La Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 4302 del 17 gennaio 2025, ha affrontato la questione del trasferimento d'azienda ex articolo 2112 del codice civile in relazione alla cessazione di un appalto.
La sentenza ha confermato che si configura un vero e proprio trasferimento d'azienda quando il personale dipendente dall'appaltatore che ha cessato l'attività venga assunto dal nuovo aggiudicatario dell'appalto. In questo caso, il nuovo datore di lavoro non si limita a eseguire un servizio analogo a quello precedentemente svolto dal precedente appaltatore, ma utilizza l'organizzazione di quest'ultimo, che si concretizza nell'insieme dei lavoratori impegnati nell'esecuzione del servizio stesso.
Un aspetto cruciale emerso dalla decisione riguarda la necessità di provare la discontinuità da parte dell'impresa cessionaria. In altre parole, l'impresa che subentra nell'appalto dovrà dimostrare che non si tratti solo di una continuazione superficiale del servizio, ma che l'attività si configura come un vero e proprio trasferimento di un ramo d'azienda, con il coinvolgimento dell'organizzazione e del personale preesistente.
In sintesi, la Cassazione ribadisce che il trasferimento d'azienda si realizza quando c'è un effettivo passaggio dell'organizzazione del lavoro, incluse le risorse umane, dal vecchio al nuovo datore di lavoro. La continuità nell'organizzazione del lavoro è un elemento essenziale, che va dimostrato dalla parte cessionaria.
Sentenza n. 4302/2024 pubbl. il 17/01/2025 RG n. 3642/2021
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE CONTROVERSIE LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIE
in persona dei magistrati:
- dr.ssa Vittoria Di Sario - Presidente - - dr. Vincenzo Selmi - Consigliere -
- dr. Vito Riccardo Cervelli - Consigliere relatore - all’udienza del 5.12.2024 ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3642 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021, alla quale è riunita quella iscritta al RG 3648/2021, vertente
TRA
Soc. Coop. Soc., rappresentata e difesa, per procura speciale alle liti depositata
telematicamente insieme al ricorso in appello, dagli avvocati Andrea Gaboardi e Lorenzo Picciano, con i quali elettivamente domicilia presso il secondo difensore.
-APPELLANTE (in rg. 3642/2021)-
E
S.p.A., rappresentata e difesa, per procura speciale alle liti depositata telematicamente insieme al ricorso in appello, dagli avvocati Dario Capotorto, Furio Tartaglia e Andrea Pietropaoli, con i quali elettivamente domicilia presso il terzo difensore.
-APPELLANTE (in rg 3648/2021)-
NONCHÉ
grado, dagli avvocati Carlo Guglielmi e Gabriele Cingolo, con i quali e presso i quali elettivamente domiciliano.
-APPELLATI- E
SOCIETÀ COOPERATIVA
-APPELLATA CONTUMACE- OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 2021/2021, pronunciata dal Tribunale di Roma, I sezione lavoro e pubblicata in data 4.6.2021.
CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da atti introduttivi del giudizio appello e come da verbale di udienza del 5.12.2024.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso introduttivo della lite di primo grado, i lavoratori e le lavoratrici in epigrafe indicate esponevano in punto di fatto che: (a) il raggruppamento temporaneo di imprese costituito da S.r.l. e S.r.l. aveva gestito, per anni e sino al 15.1.2019, il servizio di prenotazione della visite mediche (c.d. CUP) per ASL Roma 3 ed i servizi di front e back office presso i presidi di quest’ultima; (b) tale servizio, rimesso a gara dall’Azienda sanitaria committente, era stato successivamente aggiudicato al raggruppamento temporaneo di imprese costituto da S.p.A., da società cooperativa e da società
cooperativa; (c) tali nuove appaltatrici provvedevano ad acquisire l’intero ramo aziendale delle ex appaltatrici, compreso l’intero personale in precedenza addetto al servizio, che tuttavia era stato suddiviso tra le tre nuove compagini sociali, sulla base di criteri che i ricorrenti dichiaravano di ignorare.
Tanto premesso in fatto e dopo aver dedotto che l’operazione economica così realizzata concretizzava un trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., chiedevano al Tribunale di Roma di accertare e dichiarare l’avvenuto trasferimento del ramo di azienda dalla rete temporanea di imprese costituita da S.r.l. e da S.r.l. alla rete temporanea di imprese costituita da S.p.A., da società cooperativa e da
società cooperativa e, per effetto di detto accertamento, di dichiarare che il loro
rapporto, già in essere con S.r.l. e S.r.l., era proseguito senza soluzione di continuità, anche successivamente al 15.1.2019, rispettivamente con S.r.l. (
,
società cooperativa, il Tribunale di Roma, all’esito dell’istruttoria consistita
nell’acquisizione dei documenti offerti dalle parti e nell’escussione dei testi da questi indicati, con la sentenza in epigrafe indicata ha così statuito: «dichiara che il rapporto di lavoro dei ricorrenti già in essere alla data del 15.1.2019, prosegue senza soluzione di continuità alle dipendenze delle società convenute, ciascuno con il proprio datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2112 c.c.».
società cooperativa (d’ora in poi breviter ), dapprima, e
successivamente S.p.A. (anche nella sua dichiarata qualità di successore a titolo particolare di società cooperativa) propongono distinti appelli contro questa decisione.
lamenta: (I) la reiezione dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva,
fondata sul rilievo per cui i ricorrenti avevano proposto domanda contro la rete temporanea di imprese (della quale peraltro società cooperativa non aveva mai fatto parte) e non contro essa società singolarmente; (II) la reiezione dell’eccezione di carenza di interesse ad agire in capo ai ricorrenti, che avevano liberamente sottoscritto distinti contratti con e con le altre due compagini; contratti che (si assume) resterebbero validi
anche nell’ipotesi di trasferimento di azienda; (III) la ritenuta esistenza di un trasferimento di azienda, sostenendo che, diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza appellata, l’art.
29 d.lgs. 276/2003 non pone una presunzione di trasferimento di azienda nell’ipotesi di cambio di appalto, che nella specie neppure sussisteva un precedente complesso aziendale che avrebbe potuto formare oggetto di trasferimento e che in ogni caso gli elementi di discontinuità erano sussistenti e tutt’altro che marginali. Conclude chiedendo la riforma della sentenza appellata conformemente ai motivi di appello, così respingendo le avverse domande.
S.p.A., per contro, a sostegno dell’impugnazione deduce che il Tribunale: (I) non
ha correttamente valutato la diversa dimensione dell’appalto assegnato al raggruppamento temporaneo di imprese da essa rappresentato rispetto a quello precedentemente in essere;
(II) ha errato nel respingere l’eccezione di decadenza ex art. 6 l. 604/1966 e ex art. 32 d.lgs.
183/2010; (III) non si è avveduto che la natura pubblicistica dell’appalto e le clausole del bando di gara non permettevano di configurare un trasferimento di azienda; (IV) ha
erroneamente disatteso le eccezioni di carenza di interesse ad agire e di nullità del ricorso; (VI) ha erroneamente interpretato l’art, 29 d.lgs. 276/2003; (VII) facendo mal governo del materiale istruttorio e non avvedendosi della maggior dimensione del nuovo appalto (che vedeva un’unica commessa suddivisa in più lotti), ha negato erroneamente la discontinuità tra vecchia e nuova gestione, al contrario sussistente. Chiede pertanto, previa riapertura dell’istruttoria, la riforma della sentenza appellata, con reiezione delle avverse domande.
I lavoratori e le lavoratrici appellate si costituiscono in entrambi i distinti giudizi di impugnazione, chiedendo la reiezione degli appelli e la conferma della sentenza gravata. società cooperativa resta contumace nel giudizio di impugnazione promosso da .
Riuniti i due distinti giudizi di impugnazione ed ordinato a S.p.A. di integrare il contraddittorio, in relazione all’appello da lei proposto, nei confronti di società cooperativa, adempiuto all’incombente e rimasta la chiamata anche in tal caso contumace, all’udienza del 5.12.2024 l’appello era discusso come da verbale e deciso come da dispositivo.
2. Il secondo motivo dell’appello proposto da e quello contraddistinto dal § 5 dell’impugnazione interposta da S.p.A. debbono essere trattati congiuntamente ed in via preliminare, deducendo entrambe le appellanti l’omesso esame sulle eccezioni di difetto di interesse ad agire degli originari ricorrenti e la sola S.p.A. anche la nullità dell’originario atto introduttivo della lite di primo grado
In particolare, sostiene che, cessato il rapporto di lavoro con S.r.l., gli originari ricorrenti liberamente e volontariamente sottoscrissero nuovi contratti di lavoro con essa appellante e con le altre società componenti il raggruppamento temporaneo di imprese e che detti contratti resterebbero validi ed efficaci anche qualora fosse riconosciuta la sussistenza di un trasferimento di azienda, che comunque (aggiunge l’appellante) produrrebbe pur sempre l’effetto di rendere applicabile ai lavoratori il CCNL di essa cessionaria, espressamente richiamato nei singoli contratti di assunzione.
S.p.A., per contro, richiama per relationem, le deduzioni difensive di primo grado, con le quali aveva eccepito che la domanda attorea era carente in punto di individuazione della specifica utilità che i lavoratori avrebbero potuto conseguire per effetto del riconoscimento del dedotto trasferimento di azienda, posto che anche la (pregressa) anzianità di servizio era stata loro riconosciuta ai sensi dell’art. 24 l.r. Lazio 22.10.2018 n. 7 (cfr. § B della memoria difensiva di primo grado alle pagg. 33-35, laddove il successivo § C, pagg. 35-28, cui pure il motivo di appello rinvia, prospetta il difetto di prova dei fatti costitutivi del diritto vantato e quindi una questione di merito che sarà in prosieguo vagliata).
Tali deduzioni difensive, sulle quali effettivamente il Tribunale ha omesso ogni esame, non sono fondate.
I lavoratori, infatti, nell’atto introduttivo della lite avevano puntualmente indicato il pregiudizio che assumevano aver subito, individuandolo (§ 7 dell’originario ricorso) nella perdita dell’anzianità, nella sottoposizione del loro contratto di lavoro ad un diverso regime giuridico (quello di cui al d.lgs. 23/2015), nell’applicazione di un diverso inquadramento contrattuale e di un diverso contratto collettivo ed in definitiva nel decremento retributivo.
Trattasi di allegazioni sufficientemente chiare e specifiche, che, da un lato, rendono l’atto introduttivo della lite incensurabile sotto il profilo della compiuta allegazione delle circostanze di fatto e diritto poste a base della domanda e, dall’altro, escludono possa accogliersi l’eccezione di difetto di interesse ad agire, la cui sussistenza deve essere valutata sulla base della prospettazione operata dalla parte attrice, laddove la negazione della veridicità di quanto dedotto attiene al successivo momento della valutazione di fondatezza nel merito della pretesa.
Sotto quest’ultimo profilo, poi, le ulteriori allegazioni difensive delle appellanti, pur volendo prescindere dal non indifferente rilievo circa la sottoposizione dei nuovi rapporti lavorativi alla diversa tutela in tema di licenziamenti di cui al d.lgs. 23/2015 (circostanza sulla quale le appellanti restano silenti), non sono comunque idonee ad affermare che le assunzioni ex novo, in luogo della prosecuzione del rapporto ex art. 2112 c.c., non abbiano prodotto nessuna lesione della sfera giuridica dei lavoratori ricorrenti.
L’art. 25 l.r. 22.10.2018 n. 7, che la S.p.A. invoca e assume aver applicato, infatti, si limita a riconoscere che «l’anzianità di servizio di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, si computa anche ai fini retributivi», così attribuendo valore unicamente a quella relativa al solo «periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata» (art. 7 d.lgs. 23/2015), laddove l’applicazione dell’art. 2112 c.c. determinerebbe il riconoscimento in favore dei prestatori d’opera dell’intera anzianità di servizio maturata alle dipendenze del precedente datore di lavoro, indipendentemente quindi dall’impiego nell’appalto.
I contratti di lavoro che assume liberamente sottoscritti dai lavoratori, poi, una volta riconosciuta la fattispecie del trasferimento di azienda, sarebbero nulli per violazione dell’art. 2112 c.c. (nullità espressamente prospettata nel ricorso introduttivo della lite alla pag. 18 dello stesso) e siffatta nullità produrrebbe l’effetto di garantire ai lavoratori l’intera anzianità di servizio pregressa e di sottrarre il loro rapporto lavorativo all’ambito di applicazione del d.lgs. 23/2015.
3. Il primo motivo dell’appello di , diretto a dedurre l’omessa pronuncia sull’eccezione di carenza di legittimazione attiva di essa appellante, pone in realtà due distinte questioni, l’una e l’altra non vagliate dalla sentenza appellata.
La prima, di natura preliminare, si risolve nella deduzione di violazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che i lavoratori avevano formulato domanda soltanto contro il raggruppamento temporaneo di imprese - peraltro individuandone malamente i componenti - e non contro singolarmente.
La tesi è priva di pregio, sol che si rifletta che il punto 2) delle conclusioni dell’originario ricorso, alla luce del quale deve essere interpretata l’imprecisa formulazione lessicale del precedente punto 1), espressamente chiede accertarsi che il rapporto di lavoro prosegue ex art. 2112 c.c. (tra l’altro) con la società , con il corollario che, anche a voler supporre l’errata identificazione dei componenti del raggruppamento temporaneo di imprese
(d’ora in poi breviter RTI) e anche a voler convenire con l’appellante che tale entità non costituisca un autonomo soggetto giuridico, non vi è dubbio che vi era una domanda formulata contro , sulla quale il giudice doveva pronunciare, sicché la sentenza appellata non ha violato l’art. 112 c.p.c.
Le note di trattazione scritta del 12.2.2020 degli originari ricorrenti - che l’appellante cita parzialmente, così attribuendo loro un significato difforme dal loro contenuto - confermano e non contraddicono detta conclusione, perché i lavoratori hanno espressamene ivi affermato di aver chiesto di «accertare la sussistenza di una cessione anche alla » (pag. 2, esattamente le righe precedenti il passo citato in appello).
La seconda questione, invece, sempre riprendendo la tesi per cui il RTI non costituisce autonomo centro di imputazione di interessi e rapporti giuridici, postula che quest’ultimo non pu essere considerato cessionario del ramo di azienda, per poi trarne la conclusione che ad non poteva essere imputato «alcun atto giuridico relativo al RTI, se non dalla stessa direttamente realizzato».
Tale deduzione si risolve, a ben vedere, in una questione di merito, implicando l’accertamento del soggetto che debba in ipotesi considerarsi cessionario dell’azienda, sicché essa verrà esaminate in prosieguo, unitamente a tutte le altre questioni di merito.
4. Il motivo contraddistinto dal § 3 dell’impugnazione proposta da S.p.A. lamenta la mancata pronuncia sull’eccezione di decadenza ai sensi dell’artt. 32 d.lgs. 183/2010.
L’eccezione, anche in questo caso non vagliata dal primo giudice, è infondata.
L’art. 32, comma 4, lett. c) l. 183/2010, infatti, disciplina soltanto le fattispecie in cui il lavoratore contesti "la cessione del contratto" o, meglio, il passaggio del rapporto di lavoro, mentre restano estranee alla stessa le ipotesi (come quella sulla quale qui si controverte) in cui il lavoratore voglia avvalersi del trasferimento di azienda (formalmente deliberato dal datore di lavoro cedente) e, quindi, ottenere il riconoscimento del passaggio e della prosecuzione del rapporto di lavoro in capo al cessionario oppure chieda di accertare l'avvenuto trasferimento di azienda che assuma realizzato in fatto e, quindi, la prosecuzione del rapporto di lavoro col cessionario (Cass. 24.12.2021 n. 41463; Cass. 7.11.2019 n. 28750 e giurisprudenza ivi richiamata).
Allo stesso tempo non è invocabile, in danno degli originari ricorrenti, la diversa ipotesi disciplinata dall’art. 32, comma 4, lett. d) l. 183/2010, sia perché detta norma presuppone l’esistenza di un pregresso contatto tra il lavoratore ed il soggetto diverso dal titolare del contratto (Cass. 7.11.2019 n. 28750) - che nella specie è insussistente e che comunque non è ravvisabile nella situazione di un lavoratore escluso che rivendichi la cessione del proprio contratto di lavoro nei confronti del cessionario, nell'ambito di un trasferimento ex art. 2112 c.c., perché non si è in presenza di alcuna azione diretta a contrastare fenomeni interpositori o comunque di contitolarità del rapporto di lavoro - e sia perché la domanda proposta dagli originari ricorrenti si situa al di fuori dal perimetro applicativo della norma in esame, che riguarda le ipotesi in cui si imputi il rapporto di lavoro in capo a soggetto diverso dal formale titolare (Cass. 16.1.2022 n. 36944), mentre nel presente giudizio gli originari attori non mettono in discussione l’effettività del rapporto di lavoro in capo alle società che li hanno assunti, lamentando soltanto che detto rapporto debba considerarsi, ai sensi dell’art. 2112 c.c., quale prosecuzione di quello instaurato con la cedente.
5. Con altra distinta censura, illustrata al § 4 dell’atto di appello, S.p.A. lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato «la peculiare natura pubblica dell’appalto» e «le previsioni del bando di gara e la normativa contrattuale».
Sostiene, infatti, l’appellante che la circostanza che il nuovo appaltatore abbia «una specifica identità di impresa» è elemento insito nell’appalto pubblico La deduzione è inconferente.
La circostanza che la nuova impresa aggiudicataria sia caratterizzata da una sua propria specifica identità, ossia che sia dotata di propria struttura organizzativa e operativa (per usare la locuzione dell’art. 29 d.lgs. 276/2003), null’altro significa sul piano normativo ed economico che il nuovo appaltatore è un soggetto imprenditoriale reale e non meramente fittizio.
Ne consegue, dunque, che il riferimento normativo alla «propria struttura organizzativa e operativa», della quale deve essere dotato l’imprenditore subentrante, non opera quale limite all’applicazione dell’art. 2112 c.c. (nel senso che l’accertata autonoma struttura organizzativa e operativa del subentrante renderebbe inconfigurabile una cessione di azienda), perché nella fisiologia dei rapporti giuridici il trasferimento del complesso aziendale o di parte di esso avviene tra imprenditori reali (e non fittizi), ossia tra soggetti giuridici dotati entrambi di una propria specifica identità di impresa.
L’assenza di autonoma struttura organizzativa ed operativa in capo all’appaltatore subentrante, al contrario, pone la vicenda al di fuori dell’ipotesi del lecito subentro nell’appalto, collocandola nell’ambito dei fenomeni interpositori e simulatori, così impendendo che il subentrante possa essere considerato datore di lavoro effettivo.
L’ulteriore argomentazione spesa dalla S.p.A., ossia che l’assunzione degli originari ricorrenti sia avvenuta a seguito di accordi sindacali ed in attuazione dell’art. 4 ccnl Multiservizi (così la Corte intende il criptico rinvio all’allegato 5 di primo grado), come pure in attuazione di previsioni del capitolato di appalto, è anch’essa inconferente alla luce del tenore letterale dell’art. 29, comma 3 d.lgs. 276/2003, che, nell’assenza di elementi di discontinuità, consente di riconoscere il trasferimento di azienda anche nelle ipotesi di assunzioni (acquisizioni del personale, secondo la dizione normativa) avvenute «in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto».
D’altra parte, il giudice sovranazionale ha più volte rammentato che la direttiva 23/2001 disciplina tutti i casi di cambiamento, nell’ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica o giuridica responsabile della gestione dell’impresa, la quale assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell’impresa stessa, indipendentemente dall’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il cedente e il cessionario (da ultimo, CGUE, sentenza 16.2.2023, Strong Charon, C‑675/21, EU:C:2023:108, paragrafo 40; CGUE, sentenza 16.11.2023, NC (Transfert d’une étude notariale espagnole), C-582/21,
EU:C:2023:872, paragrafo 57), così affermando che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva anche la fattispecie in cui il trasferimento risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà (CGUE, sentenza Strong Charon, cit. paragrafo 58).
Nello stesso senso si è pronunciato il giudice nazionale, laddove ha affermato che la disciplina dell'art. 2112 c.c. si applica ogni qualvolta in cui, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia la sostituzione della persona del titolare del rapporto di lavoro e il suo subentro nella gestione del complesso dei beni ai fini dell'esercizio dell'impresa, indipendentemente dallo strumento tecnico giuridico adottato e dalla sussistenza di un vincolo contrattuale diretto tra cedente e cessionario (Cass. 31.7.2023 n.
23242; Cass. 23.10.2018 n. 26808).
Ne consegue, dunque, che la circostanza per cui gli originari ricorrenti siano stati assunti in attuazione di accordi collettivi è irrilevante ai fini che qui interessano, dovendo pur sempre accertarsi se nel subentro di appalto i nuovi aggiudicatari abbiano acquisito una pluralità di rapporti di lavoro autonomamente considerati oppure quel complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’impresa in cui l’azienda si sostanzia (art. 2555 c.c.).
6. Gli argomenti che precedono determinano la reiezione anche della censura, esposta al § 2 dell’appello, con la quale la S.p.A. addebita al Tribunale di non essersi avveduto della maggior dimensione organizzativa e della maggior complessità rispetto al passato dell’appalto aggiudicato al RTI del quale era mandataria.
È indubbio, infatti, che il nuovo appalto presentava una maggior complessità ed una più ampia dimensione organizzativa rispetto al passato - esso, infatti, non riguardava più la sola ASL Roma 3 (allora AUSL Roma D) ma ben 17 Aziende Sanitarie Locali della Regione Lazio (e relativi presidi) diversamente diffuse sul territorio regionale - ma è altresì vero, da un lato, che dette Aziende Sanitarie Locali furono suddivise in quattro lotti, il secondo dei quali (aggiudicato alle appellanti), comprendeva anche l’ASL Roma D e più precisamente le strutture (Poliambulatorio Sant’Agostino (ex Paolini), Presidio ospedaliero G.B. Grassi, Presidio Casal Bernocchi) presso le quali gli originari ricorrenti avevano prestato la propria opera in esecuzione del cessato appalto e, dall’altro, che in relazione al secondo lotto il contratto di affidamento del servizio CUP (doc. 6 fasc. I grado S.p.A.) fu sottoscritto tra
S.p.A. e l’ASL Roma D.
La maggior dimensione organizzativa del nuovo appalto, dunque, non è elemento in sé dirimente, potendo comunque ritenersi la cessione d’azienda ove si accerti che le aziende subentranti abbiano reso il servizio in favore di tali strutture dell’Asl Roma D continuando ad avvalersi del complesso aziendale impiegato ai medesimi fini dal
precedente appaltatore, nulla peraltro impedendo che l’azienda acquisita si inserisca in un complesso produttivo più ampio, pur continuando a conservare la propria identità ed autonomia funzionale.
7. La prima parte del terzo motivo di appello formulato da (e precisamente il
§ 7.1, sino alla quint’ultima riga di pag. 28) e la censura contraddistinta dal § 6 dell’impugnazione proposta da S.p.A. contestano la sentenza impugnata nella parte in cui ha interpretato l’art. 29, comma 3 d.lgs. 276/2003 (nel testo, ratione temporis vigente, successivo alla novella del 2016) nel senso che «l’applicazione dell’art. 2112 c.c. è la regola, mentre la discontinuità tra le due imprese è l’eccezione, che deve essere provata da chi ne abbia interesse», ossia dal datore di lavoro subentrante (cfr. pag. 4 della sentenza §§ 15 e 16).
Tale interpretazione della norma, che in sintesi introduce una presunzione semplice di trasferimento di ramo di azienda tutte le volte in cui il personale dipendente dall’appaltatore cessato sia assunto dal nuovo aggiudicatario, deve reputarsi corretta, siccome conforme all’insegnamento del giudice di legittimità (Cass. 24.10.2024 n. 27607).
8. I residui motivi di appello, che contestano la sussistenza del trasferimento del ramo di azienda ritenuto dal primo giudice e che cercano di vincere la ricordata presunzione, debbono essere, dunque, congiuntamente vagliati .
La censura con la quale assume che il Tribunale non avrebbe considerato né che gli originari ricorrenti non avevano provato e neppure dedotto di costituire un ramo di azienda già presso S.r.l. né che in ogni caso detto ramo aziendale non era configurabile in relazione all’attività lavorativa resa dagli stessi alle dipendenze dell’imprenditore cessato (seconda parte del motivo 7.1, da pag. 28 a pag. 31 dell’appello) riveste carattere preliminare e deve essere prioritariamente esaminata.
L’impiego del termine «conservi», da parte dell’art. 6, § 1 comma 1 e 4 della direttiva
23/2001, implica infatti che l’autonomia funzionale dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento, sicché non costituisce trasferimento di azienda, né secondo il diritto dell’Unione né secondo il diritto italiano, l’ipotesi in cui l’entità trasferita di cui trattasi non disponeva, anteriormente al trasferimento, di un’autonomia funzionale sufficiente (CGUE, sentenza 6.3.2014, Amatori e a., punti 34-35; Cass. 4.8.2021 n. 22249; Cass.
5.7.2021 n. 18948).
Tanto premesso, la censura in esame non è in primo luogo condivisibile nella parte in cui appare denunciare un difetto di allegazione da parte degli originari ricorrenti, poiché
Pag.
costoro, sin dall’atto introduttivo della lite (cfr. pagg. 4-6, in particolare §§ 4-5), si sono espressamente qualificati come ramo di azienda del precedente appaltatore, indicando altresì gli elementi produttivi, in tesi acquisti dalla cessionaria, che lo componevano.
La doglianza, poi, non ha pregio neppure nella parte in cui afferma che i lavoratori addetti all’appalto non configuravano un ramo di azienda autonomo.
L’esame di tale deduzione difensiva deve prendere le mosse dal rilievo in diritto per cui in linea generale è entità economica, ai sensi dell’art. 1, § 1 della direttiva 23/2001, qualsiasi complesso organizzato di persone e di elementi, il quale consenta l’esercizio di un’attività economica che sia finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo e sia sufficientemente strutturato ed autonomo (CGUE sentenza 16.11.2023, NC e a,, C-583/21, punto 60; CGUE, sentenza 27.2.2020, Grafe e Pohle, C‑298/18, punto 22) CGUE sentenza
6.3.2014, Amatori e a., C‑458/12, punto 31).
Nei settori produttivi in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, ossia quando l’attività non necessita di specifici elementi materiali oppure quando questi ultimi non sono essenziali al buon funzionamento dell’entità economica organizzata, anche un gruppo organizzato di lavoratori che assolva stabilmente ad un’attività comune pu costituire entità economica ai sensi del diritto dell’Unione (CGUE sentenza 24.6.2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C-550/19; CGUE sentenza 11.7. 2018, Somoza Hermo e Ilunión Seguridad, C‑60/17) e quindi azienda o ramo di azienda, secondo il diritto nazionale, sempre che detti prestatori d’opera siano dotati di particolari competenze e stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (ex multis Cass. 8.11.2018 n. 28593).
Tanto precisato in punto di diritto, l’esame del capitolato tecnico dell’appalto a suo tempo affidato al RTI costituito S.r.l. e S.r.l. consente di appurare le caratteristiche e le modalità di svolgimento del servizio reso in favore della (allora) AUSL Roma D (cfr. doc. 15 fasc. I grado S.p.A.) e quindi di qualificare come azienda o ramo di azienda il gruppo di lavoratori addettivi, la cui qualità di (ex) dipendenti della S.r.l. costituisce accertamento in fatto della sentenza appellata non contestato dalle impugnazioni e quindi dato di realtà definitivamente acquisito al giudizio.
Il servizio richiesto all’appaltatore e da questi offerto era, dunque, la gestione dello sportello unico integrato, in modalità font e back office, nelle aree della medicina di base, della medicina legale, del CUP, dell’assistenza domiciliare e residenziale, nell’assistenza protesica e dei servizi generali amministravi e di supporto all’attività assistenziale.
A tal fine, la committente espressamente imponeva alla S.r.l. di garantire «la copertura delle postazioni attivate anche in casi di malattia, ferie e quant’altro degli operatori [...] attraverso la disponibilità immediata ad adeguate sostituzioni, senza causare degradazione del servizio», richiedendole altresì di adibire al servizio operatori in grado di operare a rotazione, «senza alcuna limitazione, presso tutti i presidi e su tutte le applicazioni informatiche in uso presso l’Azienda», «preventivamente addestrati su tutte le applicazioni e le attività» ed in possesso di «adeguate conoscenze scolastiche, tecniche ed umano/relazionali» (sin qui l’art. 1 del capitolato tecnico), mentre il servizio doveva essere reso presso i presidi e gli sportelli (i c.d. gabbiotti) della stessa AUSL (art. 2 del capitolato).
Il servizio richiesto dalla committente si caratterizzava, dunque, per l’assoluta prevalenza dell’elemento personale rispetto agli elementi materiali (sicché l’appalto ben potrebbe essere ritenuto labour intensive), peraltro comunque sussistenti (sotto forma di postazioni di lavoro con relativi arredi, di materiale di minuta cancelleria, di specifici software e, secondo quanto riferisce il teste , anche di hardware, ossia di computer) e con esso coordinati, restando irrilevante che siffatti beni fossero stati messi a disposizione dalla stessa committente (cfr. CGUE sentenza 19.10.2017, Securitas, punto 34).
Il gruppo di lavoratori adibito al servizio appaltato, poi, secondo quanto si legge nel relativo capitolato tecnico, si caratterizzava non solo per una propria generica professionalità di partenza (rappresentata dal grado di istruzione e da spiccate capacità umane e relazionali), ma anche per conoscenze specifiche relative alla peculiare attività da svolgere - riguardanti appunto al funzionamento delle applicazioni informatiche della committente ed alla conoscenza anche amministrativa delle procedure concernenti le attività comprese nello Sportello Unico Integrato e nei Servizi di back e front office (tra i quali, come si apprende dall’art. 3 del capitolato tecnico, operazioni di apertura e chiusura di cassa, scelta e revoca medico e pediatra di base, rilascio tessere esenzione ticket per reddito e patologia) - e quindi di un particolare know how che, secondo quanto si legge nel più volte citato capitolato, aveva costituito oggetto di specifica e preventiva attività formativa da parte della committente e che, a ben vedere, rendeva tale gruppo di lavoratori particolarmente idoneo e qualificato a prestare il servizio di gestione dello Sportello Unico e del back e front office in favore non solo di quella specifica committente, ma anche di tutte le possibili Aziende sanitarie diffuse sul territorio quanto meno regionale
Tale gruppo di lavoratori, poi, doveva anche essere dotato di una propria autonoma organizzazione, che garantisse la continuità del servizio reso anche in caso di assenze per
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ferie, malattia od altre e che quindi assicurasse l’immediata copertura dei posti resisi temporaneamente vacanti, tramite turnazioni su tutti i presidi interessati anche senza preavviso, tanto è vero che l’organizzazione datoriale prevedeva, per come riporta la sentenza appellata con accertamento in fatto non contestato, l’esistenza di un’apposita centrale operativa con funzioni di coordinamento e formazione dei turni.
Tali elementi, dunque, portano a non condividere la tesi di che nega la pregressa sussistenza di un’azienda in capo a S.r.l., non solo perché nella specie è provato il reciproco combinarsi del fattore produttivo rappresentato dal lavoro con quello degli elementi materiali (per quanto messi a disposizione dalla committente), ma anche perché la specifica organizzazione e lo specifico know how posseduto dai prestatori d’opera consente di qualificare come azienda anche il solo gruppo di lavoratori stabilmente adibito all’appalto, essendo peraltro sufficiente, ai fini del riconoscimento dell’autonomia funzionale, l’esistenza in capo ai responsabili del gruppo di lavoratori del potere di «organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno al citato gruppo e, in particolare, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti a tale gruppo, e ci senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro» (ex multis CGUE, sentenza Gr. Ch., 6.9.2011, Scattolon, C-108/10, paragrafo 51, con principi che, per quanto dettati nella vigenza della Direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, appaiono applicabili anche alle ipotesi alle quali si applica la Direttiva 23/2001); potere di (auto)organizzazione del lavoro che certamente nella specie deve ritenersi sussistente, sol che si rifletta che la stessa S.p.A. ha postulato, nel primo grado di giudizio, la pregressa ampia autonomia degli operatori in relazione ai cambi turno che intendevano effettuare (cfr. § 3.12 della memoria di costituzione di primo grado).
Tale ramo aziendale, poi, siccome stabilmente adibito alla realizzazione del servizio affidato da ASL Roma 3 a era all’evidenza preesistente alla data in cui le attuali appellanti subentrarono nel contratto di appalto, sicché, diversamente da quanto opina
, sussiste la prova della preesistenza dell’azienda che si assume ceduta. La censure in esame devono quindi essere disattese.
9. Restano, dunque, da vagliare i motivi di appello con i quali nega essersi verificato il trasferimento di azienda per avere essa appellante assunto soltanto sei lavoratori, così addebitando alla sentenza appellata di non essersi avveduta che il raggruppamento temporaneo di imprese non poteva considerarsi un’entità giuridica unitaria idonea a porsi come cessionario di azienda (motivo 7.1., pag. 31 del ricorso in appello e primo motivo dello stesso, pagg. 18-20) e quelli con i quali entrambe le impugnanti (motivo 7.2. di e motivo contraddistinto dal § 7 di S.p.A.) addebitano al primo giudice di non aver rettamente percepito la diversità e le discontinuità del nuovo appalto rispetto al passato.
9.1. Prima di esaminare siffatte censure, va premesso, in punto di fatto, che, in difetto di specifica censura sul punto, debbono ritenersi definitivamente acquisiti al giudizio gli accertamenti in fatto enunciati al § 6 della sentenza appellata, ossia che «sino al 15 gennaio 2019 tutti i ricorrenti erano dipendenti –alcuni con rapporto di lavoro pluriennale- della società , come risulta dalle buste paga depositate in atti, quali addetti al servizio di prenotazione delle visite mediche del servizio sanitario nazionale (c.d. CUP) svolgendo la propria prestazione in appositi spazi attrezzati presso i presidi sanitari della Asl Rm3. A decorrere dal 16 gennaio 2019, il giorno successivo, nonostante i lavoratori si siano presentati regolarmente in servizio, abbiano continuato a svolgere esattamente le medesime mansioni, con lo stesso orario, nei medesimi locali e con le stesse attrezzature, essi sono passati alle dipendenze di s.p.a. ovvero di e di . Ci è avvenuto, peraltro, senza che prima della nuova assunzione i lavoratori abbiano dovuto rassegnare le dimissioni né siano stati destinatari di lettere di licenziamento da parte della
s.r.l., come risulta anche in via documentale».
Allo stesso tempo, l’analogia tra i servizi resi dal precedente appaltatore ed i successivi non appaiono seriamente contestabili, essendovi sostanziale identità tra le attività descritte al § A.1 (sino a pag. 5) dell’Offerta tecnica formulata dal RTI aggiudicatario (doc. 2 fasc. I grado ) e quelle enunciate nel capitolato tecnico relativo al contratto di appalto intercorso tra e AUSL Roma D.
L’istruttoria espletata, poi, ha consentito di ritenere provato che i ricorrenti, pur dopo essere stati assunti dalle appellanti, continuarono ad utilizzare i medesimi strumenti informatici messi a diposizione dall’ASL (cfr. teste : «sono entrata quindi nei medesimi sistemi applicativi, della Regione e della Asl, con le stesse password che usavo il giorno prima» e teste : «non sono stati introdotti nuovi pc, che sono sempre quelli di proprietà della ASL»), laddove la sentenza gravata ha accertato, anche qui senza contestazione alcuna da parte delle impugnanti, che l’attività lavorativa ha continuato ad essere espletata «negli stessi luoghi ove hanno operato i ricorrenti sin dall'assunzione con il precedente appaltatore».
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I sopra riportati elementi fattuali escludono che nella presente fattispecie possa reputarsi vinta la presunzione di trasferimento di azienda che il giudice di legittimità ha ritenuto insita nell’art. 29, comma 2 d.lgs., 276/2003, soprattutto alla luce dell’insegnamento della Corte di Giustizia per cui nelle attività basate essenzialmente sulla manodopera tale fattispecie ricorre anche quando «il nuovo titolare dell’impresa non si limiti a proseguire l’attività stessa, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore a tali compiti», perché in tale evenienza «il nuovo imprenditore acquisisce infatti l’insieme organizzato di elementi che gli consentirà il proseguimento in forma stabile delle attività o di talune attività dell’impresa cedente» (CGUE sentenza 24.6.2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C-550/19, punto 93; CGUE sentenza 11.7. 2018, Somoza Hermo e Ilunión Seguridad, C‑60/17, punti 34 e 35), restando per contro irrilevante in tali ipotesi la mancata cessione degli elementi materiali non indispensabili al buon funzionamento dell’entità economica interessata (GUE sentenza 24.6.2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C550/19, punto 97).
La sentenza appellata, dunque, costituisce corretta applicazione di tali principi, laddove ha affermato che «il nuovo datore di lavoro non si è limitato a svolgere un servizio analogo a quello del precedente appaltatore, ma ha utilizzato l’organizzazione di quest’ultimo, costituita dall’insieme dei lavoratori impegnati nell’esecuzione del servizio», in quanto «l’identità dell’attività economica (rectius, dell’entità economica) emerge nel caso che ci occupa da una pluralità di elementi, quali il trasferimento integrale dei beni materiali ed immateriali, l’utilizzo della specifica professionalità del medesimo gruppo di lavoratori addetti al precedente appalto, la stabilità della clientela, l’identità dell’attività svolta», dovendo soltanto emendarsi una (per la verità irrilevante) imprecisione delle argomentazioni del primo giudice, laddove identifica la clientela nella generalità degli assistiti, dovendo più correttamente affermarsi che le destinatarie del servizio reso (e quindi clienti delle appaltatrici) sono le varie Azienda Sanitarie Locali della Regione Lazio, anch’esse non mutate nel passaggio di appalto (il servizio reso da S.r.l. ben avrebbe potuto essere svolto in favore di Aziende sanitarie diversa dall’AUSL Roma D, i cui presidi comunque – come già osservato – sono stati ricompresi nel Lotto 2, aggiudicato alle appellanti).
Tale conclusione non appare contraddetta dal rilievo, con il quale sostiene che il raggruppamento temporaneo di imprese «non può in alcun caso acquisire un’azienda o un ramo di azienda» e che essa appellante ha assunto soltanto sei lavoratori già dipendenti dalla passata gestione, che di certo non sono qualificabili in termini di ramo di azienda.
I ricorrenti, infatti, sin dall’atto introduttivo della lite, hanno allegato che le ragioni per le quali taluni di essi sono stati assunti da S.p.A., talaltri da Società cooperativa sociale e altri ancora da Società cooperativa - alla quale si assume che i lavori appaltati siano stati in qualche modo ceduti dal Consorzio Lavoro e Ambiente Società cooperativa, originario membro del RTI (cfr. pag. 17 appello ) e della quale
S.p.A. è divenuta acquirente dell’azienda successivamente alla sentenza di primo grado - si fondavano su criteri non esplicitati, «ma di certo non connessi con l’attività da svolgere», poiché (affermavano) che tutti i dipendenti di tali compagini sociali erano stati addetti al medesimo servizio, con uguali mansioni e stesso superiore gerarchico, «anch’esso indifferentemente dipendete da una qualsiasi delle convenute» (cfr. § 5 lett. a del ricorso di primo grado).
Tale rappresentazione della realtà - che chiaramente prospetta una cogestione indifferenziata sia dell’appalto e sia del complesso aziendale che si assume trasferito e quindi la qualità di cessionarie in solido delle tre società subentranti – non è stata in alcun modo contrastata dalle originarie resistenti, che non solo non hanno mai chiarito (né chiariscono in questa sede) gli specifici criteri che hanno presieduto all’assunzione degli ex dipendenti S.r.l., determinandone “l’acquisizione” da parte di una compagine sociale piuttosto che di un’altra, ma non hanno neppure dedotto che l’esecuzione dei servizi resi nell’ambito dell’appalto in favore dei presidi ricompresi nel Lotto 2 fosse tra loro suddivisa in base a una qualche sfera di competenza individuabile secondo criteri obiettivi.
Ne consegue, dunque, da un lato, che resta inconferente l’affermazione di diretta a postulare che il RTI non potrebbe mai divenire cessionario di un ramo di azienda, poiché la tesi dei lavoratori appellati è che il complesso aziendale sia unitariamente stato acquistato dalle impugnanti (e da Società cooperativa) e, dall’altro, che la circostanza che soltanto sei degli ex dipendenti siano stati assunti (contrattualizzati, secondo la dizione della prassi) da non è sufficiente a negare l’ipotesi (dedotta dai ricorrenti) dell’avvenuto trasferimento di azienda, apparendo la suddivisone dei dipendenti operato dalle nuove aggiudicatarie una mera artificiosa frammentazione dei rapporti di lavoro, del tutto priva di ragioni produttive e organizzative idonee a giustificarla.
9.2 Il residuo motivo di impugnazione articolato da (contraddistinto dal § 7.2) asserisce che, diversamente da quanto opinato dalla sentenza gravata, l’istruttoria aveva
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dimostrato l’effettiva sussistenza degli elementi di discontinuità di cui all’art. 29, comma 2
d.lgs. 276/2003, poiché (assume l’appellante) i testi avevano riferito che: (a) e gli altri membri del RTI utilizzano un software gestionale del tutto diverso da quello utilizzato precedentemente da ; (b) le società parte del RTI hanno fatto formazione specifica ai lavoratori, per presentare e spiegare le modifiche organizzative ed i nuovi applicativi informatici; (c) in c’era una c.d. “sala operativa” che gestiva i turni e le sostituzioni del personale, mentre l’RTI ha introdotto la figura del “team leader”, che ha un ruolo, responsabilità e caratteristiche del tutto diverse da quelle precedentemente assegnate ai “coordinatori” di ; (d) è stata introdotta la figura dello “specialist” o della possibilità delle candidature tramite job-posting interni; (e) è stata creata una nuova procedura di cassa e sono stati introdotti i totem eliminacode.
Tanto premesso, l’appellante censura la sentenza gravata anche nella parte in cui ha affermato che dette innovazioni non rappresentassero veri e propri elementi di discontinuità, ma conseguenze dello sviluppo tecnologico che sarebbero ugualmente avvenute con tempo o comunque modificazioni organizzative di scarsa rilevanza rispetto al passato.
Il corrispondente motivo di appello formulato da S.p.A. (cfr. § 7.5) invoca la sussistenza dei medesimi elementi di dedotta discontinuità, ai quali aggiunge anche la diversa dimensione organizzativa dell’appalto (§ 7.6), dolendosi infine della loro devalutazione da parte del primo giudice, per poi invocare (sempre nel § 7.6.) la prosecuzione dell’istruttoria orale.
9.2.1 Tale ultima richiesta deve essere respinta, poiché la prova testimoniale espletata in primo grado ha consentito l’esauriente approfondimento dei punti controversi, né detta prosecuzione potrebbe giustificarsi con l’unica ragione prospettata dalla S.p.A., ossia con l’asimmetria verificatisi nel giudizio di primo grado, nel quale (si assume) i ricorrenti hanno indotto due testimoni (testi ), mentre la solo uno (teste ).
Premessa in linea di principio l’irrilevanza dell’asimmetria tra il numero dei testi citati ad istanza di una parte e quelli citati ad istanza della controparte, osserva la Corte che la censura muove da un errato presupposto di fatto.
In primo grado, infatti, sono stati escussi i testi (indicati dai soli lavoratori) ed i tesi (entrambi indicati dalla
S.p.A. e la sola anche da ), sicché l’invocato criterio della simmetria, per quanto irrilevante, è stato rispettato , per essere stati escussi due testi indicati dai lavoratori e due testi di parte datoriale.
9.2.2. Tanto premesso, l’idoneità delle innovazioni dedotte dagli appellanti a costituire elementi di discontinuità ex art. 29, comma 2 d.lgs. 276/2003 deve essere valutata alla luce dell’insegnamento del giudice di legittimità, per cui la discontinuità dell’impresa subentrante sussiste solo se «il complesso di elementi organizzativi e produttivi introdotti, nello specifico appalto, dal subentrante sia caratterizzato da profili di tale novità da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarità precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano ’esecuzione dell’appalto», con il corollario per cui «le modifiche organizzative apportate dall’impresa subentrante nella fase di esecuzione dell’appalto determineranno, dunque, una “discontinuità “ nella misura in cui incidano sul complesso aziendale in modo tale da integrare una autonomia funzionale insufficiente», così «da interrompere il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l’esecuzione dell’appalto», mentre, per contro, la discontinuità dovrà reputarsi insussistente «tutte le volte in cui si rilevi che l’entità trasferita – senza la necessità di integrazioni di rilievo da parte dell’impresa subentrante – sia idonea ad eseguire l’appalto in tendenziali condizioni di autonomia operativa» (sin qui passi citati da Cass. 24.10.2024 n. 27607; cfr. anche, seppur in termini più generali, Cass. 19.7.2024 n. 19977).
Tali principi portano a disattendere anche i motivi di appello diretti a dolersi della mancata valutazione della sussistenza di «elementi di discontinuità».
Il software gestionale, infatti - secondo quanto si apprende dagli unici testi che lo hanno descritto in maniera sufficientemente dettagliata indicandone anche gli elementi di differenziazione rispetto a quello utilizzato dal precedente appaltatore (testi e
, laddove la deposizione di appare poco fruibile sul punto, poiché le sue dichiarazioni sono oltremodo fumose e vaghe circa la differenza tra la precedente e l’attuale gestione, non consentendo di comprendere esattamente gli elementi di diversità) - consisteva in un applicazione informatica che consentiva di registrare l’orario in entrata ed in uscita dei lavoratori e le rispettive mansioni, la cui unica differenza rispetto al corrispondente sistema informatico impiegato dalla (o , come scrivono le appellanti) consisteva nella diversità del relativo portale ovvero, per usare le plastiche parole della teste , nel fatto di «appartenere uno ad una società e l’altro all’altra».
L’utilizzo di tale diverso sistema informatico, peraltro finalizzato al mero controllo delle presenze e quindi comunque estraneo al combinarsi dei fattori produttivi costituenti l’azienda ceduta, certamente resta privo di incidenza sull’idoneità di quest’ultima ad eseguire l’appalto in condizioni di autonomia, essendo fisiologico che, anche nel trasferimento di azienda c.d. puro (ossia avulso dal subentro nell’appalto), il nuovo datore di lavoro utilizzi propri criteri e propri strumenti per verificare le presenza in servizio dei lavoratori rientranti nel complesso aziendale ceduto e possa imporre una minor tolleranza su eventuali “sforamenti di orario” (tale appare essere, secondo i testi, l’unica novità rispetto al passato, dove era ammesso un ritardo di dieci minuti nell’inserimento della presenza).
I corsi di formazione, poi, da un lato, sono stati erogati in adempimento di un preciso obbligo previsto dalla legge senza differenziarsi da quelli già offerti dal precedente datore di lavoro (così il teste «ho partecipato a diversi corsi stabiliti dalla legge on line, che tuttavia c’erano anche nella precedente gestione») e, dall’altro, hanno riguardato, secondo quanto emerso dall’istruttoria orale, materie obbligatorie o comunque utili per la generalità dei lavoratori indipendentemente dalla loro adibizione ad uno specifico appalto (i tesi
hanno riferito di corsi sulla sicurezza sul lavoro, sulla privacy e sul d.lgs.
231/2001 ed un altro, narrato dalla sola , sulla leadership).
Tale attività formativa, dunque, difetta di ogni specifica attinenza con l’attività dedotta in appalto e non è neppure in astratto idonea ad assurgere ad elemento di discontinuità, ferma restando la carenza del carattere della novità rispetto al passato.
Identiche considerazioni valgono per il corso sugli applicativi , del quale ha narrato la teste , peraltro apparentemente rivolto ai soli team leader, che poi avrebbero dovuto spiegare gli applicativi agli operatori di sportello.
Trattasi, infatti, di attività formativa descritta, sia dalla teste e sia dalle stesse appellanti, in maniera talmente generica, sia quanto al suo effettivo contenuto sia quanto agli
“applicativi” oggetto di formazione, da non consentirne la positiva valutazione in termini di elemento di discontinuità.
A tali rilievi deve aggiungersi che la teste ha riferito, in nulla sul punto contraddetta dagli altri dichiaranti, che tale formazione non è stata poi effettivamente offerta agli operatori di sportello («Non mi risulta che ci sia stato fatto fare alcun corso di formazione né incontri neanche sulle modalità per l’utilizzo dei nuovi applicativi né per altre ragioni») e che nessun corso è stato svolto nella prima settimana di lavoro («nessun corso ci è stato fatto fare nella prima settimana di lavoro»), sicché anche il corso sugli applicativi S.p.A. si presenta come inessenziale rispetto alla corretta esecuzione dell’appalto.
L’introduzione della figura del team leader e del suo ausilio rappresentato dallo specialist, poi, rettamente è stata considerata dalla sentenza gravata null’altro che una nuova denominazione di quella particolare posizione lavorativa che in precedenza, ossia nella rapporto di lavoro alle dipendenze del cessato appaltatore, era rappresentata dal coordinatore.
La decisione impugnata, infatti, coglie nel segno - e sul punto rappresenta fedele e corretta percezione delle dichiarazioni dei testi - laddove ha affermato che i team leader hanno continuato a svolgere le pressocché analoghe funzioni di coordinamento e gestione dei turni in precedenza affidate ai coordinatori ed alla sala operativa, né in senso contrario rileva che i team leader avessero una competenza estesa anche ai rapporti con la dirigenza ASL ed alla rendicontazione dell’appalto (testi ), trattandosi di compiti aggiuntivi, in precedenza affidati ad altre figure professionali che qui non rilevano, che esulano dall’obiettiva idoneità del complesso aziendale come sopra individuato ad eseguire lo specifico compito per il quale era stato costituito.
L’attività di gestione dei cartellini, che la teste identifica come compito nuovo ed aggiuntivo del team leader, da un lato, è rimasta ignota (nel silenzio del teste e delle appellanti) nel suo effettivo contenuto e, dall’altro, appare concretizzarsi in quella raccolta delle firme e in quel controllo dei cartellini che il teste ha riferito essere mansione dello specialist, ossia in un’attività che non concerne l’organizzazione dei fattori produttivi costituenti il ramo di azienda, ma il mero controllo sulla presenza in servizio dei lavoratori, così essendo inidonea a costituire elemento di discontinuità.
L’ulteriore circostanza, poi, per cui i team leader avevano una loro propria competenza funzionale (ogni team leader o gruppo di team leader si occupava di una specifica commessa), laddove nella cessata gestione vi era una sola centrale operativa è diretta conseguenza del fatto che l’attuale appalto, a differenza di quello precedente limitato alla sola ASL Roma 3, prevedeva una pluralità di commesse.
Ne consegue, dunque, che neppure detto elemento pu essere apprezzato come elemento di discontinuità, essendo sostanzialmente irrilevante ai fini del corretto funzionamento del complesso aziendale che i turni dei lavoratori addettivi siano organizzati da una sola o da più persone.
Non dissimili considerazioni debbono svolgersi quanto al c.d. job posting, la cui inerenza all’appalto le impugnanti non spiegano in alcun modo, limitandosi ad affermarla apoditticamente.
Si apprende, infatti, dalle dichiarazioni dei testi che detto job posting (peraltro ignoto alla teste e sul quale ha riferito il solo teste , che ha ricoperto la figura di team leader) null’altro rappresentava se non la sollecitazione rivolta a tutti i lavoratori a presentare la propria candidatura per posizioni lavorative interne che le rispettive datrici di lavoro reputavano necessario ricoprire, sicché detta innovazione organizzativa pu pianamente essere eliminata senza che venga meno l’idoneità del complesso aziendale in esame ad eseguire correttamente la prestazione dedotta in appalto.
Neppure l’introduzione dei totem eliminacode pu apprezzarsi quale valido elemento di discontinuità ai sensi dell’art. 29, comma 2 d.lgs. 276/2003, sia perché la loro introduzione è stata graduale nei vari lotti aggiudicati (testi ) - sicché ben si pu
dubitare della loro essenzialità rispetto all’esecuzione dell’appalto da parte del complesso aziendale rappresentato dai lavoratori subentranti oggi appellati - e sia perché, come rettamente osserva la sentenza impugnata, detti totem null’altro rappresentano se non una mera evoluzione tecnologica di una procedura eliminacode già in uso durante la precedente
gestione dell’appalto (le test , ossia le uniche che hanno risposto sul punto, sono concordi nel riferire che in precedenza vi era un sistema eliminacode più elementare, che funzionava tramite pulsantiera collegata al computer dell’operatore).
La sentenza appellata, inoltre, deve condividersi, con conseguente reiezione delle corrispondenti censure formulate sul punto dalle appellanti, anche nella parte in cui ha ricondotto alla mera evoluzione tecnologia la dedotta nuova procedura di cassa, così negandone la valenza di elemento di discontinuità.
Emerge, infatti, dalle dichiarazioni dei testimoni (In particolare della teste sul punto colei che ha riferito in maniera più dettagliata) che il tratto differenziale
rispetto al passato è rappresentato dal fatto che, vigente l’appalto aggiudicato alle attuali appellanti, le operazioni contabili di chiusura, di quadratura e di consegna del denaro alla committente erano eseguite virtualmente (ossia in modalità telematica), laddove in precedenza le medesime operazioni erano eseguite fisicamente, con materiale consegna del denaro ai dipendenti dell’ASL (così la teste : «l’operatore che lavora allo
sportello e chiude il turno fa la chiusura di cassa, con un apposito applicativo, poi ripone una busta in cassaforte, ovvero fa le distinte virtuali. Prima si consegnavano invece materialmente i soldi al personale della ASL. Anche per ciò che riguarda il POS, quest’ultimo veniva consegnato al referente ASL e a fine giornata veniva controllato, si faceva una chiusura di cassa ma i soldi venivano consegnati al personale ASL. Poi a fine mese il dipendente ASL faceva la quadratura. Ora il personale ASL non c’è più»).
Il mutamento, dunque, riguarda soltanto la mera modalità di esecuzione (più tecnologica rispetto al passato) della medesima prestazione richiesta dalla committente e già svolta dai lavoratori appellati nella vigenza della precedente gestione ( , pe usare la locuzione delle appellanti) e non rappresenta dunque un elemento di discontinuità ai sensi dell’art. 29, comma 2 d.lgs. 276/2003, poiché non interrompe, per usare le parole del giudice di legittimità (Cass. 234.10.2024 n. 27607), il nesso funzionale di interdipendenza e complementarietà precedentemente sussistente tra i fattori della produzione che consentivano l’esecuzione dell’appalto-
Neppure rileva, ai fini della sussistenza degli elementi di discontinuità di cui all’art. 29 comma 2 d.lgs. 276/2003, l’introduzione di un diverso sistema di firma digitale.
In primo luogo, infatti, deve osservarsi che le due impugnazioni non censurano efficacemente la sentenza gravata nella parte in cui l’ha ritenuta irrilevante a tali fini, siccome mera innovazione conseguente al processo tecnologico, che con il tempo sarebbe stata comunque introdotta (scilicet, anche dal vecchio appaltatore), poiché le appellanti, pur dolendosi di detta affermazione, si limitano alla mera trascrizione delle parole dei testi, senza indicare le ragioni per le quali l’affermazione del Tribunale sarebbe erronea ed in particolare le ragioni per le quali la firma digitale sarebbe stata essenziale nell’esecuzione dell’appalto ed avrebbe determinato un diverso combinarsi dei fattori produttivi in riferimento all’azienda ceduta.
In secondo luogo, poi, parole del teste (l’unico che ha riferito sul punto) confermano la conclusione del Tribunale, poiché il dichiarante, da un lato, ha riferito che la firma digitale già esisteva e, dall’altro, non ha in nulla specificato in che cosa consistesse la diversità di quella introdotta dalle impugnanti oppure in quali termini «il nuovo software è legato alla firma digitale» (così il teste), né detti elementi differenziali o di connessione con il software sono stati altrimenti specificati dalle parti impugnanti.
Resta, infine, irrilevante, come già in precedenza illustrato, la maggior dimensione dell’appalto che S.p.A. cerca di valorizzare come elemento di discontinuità.
In questa sede pu soltanto aggiungersi, a quanto precedentemente esposto, che tale dato fattuale, infatti, assumerebbe rilevanza soltanto ove fosse dimostrata la sua incidenza causale sul quel gruppo di lavoratori subentrante che in precedenza prestavano la propria opera nella commessa denominata ASL Roma 3; incidenza causale che nella specie deve ritenersi del tutto insussistente, sol che si rifletta che gli appellati hanno continuato a svolgere, peraltro senza soluzione di continuità, la propria attività lavorativa presso i
medesimi presidi della ex ASL Roma 3 ove lavoravano alle dipendenze del precedente appaltatore, svolgendo i medesimi compiti e senza alcuna integrazione di organico resasi necessaria dalla natura dell’appalto (sul punto difetta sia la deduzione e sia, conseguentemente, la prova)
10. Gli appelli riuniti sono dunque respinti e la sentenza appellata, così ampliatane la motivazione, deve essere confermata.
Le spese del grado seguono la soccombenza, tenendosi conto ai fini della loro liquidazione della trattazione separata degli appelli sino alla loro riunione, disposta all’udienza del 19.1.2023.
La Corte, infine, dà atto che sussistono per entrambe le appellanti le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PQM
La Corte così provvede:
A) respinge gli appelli riuniti;
B) condanna le appellanti a rifondere agli appellati costituiti le spese del presente grado, che liquida per ciascuna appellante in € 5.300,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi;
C) dà atto che sussistono per ciascuna delle appellanti le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
Roma il 5.12.2024
Il Consigliere estensore La Presidente
dr. Vito Riccardo Cervelli
dr.ssa Vittoria Di Sario
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