Sentenza del 03/04/2025 n. 2272/11 - Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio
Esenzione da Direttiva madre-figlia e abuso del diritto
Non si applica il regime di esenzione da ritenuta sui dividendi e interessi corrisposti da società figlie italiane a società madri europee – prevista dalla c.d. Direttiva madre-figlia (90/435/CEE del 23 luglio 1990) – laddove la controllante estera risulti essere una mera creazione abusiva (c.d. società “condotto” o conduit) avente lo scopo di fruire indebitamente del suddetto regime e non la beneficiaria effettiva. Il divieto di abuso del diritto è principio generale immanente nel diritto unionale e, pertanto, l’esenzione in questione può disconoscersi mediante la contestazione, nel nostro ordinamento, di cui all’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212. Questo è il principio che si ritrae dalla pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio che, anche sulla base della precedente pronuncia di legittimità (C. Cass. ordinanza 8 giugno 2023, 16173), ha rigettato l’appello della società contribuente a cui era stato contestato un comportamento abusivo. Secondo i giudici laziali, tale comportamento abusivo aveva consentito alla contribuente di non adempiere all’obbligo di effettuare e versare le ritenute previste all’atto dell’erogazione di interessi e dividendi a soggetti non residenti in Italia e fruire indebitamente dell’esenzione ex artt. 26-quater e 27-bis del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600. Il Collegio, in particolare, ha ritenuto convincente il materiale probatorio offerto al riguardo dall’Ufficio (assenza di costi di personale nei bilanci, identità dei componenti dei consigli di amministrazione delle varie società del gruppo, etc.).
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La MCF S.r.l. (di seguito, la Società) ha proposto appello per la riforma della sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma n. 2049/2024, con la quale è stato respinto (con condanna al rimborso delle spese) il ricorso proposto dalla Società nei confronti dell'Agenzia delle entrate (di seguito, ADE) avverso l'avviso di accertamento n. ------/2022, notificato in data 15 novembre 2022, relativamente al Modello 770 dell'anno di imposta 2016, con il quale avviso l'ADE ha ritenuto che "la MCF - congiuntamente ad altre società facenti parte (fino al 01/08/2016) del medesimo del gruppo societario - abbia posto in essere un comportamento abusivo la predetta Società abbia realizzato un comportamento abusivo (inopponibile all'Amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 10-bis della Legge 27.07.2000, n. 212) finalizzato a fruire indebitamente, con riferimento sia agli interessi (su finanziamenti) sia ai dividendi corrisposti alla sua controllante lussemburghese G., del regime di esenzione dall'applicazione della ritenuta, a titolo di imposta, ordinariamente prevista all'atto del pagamento di interessi e dividendi a favore di soggetti non residenti in Italia. In altri termini, il comportamento abusivo ha consentito alla MCF di non adempiere all'obbligo - gravante sui sostituti d'imposta residenti in Italia - di effettuare, e versare, le ritenute previste all'atto dell'erogazione di interessi e dividendi a soggetti non residenti in Italia (c.d. flussi outbound), e di fruire indebitamente: · con riferimento agli interessi, del regime di esenzione di cui all'art. 26-quater del DPR 600/1973, in luogo dell'ordinaria applicazione della ritenuta alla fonte, a titolo d'imposta e nella misura del 26%, prevista dall'art. 26, comma 5, del citato DPR 600/1973; · con riferimento ai dividendi, del regime di esenzione di cui all'art. 27-bis del DPR 600/1973, in luogo dell'ordinaria applicazione della ritenuta alla fonte, a titolo d'imposta e nella misura del 26%, prevista dall'art. 27, comma 3, del citato DPR 600/1973." (cfr. avviso di accertamento).
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi già articolati nel ricorso introduttivo:
"1) la sentenza è errata nella parte in cui ritiene legittimo l'utilizzo da parte dell'ufficio dell'accertamento parziale. Violazione e falsa applicazione dell'art. 41-bis, dPR n. 600/73."
"2) la sentenza è errata nella parte in cui non ha rilevato la nullità e la falsa applicazione dell'art. 10-bis, l. n. 212/2000, dell'art. 7, comma 1, l. n. 212/2000 e dell'art. 42, dpr n. 600/1973."
"3) la sentenza è errata nella parte in cui statuisce che G. sarebbe una società "conduit". G., infatti, non ha ritrasferito ai propri soci gli interessi e i dividendi, essendone beneficiaria effettiva. Violazione e falsa applicazione dell'art. 26-quater, dell'art. 27-bis, d.P.R. n. 600/73 e dell'art. 10-bis, comma 1, l. n. 212/2000."
"4) la sentenza è errata nella parte in cui non ha accertato che G. è una società holding dotata di sostanza economica, la cui esistenza è sorretta da una valida ragione economica. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis, comma 1 e 2, l. n.212/2000"
"5) la sentenza è errata nella parte in cui presuppone acriticamente che l'esistenza ed utilizzo di G. abbia comportato un indebito vantaggio fiscale (sotto forma di esenzione dalla ritenuta sugli interessi e dividendi). Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis, commi 1 e 2, d.P.R. n. 600/73."
"6) la sentenza è errata nella parte in cui si presuppone che fosse onere della società provare che G. era il beneficiario effettivo degli interessi e dei dividendi. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis, comma 9, l. n. 212/2000, e dell'art. 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546/1992"
"7) illegittimità delle sanzioni irrogate con l'avviso 2016. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5, d. lgs. n. 472/97."
A sostegno del gravame si è da ultimo, con l'ottavo motivo, prospettata questione di legittimità costituzionale delle norme sanzionatorie ("8) illegittimità delle sanzioni irrogate. Illegittimità costituzionale dell'art. 5, d.lgs. n. 87/2024 per violazione dell'art. 3 e 117 cost., dell'art. 7 CEDU, dell'art. 49 CDFUE e dell'art. 15, comma 1, PIDCP nonché dell'art. 76 Cost.").
2. L'Agenzia delle entrate, costituendosi in giudizio, ha concluso per il rigetto del gravame.
3. In data odierna, depositata una memoria dalla Società, la controversia è stata ritenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di appello ("1) la sentenza è errata nella parte in cui ritiene legittimo l'utilizzo da parte dell'ufficio dell'accertamento parziale. Violazione e falsa applicazione dell'art. 41-bis, d.P.R. n. 600/73.") è genericamente articolato sulla illegittimità dell'accertamento parziale perché non sarebbe fondato "su elementi probatori certi, in quanto l'Ufficio pretende di contestare l'asserita omessa applicazione delle ritenute d'imposta sugli interessi e sui dividendi in base ad una condotta abusiva ex art. 10-bis, l. n. 212/2000, il cui apprezzamento, come noto, è frutto di un'attività valutativa con elevatissimi profili di incertezza e non univocità. Ne deriva, quindi, la chiara inapplicabilità della metodologia dell'accertamento parziale al caso di specie, con conseguente nullità dell'Avviso 2016."
Il motivo è infondato.
Premesso che ogni valutazione delle prove sarà oggetto dell'esame del merito della pretesa, non sussiste alcuna illegittimità formale o procedurale sull'atto impositivo adottato, posto che da un lato "l'accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d. P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare." (Cass. n. 28681/2019), dall'altro l'eventuale illegittimità potrebbe riguardare solo un ulteriore accertamento per il medesimo periodo di imposta, laddove il secondo accertamento fosse fondato sulle medesime fonti già conosciute, così da integrare un inammissibile accertamento integrativo diretto ad eludere i termini di decadenza, in violazione del principio della unicità dell'accertamento e diritto di difesa (Cass. n. 27788/2020).
2. I motivi secondo ("la sentenza è errata nella parte in cui non ha rilevato la nullità e la falsa applicazione dell'art. 10-bis, l. n. 212/2000, dell'art. 7, comma 1, l. n. 212/2000 e dell'art. 42, d.P.R. n. 600/1973."), terzo ("la sentenza è errata nella parte in cui statuisce che G. sarebbe una società "conduit". G., infatti, non ha ritrasferito ai propri soci gli interessi e i dividendi, essendone beneficiaria effettiva. Violazione e falsa applicazione dell'art. 26-quater, dell'art. 27-bis, d.P.R. n. 600/73 e dell'art. 10-bis, comma 1, l. n. 212/2000."), quarto ("la sentenza è errata nella parte in cui non ha accertato che G. è una società holding dotata di sostanza economica, la cui esistenza è sorretta da una valida ragione economica.
Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis, comma 1 e 2, l. n.212/2000"), quinto ("la sentenza è errata nella parte in cui presuppone acriticamente che l'esistenza ed utilizzo di G. abbia comportato un indebito vantaggio fiscale sotto forma di esenzione dalla ritenuta sugli interessi e dividendi.
Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis, commi 1 e 2, d.P.R. n. 600/73.") e sesto ("la sentenza è errata nella parte in cui si presuppone che fosse onere della società provare che G. era il beneficiario effettivo degli interessi e dei dividendi. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis, comma 9, l. n. 212/2000, e dell'art. 7, comma 5-bis, d.lgs. n. 546/1992") possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi e tutti diretti, in materia di rapporti tra società madre (la controllante società lussemburghese G. S.A.) e società figlia (la controllata società italiana ricorrente, MCF S.r.l.), a far valere l'esenzione dall'imposta, l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 10-bis, comma 9, l. n. 212/2000 e quindi a contestare la pretesa debenza dell'imposta sulla distribuzione dei dividendi e degli interessi deliberati dalla società figlia in favore della società madre.
Proprio con riferimento ad una società madre lussemburghese la Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che «In tema di esenzione dalla ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti da società italiana a società di diritto lussemburghese, di cui alla Direttiva 90/435/CEE (c.d. direttiva madre-figlia), nella valutazione dei requisiti per ottenere il rimborso ex artt. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 38 d.P.R. n. 602 del 1973, occorre accertare l'esistenza di un'attività economica, significativa di un effettivo insediamento;
ne consegue che, con riferimento alle "holding" o "sub-holding" di pura partecipazione, è necessario valutare la sussistenza di uno stato di effettiva padronanza ed autonomia della società-madre percipiente, sia nell'adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti.» (Cass. n. 21281/2023).
Ciò chiarito in generale, la Suprema Corte, sempre con riferimento società figlia italiana e società madre lussemburghese, ha specificato che «In tema di imponibilità dei dividendi distribuiti da società figlia italiana a società madre lussemburghese, in ragione del disposto di cui all'art. 27-bis, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, sia nel testo precedente che in quello successivo alle modifiche introdotte dall'art. 26, comma 2, lett. b), della l. n. 122 del 2016, la circostanza che il soggetto che reclama i benefici ivi previsti non ne sia beneficiario effettivo è elemento da valutarsi come sintomo di elusività dell'operazione, in quanto rivelatore di una struttura posta in essere in maniera formale ed artificiosa per usufruire indebitamente dei benefici riservati alle società con sede nell'Unione Europea.» (Cass. n. 16173/2023).
Sempre secondo tale pronuncia (Cass. n. 16173/2023), ricostruito il sistema normativo interno, unionale e convenzionale, "il requisito del beneficiario effettivo è immanente all'ordinamento internazionale in materia fiscale», beneficiario effettivo definito dalla giurisprudenza e poi «successivamente recepito nell'ordinamento unionale» con l'inserimento di «una clausola generale antiabuso mirata a scongiurare ogni pratica abusiva", là dove si prevede che "gli Stati membri non applicano i benefici della direttiva stessa a una costruzione (o a una serie di costruzioni) che, essendo stata posta in essere allo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l'oggetto o la finalità della direttiva stessa, non può ritenersi genuina. Aggiunge che una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica. Precisa, inoltre, che la Direttiva non pregiudica l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l'evasione fiscale, la frode fiscale o l'abuso.
È pacifico, pertanto, sia in ragione di detta specifica clausola, sia in ragione dei principi immanenti nel diritto unionale che la Direttiva madre-figlia non può prestarsi a fini abusivi, come accadrebbe laddove fosse utilizzata a beneficio di soggetti non aventi sede nell'Unione o, più in generale, non aventi le caratteristiche contemplate dalla Direttiva stessa. 5.5. In ordine alla portata del requisito del beneficiario effettivo nella normativa unionale in tema di dividendi vanno richiamate le sentenze della Corte di Giustizia UE del 26 febbraio 2009, conosciute come le sentenze danesi. Tra queste, infatti, quella resa nelle cause riunite C-116/16 e C-117/16, riguarda specificamente la Direttiva madre-figlia. In questa pronuncia, la Corte ha utilizzato in modo esplicito il concetto del beneficiario effettivo all'interno della fattispecie dell'abuso del diritto; ha precisato, infatti, che - anche in mancanza di disposizioni antiabuso di diritto nazionale o convenzionale - non può impedirsi alle autorità e ai giudici nazionali di negare i benefici di una direttiva in caso di frodi o abusi in quanto il divieto delle pratiche abusive è un principio generale del diritto dell'Unione che trova applicazione indipendentemente dal fatto che i diritti ed i vantaggi oggetto dell'abuso trovino il loro fondamento nei trattati, in un regolamento o in una direttiva. La Corte ha aggiunto che le autorità e i giudici nazionali sono tenuti a negare il beneficio dei diritti previsti dalla Direttiva 90/435 qualora siano invocati fraudolentemente o abusivamente. Ha concluso, pertanto, affermando che il principio generale, secondo cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell'Unione, dev'essere interpretato nel senso che, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell'esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una controllata alla propria società madre, di cui all'articolo 5 della Direttiva medesima, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego. La Corte di giustizia, nelle sentenze citate, si è anche fatta carico di indicare una serie di indizi dai quali presumere la sussistenza di un abuso. Ha affermato che può essere considerata costruzione artificiosa quella posta in essere per motivi privi di sostanza economica e caratterizzati da una struttura puramente formale volta al conseguimento di un vantaggio fiscale e che ciò si verifica, in particolare, quando, grazie ad un'entità interposta, viene evitato il versamento di imposte sui dividendi. Ha precisato che costituisce indizio dell'esistenza di una tale costruzione il fatto che i dividendi vengano ritrasferiti, integralmente o quasi, ed entro un lasso di tempo molto breve, ad entità non rispondenti ai requisiti d'applicazione della Direttiva. Ha aggiunto che non rispondono ai requisiti d'applicazione della Direttiva entità con residenza fiscale situata al di fuori dell'Unione;
che, parimenti, la natura artificiosa può risultare dalla circostanza che il gruppo societario sia strutturato in modo tale che la società percettrice dei dividendi debba ritrasferirli ad una terza società, non rispondente ai requisiti d'applicazione della Direttiva, con la conseguenza che essa realizza unicamente un utile imponibile insignificante, agendo da società interposta al fine di consentire il flusso finanziario dalla società debitrice verso l'entità effettiva beneficiaria delle somme versate; che la circostanza che una società agisca come società interposta può essere accertata quando l'unica attività della medesima sia costituita dal percepimento dei dividendi e dal loro successivo trasferimento al beneficiario effettivo o ad altre società interposte. Secondo la Corte di giustizia l'assenza di un'effettiva attività economica dev'essere dedotta da un'analisi complessiva relativa alla gestione della società, al suo bilancio d'esercizio, alla struttura dei suoi costi ed ai costi realmente sostenuti, al personale impiegato nonché ai locali ad alle attrezzature di cui dispone. Ancora, secondo la Corte, possono costituire indizio di una costruzione artificiosa la sussistenza di contratti tra le società interessate generatori di flussi finanziari infragruppo; le modalità di finanziamento delle operazioni;
la valutazione dei fondi propri delle società intermediarie; l'assenza, nelle società interposte, del potere di disporre economicamente dei dividendi percepiti. A tal riguardo, sono idonei a costituire indizi di tal genere, non solo obblighi contrattuali o legali, per la società madre percettrice dei dividendi, di ritrasferirli a terzi, ma anche il fatto che la società medesima, pur in assenza di un obbligo contrattuale o legale di tal genere, non disponga del diritto di utilizzare detti dividendi e di goderne. La Corte, infine, ha precisato che tali indizi possono esser avvalorati da coincidenze o da contiguità temporali. Concludendo, può affermarsi che nella giurisprudenza unionale, laddove si controverta in merito alla legittima fruizione dei benefici della Direttiva madre-figlia, una volta affermato che il divieto di abuso del diritto è un principio generale immanente, non è necessario importare dalle convenzioni o dalla Direttiva Interessi-Royalties la clausola del beneficiario effettivo in funzione antielusiva.» (cfr. punto 5.1. e ss. della motivazione).
2.1. Orbene, dall'avviso di accertamento si desume che l'Ufficio ha ritenuto ... che la G. sia da considerarsi una creazione abusiva (c.d. società "condotto" o conduit), ossia un'entità "passante", che è stata interposta al solo fine di creare un "canale di transito", dalla fonte al beneficiario finale, e poter fruire dei vantaggi fiscali (id est: esenzione da ritenute) previsti dalle direttive comunitarie in materia di interessi e dividendi. In sostanza, (...) la G. non può essere in alcun modo considerata il beneficiario effettivo dei citati redditi.
A tale conclusione fattuale l'Ufficio è pervenuto sulla base di indizi che questo Collegio ritiene gravi, precisi e concordanti. Segnatamente come segue (vedi avviso di accertamento).
Nel bilancio dell'anno 2016 non risultano contabilizzati costi per il personale (staff costs). L'autorità fiscale del Lussemburgo aveva peraltro comunicato che anche nel 2015 la G. SA non aveva lavoratori alle proprie dipendenze.
Sulla base dei dati e dei documenti in possesso dell'Ufficio (in particolare, il contratto denominato loan notes agreement17), risulta che fino al giorno 01/08/2016, la G. SA era partecipata al 30% dalla lussemburghese E. P. S. SIF (id. n. LULB162662), con sede in Allee Scheffer 5, 2520 Luxembourg, ed al 70% dalla lussemburghese LVS II LUX XI SARL, con sede legale in Rue Sainte Zithe 33, 2763 Luxembourg (id. n. LULB181603). A loro volta, le quote delle suddette società risultano detenute da altre società e, più precisamente: · la società lussemburghese E. P. SA (id. n. LULB162592) 18, con sede in Rue Nicolas Simmer 1, 2538 Luxembourg, detiene il 99,69% delle quote della E. P. S. SIF19; · la LVS II LUX XI SARL risulta invece controllata, al 100%, dalla lussemburghese LVS II LUXEMBOUG II SARL (id. n. LULB176932), con sede in Rue Sainte Zithe 33, 2763 Luxembourg, a sua volta controllata, al 100%, dalla lussemburghese LVS II L.I SARL (id. n. LULB176929), con sede in Rue Sainte Zithe 332763 Luxembourg, a sua volta controllata, al 100%, dalla statunitense LVS II L.H. LLC (id. n. US*901933900) con sede in Centerville Road, 2711, 19808 Wilmington, Delaware (Stati Uniti d'America).
A partire dal giorno 01/08/2016, i nuovi soci controllanti la M C F Srl (dati della Camera di Commercio italiana e Orbis) risultano essere la M&G E. P. H. COMPANY S. À.R.L, cod. LU LB92191, con sede in Lussemburgo, con la quota del 45%, la EP E. H. S.À.R.L cod. LULB 123823, con la quota del 10%, con sede in Lussemburgo e la THE P. A. COMPANY LTD GB00015454, con sede in Gran Bretagna, con la quota del 45%. Come già in precedenza osservato, dal bilancio d'esercizio al 31.12.2016 della MCF risultano contabilizzati costi per interessi passivi per euro 1.801.674,00, relativi al finanziamento fruttifero erogato dalla controllante lussemburghese G., che nel 2016 deteneva una quota pari al 100% del capitale della suddetta MCF. Tale finanziamento deriva dall'accordo stipulato in data 8 agosto 2013 ("Shareholder's loan agreeement") tra la MCF e la G., per un importo di euro 35.000.000,00, con durata di 10 anni ed un tasso d'interesse del 9,5% annuo pagabile trimestralmente. Trattasi, come risulta dall'accordo, di un finanziamento il cui rimborso al soggetto mutuante (G.) è subordinato al soddisfacimento di debiti già esistenti nei confronti di altri intermediari finanziari (banche). Ciò posto, in risconto alla richiesta di scambio informazioni svolta con riferimento all'anno 2015, l'Autorità fiscale del Lussemburgo ha trasmesso all'Ufficio una serie di documenti, tra i quali riveste particolare importanza il menzionato contratto "loan notes agreeement", stipulato il 27 marzo 2015, ma efficace dal 7 agosto 2013, che modifica un accordo originariamente fatto e sottoscritto il giorno 7 agosto 2013, tra l'emittente G. SA ed i sottoscrittori E. P. S. SIF (società d'investimento a capitale variabile, attore per conto del suo fondo E. P. SCA SIF - Res Opportunity) e la LVS II LUX XI SARL. Il contratto loan notes agreeement ha avuto per oggetto l'emissione di notes (ossia note di prestito/titoli cambiari) - dal valore nominale di euro 1,00, in più tranches e fino ad un massimo di 200.000.000 (e, quindi, fino ad un massimo 200.000.000,00 di euro) - da parte della G., e sottoscritti da E. P. S. SIF e da LVS II LUX XI SARL, allo scopo di finanziare investimenti, correnti o futuri, della suddetta G. SA. In merito, dall'esame del bilancio d'esercizio al 31.12.2016 della G., acquisito dalla banca dati Registre de Commerce et des Sociétés del Lussemburgo, si evince che l'ammontare del debito derivante dal citato loan notes agreement risulta pari ad euro 99.916.834,00, con scadenza il 7 agosto 2028, e che il giorno 11 agosto 2016 sono stati pagati interessi maturati sul loan notes agreement per euro 76.577.949,23 e parte del valore nominale per un importo di euro 50.606.331,00. Dall'esame dei dati più significativi del suddetto bilancio si evince inoltre che nei costi dell'esercizio (charges) sostenuti dalla G. sono compresi: al 31.12.2016 della MCF risultano contabilizzati costi per interessi passivi per euro 1.801.674,00, relativi al finanziamento fruttifero erogato dalla controllante lussemburghese G., che nel 2016 deteneva una quota pari al 100% del capitale della suddetta MCF.
«Dall'attività istruttoria svolta è infatti emerso quanto segue:
1) la G. ha realizzato nell'esercizio 2016 un utile imponibile pari ad euro 61.786,15, ossia un utile del tutto esiguo, soprattutto se rapportato all'ingente ammontare complessivo delle attività (e passività) risultanti dallo stato patrimoniale del suo bilancio d'esercizio al 31.12.2016, pari ad euro 54.015.756,84;
2) l'obbligo di fatto, per la G., pur non sussistendo un esplicito obbligo giuridico, di ritrasferire gli interessi attivi ed i dividendi percepiti dalla MCF, integralmente o quasi, entro un lasso di tempo molto breve (successivo al loro percepimento), sotto forma di interessi passivi, alle sue società controllanti E. P. SCA SIF ed LVS II LUX XI SARL. Al riguardo, così come già evidenziato con riferimento all'anno 2015, infatti, risulta evidente la "contrapposizione" tra i ricavi d'esercizio - complessivamente pari ad euro 67.957.389,22 (di cui interessi attivi ed altri proventi finanziari pari ad euro 2.146.525,28, proventi derivanti da partecipazioni pari ad euro 2.396.513,56 e proventi da altri investimenti o prestiti pari euro 63.414.330,14) e gli interessi passivi verso imprese collegate per un importo complessivo pari ad euro 66.066.783,29;
in altri termini, gli interessi attivi e la plusvalenza realizzata da G. - derivante dalla cessione della partecipazione detenuta in MCF - sono stati, di fatto, "trasferiti" ai propri soci sotto forma di interessi passivi riconducibili al citato loan notes agreement, in quanto i citati interessi passivi sono di un ammontare tale da "sterilizzare" la plusvalenza (net profit) realizzata;
3) la strumentalità della G. è altresì ravvisabile dalla data della sua costituzione, avvenuta il 17 giugno 2013, ossia poco tempo prima delle menzionate operazioni di finanziamento: quello concesso, alla MCF, in data 8 agosto 2013 con il contratto denominato "Shareholder's loan agreeement", e quello ottenuto, tramite il loan notes Agreement del 7 agosto 2013. Del resto, lo stesso acquisto delle quote della M C F è avvenuto il 08 agosto 2013, ossia contestualmente all'erogazione del citato finanziamento;
4) la coincidenza temporale delle due operazioni di finanziamento che costituisce un ulteriore elemento a sostegno del fatto che la G. SA, in realtà, non ha avuto alcun margine operativo nella gestione dei fondi della propria provvista né tantomeno, nella sostanza, ha avuto la possibilità di disporre economicamente del ritorno economico (sotto forma di interessi e dividendi) del proprio investimento nella controllata MCF, essendo stata, di fatto, obbligata a ritrasferirlo ai propri controllanti, stante l'ingente ammontare degli interessi passivi dovuti.
5) la sostanziale identità dei componenti del consiglio di amministrazione di G. e del socio di maggioranza (70%) LVS II LUX XI SARL: infatti i sig.ri D. L. G., G. G. e P. L. - i quali compongono il CdA di LVS II LUX XI SARL (il sig. P. L. dal 7 aprile 2016 è stato sostituito dalla Sig.ra H. N.) - sono ovvero sono stati anche membri del consiglio di amministrazione di G., insieme al sig. G. L. (il sig. D. L. G. il 22 ottobre 2015 è subentrato al sig. P. L. ); gli stessi sig.ri P. L. e D. L. G. nel 2015 e nel 2016 risultano, peraltro, amministratori della società LVS II LUXEMBOUG II SARL 23(id. n. LULB176932), con sede in Rue Sainte Zithe 33, 2763 Luxembourg, che controlla (al 100%) la LVS II LUX XI SARL. La descritta situazione, ossia la presenza delle medesime persone fisiche negli organi amministrativi di società della catena di controllo di G., è indubbiamente una circostanza che, unitamente alle altre circostanza evidenziate nel presente atto, rende poco verosimile l'esistenza di un'effettiva autonomia gestionale (e quindi anche l'assenza di sostanza economica della società) e decisionale di G., indipendentemente dalle capacità professionali dei suoi amministratori.
6) dall'esame delle principali clausole del loan notes agreement (cfr., in particolare, l'art. 4) si evince che in base alle pattuizioni contrattuali ivi stabilite, in sostanza, gli interessi annuali dovuti dalla G. ai suoi soci, sul prestito ricevuto, saranno quantificati e corrisposti in ragione del reddito disponibile, a totale discrezione del consiglio di amministrazione di G., tenendo conto della situazione finanziaria ed economica dell'emittente e, se non corrisposti, si accumuleranno.
La prova presuntiva offerta dall'Ufficio non è inficiata dagli elementi valutativi offerti dalla società appellante, che ha ribadito che:
i. G. era il beneficiario effettivo dei redditi percepiti, non avendo ritrasferito ai propri soci i Dividendi e gli Interessi corrisposti da MCF;
ii. G. era (ed è) dotata di adeguata sostanza economica rispetto all'attività svolta;
iii. G. era stata costituita per una valida ragione economica, ossia per una ragione extrafiscale non marginale, ed in particolare era stata costituita dai soci diretti E. P. S. e LVS II LUX XI - appartenenti a distinti ed autonomi investitori - quale joint venture per l'effettuazione, inter alia, dell'investimento in MCF. Infatti, attraverso tale joint venture i due suddetti gruppi di investitori, tra loro indipendenti, hanno potuto unire le rispettive risorse finanziarie e competenze tecniche al fine di poter realizzare una serie d'investimenti, altrimenti non possibili;
iv. in capo ad MCF non era configurabile nessun vantaggio fiscale indebito; infatti, se i soci (diretti o anche indiretti) di G. avessero investito direttamente in MCF, gli stessi non avrebbero comunque scontato alcuna ritenuta sui Dividendi e sugli Interessi (per un'analisi più dettagliata, si veda infra) e, quindi, la costituzione di G. non può dirsi giustificata, nemmeno da un punto di vista meramente astratto e teorico, in ragione del conseguimento di alcun vantaggio fiscale, asseritamente indebito, sotto forma di mancata applicazione della ritenuta sui predetti redditi.
Tali deduzioni, tuttavia si risolvono in mere contestazioni, argomentazioni e rilievi critici rispetto a quadro probatorio offerto dall'Ufficio, al più facendo la società appellante riferimento alla sola apparenza cartolare desumibile dagli atti e dalle operazioni intercorse tra società madre e società figlia, apparenza cartolare ampiamente superata dagli elementi (offerti dall'Ufficio) comprovanti una artificiosa precostituzione di tali carte allo scopo di non dichiarare e versare il dovuto al Fisco.
Né sussiste, essendo gli elementi accertati dall'Ufficio di per sé sufficienti a supportare la pretesa (come sopra visto), alcuna violazione - come erroneamente dedotto dalla società appellante - della regola di riparto dell'onere della prova, regola finale che si applica, infatti, solo in caso di insufficienza delle prove offerte dalle parti.
3. Il settimo motivo, con il quale si deduce «illegittimità delle sanzioni irrogate con l'avviso 2016. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5, d.lgs. n. 472/97.", è infondato.
Infondato è un primo profilo di carenza del requisito minimo della colpa, posto che - si sostiene - il giudice a quo ha in ogni caso errato nel non disporre l'annullamento delle sanzioni irrogate con l'avviso. Infatti, alcun profilo di colpa è imputabile ad MCF, sia perché con riferimento ai dividendi l'art. 27-bis, d.P.R. n. 600/73 non prevede in alcun modo il requisito del beneficiario effettivo quale condizione per l'esenzione dalla ritenuta, sia perché la società risulta aver appieno soddisfatto tutti gli oneri documentali - tra cui la raccolta del certificato di residenza di G. e la compilazione dell'apposito form messo a disposizione dall'Agenzia delle Entrate - a riprova, quindi, del fatto che MCF ha agito in buona fede e con la dovuta diligenza.
3.1. Invero, il fatto dedotto (da cui muove la censura sulle sanzioni, e cioè) l'assenza di colpa ovvero che MCF ha agito in buona fede e con la dovuta diligenza», è smentito in radice proprio dalla dimostrata (vedi sopra) artificiosità dell'operazione posta in essere e, quindi, dal doloso perseguimento di un minore versamento di quanto dovuto fiscalmente.
3.2. Per la stessa ragione (perseguimento doloso e artificioso di un indebito vantaggio fiscale, rappresentato dall'esenzione dalle ritenute) è infondato anche il secondo profilo, con il quale la asserita illegittimità delle sanzioni si fonderebbe sull'insussistenza di un "concorso" tra società madre e società figlia in ordine agli adempimenti fiscali sui dividendi, in contrasto quindi con l'accertato perseguimento doloso e artificioso di un indebito vantaggio fiscale posto in essere dalla Società in accordo con la società G..
4. Con l'ottavo motivo si prospetta, a sostegno dell'illegittimità delle sanzioni, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 d.lgs. n. 87/2024, nella parte in cui, stante la sua espressa applicazione del regime sanzionatorio ivi previsto più favorevole per il contribuente (modificando l'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 471/1997 la sanzione per infedele dichiarazione del sostituto d'imposta è infatti ridotta dal 90% al 70% dell'ammontare delle ritenute non versate) alle sole violazioni "commesse a partire dal 1° settembre 2024", impedirebbe l'applicazione del principio del favor rei, in contrasto - si sostiene - con gli art. 3 e 117 cost., dell'art. 7 CEDU, dell'art. 49 CDFUE e dell'art. 15, comma 1, PIDCP nonché dell'art. 76 Cost.
4.1. I profili di illegittimità costituzionale appaiono a questo Collegio manifestamente infondati.
Partendo dall'ultimo profilo concernente il vizio di delega, l'art. 20 della legge 09/08/2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale) ha infatti previsto, tra i principi e criteri direttivi, al comma 1 lett. c): "per le sanzioni amministrative:
1) migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei;
2) assicurare l'effettiva applicazione delle sanzioni, rivedendo la disciplina del ravvedimento mediante una graduazione della riduzione delle sanzioni coerente con il principio previsto al numero 1)".
Finalità all'evidenza entrambe perseguite dal legislatore delegato con la riduzione delle sanzioni.
4.2. Quanto ai profili concernenti l'irretroattività delle norme sanzionatorie più favorevoli è noto che il principio del favor rei sancito dall'art. 3 del d.lgs. n.471 del 1997 non trova copertura costituzionale e quindi il legislatore ha ampia discrezionalità di stabilire, ratione temporis. le sanzioni tributarie più adeguate ad assicurare all'Erario le risorse necessarie per far fronte alla spesa pubblica.
Infondato è, poi, il riferimento alla natura penale delle sanzioni irrogate secondo i criteri della sentenza Engel (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c/Paesi Bassi). La giurisprudenza della Corte EDU ha elaborato - a partire dalla richiamata pronuncia del 1976 - tre criteri, tra loro alternativi, al fine di stabilire la qualificazione di un'infrazione come penale da un punto di vista sostanziale, consistenti nella qualificazione giuridica della sanzione, nella natura e nella finalità dell'infrazione e (infine) nel grado di severità della sanzione stessa.
Nella fattispecie, a parere del Collegio, le sanzioni applicate non appaiono prive di una funzione compensativa del danno erariale, tenuto conto delle difficoltà di recupero del dovuto, in concreto, nei confronti di società cartolari, piuttosto che volte a realizzare una funzione essenzialmente afflittiva e deterrente (criteri utili al fine di accertare la natura sostanzialmente penale della sanzione secondo Corte EDU, Jussila c/Finlandia, 23 novembre 2006; Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63; Corte cost., 16 aprile 2021, n. 68).
In ogni caso, stante la accertata condotta artificiosa posta in essere dalla società contribuente, si può richiamare il principio secondo cui "non sarebbe, possibile dedurre dall'art. 4 prot. 7 un divieto assoluto per gli Stati di imporre una sanzione amministrativa (ancorché qualificabile come sostanzialmente penale ai fini delle garanzie dell'equo processo) per quei fatti di evasione fiscale in cui è possibile, altresì, perseguire e condannare penalmente il soggetto, in relazione a un elemento ulteriore rispetto al mero mancato pagamento del tributo, come una condotta fraudolenta (nella specie ampiamente provata, n.d.r.), alla quale non potrebbe dare risposta sanzionatoria adeguata la mera procedura amministrativa (Corte EDU, A e B c/Norvegia del 15 novembre 2016, par. 123; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34219)" - cfr. motivazione Cass. n. 37366//2021-.
5. Stante il rigetto dell'appello, va disposto il rimborso delle spese in favore dell'ADE, liquidate in euro 16.000,00, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta l'appello; condanna al rimborso delle spese, liquidate in euro 16000,00 oltre accessori di legge
Elenco Atti Normativi citati
Costituzione del 22/12/1947
Costituzione della Repubblica Italiana.
Articolo 3
Articolo 3.
In vigore dal 1 gennaio 1948
Articolo 76
Articolo 76.
In vigore dal 1 gennaio 1948
Articolo 117
Articolo 117.
In vigore dal 8 maggio 2012
Legge del 27/07/2000 n. 212
Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente.
Articolo 2
Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie
In vigore dal 18 gennaio 2024
Articolo 10 bis
Art. 10-bis. Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale (1).
In vigore dal 1 gennaio 2016
Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 472
Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n.662.
Articolo 2
Sanzioni amministrative.
Soppresso dal: 01/01/2026 da: Decreto legislativo del: 05/11/2024 n. 173 Articolo 101
Articolo 5
Colpevolezza.
Soppresso dal: 01/01/2026 da: Decreto legislativo del: 05/11/2024 n. 173 Articolo 101
Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471
Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Articolo 3
Omessa denuncia delle variazioni dei redditi fondiari.
In vigore dal 1 gennaio 2016 al 1 gennaio 2026
Direttiva Comunità Europea del 23/07/1990 n. 435
DIRETTIVA DEL CONSIGLIO concernente il regime fiscale comune applicabile alle societa' madri e figlie di Stati membri diversi. (N.D.R.: Direttiva recepita con D.L.G. 6 marzo 1993 n.136.)
Decreto del Presidente della Repubblica del 29/09/1973 n. 602
Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito.
Articolo 38
Rimborso di versamenti diretti.
In vigore dal 26 luglio 2005
Decreto del Presidente della Repubblica del 29/09/1973 n. 600
Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
Articolo 26 quater
Esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell'Unione europea. (N.D.R.: Ai sensi dell'art.3, comma 1, D.lgs 30 maggio 2005 n.143, come modificato dall'art.3, comma 2, decreto-legge 15 febbraio 2007 n.10, convertito dalla legge 6 aprile 2007 n.46, le disposizioni del presente articolo si applicano agli interessi e ai canoni pagati a decorrere dal 1 gennaio 2004. Vedasi anche le disposizioni transitorie dell'art.4 D.lgs n.143 del 2005.)
In vigore dal 6 luglio 2011
Articolo 27 bis
Rimborso della ritenuta sui dividendi distribuiti a soggetti non residenti.
In vigore dal 23 luglio 2016
Articolo 41 bis
Accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall'anagrafe tributaria.
In vigore dal 1 gennaio 2011
Articolo 42
Avviso di accertamento. (N.D.R.: Vedi art. 15 L. 27 dicembre 2002 n. 289.)(2)
In vigore dal 1 gennaio 2016
Decreto del Presidente della Repubblica del 26/10/1972 n. 633
Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto.
Elenco Atti Normativi citati non presenti in banca dati
Legge del 27/07/2000 n° 212 - Articolo 7-com1
Legge del 27/07/2000 n° 212 - Articolo 10 bis-com1
Decreto legislativo del 1997 n° 471 - Articolo 2-com2
Decreto legislativo del 1992 n° 546 - Articolo 7-com5 bis
Decreto del Presidente della Repubblica del 1973 n° 600 - Articolo 27 bis-com5
Decreto del Presidente della Repubblica del 1973 n° 600 - Articolo 27-com3
Decreto del Presidente della Repubblica del 1973 n° 600 - Articolo 26-com5
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