito da XXX Spa ; evidenzia che l'incarico mancava di chiarezza nel suo contenutoe questo non
consentiva di verificare la legittimità dell'accertamento posto in essere dall'agenzia; d) dell'art. 1 della
licenza che autorizzava l'esercizio dell'attività investigativa per l'individuazione di elementi di prova da
far valere nel contesto del processo penale ai sensi dell'art. 134 TULPS , art. 222 D.Lgs. n. 271/1989, art. 5
D.M. n. 26/2010.
3. Con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli
artt. 416 e 421 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile la acquisizione
della documentazione asseritamente tardiva prodotta dalla società; sostiene che il giudice di prime
cure non aveva mai adottato un provvedimento di autorizzazione al deposito né esercitato a riguardo i
poteri ex art. 421 c.p.c. ed evidenzia di essere stato leso nell'esercizio del proprio diritto di difesa.
4. Con il terzo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 5 L.
n. 604/1966 in punto di ripartizione dell'onere della prova del licenziamento; assume che la parte
datoriale, onerata, non aveva offerto dimostrazione dello svolgimento da parte del A.A. di attività
lavorativa nell'intero periodo di congedo parentale posto chela relazione investigativa aveva
riguardato solo quattro giorni rispetto all'interoperiodo di fruizione del beneficio, di durata molto
maggiore
5. Con il quarto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art.
2106 c.c. per violazione del principio di proporzionalità nell'individuazione della sanzione applicabile, e degli artt. 74 e 76, comma 2 c.c.n.l. XXX e dell'art. 2119 c.c.; ascrive alla Corte di merito di non avere
considerato al fine della valutazione di proporzionalità che la condotta addebitata era riconducibile a
fattispecie punite con sanzione conservativa secondo quanto evincibile dagli artt. 74 e 76 c.c.n.l.
Denunzia inoltre la carenza di valutazione dei profili oggettivi e soggettivi della condotta addebitata.
6. Con il quinto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 32
D.Lgs. n. 151/2001, con riferimento alla corretta modalità di utilizzo del congedo ivi previsto; in
particolare si duole della violazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità la quale
non richiede la rigida sovrapponibilità temporale tra permesso e tempo di lavoro non svolto.
7. Con il sesto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 92,
comma 2 c.p.c. censurando la mancata compensazione delle spese di lite, che assume giustificata dalla
oggettiva complessità della vicenda.
8. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
8.1. La sentenza impugnata ha ritenuto fondati gli addebiti ascritti al lavoratore sulla base delle
conclusioni della relazione dell'agenzia investigativa, confermate in giudizio dalla deposizione
dell'autore dell'indagine il quale fintosi allora un cliente della concessionaria presso la quale operava
il A.A., aveva riferito di avere appurato tutte le circostanze segnalate nel documento; la Corte di merito
ha precisato che tali univoche risultanze, documentali ed orali, non risultavano smentite dalle
deposizioni di altri testi legati al A.A. da rapporti amicali o di parentela (sentenza, pag. 4).
8.2. Quanto ora osservato rende già in astratto prive di concreto rilievo ai fini di causa le deduzioni
formulate dall'odierno ricorrente in relazione alle modalità di conferimento ed al contenuto
dell'incarico agenziale ed alle asserite violazionidelle prescrizioni della licenza per lo svolgimento
dell'attività investigativa, attenendo le stesse rispettivamente al piano dei rapporti con XXX Spa e dei
rapporti con l'autorità amministrativa, piani estranei all'accertamento alla base del decisum in punto di
effettivo svolgimento da parte del A.A. dell'attività professionale in contrasto con le finalità del
congedo parentale. Invero, una volta riscontrato che tale accertamento riposa su quanto riferito, per
diretta conoscenza, da parte del collaboratore dell'agenzia, escusso quale teste, a conferma delle
risultanze della relazione investigativa, lo stesso non potrebbe comunque essere inficiato da eventuali
vizi o carenze in tesi verificatisi nel rapporto tra XXX Spa e l'agenzia investigativa o tra quest'ultima e
la autorità amministrativa.
9. Il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.
9.1. Premesso che non è configurabile alcuna nullità nella relazione dell'agenzia investigativa in ordine
alla dedotta omessa indicazione in essa degli estremi dell'autorizzazione prefettizia, si rileva che le
censure in punto di rituale acquisizione, ex art. 421 c.p.c. della documentazione relativa all'agenzia,
risultano assorbite dalla considerazione della inidoneità di eventuali carenze sul piano amministrativo
ad inficiare la valenza probatoria degli elementi sulla base dei quali i giudici di merito hanno ritenuto
accertato il fatto addebitato.
10. Il terzo motivo di ricorso è infondato in quanto, a differenza di quanto assume parte ricorrente, la
sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione in contrasto con il criterio di distribuzione
dell'onere della prova sancito dall'art. 5 L. n. 604/1966 che pone a carico della parte datoriale la
dimostrazione della sussistenza della giusta causa e del giustificato motivo di licenziamento.
10.1. La controversia è stata infatti decisa sulla base delle emergenze in atti alla stregua delle quali la
Corte di merito, confermando la valutazione di prime cure, ha ritenuto dimostrato il fatto ascritto,
rappresentato dallo svolgimento, nel periodo di fruizione del permesso ex art. 32 D.Lgs. n. 151/2001, di
attività lavorativa di compravendita di autovetture. Parte ricorrente, pur formalmente deducendo
violazione e falsa applicazione di norma di diritto, mostra in realtà di criticare le conclusioni attinte dal
giudice di merito circa l'espletamento, per l'interoperiodo, di attività di compravendita di autoveicoli,
in contrasto con le finalità proprie del congedo parentale
10.2. Tanto premesso, si osserva che se è vero che la relazione investigativa aveva avuto ad oggetto
solo quattro giornate rispetto all'intero periodo, molto più protratto,di fruizione del congedo
parentale, è altresì vero che la Corte di merito è pervenuta all'accertamento contestato sulla base di
un ragionamento presuntivo tratto da una serie di elementi (sentenza, pag. 4) convergenti nel senso
del carattere sistematico e continuativo dell'attività di lavoro espletata dal A.A.
10.3. Tale ragionamento presuntivo non è validamente incrinato dalla deduzione del vizio denunziato
che è estraneo alle concrete modalità di accertamento dell'addebito, dovendo ulteriormente osservarsi
che secondo la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al
giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da
porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con
apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi
tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento
presuntivo non può limitarsi a prospettare l'ipotesi di un convincimento diverso daquello espresso dal
giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento
decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa
dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e
quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il
fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo
criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere
probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (ex plurimis, Cass. n. 22366/2021).
11. Il quarto motivo di ricorso deve essere respinto.
11.1. Premesso che è inammissibile, per difetto di specificità, la censura con la quale si deduce la
riconducibilità della fattispecie in esame ad ipotesi sanzionate dal contratto collettivo con misura
conservativa, non avendo parte ricorrente, in violazione del disposto dell'art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c.,
trascritto in ricorso le richiamate disposizioni del contratto collettivo, ritiene il Collegio che la Corte di
merito abbia correttamente sussunto la condotta accertata fra quelle che giustificano il recesso per
giusta causa.
11.2. Come noto, per consolidata giurisprudenza di questa Corte la "giusta causa" di licenziamento ex
art. 2119 cod. civ. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete
tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente
richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui
disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento
della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio
di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici;
la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo "standards"
conformi ai valori dell'ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in
sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni
del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato
alla Corte di cassazione (v. tra le altre, Cass. n. 7029/2023, Cass. n. 12789/2022, Cass. n. 7426/2018, Cass.
n. 31155/2018, Cass. n. 25144/2010).
11.3. La condotta accertata, oltre a costituire grave violazione del dovere di fedeltà gravante ex art.
2105 c.c. sul lavoratore, si connota per il suo particolare disvalore sociale alla luce delle specifiche
finalità in relazione alle quali è modulato l'istituto del congedo parentale ed ai sacrifici e costi
organizzativi che impone alla parte datoriale a fronte dell'esercizio di tale diritto potestativo da parte
del titolare.
11.4. Il congedo parentale disciplinato dall'art. 32 D.Lgs. n. 151/2001 si pone, infatti, l'obiettivo di
assicurare il diritto del figlio di godere dell'assistenza materiale ed affettiva di entrambi i genitori nei
primi anni di vita. Si tratta di un diritto potestativo rispetto al quale la posizione del datore di lavoro è
di mera soggezione nel senso che a quest'ultimo non è consentito di rifiutare unilateralmente la
fruizione del congedo e neppure di dilazionarla; come evidenziato da alcuni interpreti, l'art. 32 cit. non
attribuisce alcuna rilevanza giuridica alle esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro. Ed
è proprio la compressione della iniziativa datoriale lato sensu intesa ed il sacrificio imposto alla
collettività in relazione ai costi sociali ed economici connessi alla fruizione del congedo parentale a
giustificare una valutazione particolarmente rigorosa, sotto il profilo disciplinare, della condotta del
lavoratore che si sia sostanziata nello sviamento dalle finalità proprie dell'istituto ed in un
utilizzazione strumentale dello stesso per la realizzazione di finalità ad esso del tutto estranee.
11.5. Né la condotta del lavoratore può ritenersi "scriminata " dalla considerazione che comunque
l'attività professionale svolta non impediva al A.A. la cura e l'assistenza del minore, posto che tale
affermata compatibilità doveva allora ritenersi sussistente anche in relazione all'attività svolta per
XXX Spa in tal modo venendo meno in radice la ragione giustificativa dell'istituto.
12. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione.
12.1. La sentenza non ha affatto affermato che vi dovesse essere rigida sovrapponibilità temporale tra
permesso e tempo di lavoro ma, con accertamento di fatto istituzionalmente devoluto al giudice di
merito e non più rivedibile in questa sede per la preclusione da "doppia conforme" ex art. 348 ter
ultimo comma c.p.c., ha ritenuto che lo svolgimento di attività lavorativa di compravendita di
autovetture fosse in conflitto con le finalità per le quali era stato concesso il congedo parentale.
12.2. Le conseguenze tratte sul piano giuridico dall'accertamento fattuale operato dalla sentenza
impugnata sono coerenti con gli approdi di questa Corte sul generale tema della fruizione di permessi
per l'assistenza a disabile e su quello, specifico, relativo alla fruizione del congedo parentale, avendo il
giudice di legittimità chiarito che l'art. 32, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 151 del 2001, nel prevedere - in
attuazione della legge delega n. 53 del 2000 - che il lavoratore possa astenersi dal lavoro nei primi otto
anni di vita del figlio, percependo dall'ente previdenziale un'indennità commisurata ad una parte della
retribuzione, configura un diritto potestativo che il padre-lavoratore può esercitare nei confronti del
datore di lavoro, nonché dell'ente tenuto all'erogazione dell'indennità, ondegarantire con la propria
presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un pieno
inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene utilizzato dal padre
per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla funzione del
diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di
licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività contribuisca ad una migliore
organizzazione della famiglia.(Cass. n. 509/2018 e giurisprudenza citata). In altri termini la Corte di
merito ha reso un accertamento globale circa la incompatibilità dell'attività lavorativa espletata con la
funzione del congedo e tanto assorbe il tema, più propriamente connesso alle ipotesi di permessi
giornalieri, relativo alla sovrapponibilità periodo di assistenza / orario lavorativo.
13. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte,
secondo la quale il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il
principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa;
pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione
dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza
reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. n. 24502/2017, Cass. n. 8421/2017, Cass.
15317/2013).
14. Infine, non si ravvisano i presupposti per accogliere la richiesta di oscuramento formulata dal
ricorrente dato il tenore delle questioni affrontate e la assoluta genericità delle deduzioni alle quali è
stata affidata la richiesta in oggetto.
15. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la
condanna di parte ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma quater
D.P.R. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro
4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma il 4 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2025.
 

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