Cassazione ordinanze interlocutorie Sezione Lavoro n. 20053 del 18 luglio 2025 (Presidente L. Tria, Relatore D. Cavallari) e n. 20055 del 18 luglio 2025 (Presidente L. Tria, Relatore A. F. Sarracino), entrambe relative all’Impiego pubblico e all’interpretazione degli artt. 45 e 46 del c.c.n.l. Regioni e autonomie locali del 14 settembre 2000. L’obiettivo è offrire una lettura critica dell’orizzonte nomofilattico che la Corte ha indicato di trattare in pubblica udienza, ossia il tema se l’istituzione del servizio mensa o l’attribuzione di buoni pasto sia subordinata a una ponderata valutazione discrezionale dell’Ente territoriale (in presenza di assetto organizzativo e risorse economiche) o se, al contrario, tali prestazioni costituiscano in ogni caso un obbligo del datore di lavoro pubblico.
Premessa essenziale
- Le ordinanze segnalano una rilevanza nomofilattica primaria: una corretta interpretazione degli artt. 45 e 46 del c.c.n.l. Regioni e autonomie locali è ritenuta necessaria per garantire uniformità interpretativa tra giudici del lavoro di vari territori, evitando forche di tutela differenziate sugli istituti di welfare a favore dei dipendenti pubblici.
- Il tema è particolarmente delicato perché incrocia due dimensioni: (i) tutela del benessere e della dignità del lavoratore pubblico (esigenze di welfare, salute e tenuta del rapporto di lavoro) e (ii) vincoli di bilancio e autonomia organizzativa degli enti territoriali, con riflessi pratici su assorbimento di fondi, piani di investimento e gestione delle risorse umane.
Quadro normativo di riferimento
- CCNL Regioni e autonomie locali 14 settembre 2000 (e sppi.): artt. 45 e 46, che disciplinano, in modo differenziato e non sempre omogeneo tra giurisdizioni, le forme e i limiti dell’erogazione di servizi di mensa e/o di buoni pasto ai dipendenti pubblici.
- In linea generale, il testo contrattuale contempla la possibilità di prevedere una mensa aziendale (servizio mensa) oppure l’attribuzione di buoni pasto, ma contiene anche riferimenti al potere di valutazione e al consenso dell’ente in merito all’attuazione di tali prestazioni, spesso declinando tale scelta come collegata all’organizzazione interna e alle risorse economiche disponibili.
- Altri riferimenti normativi utili (senza volerli qui ridurre a gerarchia): principi generali di diritto pubblico sul welfare dei dipendenti, vincoli di bilancio, gestione delle risorse umane nel settore pubblico, e la funzione di contrattazione decentrata come strumento per modulare l’erogazione di welfare in rapporto alle specificità degli enti.
Questione giuridica centrale (natura obbligatoria o facoltà)
- Problema qualificante: se l’istituzione del servizio mensa o l’erogazione di buoni pasto sia:
a) obbligo giuridico inderogabile del datore di lavoro pubblico (caveat: obbligo non derogabile neanche per ragioni di bilancio e di risorse; principio di tutela minima del lavoratore);
b) o piuttosto una facoltà/riserva di discrezionalità dell’Ente territoriale, che può valutare, anche in presenza di esigenze di welfare, l’opportunità e la sostenibilità, parametrando tali prestazioni all’organizzazione interna e alle disponibilità finanziarie;
c) oppure una soluzione ibrida, con un obbligo modulato all’interno di una cornice di gradualità (ad es. obbligo in presenza di determinate condizioni di rescue finanziario o di contrattazione decentrata), senza generare una generalizzata obbligatorietà in ogni contesto.
Testi interpretativi e strumenti ermeneutici per la lettura delle clausole
- Lettura letterale: occorre verificare se le formulazioni dell’art. 45 e 46 contengano o meno termini di obbligo (“deve”, “è obbligatorio”) o termini di mera previsione (“può”, “è possibile”). L’enunciato di obbligatorietà, se presente, deve essere incastonato in un contesto giuridico che consenta o escluda limiti finanziari.
- Lettura sistematica: coerenza con l’insieme del c.c.n.l. Regioni e autonomie locali e con i principi generali di diritto pubblico (dignità del lavoratore, parità di trattamento, tutela del lavoratore, aderenza ai principi di efficienza e sostenibilità finanziaria dell’ente pubblico).
- Teleologia e funzione: qual è l’obiettivo del welfare nel settore pubblico in questo c.c.n.l.? Se l’obiettivo è preservare la salute e la qualità della vita lavorativa, potrebbe giustificarsi una lettura più pro-lavoratore; se, invece, la funzione è di contenere costi e aumentare l’efficienza, potrebbe inclinarsi verso una lettura che attribuisce maggiore discrezionalità all’ente.
- Storia normativa e prassi negoziale: esame di come la trattazione è maturata nel tempo tra le parti sociali (dispositivi contrattuali, accordi decentrati, pratiche amministrative) e se vi siano indicazioni di una tendenza normativa a considerare tale welfare come obbligatorio o opzionale.
Struttura dell’argomentazione possibile (scenari interpretativi)
- Scenario A: obbligo inderogabile, con limitazioni
- Argomenti a favore: la funzione di welfare del dipendente pubblico, l’importanza della nutrizione per la salute e la dignità, la coerenza con principi costituzionali (articoli 36, 32, 41, 97 e principi di uguaglianza e sanciti da norme sull’organizzazione del lavoro pubblico).
- Argomenti in controllo: tale obbligo non può essere assoluto se non accompagnato da una adeguata copertura finanziaria; la Cassazione potrebbe consolidare un obbligo qualificato, imponendo all’Ente di predisporre le risorse necessarie o di garantire una forma di alternativa (es. buoni pasto) in caso di limitate disponibilità.
- Implicazioni pratiche: obbligo di pianificazione di bilancio e di prevedere linee di spesa dedicate; possibile obbligo di contrattazione decentrata o di convenzioni per garantire l’accesso al welfare, anche in presenza di restrizioni economiche, con modalità di razionalizzazione e gradualità.
- Scenario B: obbligo non assoluto, discrezionalità legittima dell’Ente
- Argomenti a favore: la clausola di discrezionalità e di ponderata valutazione in relazione a assetto organizzativo e disponibilità finanziaria (come indicato nel contesto del quesito nomofilattico). Rispetto al bilancio pubblico, gli enti hanno margine di manovra e possono giustificare la non erogazione in presenza di vincoli.
- Implicazioni: maggiore flessibilità per gli enti, minori contenziosi, ma potenziali disparità tra enti diversi; necessità di linee guida o pronunce nomofilattiche per contenere incertezze e contrasti tra giudici.
- Scenario C: ibrida modulazione (obbligo weightato)
- Argomento: riconoscimento di un obbligo in determinate circostanze (per es. contratti collettivi decentrati efficacemente attuati, piani di welfare aziendale, partecipazione dei lavoratori al costo parzialmente attraverso altri strumenti di welfare, ecc.).
- Implicazioni: un modello di obbligo graduato che consente all’ente di offrire mensa o buoni pasto entro limiti di budget o secondo “piano di welfare” concordato, con tariffe o soglie di accesso.
- Scenario D: esclusione totale dell’obbligo
- Argomento: l’articolazione di una completa discrezionalità dell’ente, considerata l’obiettiva variabilità tra enti (risorse, dimensione, contesto economico locale). Argomento di governance pubblica per evitare obblighi rigidi che comprimano la libertà di gestione delle risorse.
Aspetti teorici e costituzionali
- Principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione pubblica (art. 97 Cost.) e doveri di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori pubblici.
- Obiettivi di contenimento della spesa pubblica e di ottimizzazione delle risorse (vincoli di bilancio, programmazione finanziaria).
- Equità e parità di trattamento tra dipendenti di enti differenti; rischi di una tessitura normativa non uniforme senza una linea nomofilattica chiara.
Implicazioni pratiche per le parti
- Per i lavoratori/pubblici dipendenti: se viene confermato un obbligo o una obbligatorietà modulata, ciò comporta tutele differenziate in base alle condizioni di bilancio e di organizzazione dell’ente. In caso di assenza di obbligo formale, resta la possibilità di ricorso in caso di discriminazioni o di violazioni consistenti di standard minimi di welfare previsti da diverse fonti normative.
- Per gli enti locali: ipotesi di obbligo comporta l’esigenza di prevedere budget dedicati e di programmare interventi di welfare; in caso di non obbligatorietà, resta fondamentale redigere protocolli di attuazione chiari per evitare contenziosi di interpretazione e garantire trasparenza nelle decisioni.
Orientamento nomofilattico intrinseco alle ordinanze
- Le ordinanze n. 20053/2025 e n. 20055/2025 pongono al centro la necessità di definire una linea interpretativa unica tra i giudici di lavoro circa la natura obbligatoria o discrezionale della mensa o dei buoni pasto nel comparto Regioni e autonomie locali.
- Una pronuncia nomofilattica efficace in tal senso potrà (i) offrire principi guida chiari su quando l’ente possa (o debba) ricorrere a forme di welfare, (ii) definire limiti di bilancio come parametri legittimi di valutazione, e (iii) chiarire eventuali sinergie tra contrattazione collettiva e politiche di welfare dell’amministrazione.
Aspetti pratici per la redazione di memorie o atti difensivi
- Prove e strumenti probatori utili per sostenere un’interpretazione:
- regolamenti di servizio o del personale che prevedono espressamente mensa o buoni pasto.
- bilanci, piani finanziari, piani di welfare approvati dall’ente.
- contrattazioni decentrate o accordi sindacali che disciplinano forme alternative di welfare.
- dati di dotazione organica e costi stimati del servizio mensa (in caso di mensa) o dei buoni pasto.
- eventuali limiti di bilancio o vincoli di spesa che giustifichino una valutazione discrezionale.
- Argomenti di contorno: bilanciare tutela individuale dei lavoratori con prerogative gestionali dell’ente; evitare interpretazioni che portino a contenzioso sistemico senza fornire strumenti pratici di applicazione.
Indicazioni finali e prospettive
- All’esito delle ordinarie istruttorie e dell’udienza pubblica, la cassazione della Sezione Lavoro potrebbe fissare un criterio nomofilattico utile a uniformare il regime giurisprudenziale: ad es., configurare una linea obbligatoria solo in presenza di condizioni specifiche (p.e. budget certi, piani di welfare attuati, contrattazione decentrata formalizzata) oppure riconoscere una discrezionalità ampia dell’ente in assenza di tali condizioni.
- Qualunque sia l’esito, è probabile che la Corte spinga per una cornice interpretativa che bilanci: (i) tutela minima del lavoratore, (ii) autonomia gestionale dell’ente, (iii) previsione di strumenti alternativi (buoni pasto) quando non sia possibile erogare la mensa in termini di costi o logistica.
- Per i professionisti del diritto, è consigliabile preparare linee articolate che dimostrino, a seconda della prospettiva difensiva, la compatibilità o l’incompatibilità di una lettura obbligatoria con le clausole contrattuali, con la prassi amministrativa e con i vincoli di bilancio, per offrire al giudice un quadro completo utile a una pronuncia omogenea.
Nessun commento:
Posta un commento