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21 agosto 2025

Corte dei Conti 2025 - Perdita del grado e diritto a pensione: il recente caso in un Tar

 


 

 

 

Corte dei Conti 2025 - Perdita del grado e diritto a pensione: il recente caso in un Tar 

Sintesi rapida dell’oggetto e delle linee essenziali
- Contesto: due pronunciamenti della Corte dei Conti e della Corte d’Appello su un ex Maresciallo della Guardia di Finanza collocato in quiescenza per infermità, poi colpito da perdita del grado per rimozione a seguito di procedimenti disciplinare e penale, con conseguente revoca della pensione.
- Nucleo normativo: art. 923 del Codice dell’ordinamento militare, che consente la revoca della pensione e la richiesta di restituzione delle somme percepite in caso di retrodatazione della cessazione dal servizio a seguito dell’instaurarsi di un procedimento disciplinare che si è concluso con la perdita del grado.
- Due orientamenti contrastanti:
  - Corte dei Conti (noto precedente) conferma la legittimità della revoca, sostenendo la retroattività dell’effetto risolutivo dall’atto di cessazione al momento dell’instaurazione del procedimento disciplinare conclusosi con la perdita del grado; non vi è violazione del ne bis in idem perché la sanzione disciplinare è distinta da quella penale.
  - Corte d’Appello (sentenza xx/2024 Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello) respinge la retroattività quando il procedimento disciplinare è stato instaurato dopo la collocazione in quiescenza; ritiene necessario riferirsi alla disciplina vigente al momento della cessazione e conclude che la novella legislativa del 2019, pur ampliando i casi di retroattività, non può essere applicata retroattivamente; tutela del diritto alla pensione consolidato al momento del collocamento non può essere travolta da provvedimenti disciplinari successivi se non vi era pendenza al momento della cessazione.

Analisi del contenuto giuridico e delle sue implicazioni
- Argomento centrale della Corte dei Conti:
  - Retroattività dell’effetto risolutivo: la perdita del grado, disposta in seguito a procedimento disciplinare instaurato dopo la definizione del procedimento penale pendente al momento della cessazione, decorre dall’atto di cessazione. Ciò è giustificato dall’intento del legislatore di non vanificare le conseguenze dell’azione disciplinare avviata per gravi condotte, proteggendo la finalità ritenuta necessaria all’organizzazione militare.
Ne bis in idem: la Corte chiarisce che la sanzione disciplinare ha funzione diversa da quella penale e può coesistere con la sanzione penale senza violare il principio del ne bis in idem.
Saldo fra affidamento e normativa militare speciale: la pronuncia si situa nell’orizzonte di una prevalenza dell’ordinamento militare speciale, anche a fronte di affidamenti maturati dal dipendente al momento del collocamento in quiescenza, laddove la perdita del grado sia effetto di fatti gravi emersi successivamente.
Elementi chiave della sentenza della Corte d’Appello xx/2024:
 La retroattività è ammessa solo se il procedimento disciplinare era pendente al momento della cessazione dal servizio.
 Nel caso concreto, il procedimento disciplinare era avviato dopo la collocazione in quiescenza, dunque non sussistono i presupposti per la retroattività.
 Si afferma la necessità di rifarsi alla disciplina vigente al tempo della cessazione e si segnala che la novella del 2019 non può avere effetto retroattivo.
 Si richiama un orientamento consolidato (già espresso da altre sentenze della stessa Sezione) secondo cui il diritto alla pensione consolidato al momento del collocamento non può essere travolto da provvedimenti disciplinari successivi se la pendenza del procedimento non sussisteva al momento della cessazione.
Inquadramento normativo e rapporto tra norme:
L’elemento di peculiarità riguarda la coesistenza tra una norma speciale (codice dell’ordinamento militare) e la disciplina generale del trattamento pensionistico, nonché l’operatività di norme che possono modificare retroattivamente gli effetti della cessazione dal servizio solo quando vi siano condizioni procedurali precise (pendenza del procedimento disciplinare al tempo della cessazione).

Implicazioni pratiche e scenari applicativi
Per i dipendenti interessati:
Se la perdita del grado è stata disposta per fatti disciplinari emersi e chiusi dopo la cessazione ma con procedimento disciplinare pendente o insorto entro i limiti temporali previsti dall’orientamento della Corte dei Conti, potrebbe emergere la possibilità di considerare retroattivo l’effetto risolutivo e la revoca della pensione con restituzione delle somme percepite, come prospettato dal primo precedente.
Se, invece, il procedimento disciplinare è stato instaurato successivamente alla cessazione e non era pendente al momento della cessazione, l’orientamento della Corte d’Appello rende meno probabile l’applicazione retroattiva della perdita del grado nei confronti della pensione, preservando il diritto consolidato al momento della cessazione.
Per le amministrazioni (INPS e amministrazioni militari):
In presenza di casi che rientrano nel quadro della sentenza della Corte dei Conti, occorre verificare la data di cessazione, lo stato di pendenza del procedimento disciplinare al tempo della cessazione e l’esito del procedimento disciplinare per valutare l’applicabilità dell’effetto retroattivo.
In presenza di casi simili a quelli descritti nella seconda pronuncia, occorre riconoscere i limiti temporali dell’azione retroattiva e rispettare il principio di tutela dell’affidamento legittimamente maturato dal pensionato al momento della cessazione, quando non vi sia pendenza al momento della cessazione stessa.
Questioni operative rilevanti:
Definizione di pendenza: cosa significa esattamente che un procedimento disciplinare era pendente al momento della cessazione? quali fasi del procedimento contano (inizio, deferimento, istruttoria, definizione)? Le differenze tra pendenza sostanziale e formale possono influire sull’applicazione retroattiva.
Effetti della novella legislativa del 2019: quali sono i confini di retroattività consentita e quali condizioni devono essere verificate per l’applicazione retroattiva nelle situazioni di pensione già maturata?
Criteri per la valutazione dell’affidamento: come misurare l’affidamento maturato dal dipendente? quali elementi giuridici o probatori possono dimostrare un affidamento adeguato a impedire l’applicazione retroattiva?
Aspetti interpretativi e possibili linee di mediazione giurisprudenziale
Tensione tra due orientamenti consolidati:
 Da un lato, un’interpretazione che riconosce la possibilità di retroattività dell’effetto risolutivo in presenza dei presupposti descritti dal primo orientamento della Corte dei Conti.
 Dall’altro, un orientamento che limita la retroattività quando la pendenza del procedimento disciplinare non era presente al momento della cessazione, ponendo maggiore enfasi sul diritto alla pensione consolidato al tempo della cessazione.
Prospettive di coerenza giuridica:
Sarebbe utile che si definissero criteri processuali chiari per distinguere i casi retroattivi da quelli non retroattivi, includendo una chiara definizione di “pendenza” e un parametro temporale uniforme per l’interpretazione delle norme transitorie (in particolare la novella 2019).
 Una possibile linea di mediazione potrebbe prevedere una presunzione di retroattività limitata agli effetti dell’atto di cessazione, salvo prova positiva che al momento della cessazione non vi fosse pendente alcun procedimento disciplinare o che l’azione disciplinare fosse chiaramente avviata solo successivamente.
Commento sintetico sull’impatto teorico
Il dibattito riflette una tensione tra:
la necessità di sanzionare condotte gravi e tutelare l’integrità dell’organizzazione militare (quinta normativa speciale) e
 la protezione dell’affidamento e dei diritti acquisiti dal pensionato al momento della cessazione.
La Corte dei Conti sembra privilegiare una logica di tutela dell’ordine e della disciplina interna, anche a costo di prevedere effetti retroattivi sull’esito pensionistico, laddove la perdita del grado derivi da una disciplina successiva a fatti gravi emersi nel tempo.
La Corte d’Appello enfatizza invece la necessità di rispettare i limiti temporali dell’istituto del diritto pensionistico, evitando di travolgere diritti consolidati senza la presenza della condizione di pendenza al momento della cessazione.
Indicazioni pratiche per chi redige commenti giuridici o relazioni professionali
Evidenziare chiaramente i requisiti maggiormanti per l’applicazione retroattiva: data di cessazione, stato di pendenza, data di instaurazione e chiusura del procedimento disciplinare, esito della perdita del grado.
Segnalare i limiti della novella del 2019 e l’interpretazione della Corte d’Appello circa la sua applicazione non retroattiva.
Sottolineare la distinzione tra sanzione disciplinare e sanzione penale ai fini del ne bis in idem, mettendo in luce che la loro coesistenza non implica violazione di tale principio.
Suggerire rilievi probatori focalizzati sui momento della pendenza e sull’esistenza di eventuali provvedimenti o atti che dimostrino l’esistenza di una prospettiva di pendenza al momento della cessazione.

Conclusione
Il quadro giurisprudenziale illustrato nel testo presenta due approcci coerenti con principi differenti: uno che privilegia la retroattività dell’effetto risolutivo in presenza di determinati presupposti procedurali, e uno che limita tale retroattività allorché la pendenza non sia presente al tempo della cessazione.
Vi è la necessità di una maggiore definizione normativa o di una pronuncia di rilievo della Corte di cassazione o di un organismo di rilievo superiore per ottenere un’unità interpretativa, soprattutto in presenza di norme transitorie circa la retroattività introdotte nel 2019.
In assenza di un intervento normativo chiaro, le soluzioni continueranno a dipendere dalla specifica configurazione temporale dei singoli casi: data di cessazione, stato di pendenza e data di instaurazione/conclusione del procedimento disciplinare, nonché dalla valutazione dell’affidamento maturato dal pensionato al momento della cessazione.
 

 Corte dei Conti 2025


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