La sentenza della Cassazione n. 5936 del 2025 affronta una questione delicata riguardante la responsabilità dei dipendenti per comportamenti offensivi e razzisti nei confronti di colleghi, in particolare nei confronti di un team leader di Fendi. La Corte, pur riconoscendo la gravità dell'offesa, stabilisce che un post offensivo e razzista, diffuso tra i dipendenti attraverso un gruppo WhatsApp privato, non costituisce di per sé una giusta causa di licenziamento.
Questo orientamento giuridico si fonda sul principio che, pur essendo condannabili comportamenti di tale natura, l'uso di uno spazio privato di comunicazione (come WhatsApp) non è, di per sé, sufficiente a giustificare una misura così estrema come il licenziamento. La Cassazione ha infatti sottolineato che occorre una valutazione complessiva del contesto in cui tali comportamenti si sono verificati, considerando se essi abbiano effettivamente danneggiato l'immagine dell'azienda o creato una situazione di intollerabile conflittualità sul posto di lavoro.
In sostanza, la Corte ha ribadito che, sebbene le offese razziste siano da condannare e possano comportare sanzioni disciplinari, il licenziamento immediato non è automatico e richiede una valutazione specifica della gravità e delle conseguenze del comportamento all'interno del contesto lavorativo. Questo principio evidenzia come, anche in caso di gravi offese, non sempre la reazione della società debba essere la più severa possibile, ma debba essere proporzionata alla situazione e alle circostanze.
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