Commento alla sentenza Cassazione n. 3043 del 2025: La violazione della quarantena durante il Covid non legittima il licenziamento
La sentenza della Cassazione n. 3043 del 2025 affronta un tema delicato che riguarda le misure sanitarie durante la pandemia da Covid-19 e la legittimità di un licenziamento per la violazione della quarantena. La Corte, in questa decisione, stabilisce che il licenziamento di un dipendente per la violazione della quarantena imposta a causa del Covid-19 non può essere considerato giustificato in ogni caso.
Analisi della sentenza:
Violazione della quarantena e conseguenze disciplinari: La sentenza si concentra su un aspetto fondamentale: la violazione della quarantena non legittima automaticamente il licenziamento. Nonostante la pandemia abbia comportato misure straordinarie di salute pubblica, la Cassazione ribadisce che la violazione delle disposizioni sanitarie non implica automaticamente una condotta tale da giustificare una misura disciplinare così grave come il licenziamento. La Corte, in questo caso, ha valutato che le circostanze che circondano la violazione devono essere esaminate attentamente.
Proporzionalità della sanzione: La Cassazione ha sottolineato che il licenziamento deve essere sempre una sanzione proporzionata alla gravità della condotta del dipendente. In altre parole, la semplice violazione della quarantena non giustifica un licenziamento se non ci sono elementi particolarmente gravi o dannosi derivanti dal comportamento del lavoratore. La Corte ha quindi rimarcato la necessità di una valutazione equilibrata dei fatti e delle conseguenze della violazione, affinché la sanzione sia congrua e rispetti i principi di equità e proporzionalità.
Contesto eccezionale della pandemia: La sentenza prende in considerazione anche il contesto eccezionale e senza precedenti della pandemia da Covid-19. Durante quel periodo, le regole e le misure sanitarie erano spesso cambiate rapidamente, e molti lavoratori si sono trovati a fronteggiare situazioni nuove e complesse. In tale contesto, la Corte ha riconosciuto che i comportamenti dei dipendenti devono essere valutati alla luce delle difficoltà e dell'incertezza che caratterizzavano quei tempi. La violazione della quarantena potrebbe essere il risultato di incomprensioni o di una gestione imprecisa delle informazioni, e pertanto non merita sempre una sanzione severa come il licenziamento.
Necessità di prove adeguate: Un altro punto centrale della sentenza riguarda la necessità di prove adeguate per giustificare il licenziamento. La Cassazione ha affermato che per giustificare una sanzione così grave è necessario che l'azienda dimostri in modo chiaro e inequivocabile che la violazione della quarantena abbia avuto un impatto significativo sul lavoro o sulla sicurezza. Senza tali prove, il licenziamento risulta ingiustificato.
Diritti dei lavoratori e misure di contenimento: In un'ottica di tutela dei diritti dei lavoratori, la Cassazione ha voluto ribadire che le misure di contenimento, seppur necessarie per la salute pubblica, non devono essere utilizzate come pretesto per penalizzare i dipendenti in modo eccessivo o ingiustificato. La violazione della quarantena, pur essendo un atto che può comportare rischi per la salute collettiva, non sempre giustifica il licenziamento, se non accompagnato da prove concrete di danno.
Conclusioni:
La sentenza Cassazione n. 3043 del 2025 stabilisce un importante principio in tema di licenziamento durante il periodo pandemico. La Corte ha ritenuto che la violazione della quarantena non possa essere automaticamente considerata motivo sufficiente per un licenziamento, specialmente se non vi sono prove che dimostrino l'impatto negativo sul lavoro o sulla sicurezza. Questo principio riflette una visione equilibrata che prende in considerazione il contesto straordinario della pandemia e tutela i diritti dei lavoratori, assicurando che le sanzioni siano sempre proporzionate alla gravità della condotta e alle circostanze concrete del caso.
Consiglio di Stato 2025- Gli appellanti evidenziano che sono stati immessi nel ruolo degli ispettori con circa otto anni di ritardo così da avere diritto al risarcimento in forma specifica tramite la ricostruzione della carriera (i.e. con la retrodatazione dell’immissione a ruolo) a far data dall’ultimo giorno utile per la conclusione del concorso; richiamano a sostegno della pretesa l’art. 2-bis della L. 241/90 la cui applicazione prescinde dalla natura perentoria o meno del termine per la conclusione del procedimento. Inoltre hanno dedotto che:
- il ritardo accumulato dall’amministrazione per concludere il concorso non è stato determinato dallo svolgimento di lunghe prove preselettive;
- il Ministero non ha addotto alcuna circostanza idonea a configurare l’esistenza di un errore scusabile, non rilevando a tal fine le giustificazioni addotte relative all'elevato numero dei candidati, all’asserita “impraticabilità” della prova scritta per problemi di ordine finanziario ed organizzativo, né, tampoco, al “contemporaneo” riordino delle carriere previsto dal D.Lgs. 95/2017 essendo invece noto che tale riordino comunque non ha influito sulla durata del concorso visti che tra il 2010 (prove preselettive) e il 2017 (anno del riordino) erano già intercorsi abbondanti sei anni
CDS 27-2025
https://drive.google.com/file/d/10FnDNiRqEYq5aW1hv3rJZPXs9rNeo5nN/view?usp=sharing
Fatto
1. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugna nell'ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la decisione dei giudici di prime cure che avevano ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare intimato il 27 agosto 2020 dalla ... S.r.l. nei confronti di ... dichiarando risolto il rapporto di lavoro e condannando la società al pagamento di una indennità pari a 18 mensilità della retribuzione globale di fatto; stante la dichiarata risoluzione del rapporto, il Tribunale non si pronunciava sulla impugnativa di un secondo licenziamento successivamente adottato dalla datrice di lavoro.
2. La Corte territoriale, in estrema sintesi, ha ritenuto, condividendo l'assunto del Tribunale, che la condotta addebitata al lavoratore e consistente nell'aver violato la quarantena prevista all'epoca dalla disciplina volta a prevenire la diffusione del Covid, presentandosi in servizio nei giorni 2 e 3 agosto 2020 dopo un evento luttuoso che lo aveva colpito, non fosse di gravità tale da giustificare la massima sanzione espulsiva.
3. Quanto al difetto di requisito dimensionale per l'applicabilità dell'art. 18 St. lav ., la Corte la respinto il motivo di reclamo formulato dalla società ritenendo, tra l'altro, che "nel caso in esame i dati occupazionali relativi al solo semestre anteriore al licenziamento (febbraio/agosto 2020) non sarebbero comunque dirimenti ai fini del computo dei dipendenti per stabilire quale fosse il normale livello occupazionale a i fini dell'applicazione dell'art. 18", in quanto il periodo era "caratterizzato da contingenze assolutamente eccezionali, coincidendo con la prima drammatica fase della crisi sanitaria che nei mesi da marzo a maggio 2020 aveva comportato perfino la chiusura delle attività produttive quali il centro commerciale al cui interno si trovava il locale gestito dalla società reclamante".
4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società, con tre motivi; ha resistito l'intimato con controricorso.
La Procura Generale ha comunicato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha replicato con memoria.
Diritto
1. I motivi di ricorso possono essere indicati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente.
1.1. Con il primo si denuncia : "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione all'art. 4, c. 3, DPCM 11/06/2020, 144 e 213 del CCNL Turismo - Pubblici Esercizi, dell'art. 7, L. 300/1970 e degli artt. 2106, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. ed erronea valutazione delle risultanze documentali, per aver il giudice del reclamo ritenuto illegittimo il primo licenziamento per giusta causa per non aver corretta mente applicato le norme violate dal lavoratore e non avere accertato la gravità della relativa condotta e per conseguentemente aver condannato la alla corresponsione di una indennità risarcitoria".
1.2. Col secondo motivo si denuncia: "in tesi: nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte territoriale rispettato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato circa la domanda proposta da sulla declaratoria di legittimità del secondo licenziamento; in ipotesi: violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione all'art. 112 c.p.c., per non aver la Corte territoriale esaminato la domanda proposta da sulla declaratoria di legittimità del secondo licenziamento; in ipotesi subordinata : omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c. n. 5, per aver la Corte territoriale omesso di esaminare i fatti oggetto della domanda di declaratoria di legittimità del secondo licenziamento; in ogni caso: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c. n. 5, per aver la Corte territoriale omesso di esaminare la portata probatoria della conversazione telefonica intercorsa tra il Sig. --- e la --- circa la partenza di quest'ultimo."
1.3. Il terzo motivo lamenta : "Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3, in relazione agli artt. 18, cc. 4 e 5, I. 300/1970, 2697 c.c. e 115 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto non idoneo il LUL allegato dalla --- per dimostrare il numero dei dipendenti e per non aver considerato l'assenza di contestazioni tempestive e specifiche in merito da parte del Sig. --- per aver conseguentemente omesso l'esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, ossia gli elementi contenuti nel LUL."
2. Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Nonostante la denuncia di violazione di plurime norme di diritto, ai sensi del n. 3 dell'art. 360 c.p.c., nella sostanza ci si duole esplicitamente della "erronea valutazione delle risultanze documentali", valutazione del materiale probatorio che chiaramente compete al giudice del merito. Di talché si sollecita un sindacato estraneo al giudizio di legittimità, pretendendo una rivalutazione di circostanze fattuali, anche in ordine alla proporzionalità della massima sanzione espulsiva.
2.2. Il secondo motivo non è accoglibile sia nella parte in cui evoca il vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla cd. "doppia conforme,, (cfr. art. 348 ter, ult. comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall'art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), sia là dove lamenta una omessa pronuncia della Corte territoriale che, del tutto correttamente, non ha deciso sulla legittimità del secondo licenziamento, così come il Tribuna le, in quanto intervenuto su di un rapporto di lavoro già dichiarato risolto in precedenza per altra causa.
2.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Ancora si evoca il vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla conformità della decisione in doppio grado, senza che parte ricorrente indichi le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della pronuncia del Tribunale e della Corte di Appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
Inoltre, non viene confutata adeguatamente la ratio decidendi della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del requisito dimensionale a i fini dell'applicabilità dell'art. 18 St. lav., se non attraverso un differente apprezzamento di circostanze concernenti il numero di dipendenti nella concreta fattispecie.
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui contesta il numero di mensilità riconosciute al lavoratore ai sensi del comma 5 dell'art. 18 novellato, mentre avuto riguardo a detta disposizione la violazione di legge è ipotizzabile, per costante giurisprudenza, solo nel caso in cui vengano superati i limiti minimo o massimo stabiliti dalla norma (cfr. Cass. n. 13178 del 2017; Cass. n. 27656 del 2018; Cass. n. 6550 del 2019; Cass. n. 21556 del 2019).
3. Conclusivamente, il ricorso è complessivamente da respingere; le spese, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente società, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso a rt. 13 (cfr. Cass. 55.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquida te in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura forfettaria del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell'8 gennaio 2025.
Nessun commento:
Posta un commento