CGUE 2025 - Il principio espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza C-5/24 (conclusa l'11 settembre 2025, a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Ravenna) è un punto di equilibrio cruciale tra le esigenze organizzative delle imprese e la tutela antidiscriminatoria dei lavoratori con disabilità, sancita dalla Direttiva 2000/78/CE.
La pronuncia, riguardante il licenziamento di una lavoratrice con disabilità in una piccola impresa di ristorazione per superamento del periodo di comporto, non sancisce un "via libera" al licenziamento, ma definisce i paletti rigorosi entro cui una norma collettiva, apparentemente neutra, possa essere considerata legittima.
1. Il Contesto e la Questione della Discriminazione Indiretta
Il caso si incentra sul classico istituto del periodo di comporto, ovvero il tempo massimo di conservazione del posto di lavoro in caso di assenza per malattia, stabilito, nel caso di specie, dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) del settore turismo a 180 giorni (più eventuali 120 giorni di aspettativa non retribuita).
La Tesi del Lavoratore: La lavoratrice sosteneva che applicare un limite di assenza identico a tutti i dipendenti fosse una forma di discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori disabili. Questi ultimi, per loro natura, sono esposti a un rischio maggiore di prolungare le assenze per malattie connesse alla loro disabilità. Una norma neutrale, quindi, produce uno svantaggio sproporzionato.
Il Precedente Giurisprudenziale: La Corte si è richiamata ai suoi precedenti (come le sentenze HK Danmark e Ruiz Conejero), confermando che i lavoratori disabili sono effettivamente più esposti al rischio di esaurire il periodo di comporto a causa di patologie correlate alla loro condizione.
2. La Non Discriminatorietà "di Per Sé" e la Proporzionalità
La sentenza stabilisce un principio fondamentale: una normativa nazionale o collettiva che fissa un limite massimo di assenze per malattia non è di per sé contraria alla Direttiva 2000/78/CE.
La Giustificazione Legittima: La Corte riconosce che l'obiettivo di una norma sul comporto, ovvero garantire l'efficienza organizzativa dell'impresa e l'effettiva disponibilità del lavoratore a svolgere le sue mansioni, è una finalità legittima di politica sociale e del lavoro.
La Clausola di Proporzionalità: Tuttavia, per non sfociare nella discriminazione indiretta, il limite temporale imposto deve essere assolutamente proporzionato alla finalità perseguita e non deve ostacolare il diritto fondamentale del disabile a ricevere gli "accomodamenti ragionevoli" (o "soluzioni ragionevoli") previsti dall'Articolo 5 della Direttiva.
3. Il Ruolo Decisivo degli "Accomodamenti Ragionevoli"
Questo è il cuore della pronuncia e il punto di maggiore impatto per i giudici nazionali e i datori di lavoro. La Corte specifica che la mera previsione di un periodo di aspettativa non retribuita (i 120 giorni aggiuntivi del CCNL) non può essere considerata, da sola, una "soluzione ragionevole".
L'Obbligo di Accomodamento: L'accomodamento ragionevole (o reasonable accommodation) è un obbligo imposto al datore di lavoro che, in presenza di un lavoratore disabile, deve adottare misure concrete e individualizzate per consentirgli di mantenere il posto di lavoro.
La Valutazione del Giudice Nazionale: Spetta al Tribunale di Ravenna (e in generale ai giudici nazionali) verificare, nel caso concreto, se il datore di lavoro abbia effettivamente:
Fornito o esaminato l'adozione di misure idonee (es. modifica delle mansioni, riorganizzazione dell'orario, lavoro agile, attrezzature specifiche).
Se l'onere finanziario o organizzativo derivante da tali misure sia stato sproporzionato per l'azienda (in questo caso, una piccola impresa di ristorazione).
Implicazioni Pratiche della Sentenza
La sentenza C-5/24, pur confermando in linea di principio la validità del comporto contrattuale, introduce un onere di verifica e prova molto elevato per l'azienda che licenzia un lavoratore disabile:
Non Basta la Norma Collettiva: Il datore di lavoro non può più limitarsi a invocare il superamento automatico del comporto previsto dal CCNL se il dipendente è disabile.
Obbligo di Ricerca Attiva: L'azienda deve dimostrare di aver ricercato attivamente e valutato tutte le possibili "soluzioni ragionevoli" per evitare il licenziamento.
Focus sulla Proporzionalità del Limite: Il licenziamento sarà ritenuto legittimo solo se il superamento del limite di assenza è proporzionato all'obiettivo di mantenere l'efficienza aziendale e se l'adozione di ulteriori misure di accomodamento avrebbe comportato un onere sproporzionato per l'impresa.
In definitiva, la Corte UE riafferma la necessità di bilanciare la tutela del lavoratore con disabilità con il diritto dell'impresa di organizzare il lavoro, ma pone l'accento sul dovere di solidarietà e inclusione che si concretizza nell'obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli prima di procedere con un licenziamento per motivi legati alla salute.
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
ATHANASIOS RANTOS
presentate il 3 aprile 2025 (1)
Causa C‑5/24 [Pauni] (i)
P.M.
contro
S. Snc
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale ordinario di Ravenna (Italia)]
« Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Articolo 1 – Articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera b) – Divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla disabilità – Discriminazione indiretta – Contratto collettivo che prevede la facoltà per il datore di lavoro di licenziare un lavoratore nel caso in cui l’assenza per malattia superi i 180 giorni per anno, cui può aggiungersi, su richiesta del lavoratore, un’aspettativa della durata di 120 giorni, per un solo anno – Disposizione applicabile senza distinzione a seconda che il lavoratore sia disabile o meno – Licenziamento di un lavoratore disabile in ragione della durata eccessiva dell’assenza per malattia – Differenza di trattamento fondata sulla disabilità – Giustificazione – Disponibilità a svolgere l’attività lavorativa – Congruità – Proporzionalità – Articolo 5 – Soluzioni ragionevoli per i disabili »
I. Introduzione
1. La sig.ra P.M., che lavorava per la società S. Snc, è stata licenziata dal datore di lavoro in quanto la sua assenza ha superato il termine massimo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia previsto dal contratto collettivo applicabile al suo settore di attività (in prosieguo: il «contratto collettivo di cui trattasi»), ossia, nel caso di specie, un periodo di 180 giorni per anno al quale può aggiungersi, su richiesta del lavoratore, un periodo non superiore a 120 giorni per un solo anno.
2. Riconosciuta come persona disabile ai sensi della normativa nazionale, la sig.ra P.M. ha contestato il proprio licenziamento dinanzi al Tribunale ordinario di Ravenna (Italia), facendone valere il carattere discriminatorio in quanto il suddetto termine massimo di conservazione del posto di lavoro le è stato applicato senza tenere conto della sua disabilità.
3. In tale contesto, detto giudice si chiede, in particolare, se la disposizione in questione del contratto collettivo di cui trattasi, che non distingue a seconda che i lavoratori siano o meno disabili relativamente alla durata della conservazione del posto di lavoro in caso di malattia, costituisca una discriminazione indiretta, ai sensi della direttiva 2000/78/CE (2), in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte, rispetto a un lavoratore non disabile, un lavoratore disabile è esposto a un ulteriore rischio di essere assente a causa di una malattia collegata alla sua disabilità. A questo proposito, il suddetto giudice si richiama, in particolare, alle sentenze HK Danmark (3) e Ruiz Conejero (4). Nell’ipotesi in cui tale disposizione possa svantaggiare i lavoratori disabili, il medesimo giudice si chiede se essa sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e se i mezzi per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
4. Come rileva il giudice del rinvio, il presente procedimento ha una notevole rilevanza pratica, dato che, sebbene tutti i contratti collettivi nazionali prevedano un periodo di conservazione del posto di lavoro, nessuno stabilisce regole specifiche per i lavoratori disabili. Tutti i suddetti contratti collettivi potrebbero quindi essere discriminatori, dal che deriverebbe, come massima sanzione possibile, la nullità del licenziamento di un lavoratore disabile avvenuto dopo la scadenza di tale periodo e l’obbligo, per il suo datore di lavoro, di risarcire il danno subito.
II. Contesto normativo
A. Diritto internazionale
5. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, conclusa a New York il 13 dicembre 2006 (5) e approvata, a nome della Comunità europea, con la decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 (6) (in prosieguo: la «Convenzione dell’ONU»), alla lettera e) del preambolo enuncia quanto segue:
«[R]iconoscendo che la disabilità è un concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri».
6. L’articolo 1 di tale convenzione, intitolato «Scopo», così dispone:
«Scopo della presente convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità.
Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».
7. L’articolo 2 di detta convenzione, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:
«Ai fini della presente convenzione:
(...)
per “discriminazione fondata sulla disabilità” si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole;
per “accomodamento ragionevole” si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali;
(...)».
8. L’articolo 27 della stessa convenzione, intitolato «Lavoro e occupazione», al paragrafo 1 è così formulato:
«Gli Stati parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile alle persone con disabilità. Gli Stati parti garantiscono e favoriscono l’esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, prendendo appropriate iniziative, anche legislative, in particolare al fine di:
(...)
h) [f]avorire l’impiego di persone con disabilità nel settore privato attraverso politiche e misure adeguate che possono includere programmi di azione antidiscriminatoria, incentivi e altre misure;
i) [g]arantire che alle persone con disabilità siano forniti accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro;
(...)
k) [p]romuovere programmi di orientamento e riabilitazione professionale, di mantenimento del posto di lavoro e di reinserimento nel lavoro per le persone con disabilità».
B. Diritto dell’Unione
9. A termini dei considerando 12, 15, 17, 20 e 21 della direttiva 2000/78:
(12) Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere (...) proibita in tutta la Comunità. (...)
(...)
(15) La valutazione dei fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione diretta o indiretta è una questione che spetta alle autorità giudiziarie nazionali o ad altre autorità competenti conformemente alle norme e alle prassi nazionali. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione indiretta sia stabilita con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica.
(...)
(17) La presente direttiva non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazione né prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili.
(...)
(20) È opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento.
(21) Per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni».
10. L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Obiettivo», enuncia quanto segue:
«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
11. L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione», ai paragrafi 1 e 2 così prevede:
«1. Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:
i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che
ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi».
12. L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Campo d’applicazione», al paragrafo 1, lettera c), dispone quanto segue:
«Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
(...)
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».
13. L’articolo 5 della direttiva 2000/78, intitolato «Soluzioni ragionevoli per i disabili», è così formulato:
«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».
C. Diritto italiano
14. A termini dell’articolo 2110, commi primo e secondo, del codice civile:
«In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge [non stabilisce] forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali (...) dagli usi o secondo equità.
Nei casi indicati nel comma precedente, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, (...) dagli usi o secondo equità».
15. L’articolo 173 del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) dipendenti aziende settore turismo Confcommercio, del 20 febbraio 2010 (in prosieguo: il «CCNL»), intitolato «Conservazione del posto», dispone quanto segue:
«1. In caso di malattia accertata o di infortunio il personale che non sia in periodo di prova o di preavviso ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di 180 giorni per anno, intendendosi per tale il periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre.
2. Ove il lavoratore si ammali o si infortuni più volte nel corso dell’anno i relativi periodi di assenza sono cumulabili agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di cui al precedente comma.
3. Per il personale assunto a termine, la conservazione del posto è comunque limitata al solo periodo di stagione o di ingaggio.
4. Qualora allo scadere del periodo per il quale è obbligatoria la conservazione del posto, il personale non possa riprendere servizio per il protrarsi della malattia, il rapporto di lavoro si intenderà risolto con diritto all’intero trattamento di fine rapporto ed a quanto altro dovuto, esclusa l’indennità sostitutiva di preavviso».
16. L’articolo 174 del CCNL, intitolato «Aspettativa non retribuita», così prevede:
«1. Nei confronti dei lavoratori ammalati e infortunati sul lavoro la conservazione del posto, fissata nel periodo massimo di 180 giorni dall’articolo 173 del presente Contratto, sarà prolungata, a richiesta del lavoratore, per un ulteriore periodo non superiore a centoventi giorni, alle seguenti condizioni:
a) che non si tratti di malattie croniche e/o psichiche, fatto salvo quanto disposto al successivo articolo 175 (malattie oncologiche);
b) che siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici o di degenza ospedaliera;
c) che la richiesta del periodo eccedente i 180 giorni sia fatta dal lavoratore come “aspettativa generica” senza retribuzione e senza diritto a maturazione di alcun istituto contrattuale;
d) che il lavoratore non abbia già fruito dell’aspettativa in precedenza.
2. I lavoratori che intendano beneficiare del periodo di aspettativa di cui al precedente comma dovranno far pervenire all’azienda richiesta a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, prima della scadenza del centottantesimo giorno di assenza per malattia o infortunio e firmare espressa dichiarazione di accettazione delle suddette condizioni.
3. Al termine del periodo di aspettativa il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento ai sensi del precedente articolo 173; il periodo stesso è considerato utile ai fini dell’anzianità di servizio in caso di prosecuzione del rapporto».
17. L’articolo 175 del CCNL, intitolato «Malattie oncologiche», è formulato come segue:
«1. Con riferimento ai malati con gravi patologie oncologiche accertate da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, il periodo di aspettativa generica di cui all’articolo 174 sarà prorogato anche se eccedente i 120 giorni.
2. Gli interessati dovranno far pervenire all’azienda, prima della scadenza del centoventesimo giorno di aspettativa generica, l’ulteriore certificazione medica a comprova dello stato di salute e della inidoneità alla ripresa del lavoro, contenente i giorni di proroga concessi dal medico curante o dalla struttura ospedaliera».
III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
18. Il 1º settembre 2021 la sig.ra P.M. è stata assunta con contratto a tempo determinato quale commis di sala/cucina dalla società S., che occupa in media nove persone, di cui sette dipendenti, e svolge attività di ristorazione con somministrazione. Il 1º gennaio 2022 tale contratto è stato trasformato in contratto a tempo indeterminato.
19. La sig.ra P.M. è stata assente per malattia ininterrottamente dal 18 giugno al 19 dicembre 2022. Il suo primo certificato medico, redatto in lingua tailandese e tradotto in lingua italiana, menzionava un’assenza dal lavoro per il periodo compreso tra il 18 giugno e l’8 agosto 2022 e recava l’indicazione della causale dell’assenza, ossia un’emorragia subaracnoidea da rottura di aneurisma, con ulteriori dettagli clinici. Tale certificato medico veniva trasmesso alla società S. L’assenza della sig.ra P.M. per malattia proseguiva ininterrotta ed era prevista fino all’8 gennaio 2023, in base a certificati del medico di medicina generale italiano che, nella versione disponibile per il datore di lavoro, non indicavano la causale medica dell’assenza.
20. Il 19 dicembre 2022 la sig.ra P.M. veniva licenziata dal datore di lavoro per superamento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro previsto all’articolo 173 del CCNL, pari a 180 giorni per anno (in prosieguo: la «disposizione controversa»), nella fattispecie nel periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre 2022.
21. Il 4 novembre 2022 la sig.ra P.M. faceva domanda di riconoscimento della propria disabilità in via amministrativa. Ella andava a visita il 24 gennaio 2023, ossia dopo la data del licenziamento. Il 17 febbraio 2023 la sig.ra P.M. otteneva il riconoscimento dell’invalidità civile in misura del 35% con la seguente diagnosi: «esito di trattamento endovascolare», con ulteriori dettagli clinici, e veniva riconosciuta come portatrice di handicap ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 104 – Legge‑quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, del 5 febbraio 1992 (7), nella versione vigente alla suddetta data. La società S. non era a conoscenza di tale iter amministrativo, che si concludeva alcuni mesi dopo il licenziamento della sig.ra P.M.
22. Lo stato di malattia della sig.ra P.M. continuava successivamente al licenziamento e alla predetta data dell’8 gennaio 2023, indicata dal suo medico di medicina generale italiano, come risulta da certificazione che dà atto, anche nel periodo di marzo e aprile 2023, di ulteriori interventi chirurgici e di ricoveri alla quale ella è stata sottoposta per problemi vascolari. Inoltre, la relazione medico legale redatta da un consulente di fiducia della sig.ra P.M. dava atto che anche nel momento della visita effettuata nell’agosto del 2023 ella «accusa[va] astenia con facile affaticabilità, confusione mentale, caduta di oggetti dalle mani per deficit di forza da precocissima esauribilità».
23. Il 16 ottobre 2023 la sig.ra P.M. proponeva un ricorso dinanzi al Tribunale ordinario di Ravenna, giudice del rinvio, diretto a far dichiarare il carattere discriminatorio del proprio licenziamento per il motivo che la disposizione controversa, la quale non distingue a seconda che il lavoratore sia o meno disabile, le veniva applicata senza tenere conto della sua disabilità. Ella chiedeva di essere reintegrata nel posto di lavoro, con possibilità di opzione sostitutiva nella misura del pagamento di quindici mensilità di retribuzione, il risarcimento del danno in misura pari alle mensilità di retribuzione non corrisposte dalla data del licenziamento alla sentenza, il pagamento dei contributi previdenziali omessi in quel periodo, il risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione in misura di EUR 10 000 nonché il rimborso delle spese legali. Il datore di lavoro non si costituiva e non rassegnava difese.
24. Detto giudice espone che, nel diritto italiano, in caso di malattia di un lavoratore, è prevista la conservazione del posto di lavoro per un periodo, cosiddetto «di comporto», che comprende un termine massimo. Un lavoratore non può essere licenziato a causa delle sue assenze per malattia prima della scadenza di tale periodo, la cui durata è determinata nell’ambito della contrattazione collettiva. I vari contratti collettivi italiani, che disciplinano ciascun settore di attività, prevederebbero propri termini e modalità di calcolo. Dopo la scadenza del periodo «di comporto», la possibilità di licenziare, senza ulteriori motivi, un lavoratore malato che abbia superato detto periodo sarebbe lasciata alla mera volontà del datore di lavoro.
25. Secondo il suddetto giudice, dalla giurisprudenza della Corte suprema di cassazione (Italia) risulta che il limite temporale al diritto alla conservazione del posto di lavoro tiene conto di due interessi contrapposti, ossia, da un lato, quello del lavoratore malato alla conservazione del posto di lavoro in prospettiva di guarigione o di recupero dalla malattia e, dall’altro, quello del datore di lavoro, relativamente alle proprie finanze, alla propria organizzazione e alla necessità, ad un certo punto, di poter porre fine ad un rapporto che non può avere per lui ulteriore profittevole esecuzione.
26. Nel caso di specie, la disposizione controversa stabilirebbe che il periodo di assenza per malattia retribuita con diritto alla conservazione del posto di lavoro è individuato in 180 giorni tra il 1º gennaio e il 31 dicembre di ciascun anno. Nell’arco di tale periodo di 180 giorni la retribuzione della malattia sarebbe in gran parte a carico dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Italia), mentre il datore di lavoro corrisponderebbe, dal canto suo, una somma pari a circa due mensilità di retribuzione senza ricevere controprestazione. Tale ente non corrisponderebbe più alcunché dopo il 180° giorno di malattia all’interno dello stesso anno solare. Inoltre, l’articolo 174 del CCNL prevederebbe la possibilità per il lavoratore, su sua richiesta, di conservare il posto di lavoro nonostante assenze per ulteriori 120 giorni, non retribuiti, dovuti a malattia «in genere» (in prosieguo: la «disposizione complementare»). Tuttavia, per le malattie oncologiche, non vi sarebbe limite alla durata di tale ulteriore assenza che dà diritto alla conservazione del posto di lavoro. Nel caso di un licenziamento avvenuto durante il periodo «di comporto», la normativa italiana prevederebbe, come massima sanzione possibile, la nullità del licenziamento con diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, rinunciabile dal lavoratore dietro il pagamento in suo favore di una somma pari a quindici mensilità, ed il risarcimento del danno subito che, in caso di discriminazione, copre tutte le mensilità di retribuzione non corrisposte che vanno dalla risoluzione del contratto sino alla riassunzione.
27. Il medesimo giudice rileva che, nelle sentenze HK Danmark e Ruiz Conejero, la Corte ha statuito che, rispetto a un lavoratore non disabile, il lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità e quindi a un maggiore rischio di raggiungere i limiti temporali previsti da una disposizione di diritto nazionale relativa all’assenza dal lavoro. La Corte avrebbe aggiunto che una disposizione siffatta è idonea a svantaggiare i lavoratori disabili e, quindi, a comportare una disparità di trattamento indirettamente basata sulla disabilità, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78. Il giudice del rinvio osserva che, mentre la sentenza HK Danmark verteva sulla durata del termine di preavviso se il lavoratore disabile è stato assente per malattia per 120 giorni negli ultimi dodici mesi e non sul diritto del datore di lavoro di porre fine al rapporto di impiego, la causa che ha dato luogo alla sentenza Ruiz Conejero riguardava una disposizione di diritto nazionale tesa a colpire l’assenteismo sul lavoro e, dunque, le assenze brevi e frammentarie ancorché legittime. Detta causa verteva sul diritto di licenziare per assenze intermittenti dal lavoro, sebbene giustificate, anche per malattia, che ammontino al 20% dei giorni feriali in due mesi consecutivi sempre che il totale delle assenze dal lavoro nei dodici mesi precedenti sia pari al 5% dei giorni feriali, o al 25% in quattro mesi non continuativi nel corso di un periodo di dodici mesi, il che rappresenterebbe circa 40 giorni nell’arco di un anno, comprensivi di assenze intermittenti di otto giorni nell’ambito dell’ultimo bimestre.
28. Per contro, nel presente procedimento, si tratterebbe di capire se, in relazione ad un tempo di conservazione del rapporto di lavoro di lunga durata (ossia 180 giorni) o lunghissima durata, tenendo conto dell’ulteriore periodo non retribuito (ossia 300 giorni), unico per tutti i lavoratori, sia possibile ravvisare una discriminazione indiretta in quanto il CCNL non prevede un trattamento espressamente diverso per il disabile. Tale giudice sottolinea che, vista la durata del periodo «di comporto», quest’ultimo è stato chiaramente pensato ab origine per tutelare i lavoratori in particolare contro assenze dovute a una disabilità, non riconducibili esclusivamente a una mera malattia «comune», come l’influenza, che ha una durata media di sette giorni per giungere a completa guarigione. Detto giudice ritiene estremamente difficile in concreto che un individuo «non disabile» possa anche solo avvicinarsi ai termini di conservazione del rapporto di lavoro previsti per il periodo «di comporto», in particolare il termine di 180 giorni, che copre metà anno lavorativo, ciascun anno, per l’intera carriera lavorativa. In tali circostanze vi sarebbe un concreto dubbio che possa introdursi un ragionevole discorso discriminatorio in una normativa che appare già strutturata per tutelare precipuamente i soggetti disabili.
29. Secondo il medesimo giudice, viste le gravissime conseguenze che deriverebbero dalla qualificazione come «discriminazione indiretta» del periodo «di comporto», la quale implicherebbe che tutta la contrattazione collettiva italiana sarebbe discriminatoria e i licenziamenti dei lavoratori disabili sarebbero tutti nulli, con conseguenze patrimoniali molto rilevanti, anche per le piccole imprese come la società S., occorre sottoporre alla Corte tale dubbio interpretativo. Il giudice del rinvio precisa che, secondo la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione, l’applicazione a un lavoratore del cosiddetto periodo «di comporto» ordinario costituisce una discriminazione indiretta in quanto, rispetto a un lavoratore non disabile, un lavoratore disabile è esposto a un ulteriore rischio di assentarsi a causa di una malattia connessa alla sua disabilità.
30. Nel caso in cui il periodo «di comporto» implicasse un’astratta discriminazione indiretta, si dovrebbe verificare se le ragioni del disabile fossero comunque già sufficientemente tutelate dalla normativa in questione, in rapporto agli altri interessi rilevanti. A tal riguardo, la direttiva 2000/78 prevederebbe la legittimità del criterio o della prassi che sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima quando i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Secondo il giudice del rinvio, la finalità compromissoria perseguita dalla normativa italiana, menzionata al paragrafo 25 delle presenti conclusioni, può essere ritenuta legittima in quanto detta normativa tutela il lavoratore dal rischio di malattia, con conservazione del posto di lavoro per un lungo periodo, concedendo nel contempo al datore di lavoro di porre fine liberamente, superato tale limite, ad un rapporto di lavoro di cui non gli viene garantita una proficua esecuzione. Circa l’appropriatezza dei mezzi impiegati, tale normativa sulla malattia apparirebbe tutelare soprattutto il disabile, posto che garantisce una quantità di assenze per malattia che di regola solo il disabile può maturare, anche in prospettiva pluriennale. Solo quando il rapporto, nell’arco dell’anno, si svolge per più tempo da ineseguito che da eseguito verrebbero a prevalere gli interessi economici ed organizzativi del datore di lavoro. Inoltre, sebbene la disposizione complementare preveda un ulteriore periodo di stabilità del rapporto, di altri 120 giorni, non retribuiti, la sig.ra P.M., pur avendone avuto la possibilità, non ha chiesto al datore di lavoro di beneficiare di detto periodo.
31. Circa la necessità dei mezzi impiegati, la normativa nazionale prevederebbe la facoltà di licenziamento al plastico manifestarsi dell’inefficienza oggettiva del rapporto, ossia quando in un’annualità è più il tempo passato in malattia che quello non in malattia. Inoltre, tale normativa sarebbe frutto anche della necessità di garantire la privacy del disabile, che non è tenuto a rivelare al datore di lavoro né il proprio stato di disabilità, salvo che sia assunto ab origine in quota disabili (e non sarebbe questo il caso), né le ragioni, ossia la diagnosi, alla base delle proprie assenze per malattia. Infatti, a termini dell’articolo 5 della legge n. 300 – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, del 20 maggio 1970 (8), intitolato «Accertamenti sanitari», sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. Inoltre, secondo la normativa italiana, il datore di lavoro non riceverebbe certificati medici con diagnosi, ossia con la causale della malattia, in quanto essi possono indicare solo una prognosi.
32. In definitiva, la normativa italiana, al superamento del termine massimo previsto dalla disposizione controversa, rimetterebbe al datore di lavoro la scelta discrezionale di procedere al licenziamento e, solo laddove il lavoratore non chieda di beneficiare della disposizione complementare, farebbe prevalere gli interessi economici ed organizzativi del datore di lavoro, consentendogli di procedere ad un licenziamento che ha quale unico e semplice presupposto il superamento del termine massimo. Inoltre, tale normativa tutelerebbe il disabile anche all’esterno del rapporto di lavoro e più in generale nell’ambito del mercato del lavoro, posto che i datori di lavoro che occupano più di quattordici dipendenti devono riservare una quota variabile di posti di lavoro in favore di soggetti disabili (9).
33. In tali circostanze, il Tribunale ordinario di Ravenna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) [S]e la direttiva 2000/78 sia di ostacolo ad una normativa nazionale che, prevedendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia per 180 giorni retribuiti, nel periodo dal [1º gennaio] al 31 [dicembre] di ciascun anno, oltre ad ulteriori 120 giorni di aspettativa non retribuita (fruibili questi [una] sola volta) su richiesta del lavoratore, non preveda una disciplina differente tra lavoratori qualificabili come disabili e lavoratori che non lo sono[.]
2) [L]addove la normativa nazionale descritta in motivazione dovesse essere considerata astrattamente integrante una discriminazione indiretta, se la normativa stessa sia comunque oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari[.]
3) [S]e un accomodamento ragionevole idoneo e sufficiente ad evitare la discriminazione possa essere rappresentato dalla previsione di un’aspettativa non retribuita, a richiesta del lavoratore, successiva allo scadere dei [180] giorni di malattia ed idonea ad impedire il licenziamento sino alla sua scadenza[.]
4) [S]e possa ritenersi ragionevole un accomodamento consistente nel dovere del datore di lavoro di concedere – alla scadenza del periodo di 180 giorni di malattia retribuita – un ulteriore periodo retribuito integralmente a suo carico, senza ottenere una controprestazione lavorativa[.]
5) [S]e, al fine di valutare il comportamento discriminatorio del datore di lavoro, possa valutarsi (ai fini dello stabilire la legittimità o meno del licenziamento) la circostanza che anche [un eventuale] ulteriore periodo di stabilità del rapporto retribuita a carico del datore di lavoro non avrebbe consentito il rientro al lavoro del disabile, permanendo il suo stato di malattia».
34. Con ordinanza del presidente della Corte del 9 aprile 2024 è stata respinta la domanda del giudice del rinvio di sottoporre la presente causa al procedimento accelerato previsto all’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte.
35. Hanno presentato osservazioni scritte i governi italiano, greco e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea.
36. Con lettera del 20 novembre 2024, la Corte ha rivolto una richiesta di chiarimenti al giudice del rinvio, in applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del proprio regolamento di procedura, vertente in particolare sulla giurisprudenza della Corte suprema di cassazione menzionata nella domanda di pronuncia pregiudiziale, alla quale detto giudice ha risposto con lettera depositata presso la cancelleria della Corte il 26 novembre 2024.
37. Conformemente alla richiesta della Corte, le presenti conclusioni si concentreranno sull’analisi delle prime due questioni pregiudiziali.
IV. Analisi
38. Con le sue prime due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1 e l’articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati nel senso che ostano alle disposizioni di un contratto collettivo nazionale che prevedono che un lavoratore possa essere licenziato in una situazione in cui la sua assenza per malattia abbia superato un periodo retribuito di 180 giorni per anno, al quale può aggiungersi, su richiesta del lavoratore, un periodo non superiore a 120 giorni per un solo anno, senza distinguere a seconda che tale lavoratore sia o meno disabile ai sensi di detta direttiva.
39. In via preliminare, ricordo che sia dal titolo e dal preambolo sia dal contenuto e dalla finalità della direttiva 2000/78 emerge che essa si propone di fissare un quadro generale per garantire a ogni individuo la parità di trattamento «in materia di occupazione e di condizioni di lavoro», offrendogli una protezione efficace contro le discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui al suo articolo 1, tra i quali sono menzionati gli handicap (10). A termini dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, il «principio della parità di trattamento» è inteso come «l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1». Inoltre, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), di detta direttiva, essa si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene, in particolare, alle condizioni di licenziamento.
40. Secondo la giurisprudenza della Corte, quando adottano misure rientranti nell’ambito di applicazione della medesima direttiva, nella quale trova espressione concreta, in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il principio di non discriminazione fondata sulla disabilità, ora sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli Stati membri e le parti sociali devono agire nel rispetto della direttiva 2000/78 (11).
41. Nel caso di specie, il procedimento principale verte sul licenziamento di una lavoratrice dopo la scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro previsto dalla disposizione controversa, ossia un periodo retribuito di 180 giorni per anno, consecutivi o meno. Preciso anzitutto che, come menzionato dal giudice del rinvio, la disposizione complementare prevede che la conservazione del posto di lavoro possa essere prolungata, su richiesta del lavoratore, per un periodo non superiore a 120 giorni, per un solo anno. Tuttavia, dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra P.M., sebbene ne abbia avuto la possibilità, non ha chiesto di beneficiare di quest’ultima disposizione. In tali circostanze, il seguito della mia analisi si concentrerà sul periodo di 180 giorni quale previsto all’articolo 173 del CCNL, pur facendo riferimento a tale periodo di 120 giorni nell’ambito dell’esame complessivo della conformità al diritto dell’Unione del contratto collettivo di cui trattasi.
42. Detto giudice indica che la sig.ra P.M. è stata riconosciuta come persona disabile, ai sensi della normativa nazionale, successivamente al suo licenziamento. Tuttavia, il fatto che un lavoratore sia riconosciuto come persona disabile secondo il diritto nazionale non comporta a priori che egli sia affetto da una disabilità ai sensi della direttiva 2000/78 (12). Per quanto riguarda la nozione di «handicap», ai sensi di tale direttiva, essa deve essere intesa come concernente una limitazione della capacità, risultante, in particolare, da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (13). Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che detto giudice, il quale è competente in via esclusiva a valutare i fatti, ritiene che la sig.ra P.M. sia una persona disabile, ai sensi della menzionata direttiva.
43. Con le sue prime due questioni, il medesimo giudice chiede se la disposizione controversa costituisca una discriminazione ai sensi della direttiva 2000/78. Per quanto riguarda la sussistenza di una discriminazione diretta, dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva risulta che una discriminazione del genere sussiste quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1 di detta direttiva, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto lo sia un’altra in una situazione analoga. Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che la disposizione controversa si applica allo stesso modo a tutti i lavoratori, siano essi disabili o meno, al pari della disposizione complementare. In tale contesto, non è possibile ritenere che le menzionate disposizioni introducano una differenza di trattamento direttamente basata sulla disabilità, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva, ove esse si fondino su un criterio che non è inscindibilmente legato alla disabilità (14).
44. Per quanto riguarda la sussistenza di una discriminazione indiretta, l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 enuncia che, salvo nei casi di cui ai punti i) e ii), sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio, tra l’altro, le persone portatrici di un particolare handicap, rispetto ad altre persone. La menzionata disposizione prevede quindi un esame in due fasi. La prima fase è volta a verificare se la disposizione del diritto nazionale di cui trattasi comporti un trattamento sfavorevole basato sulla disabilità. In tal caso, questa prima fase non è sufficiente per constatare la sussistenza di una discriminazione indiretta nei confronti delle persone con disabilità. Invero, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, un trattamento sfavorevole basato sulla disabilità contrasta con la tutela prevista dalla direttiva 2000/78 unicamente nei limiti in cui costituisca una discriminazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva. Infatti, il lavoratore disabile che rientri nell’ambito di applicazione di tale direttiva deve essere tutelato contro qualsiasi «discriminazione» rispetto a un lavoratore che non vi rientri (15). Pertanto, la seconda fase consiste nel determinare se ricorrano le condizioni di cui al punto i) o al punto ii) dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva. In caso affermativo, anche se le persone con disabilità subiscono uno svantaggio, la norma che istituisce tale svantaggio non costituisce una discriminazione indiretta ai sensi della direttiva 2000/78.
45. Secondo la giurisprudenza della Corte, la presa in considerazione dei giorni di assenza dovuti a una patologia collegata alla disabilità nel calcolo dei giorni di assenza per malattia finisce per assimilare una patologia legata a una disabilità alla nozione generale di «malattia» sebbene sia esclusa un’assimilazione pura e semplice della nozione di «handicap» a quella di «malattia». A tal proposito, un lavoratore disabile è, in linea di principio, maggiormente esposto al rischio di vedersi applicare una disposizione che fissa un limite alla durata dell’assenza dal lavoro rispetto a un lavoratore non disabile. Infatti, rispetto a un lavoratore non disabile, un lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità. Egli è quindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di raggiungere i limiti fissati da detta disposizione. Sempre secondo la giurisprudenza della Corte, risulta, dunque, che la norma di cui a tale disposizione è idonea a svantaggiare i lavoratori disabili e, quindi, a comportare una disparità di trattamento indirettamente basata sulla disabilità ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della menzionata direttiva (16).
46. Di conseguenza, nel caso di specie, per quanto riguarda la prima fase dell’esame della disposizione controversa e della disposizione complementare (17), che vertono sul numero di giorni di assenza per anno, occorre constatare che esse non istituiscono un regime specifico per i lavoratori disabili. Pertanto, esse introducono un trattamento sfavorevole basato sulla disabilità ai sensi di detta direttiva. Tuttavia, come ho indicato al paragrafo 44 delle presenti conclusioni, questa sola constatazione non consente di configurare una discriminazione indiretta ai sensi della medesima direttiva. Se così fosse, si dovrebbe constatare che non solo tali disposizioni, ma anche tutte le disposizioni degli Stati membri in materia di previdenza sociale, nel caso in cui non operassero una distinzione tra le persone disabili e le persone non disabili, violerebbero, per ciò solo, il principio della parità di trattamento previsto dal diritto dell’Unione.
47. Dal momento che le presenti conclusioni sono concentrate sulle prime due questioni pregiudiziali, che vertono, in sostanza, sull’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78, esaminerò, in un primo momento, le condizioni previste da tale disposizione, che possono essere applicate a una disparità di trattamento basata sulla disabilità, anche se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), di tale direttiva riguarda specificamente la situazione di disabilità (18). Da tale articolo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), deriva che, nella posizione di particolare svantaggio delle persone portatrici di un particolare handicap rispetto ad altre persone, non sussiste discriminazione se la normativa nazionale è oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi per il suo conseguimento sono appropriati e necessari. Pertanto, si deve verificare se la disposizione di cui trattasi sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima, se i mezzi attuati per il suo conseguimento siano appropriati e se non eccedano quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalle parti sociali che hanno concluso il contratto collettivo in questione (19).
48. A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che gli Stati membri dispongono di un ampio margine discrezionale non solo nella scelta di perseguire un obiettivo determinato in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzarlo (20). Così, in particolare, la Corte ha dichiarato al punto 44 della sentenza Ruiz Conejero che la lotta all’assenteismo sul lavoro può essere riconosciuta come finalità legittima, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78, dal momento che costituisce una misura di politica occupazionale. La causa che ha dato luogo a tale sentenza riguardava congedi di malattia intermittenti di breve durata. Allo stesso modo, secondo la Corte, un provvedimento adottato per favorire la flessibilità del mercato del lavoro può essere considerato una misura di politica occupazionale (21).
49. Per quanto attiene al presente procedimento, rilevo che, ai sensi del considerando 17 della direttiva 2000/78, quest’ultima non prescrive il mantenimento dell’occupazione di un individuo non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili. Pertanto, ritengo che, nell’ambito della politica occupazionale, e relativamente ai congedi di malattia di lunga durata, assicurare la disponibilità dei lavoratori a svolgere la loro attività lavorativa costituisca una finalità legittima di politica sociale, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), di detta direttiva. Infatti, quest’ultima non ha lo scopo di prolungare un rapporto di lavoro mantenendo l’occupazione di persone inidonee al lavoro.
50. Occorre tuttavia verificare se i mezzi attuati dal contratto collettivo di cui trattasi per realizzare tale finalità siano appropriati e non eccedano quanto necessario per il suo raggiungimento. A tal riguardo, il giudice del rinvio ha indicato che, secondo la giurisprudenza della Corte suprema di cassazione, il limite temporale del diritto alla conservazione del posto di lavoro tiene conto dell’interesse, da un lato, del lavoratore malato alla conservazione del posto in prospettiva di guarigione o di recupero dalla malattia e, dall’altro, quello del datore di lavoro relativamente alle proprie finanze, alla propria organizzazione e alla necessità di poter porre fine ad un rapporto che non può avere per lui ulteriore profittevole esecuzione (22). Pertanto, la disposizione controversa consente al lavoratore di assentarsi per motivi connessi alla sua malattia per circa metà anno, ogni anno, senza perdere la retribuzione né il lavoro. Detto lavoratore può inoltre chiedere di beneficiare della disposizione complementare, che prevede un’aspettativa per malattia non retribuita. A fronte di ciò, il datore di lavoro ha la facoltà, in caso di superamento del termine massimo, di porre fine a tale rapporto.
51. Ai fini di tale verifica, è utile sottolineare che, secondo il giudice del rinvio, tenuto conto della durata del periodo «di comporto», quest’ultimo è strutturato ab origine per tutelare il lavoratore anche contro assenze dovute a una disabilità, non riconducibili esclusivamente a semplice malattia «comune». Nello stesso senso, il governo italiano fa valere nelle sue osservazioni scritte che la lunghezza di tale periodo si giustifica in considerazione delle esigenze di tutela dei disabili, atteso che è rarissimo che una malattia, in assenza di disabilità, e al di fuori delle malattie oncologiche non a caso trattate diversamente, perduri per un periodo così lungo. Pertanto, la normativa italiana, per semplicità, sarebbe modellata su un termine più ampio, in base al criterio, logico prima che giuridico, che «il più contiene il meno».
52. Inoltre, occorre prendere in considerazione tutti gli altri elementi pertinenti, in particolare i costi diretti e indiretti che le imprese devono sostenere a causa dell’assenza dal lavoro (23). Si deve inoltre esaminare se la disposizione controversa e la disposizione complementare, nel prevedere il diritto di procedere al licenziamento dei lavoratori assenti dal lavoro per malattia per un determinato numero di giorni, abbia, nei confronti dei datori di lavoro, un effetto di incentivazione all’assunzione e al mantenimento dell’occupazione (24).
53. Tenuto conto dell’ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri non solo nella scelta di perseguire un obiettivo determinato in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzarlo, ritengo che una misura come la disposizione controversa non appaia inadeguata per raggiungere l’obiettivo menzionato al paragrafo 49 delle presenti conclusioni. Infatti, gli Stati membri o le parti sociali hanno, a mio avviso, il diritto di esigere che un lavoratore sia disponibile almeno sei mesi ogni anno per svolgere i compiti definiti dal suo contratto di lavoro.
54. La Corte ha precisato che, per determinare se i mezzi di cui alla disposizione controversa eccedano quanto necessario per realizzare la finalità perseguita, occorre ricollocare tale disposizione nel contesto in cui essa si inserisce e considerare il danno che essa può causare ai soggetti interessati. A tal fine, spetta al giudice del rinvio esaminare se le parti sociali italiane, nel perseguire la finalità legittima consistente nell’assicurare, da un lato, la disponibilità dei lavoratori a svolgere la loro attività lavorativa e, dall’altro, un equilibrio ragionevole tra gli interessi contrapposti dei lavoratori e dei datori di lavoro relativamente alle assenze per malattia, non abbiano omesso di tenere conto di elementi rilevanti che riguardano, in particolare, i lavoratori disabili. A questo proposito, non si deve ignorare il rischio cui sono soggette le persone disabili, le quali, in generale, incontrano maggiori difficoltà rispetto ai lavoratori non disabili a reinserirsi nel mercato del lavoro e hanno esigenze specifiche connesse alla tutela richiesta dal loro stato di salute (25).
55. In tale contesto, come enunciato dal considerando 15 della direttiva 2000/78, la discriminazione indiretta può essere stabilita con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica. Pertanto, come ha rilevato la Commissione nelle sue osservazioni scritte, per determinare in quale misura i lavoratori disabili subiscano un danno derivante dall’applicazione della disposizione controversa e della disposizione complementare, il giudice del rinvio deve verificare, sulla base degli elementi di fatto di cui dispone, quanti di essi siano stati assenti per malattia per un periodo superiore a 180 giorni in un anno o a 300 giorni in un solo anno. Al termine di questo esame fattuale, che spetta a detto giudice effettuare, qualora risultasse che un numero considerevole di lavoratori disabili ha superato tali periodi «di comporto», questi ultimi potrebbero avere un effetto negativo significativo sui lavoratori disabili e non essere proporzionati alla loro situazione. Incombe al giudice nazionale valutare in quale misura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso siano affidabili e se possano essere presi in considerazione, vale a dire se, in particolare, non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se siano sufficientemente significativi (26).
56. Tra gli elementi da prendere in considerazione rientra l’esistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di disposizioni intese a proteggere in maniera specifica le persone con disabilità. Infatti, tali disposizioni possono impedire o compensare gli svantaggi derivanti dalla disabilità, compresa l’eventuale insorgenza di malattie legate alla disabilità (27).
57. Alla luce di tali elementi, spetta al giudice del rinvio valutare, per quanto riguarda le persone con disabilità, se i mezzi previsti dalla disposizione controversa e dalla disposizione complementare non eccedano quanto necessario per raggiungere la finalità perseguita.
58. Sebbene le prime due questioni pregiudiziali non vertano sulle soluzioni ragionevoli di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), della direttiva 2000/78, vorrei tuttavia, in un secondo momento e a titolo supplementare, svolgere alcune osservazioni al riguardo. Dalla giurisprudenza della Corte risulta che le disposizioni della Convenzione dell’ONU possono essere invocate al fine di interpretare quelle di detta direttiva, di modo che quest’ultima deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a tale convenzione. Orbene, ai sensi dell’articolo 2 della suddetta convenzione, per «discriminazione fondata sulla disabilità» si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione basata sulla disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, sulla base dell’uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Tale nozione include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole. Per quanto riguarda tali accomodamenti, dalla formulazione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dei considerando 20 e 21 di quest’ultima, risulta che il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti appropriati, vale a dire provvedimenti efficaci e pratici, tenendo conto di ciascuna situazione individuale, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione senza imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato (28).
59. Nel caso di specie, il giudice del rinvio afferma che la società S. era a conoscenza del primo certificato medico della sig.ra P.M., che indicava la causa medica della sua assenza, per il periodo compreso tra il 18 giugno e l’8 agosto 2022. Per contro, i certificati medici rilasciati dal suo medico di medicina generale italiano per il periodo fino all’8 gennaio 2023 non avrebbero precisato la causa medica della sua assenza. Come sottolinea tale giudice, secondo la normativa nazionale, il datore di lavoro non sa il motivo dell’assenza del lavoratore, in quanto non riceve certificati con diagnosi, ossia con la causale della malattia, ma solo con una prognosi. Inoltre, detta società non è stata informata della domanda della sig.ra P.M. diretta al riconoscimento della sua disabilità in via amministrativa. Oltre a ciò, come precisato dal suddetto giudice, detta normativa vieta espressamente al datore di lavoro di svolgere propri accertamenti sanitari sulla persona del lavoratore (29).
60. In tali circostanze, spetta al medesimo giudice esaminare se, alla luce del diritto nazionale e delle circostanze proprie del procedimento principale, spetti al lavoratore informare il datore di lavoro della propria situazione di disabilità (30) o se quest’ultimo abbia l’obbligo, prima di licenziare un lavoratore per superamento del periodo «di comporto», di chiedere a detto lavoratore se le sue assenze siano legate all’esistenza di una disabilità. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fosse tenuto ad informarsi, si dovrebbe constatare che il licenziamento di un lavoratore disabile senza che il datore di lavoro abbia cercato di adottare un provvedimento appropriato nell’ambito delle «soluzioni ragionevoli» ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78 non rispetta le condizioni previste all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), di tale direttiva.
61. Tenuto conto di tutto quanto precede, ritengo che l’articolo 1 e l’articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano alle disposizioni di un contratto collettivo nazionale in forza delle quali un lavoratore può essere licenziato in una situazione in cui la sua assenza per malattia abbia superato un periodo retribuito di 180 giorni per anno, al quale può aggiungersi, su richiesta del lavoratore, un periodo non superiore a 120 giorni per un solo anno, senza distinguere a seconda che il medesimo lavoratore sia o meno disabile ai sensi di detta direttiva, salvo che tali disposizioni, pur perseguendo la finalità legittima di assicurare la disponibilità dei lavoratori a svolgere la loro attività lavorativa, eccedano quanto necessario per raggiungere tale finalità.
V. Conclusione
62. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla prima e alla seconda questione pregiudiziale sollevate dal Tribunale ordinario di Ravenna (Italia) nei seguenti termini:
L’articolo 1 e l’articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro,
devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano alle disposizioni di un contratto collettivo nazionale in forza delle quali un lavoratore può essere licenziato in una situazione in cui la sua assenza per malattia abbia superato un periodo retribuito di 180 giorni per anno, al quale può aggiungersi, su richiesta del lavoratore, un periodo non superiore a 120 giorni per un solo anno, senza distinguere a seconda che il medesimo lavoratore sia o meno disabile ai sensi di detta direttiva, salvo che tali disposizioni, pur perseguendo la finalità legittima di assicurare la disponibilità dei lavoratori a svolgere la loro attività lavorativa, eccedano quanto necessario per raggiungere tale finalità.
1 Lingua originale: il francese.
i Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.
2 Direttiva del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).
3 Sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11; in prosieguo: la «sentenza HK Danmark», EU:C:2013:222).
4 Sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero (C‑270/16; in prosieguo: la «sentenza Ruiz Conejero», EU:C:2018:17). V., su tale sentenza, in dottrina, Broderick, A., «Ruiz Conejero: (Re‑)Conceptualizing Disability‑based Discrimination and Sickness Absence at Work», International Labor Rights Case Law Journal, Brill Nijhoff, Leyde, n. 5, 2019, pagg. da 86 a 91.
5 Recueil des traités des Nations unies, vol. 2515, pag. 3.
6 GU 2010, L 23, pag. 35.
7 Supplemento ordinario alla GURI n. 39, del 17 febbraio 1992.
8 GURI n. 131, del 27 maggio 1970.
9 A tale proposito, il giudice del rinvio si richiama alla legge n. 68 – Norme per il diritto al lavoro dei disabili, del 12 marzo 1999 (supplemento ordinario alla GURI n. 68, del 23 marzo 1999).
10 V. sentenza del 10 febbraio 2022, HR Rail (C‑485/20, EU:C:2022:85, punto 26 e giurisprudenza citata).
11 V., per analogia, in relazione alla discriminazione fondata sull’età, sentenza del 19 luglio 2017, Abercrombie & Fitch Italia (C‑143/16, EU:C:2017:566, punto 17 e giurisprudenza citata). L’articolo 26 della Carta dei diritti fondamentali enuncia inoltre che l’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale nonché la partecipazione alla vita della comunità.
12 V. sentenza Ruiz Conejero (punto 32).
13 V. sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta (C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 34 e giurisprudenza citata).
14 V., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie (C‑16/19, EU:C:2021:64, punto 44 e giurisprudenza citata).
15 V. sentenza Ruiz Conejero (punto 36 e giurisprudenza citata).
16 V., in tal senso, sentenza Ruiz Conejero (C‑270/16, EU:C:2018:17, punti 38 e 39 e giurisprudenza citata).
17 Il giudice del rinvio sottolinea che la disposizione complementare, nella parte in cui esclude la possibilità di fruire di un’ulteriore aspettativa in caso di malattie croniche e psichiche, pare discriminatoria nei confronti della persona disabile portatrice di una siffatta patologia. Tuttavia, come rileva del pari detto giudice, poiché la sig.ra P.M., pur avendone avuto la possibilità, non ha chiesto di beneficiare di questo periodo ulteriore, non occorre esaminare tale questione nell’ambito delle presenti conclusioni.
18 V., in particolare, sentenza HK Danmark (punti da 75 a 92 e giurisprudenza citata). V., altresì, conclusioni dell’avvocata generale Sharpston nella causa Ruiz Conejero (C‑270/16, EU:C:2017:788, paragrafo 33), secondo cui l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78 deve essere letto congiuntamente all’articolo 2, paragrafo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), della stessa, in quanto si può ritenere che la seconda disposizione fornisca indicazioni per valutare la «proporzionalità» della prima e non si può affermare che alle persone portatrici di handicap dovrebbe essere applicata la seconda e non la prima, dato che, anche se può essere vero che la prima si applica alla maggior parte delle persone affette da disabilità, essa non risulta applicabile alla totalità delle stesse.
19 V., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2018, Bedi (C‑312/17, EU:C:2018:734, punto 58).
20 V. sentenza del 20 aprile 2023, BVAEB (Adeguamento delle pensioni di vecchiaia) (C‑52/22, EU:C:2023:309, punto 55 e giurisprudenza citata).
21 V. sentenza HK Danmark (punto 82).
22 V. paragrafo 25 delle presenti conclusioni.
23 V., in tal senso, sentenza Ruiz Conejero (punto 47). A tale proposito, il giudice del rinvio menziona i costi organizzativi e formativi relativi all’assunzione di personale a tempo determinato in sostituzione del lavoratore assente per malattia.
24 V., in tal senso, sentenza Ruiz Conejero (punto 48 e giurisprudenza citata).
25 V., in tal senso, sentenze HK Danmark (punto 82) e Ruiz Conejero (punti da 49 a 51 e giurisprudenza citata).
26 Sentenza del 30 giugno 2022, INSS (Cumulo di pensioni di invalidità professionale totale) (C‑625/20, EU:C:2022:508, punto 41 e giurisprudenza citata).
27 V., in tal senso, sentenza Ruiz Conejero (punto 55).
28 Sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta (C‑631/22, EU:C:2024:53, punti da 41 a 43 e giurisprudenza citata). Come ho rilevato nelle mie conclusioni nella causa HR Rail (C‑485/20, EU:C:2021:916, paragrafo 59), l’articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dei considerando 17 e 20 della stessa, deve essere inteso nel senso che, in via prioritaria e nei limiti del possibile, il datore di lavoro deve sistemare il luogo di lavoro che il lavoratore occupava prima della sua sopravvenuta disabilità. In un approccio fondato sulla nozione sociale di «disabilità», l’obiettivo è in effetti quello di adattare l’ambiente di lavoro del disabile al fine di consentirgli una piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale sulla base dell’uguaglianza con gli altri lavoratori.
29 V. paragrafo 31 delle presenti conclusioni.
30 Osservo che, nel caso di specie, la sig.ra P.M. non ha chiesto di beneficiare del periodo di ulteriori 120 giorni previsto dalla disposizione complementare.
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
11 settembre 2025 (*)
« Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Articolo 2 – Discriminazione fondata sulla disabilità – Licenziamento di un lavoratore assente per malattia – Normativa nazionale che prevede lo stesso limite di numero di giorni di assenza per malattia per anno civile per tutti i lavoratori di un medesimo settore di attività – Articolo 5 – Soluzioni ragionevoli »
Nella causa C‑5/24 [Pauni] (i),
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Ravenna (Italia), con ordinanza del 4 gennaio 2024, pervenuta in cancelleria il 5 gennaio 2024, nel procedimento
P.M.
contro
S. Snc
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da F. Biltgen, presidente di sezione, T. von Danwitz (relatore), vicepresidente della Corte, A. Kumin, I. Ziemele e S. Gervasoni, giudici,
avvocato generale: A. Rantos
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. Fiandaca, avvocato dello Stato;
– per il governo ellenico, da V. Baroutas e M. Tassopoulou, in qualità di agenti;
– per il governo dei Paesi Bassi, da E.M.M. Besselink e M.K. Bulterman e, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da D. Recchia ed E. Schmidt, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 aprile 2025,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra P.M. e la S. Snc in merito al licenziamento di P.M. a causa del superamento del limite di 180 giorni di assenza per malattia per anno civile, previsto dalla normativa nazionale applicabile.
Contesto normativo
Diritto internazionale
3 L’articolo 27, paragrafo 1, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, conclusa a New York il 13 dicembre 2006 e approvata a nome della Comunità europea dalla decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 (GU 2010, L 23, pag. 35) (in prosieguo: la «convenzione dell’ONU»), intitolato «Lavoro e occupazione», prevede quanto segue:
«Gli Stati parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile alle persone con disabilità. Gli Stati parti garantiscono e favoriscono l’esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, prendendo appropriate iniziative, anche legislative, in particolare al fine di:
(...)
h) [f]avorire l’impiego di persone con disabilità nel settore privato attraverso politiche e misure adeguate che possono includere programmi di azione antidiscriminatoria, incentivi e altre misure;
i) [g]arantire che alle persone con disabilità siano forniti accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro;
(...)
k) [p]romuovere programmi di orientamento e riabilitazione professionale, di mantenimento del posto di lavoro e di reinserimento nel lavoro per le persone con disabilità».
Diritto dell’Unione
4 I considerando 17, 20 e 21 della direttiva 2000/78 affermano che:
«(17) La presente direttiva non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazione né prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili.
(...)
(20) È opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento.
(21) Per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni».
5 Ai sensi del suo articolo 1, tale direttiva «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».
6 L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione», ai paragrafi 1 e 2 così prevede:
«(1) Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:
i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che
ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi».
7 L’articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Campo d’applicazione», al paragrafo 1 dispone quanto segue:
«Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;
(...)
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;
(...)».
8 L’articolo 5 della direttiva 2000/78, rubricato «Soluzioni ragionevoli per i disabili», così dispone:
«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».
Diritto italiano
CCNL
9 Il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) per i dipendenti da aziende del settore turismo – Confcommercio – del 20 febbraio 2010 (in prosieguo: il «CCNL»), prevede all’articolo 173, intitolato «Conservazione del posto»:
«1. In caso di malattia accertata o di infortunio il personale che non sia in periodo di prova o di preavviso ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di 180 giorni per anno, intendendosi per tale il periodo compreso tra il 1º gennaio e il 31 dicembre.
2. Ove il lavoratore si ammali o si infortuni più volte nel corso dell’anno i relativi periodi di assenza sono cumulabili agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di cui al precedente comma.
3. Per il personale assunto a termine, la conservazione del posto è comunque limitata al solo periodo di stagione o di ingaggio.
4. Qualora allo scadere del periodo per il quale è obbligatoria la conservazione del posto, il personale non possa riprendere servizio per il protrarsi della malattia, il rapporto di lavoro si intenderà risolto con diritto all’intero trattamento di fine rapporto ed a quanto altro dovuto, esclusa l’indennità sostitutiva di preavviso».
10 Ai sensi dell’articolo 174 del CCNL, rubricato «Aspettativa generica»:
«1. Nei confronti dei lavoratori ammalati e infortunati sul lavoro la conservazione del posto, fissata nel periodo massimo di 180 giorni dall’articolo 173 del presente Contratto, sarà prolungata, a richiesta del lavoratore, per un ulteriore periodo non superiore a centoventi giorni, alle seguenti condizioni:
a) che non si tratti di malattie croniche e/o psichiche, fatto salvo quanto disposto al successivo articolo 175 (malattie oncologiche);
b) che siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici o di degenza ospedaliera;
c) che la richiesta del periodo eccedente i 180 giorni sia fatta dal lavoratore come “aspettativa generica” senza retribuzione e senza diritto a maturazione di alcun istituto contrattuale;
d) che il lavoratore non abbia già fruito dell’aspettativa in precedenza.
2. I lavoratori che intendano beneficiare del periodo di aspettativa di cui al precedente comma dovranno far pervenire all’azienda richiesta a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, prima della scadenza del centottantesimo giorno di assenza per malattia o infortunio e firmare espressa dichiarazione di accettazione delle suddette condizioni.
3. Al termine del periodo di aspettativa il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento ai sensi del precedente articolo 173; il periodo stesso è considerato utile ai fini dell’anzianità di servizio in caso di prosecuzione del rapporto».
11 Conformemente all’articolo 175 del CCNL, intitolato «Malattie oncologiche»:
«1. Con riferimento ai malati con gravi patologie oncologiche accertate da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, il periodo di aspettativa generica di cui all’articolo 174 sarà prorogato anche se eccedente i 120 giorni.
2. Gli interessati dovranno far pervenire all’azienda, prima della scadenza del centoventesimo giorno di aspettativa generica, l’ulteriore certificazione medica a comprova dello stato di salute e della inidoneità alla ripresa del lavoro, contenente i giorni di proroga concessi dal medico curante o dalla struttura ospedaliera».
Legge n. 300
12 L’articolo 5 della legge n. 300 – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, del 20 maggio 1970 (GURI n. 131, del 27 maggio 1970) (in prosieguo: la «legge n. 300»), così dispone:
«Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.
(...)».
Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
13 L’impresa S., che occupa in media nove dipendenti, opera nel settore della ristorazione. P.M. è stata assunta da tale impresa con contratto di lavoro a tempo determinato in qualità di commis di sala/cucina a partire dal 1° settembre 2021. Il suo contratto di lavoro a tempo determinato è stato trasformato in contratto di lavoro a tempo indeterminato a partire dal 1° gennaio 2022.
14 P.M. è stata assente per malattia, giustificata da certificati medici, dal 18 giugno 2022 al 19 dicembre 2022, data in cui il suo datore di lavoro l’ha licenziata, a seguito della scadenza del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro in caso di sospensione di un rapporto di lavoro dovuta a malattia, previsto all’articolo 173 del CCNL, corrispondente a 180 giorni nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022. Sebbene il primo certificato medico, relativo al periodo dal 18 giugno all’8 agosto e redatto in lingua tailandese, menzionasse il motivo dell’assenza, vale a dire un’emorragia subaracnoidea dovuta a una rottura di aneurisma, i certificati successivi, redatti da un medico generico italiano e attestanti l’incapacità di P.M. a lavorare fino all’8 gennaio 2023, non precisavano il motivo di assenza, cosicché il suo datore di lavoro non poteva esserne a conoscenza, conformemente all’articolo 5 della legge n. 300.
15 Durante tale assenza per malattia, il 4 novembre 2022 P.M. ha chiesto il riconoscimento amministrativo della sua disabilità, senza informarne il suo datore di lavoro. Dall’ordinanza di rinvio risulta che, in data 17 febbraio 2023, P.M. ha ottenuto lo status legale di persona disabile e che la sua malattia è proseguita diversi mesi dopo il suo licenziamento, cosicché una ripresa del lavoro sembrava improbabile.
16 Il 16 ottobre 2023 P.M. ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale ordinario di Ravenna (Italia), giudice del rinvio, facendo valere il carattere discriminatorio del suo licenziamento. Ella afferma, infatti, che l’articolo 173 del CCNL, che prevede un periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, non tiene conto della disabilità del lavoratore. Di conseguenza, ella chiede la reintegrazione nel suo posto di lavoro o, in mancanza, il versamento di quindici mensilità di retribuzione, e il risarcimento del danno in misura pari alle mensilità di retribuzione non corrisposte dalla data del licenziamento alla sentenza, oltre al pagamento dei contributi previdenziali omessi nel corso di tale periodo, nonché il versamento di un risarcimento di importo pari a EUR 10 000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale che deriverebbe dalla discriminazione fatta valere e il rimborso delle spese legali.
17 Il giudice del rinvio indica che, ai sensi del CCNL, un lavoratore assente per malattia ha il diritto di conservare il suo posto di lavoro per un periodo di 180 giorni all’anno, durante il quale è retribuito dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dal suo datore di lavoro, il quale si fa carico di circa due mensilità di stipendio. Al termine di tale periodo, detto lavoratore può chiedere, conformemente all’articolo 174 del CCNL, un’aspettativa supplementare unica e non retribuita di 120 giorni, salvo in caso di malattia cronica e/o psichica. In caso di malattia oncologica, il limite di 120 giorni può essere revocato ai sensi dell’articolo 175 del CCNL.
18 Alla luce del considerando 17 della direttiva 2000/78 e delle sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222), nonché del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero (C‑270/16, EU:C:2018:17), il giudice del rinvio si chiede, in particolare, se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale possa dar luogo a una discriminazione indiretta, dal momento che prevede un medesimo trattamento applicabile a tutti i lavoratori assenti per malattia, siano essi disabili o meno. Il giudice del rinvio osserva tuttavia che tale normativa tutela tali lavoratori per un periodo molto lungo e sembra essere stata concepita, fin dall’inizio, per coprire le assenze legate a una disabilità. Pertanto, sussisterebbe un dubbio quanto al suo carattere discriminatorio.
19 Nei limiti in cui possa essere constatata una differenza di trattamento, il giudice del rinvio tende a considerare che la normativa di cui trattasi consentirebbe di tutelare, da un lato, il lavoratore assente per malattia, essendo quest’ultimo mantenuto nel suo impiego, con la sua retribuzione, per un semestre all’anno e, dall’altro, il datore di lavoro, il quale sarebbe autorizzato a porre fine a un rapporto di lavoro divenuto al contempo stabilmente e oggettivamente non redditizio, vale a dire dopo la scadenza di detto periodo di 180 giorni. Per quanto riguarda l’aspettativa ulteriore e non retribuita di 120 giorni, prevista all’articolo 174 del CCNL, il giudice del rinvio ritiene che essa sia potenzialmente discriminatoria, non essendo prevista per i lavoratori che soffrono di malattie croniche e/o psichiche, alla luce del loro carattere duraturo. Tuttavia, nel caso di specie, P.M. non avrebbe chiesto il beneficio di tale aspettativa ulteriore, cosicché il problema di sapere se tale articolo rappresenti una discriminazione non sarebbe rilevante ai fini della definizione della controversia principale.
20 Infine, il giudice del rinvio precisa che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale tutela anche la vita privata del lavoratore, il quale non sarebbe tenuto a rivelare al datore di lavoro né il suo stato di disabilità, né la diagnosi medica che giustifica la sua assenza per malattia. Il datore di lavoro che procedesse al licenziamento del lavoratore assente per malattia alla scadenza del periodo di 180 giorni retribuiti previsto all’articolo 173 del CCNL, aumentato, se del caso, di 120 giorni corrispondenti all’aspettativa ulteriore e non retribuita, agirebbe quindi senza essere, in linea di principio, a conoscenza del motivo dell’assenza per malattia o dell’eventuale esistenza della disabilità di tale lavoratore.
21 In tali circostanze, il Tribunale ordinario di Ravenna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) [S]e la direttiva 2000/78 sia di ostacolo ad una normativa nazionale che, prevedendo il diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia per 180 giorni retribuiti, nel periodo dal [1º gennaio] al 31 [dicembre] di ciascun anno, oltre ad ulteriori 120 giorni di aspettativa non retribuita (fruibili questi [una] sola volta) su richiesta del lavoratore, non preveda una disciplina differente tra lavoratori qualificabili come disabili e lavoratori che non lo sono;
2) laddove la normativa nazionale [di cui trattasi nel procedimento principale] dovesse essere considerata astrattamente integrante una discriminazione indiretta, se la normativa stessa sia comunque oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;
3) se un accomodamento ragionevole idoneo e sufficiente ad evitare la discriminazione possa essere rappresentato dalla previsione di un’aspettativa non retribuita, a richiesta del lavoratore, successiva allo scadere dei 120 giorni di malattia ed idonea ad impedire il licenziamento sino alla sua scadenza;
4) se possa ritenersi ragionevole un accomodamento consistente nel dovere del datore di lavoro di concedere – alla scadenza del periodo di 180 giorni di malattia retribuita – un ulteriore periodo retribuito integralmente a suo carico, senza ottenere una controprestazione lavorativa;
5) se, al fine di valutare il comportamento discriminatorio del datore di lavoro, possa valutarsi (ai fini dello stabilire la legittimità o meno del licenziamento) la circostanza che anche [un eventuale] ulteriore periodo di stabilità del rapporto retribuita a carico del datore di lavoro non avrebbe consentito il rientro al lavoro del disabile, permanendo il suo stato di malattia».
22 Il giudice del rinvio ha chiesto altresì alla Corte di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato ai sensi dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Con ordinanza del 9 aprile 2024, S. Snc (C‑5/24, EU:C:2024:315), il presidente della Corte ha deciso di respingere tale domanda.
23 In risposta a una domanda di chiarimenti della Corte, rivolta al giudice del rinvio in forza dell’articolo 101, paragrafo 1, del regolamento di procedura, quest’ultimo ha precisato che la terza questione conteneva un lapsus calami e avrebbe dovuto riguardare la scadenza del periodo di 180 giorni di assenza per malattia previsto all’articolo 173 del CCNL, al quale può aggiungersi, ai sensi dell’articolo 174 del CCNL, un periodo supplementare, non retribuito, di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulle questioni prima e seconda
24 Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta di tale lavoratore, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza istituire un regime specifico per i lavoratori disabili.
25 Per quanto riguarda l’applicabilità della direttiva 2000/78, occorre ricordare, da un lato, che la nozione di «handicap», ai sensi di tale direttiva, deve essere intesa come concernente una limitazione della capacità, risultante, in particolare, da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 34 e giurisprudenza citata).
26 Dall’altro lato, secondo il suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), detta direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene, in particolare, alle condizioni di licenziamento. A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, la nozione di «licenziamento» si riferisce, in particolare, alla cessazione unilaterale di qualsiasi attività menzionata all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della medesima direttiva. Tale nozione dev’essere interpretata pertanto nel senso che essa comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punti 35 e 36 nonché giurisprudenza citata)
27 Nel caso di specie, sebbene la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sembri vertere sulle condizioni di licenziamento, ai sensi della direttiva 2000/78, spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se la malattia della ricorrente nel procedimento principale rientri effettivamente nella nozione di «handicap», alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 25 della presente sentenza.
28 A tal riguardo, occorre precisare che il fatto che la persona interessata sia riconosciuta come persona disabile, ai sensi del diritto nazionale, non comporta a priori che essa sia affetta da un handicap ai sensi della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 32).
29 Ciò premesso, se una malattia, curabile o incurabile, comporta una limitazione della capacità della persona, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 25 della presente sentenza, e se tale limitazione è di lunga durata, una siffatta malattia può rientrare nella nozione di «handicap», ai sensi di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark, C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 41).
30 A tal proposito, il carattere duraturo della limitazione deve essere esaminato tenuto conto dello stato di incapacità, in quanto tale, dell’interessato allorché è stato adottato l’atto asseritamente discriminatorio nei confronti di quest’ultimo. Tra gli indizi che consentono di considerare duratura una limitazione della capacità figura in particolare la circostanza che, all’epoca del fatto asseritamente discriminatorio, l’incapacità dell’interessato non presentava una prospettiva ben delimitata di superamento nel breve periodo o il fatto che tale incapacità poteva protrarsi in modo rilevante prima della guarigione di tale persona (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, Nobel Plastiques Ibérica, C‑397/18, EU:C:2019:703, punti 44 e 45).
31 Pertanto, una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale può rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, alla luce della giurisprudenza ricordata ai punti da 28 a 30 della presente sentenza.
32 Al fine di rispondere alla prima e alla seconda questione, occorre ricordare, anzitutto, che la direttiva 2000/78 concretizza, nel settore da essa disciplinato, il principio generale di non discriminazione sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), che vieta qualsiasi discriminazione fondata, in particolare, su una disabilità. Inoltre, ai sensi dell’articolo 26 della Carta, l’Unione europea riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 40 e giurisprudenza citata).
33 Occorre poi precisare che le disposizioni della Convenzione dell’ONU possono essere invocate al fine di interpretare quelle della direttiva 2000/78, di modo che quest’ultima deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a tale convenzione (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 41 e giurisprudenza citata).
34 In tale contesto, si deve rammentare che un trattamento sfavorevole basato sulla disabilità pregiudica la tutela prevista dalla direttiva 2000/78 unicamente nei limiti in cui costituisca una discriminazione ai sensi dell’articolo 2, della stessa. Infatti, il lavoratore disabile che rientri nella tutela offerta da detta direttiva deve essere protetto contro ogni discriminazione rispetto ad un lavoratore non disabile. Occorre quindi esaminare se una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale possa comportare una discriminazione nei confronti delle persone disabili (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 36 e giurisprudenza citata).
35 Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, sussiste una discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1 di tale direttiva, tra i quali figura l’handicap, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.
36 Secondo una giurisprudenza costante, non è possibile ritenere che una disposizione o una prassi introducano una differenza di trattamento direttamente basata sulla disabilità, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della suddetta direttiva, ove esse si fondino su un criterio che non è inscindibilmente legato alla disabilità (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C‑16/19, EU:C:2021:64, punto 44 e giurisprudenza citata).
37 Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale si applica allo stesso modo a tutti i lavoratori, indipendentemente dal fatto che siano o meno disabili. Non si può considerare che una siffatta normativa instauri una differenza di trattamento basata direttamente sulla disabilità, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1 e 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.
38 Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva sussiste una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari, o che, nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica detta direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5 della stessa direttiva, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.
39 Inoltre, conformemente a tale articolo 5, per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli, il che significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Il suddetto articolo precisa che tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro di cui trattasi a favore dei disabili.
40 Nel caso di specie, spetta, di conseguenza, al giudice del rinvio valutare se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale e, in particolare, l’articolo 173 del CCNL, che si applica uniformemente a tutti i lavoratori interessati senza tener conto di un’eventuale disabilità, possa comportare uno svantaggio particolare a danno dei lavoratori disabili.
41 A tale proposito, non discende né dall’espressione «particolare svantaggio», utilizzata all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, né da altre precisazioni contenute in tale articolo che il suddetto svantaggio sussisterebbe soltanto in presenza di un caso grave, manifesto e particolarmente rilevante di disuguaglianza. Tale nozione dev’essere intesa nel senso che sono precisamente le persone tutelate da tale direttiva, tra le quali figurano i lavoratori disabili, che si trovano svantaggiate a causa della disposizione, del criterio o della prassi di cui trattasi (v., per analogia, sentenze del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti 99 e 100, nonché del 15 novembre 2018, Maniero, C‑457/17, EU:C:2018:912, punto 47 e giurisprudenza citata).
42 L’esistenza di un siffatto particolare svantaggio potrebbe quindi essere dimostrata, segnatamente, se fosse provato che detta disposizione, detto criterio o detta prassi colpiscono negativamente in proporzione significativamente maggiore i lavoratori disabili rispetto a coloro che non lo sono. Spetta al giudice del rinvio valutare se ciò avvenga nel procedimento principale [v., per analogia, sentenze del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 41 e giurisprudenza citata, nonché del 19 dicembre 2024, Loredas, C‑531/23, EU:C:2024:1050, punto 53].
43 Nel caso di specie, sembra che un lavoratore disabile sia, in linea di principio, più esposto al rischio di vedersi applicare l’articolo 173 del CCNL rispetto a un lavoratore non disabile. Infatti, rispetto a quest’ultimo, un lavoratore disabile è esposto a un rischio più elevato di ferirsi o, più in generale, di essere assente per problemi di salute, a causa della sua disabilità o di una malattia connessa alla sua disabilità. Pertanto, tale lavoratore corre un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di raggiungere il limite dei 180 giorni retribuiti contemplato da tale articolo. Risulta quindi che la regola prevista dal suddetto articolo è idonea a svantaggiare i lavoratori disabili e, dunque, a comportare una differenza di trattamento indirettamente basata sull’handicap ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 (v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 39).
44 In primo luogo, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78, occorre verificare se la differenza di trattamento tra i lavoratori disabili e i lavoratori non disabili che può risultare dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima, se i mezzi attuati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e se essi non eccedano quanto necessario per conseguirla (sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 40).
45 Secondo una giurisprudenza costante, gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità non solo nella scelta di perseguire una determinata finalità in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzarla (sentenze del 19 luglio 2017, Abercrombie & Fitch Italia, C‑143/16, EU:C:2017:566, punto 31, nonché del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 43 e giurisprudenza citata).
46 Nel caso di specie, come ha sostanzialmente rilevato l’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, risulta dal considerando 17 della direttiva 2000/78 che quest’ultima non prescrive il mantenimento dell’occupazione di un individuo non più capace o non più disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando, tuttavia, l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili. In tale contesto, assicurarsi della capacità e della disponibilità dei lavoratori ad esercitare la loro attività professionale può costituire una finalità legittima di politica sociale.
47 Occorre tuttavia verificare, come menzionato al punto 44 della presente sentenza, se i mezzi attuati dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale per il conseguimento di tale finalità siano adeguati e non eccedano quanto necessario per conseguirla.
48 Quanto all’adeguatezza della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, occorre constatare che essa autorizza un datore di lavoro a porre fine ad un rapporto di lavoro divenuto non redditizio, tutelando al contempo i lavoratori assenti per malattia, compresi quelli in situazione di disabilità, mantenendoli nel posto di lavoro per un periodo massimo di 180 giorni all’anno, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta del lavoratore, un periodo, certamente non retribuito e non rinnovabile, di 120 giorni. Una siffatta normativa sembra, a tale titolo, essere appropriata al fine di conseguire la finalità legittima di cui al punto 46 della presente sentenza.
49 Quanto al carattere necessario di una siffatta normativa, occorre ricollocarla nel contesto in cui essa si inserisce e prendere in considerazione il danno che essa può causare alle persone interessate. Pertanto, spetta al giudice nazionale esaminare se si sia tenuto conto di elementi rilevanti che riguardano, in particolare, i lavoratori disabili (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punti 49 e 50).
50 Non deve, infatti, ignorarsi il rischio cui sono soggette le persone disabili, le quali, in generale, incontrano maggiori difficoltà rispetto ai lavoratori non disabili a reinserirsi nel mercato del lavoro ed hanno esigenze specifiche connesse alla tutela richiesta dalla loro condizione (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 51).
51 Infine, il giudice nazionale adito deve altresì verificare se l’ordinamento giuridico nazionale contenga disposizioni specifiche dirette a tutelare le persone disabili e che siano idonee a impedire e a compensare gli svantaggi derivanti dalla disabilità, compresa l’eventuale insorgenza di malattie legate alla disabilità (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 55).
52 Nel caso di specie, sebbene l’ordinanza di rinvio non menzioni disposizioni specifiche, nell’ordinamento giuridico nazionale, che mirerebbero a tutelare i lavoratori disabili e che sarebbero idonee a prevenire e a compensare gli svantaggi derivanti dalla disabilità, risulta tuttavia dalle indicazioni del giudice del rinvio, riassunte al punto 18 della presente sentenza, che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sarebbe stata concepita, fin dall’inizio, per tutelare i lavoratori, in particolare, contro le assenze dovute a una disabilità. Sembra quindi che gli autori di tale normativa abbiano tenuto conto di elementi rilevanti che riguardano, in particolare, i lavoratori disabili, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 49 della presente sentenza, sebbene detta normativa non istituisca un regime specifico per tali lavoratori.
53 In ogni caso, spetta al giudice del rinvio verificare se i mezzi attuati dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non eccedano quanto necessario per conseguire la finalità legittima di cui al punto 46 della presente sentenza, tenendo conto, in particolare, del contesto in cui tale normativa si inserisce e delle disposizioni specifiche dirette a tutelare le persone disabili.
54 In secondo luogo, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), ii), della direttiva 2000/78, occorre esaminare se la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale obblighi il datore di lavoro interessato ad attuare soluzioni ragionevoli, ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva.
55 Infatti, sebbene, come risulta dal considerando 17 della suddetta direttiva, quest’ultima non prescriva che una persona non più capace di svolgere le funzioni essenziali del lavoro in questione mantenga il proprio posto di lavoro, ciò non toglie che il datore di lavoro è tenuto a prevedere soluzioni ragionevoli per i disabili.
56 Per quanto riguarda tali soluzioni, dalla formulazione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dei considerando 20 e 21 di quest’ultima, risulta che il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti appropriati, vale a dire provvedimenti efficaci e pratici, tenendo conto di ciascuna situazione individuale, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione senza imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 43 e giurisprudenza citata).
57 A tal riguardo, occorre rammentare che la Corte ha dichiarato che l’articolo 5 della direttiva 2000/78 osta a una normativa nazionale in conformità della quale il datore di lavoro può porre fine al contratto di lavoro a motivo dell’inidoneità permanente del lavoratore a svolgere i compiti a lui incombenti in forza di tale contratto, causata dal sopravvenire, nel corso del rapporto di lavoro, di una disabilità, senza che tale datore di lavoro debba prima prevedere o mantenere soluzioni ragionevoli al fine di consentire al lavoratore di conservare il suo posto di lavoro, né dimostrare, eventualmente, che siffatte soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato (sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 53).
58 Orbene, nel caso di specie, sembra che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non preveda espressamente per il datore di lavoro l’obbligo di attuare soluzioni ragionevoli prima di procedere al licenziamento di un lavoratore disabile che abbia raggiunto il limite di 180 giorni di assenza per malattia per anno civile previsto all’articolo 173 del CCNL.
59 È vero che, come risulta dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio, il datore di lavoro non può, in linea di principio, essere a conoscenza del motivo dell’assenza prolungata del lavoratore e non può quindi, in linea di principio, essere a conoscenza dell’esistenza della sua disabilità, a meno che il lavoratore non lo abbia informato di propria iniziativa.
60 Tuttavia, sembra che, anche supponendo che il lavoratore di cui trattasi abbia preso l’iniziativa di informare il suo datore di lavoro dell’esistenza della sua disabilità alla scadenza del periodo di 180 giorni previsto all’articolo 173 del CCNL, tale datore di lavoro sia autorizzato a procedere al licenziamento, senza essere obbligato a mettere in atto soluzioni ragionevoli o a dimostrare che queste ultime costituirebbero per lui un onere sproporzionato.
61 Se tale fosse la portata della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, una situazione siffatta sarebbe tale da pregiudicare l’effetto utile dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dell’articolo 27, paragrafo 1, della Convenzione dell’ONU, ai sensi del quale occorre garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, nonché il mantenimento nel posto di lavoro. Inoltre, tale situazione pregiudicherebbe l’obiettivo di inserimento professionale delle persone con disabilità, enunciato all’articolo 26 della Carta (v., per analogia, sentenza del 18 gennaio 2024, Ca Na Negreta, C‑631/22, EU:C:2024:53, punto 50).
62 Spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare se ciò si verifichi alla luce di tutte le disposizioni nazionali pertinenti, comprese quelle che recepiscono l’articolo 5 della direttiva 2000/78.
63 Alla luce di tutti i suesposti motivi, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta di tale lavoratore, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza istituire un regime specifico per i lavoratori disabili, a condizione che:
– tale normativa nazionale non ecceda quanto necessario per conseguire la finalità di politica sociale consistente nell’assicurarsi della capacità e della disponibilità del lavoratore ad esercitare la sua attività professionale; e che
– detta normativa nazionale non costituisca un ostacolo al pieno rispetto dei requisiti previsti da tale articolo 5.
Sulla terza questione
64 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che prevede, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, costituisce una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
65 La formulazione di tale articolo 5 riguarda espressamente, alla sua seconda frase, i provvedimenti, adottati da un datore di lavoro, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione.
66 Nel caso di specie, occorre constatare, da un lato, che l’articolo 174 del CCNL costituisce parte integrante della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale e, dall’altro, che esso conferisce un diritto ai lavoratori assenti per malattia, senza prendere in considerazione una loro eventuale disabilità. Tale articolo non costituisce quindi un provvedimento adottato da un datore di lavoro a favore di una persona disabile e, alla luce della formulazione dell’articolo 5 di tale direttiva, non può quindi costituire una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
67 Di conseguenza, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che prevede, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, non costituisce una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
Sulle questioni quarta e quinta
68 Con le sue questioni quarta e quinta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che un periodo supplementare di aspettativa retribuita, che sia integralmente a carico del datore di lavoro e che si aggiunga ai periodi di conservazione del posto di lavoro previsti dal diritto nazionale, possa essere considerato una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
69 A tal riguardo, dalle indicazioni del giudice del rinvio risulta, da un lato, che la normativa nazionale di cui trattasi non prevede un periodo supplementare di assenza retribuita al di fuori di quello previsto all’articolo 173 del CCNL e, dall’altro, che il datore di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale non ha proposto alla ricorrente nel procedimento principale di beneficiare di un siffatto periodo supplementare di assenza retribuita poiché l’ha licenziata immediatamente al termine del periodo di 180 giorni di cui a tale articolo 173. Dall’ordinanza di rinvio non risulta neppure che la ricorrente nel procedimento principale abbia chiesto un siffatto periodo di assenza supplementare retribuita. Lo stesso giudice del rinvio riconosce del resto che si tratterebbe di una possibilità teorica. Di conseguenza, la quarta e la quinta questione sono ipotetiche e quindi irrilevanti ai fini della soluzione della controversia principale.
70 Orbene, secondo una giurisprudenza costante, la Corte può rifiutarsi di statuire su una questione sollevata da un giudice nazionale, in particolare qualora il problema sia di natura ipotetica. Infatti, la ragion d’essere del rinvio pregiudiziale non consiste nella formulazione di pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia (v., in tal senso, sentenze del 17 ottobre 2024, Karl und Georg Anwander Güterverwaltung, C‑239/23, EU:C:2024:888, punto 82, nonché del 3 aprile 2025, Swiftair, C‑701/23, EU:C:2025:237, punto 21 e giurisprudenza citata).
71 Ne consegue che la quarta e la quinta questione sono irricevibili.
Sulle spese
72 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) L’articolo 2, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che conferisce a un lavoratore assente per malattia un diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito e rinnovabile di 180 giorni per anno civile, al quale può aggiungersi, in taluni casi e su richiesta di tale lavoratore, un periodo non retribuito e non rinnovabile di 120 giorni, senza istituire un regime specifico per i lavoratori disabili, a condizione che:
– tale normativa nazionale non ecceda quanto necessario per conseguire la finalità di politica sociale consistente nell’assicurarsi della capacità e della disponibilità del lavoratore ad esercitare la sua attività professionale e che
– detta normativa nazionale non costituisca un ostacolo al pieno rispetto dei requisiti previsti da tale articolo 5.
2) L’articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che prevede, a favore di un lavoratore assente per malattia, ma indipendentemente dalla sua eventuale disabilità, un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, che si aggiunge a un periodo retribuito di conservazione del posto di lavoro di 180 giorni, non costituisce una «soluzione ragionevole», ai sensi di tale articolo.
Biltgen | von Danwitz | Kumin |
Ziemele | Gervasoni |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’11 settembre 2025.
Il cancelliere | Il presidente di sezione |
A. Calot Escobar | F. Biltgen |
* Lingua processuale: l’italiano.
i Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.
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