CGUE 2025-La sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea nell'ambito della causa C-247/23 rappresenta un importante passo avanti per i diritti delle persone transgender. Con questa decisione, la Corte ha stabilito che la rettifica dell'identità di genere non può essere condizionata alla prova di un intervento chirurgico. Questo significa che le persone che desiderano modificare il proprio dato personale legato all'identità di genere non sono obbligate a sottoporsi a procedure chirurgiche per vedere riconosciuta la loro identità.
Questa sentenza riflette un cambiamento significativo nell'approccio giuridico alla questione dell'identità di genere, promuovendo una visione più inclusiva e rispettosa dei diritti individuali. La Corte ha sottolineato l'importanza del rispetto della dignità e dell'autonomia delle persone, riconoscendo che l'identità di genere è una questione personale e non dovrebbe essere limitata da requisiti medici o chirurgici.
Questa decisione potrebbe avere un impatto positivo sulla vita di molte persone transgender, facilitando il riconoscimento legale della loro identità e contribuendo a ridurre la discriminazione e le difficoltà che affrontano nel loro quotidiano.
Edizione provvisoria
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
ANTHONY MICHAEL COLLINS
presentate il 12 settembre 2024 (1)
Causa C‑247/23 [Deldits] (i)
VP
contro
Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság
[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria)]
« Rinvio pregiudiziale – Protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali – Regolamento (UE) 2016/679 – Articolo 16 – Diritto di rettifica di dati personali inesatti – Dato relativo al genere di un rifugiato transgender – Portata »
I. Introduzione
1. L’articolo 16 del regolamento generale sulla protezione dei dati (2), in materia di diritto di rettifica, interpretato alla luce dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento, concernente il principio di esattezza, impone all’organismo che tiene un registro nazionale dei rifugiati di rettificare i dati personali in esso registrati concernenti il genere di una persona? In caso affermativo, quali prove esso può richiedere a una persona che chieda la rettifica di tali dati? La Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria) chiede una risposta a tali questioni.
II. Contesto normativo
A. RGPD
2. L’articolo 5 del RGPD, intitolato «Principi applicabili al trattamento di dati personali», stabilisce quanto segue:
«1. I dati personali sono:
(…)
d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati (“esattezza”);
(…)».
3. L’articolo 16 del RGPD, intitolato «Diritto di rettifica», così dispone:
«L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa».
4. L’articolo 23 del RGPD, intitolato «Limitazioni», prevede quanto segue:
«1. Il diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento può limitare, mediante misure legislative, la portata degli obblighi e dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 e 34, nonché all’articolo 5, nella misura in cui le disposizioni ivi contenute corrispondano ai diritti e agli obblighi di cui agli articoli da 12 a 22, qualora tale limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per salvaguardare:
a) la sicurezza nazionale;
b) la difesa;
c) la sicurezza pubblica;
d) la prevenzione, l’indagine, l’accertamento e il perseguimento di reati o l’esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica;
e) altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro, in particolare un rilevante interesse economico o finanziario dell’Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale;
f) la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura e dei procedimenti giudiziari;
g) le attività volte a prevenire, indagare, accertare e perseguire violazioni della deontologia delle professioni regolamentate;
h) una funzione di controllo, d’ispezione o di regolamentazione connessa, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri nei casi di cui alle lettere da a), a e) e g);
i) la tutela dell’interessato o dei diritti e delle libertà altrui;
j) l’esecuzione delle azioni civili.
(…)».
B. Diritto ungherese
5. L’articolo 81 della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007, in materia di diritto d’asilo) (in prosieguo: la «legge in materia di diritto d’asilo») (3) è così formulato:
«L’autorità competente in materia di asilo tratta nel registro relativo a tale materia i dati personali dei rifugiati, dei beneficiari di protezione sussidiaria, dei beneficiari della condizione di persona accolta, dei beneficiari di protezione provvisoria, nonché delle persone che chiedono protezione internazionale e delle persone soggette alla procedura Dublino (in prosieguo, congiuntamente: le “persone soggette alla presente legge”), i dati riguardanti il loro soggiorno nonché l’assistenza e gli aiuti cui hanno diritto, così come le successive modifiche degli stessi, al fine di:
a) verificare che esse abbiano lo status di rifugiato, di beneficiario di protezione sussidiaria, di beneficiario di protezione provvisoria o di beneficiario della condizione di persona accolta e assicurarsi che spetti loro il godimento dei diritti derivanti da tale status;
b) verificare che spetti loro il diritto all’assistenza e agli aiuti definiti nella presente legge e in altre norme;
c) verificare la loro identità personale;
d) evitare la duplicazione di procedure; e
e) accertare se la domanda sia stata presentata più volte».
6. L’articolo 82, lettera f), della legge in parola stabilisce quanto segue:
«Ai fini del presente capo, sono considerati dati di identificazione delle persone fisiche i seguenti dati delle persone soggette alla presente legge:
(…)
f) il [sesso/genere]».
7. L’articolo 83, paragrafo 1, di detta legge così dispone:
«Il registro in materia di asilo contiene i seguenti dati delle persone soggette alla presente legge:
a) i dati di identificazione delle persone fisiche;
(…)».
8. L’articolo 83 A, paragrafo 5, della legge in materia di diritto d’asilo prevede quanto segue:
«L’autorità competente in materia di asilo deve cancellare d’ufficio le annotazioni contrarie alla normativa, correggere quelle non corrette e inserire le annotazioni mancanti nel registro ufficiale da essa tenuto».
III. Controversia nel procedimento principale e questioni pregiudiziali
9. Nel 2014, l’autorità competente ungherese ha riconosciuto lo status di rifugiato a V.P. (in prosieguo: la «parte ricorrente») (4), persona di cittadinanza iraniana che è «nata femmina». Nel procedimento che ha condotto a tale decisione, la parte ricorrente ha fatto valere la propria transessualità come motivo per il riconoscimento dello status di rifugiato e ha prodotto certificati di specialisti di psichiatria e ginecologia a titolo di prova. Dopo il riconoscimento dello status di rifugiato della parte ricorrente, l’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság (Direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, Ungheria; in prosieguo: la «parte resistente») ne ha registrato i dati personali, compreso il genere, nel registro in materia di asilo della cui tenuta è responsabile, al fine di facilitarne l’identificazione. Nel registro consta che la parte ricorrente è una persona di sesso femminile.
10. Nel 2022 la parte ricorrente ha presentato alla parte resistente, ai sensi dell’articolo 16 del RGPD, una richiesta di rettifica di due dati contenuti nel registro in materia di asilo: il nome con il quale era stata registrata e il genere, cambiandolo da femminile a maschile. A sostegno di tale richiesta, la parte ricorrente ha prodotto le stesse prove mediche che aveva presentato nel corso della procedura di asilo. Con decisione dell’11 ottobre 2022 (in prosieguo: la «decisione»), la parte resistente ha respinto tale richiesta. Esso ha dichiarato che i documenti forniti confermavano unicamente la transessualità della parte ricorrente. Tali documenti non dimostravano che essa si fosse sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione del genere, né che fosse intervenuto un cambiamento del genere.
11. La parte ricorrente ha proposto un ricorso dinanzi al giudice del rinvio chiedendo l’annullamento della decisione. La parte ricorrente si è identificata come uomo per tutto il periodo rilevante. Essa ha sostenuto che, da un punto di vista concettuale, la transessualità implica un cambiamento di genere. Le relazioni mediche presentate confermano che la parte ricorrente ha un aspetto mascolino e che le è stato attribuito per la diagnosi il codice F64.0 della Classificazione internazionale delle malattie, corrispondente al transessualismo. Fondandosi sulla giurisprudenza della Corte EDU (5), la parte ricorrente ha affermato che per la riassegnazione del genere non è necessario un intervento chirurgico. La procedura di rettifica di cui all’articolo 16 del RGPD non può imporre a una persona di produrre una «prova eccessiva» e, in particolare, un certificato che attesti che si è sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione del genere. In ogni caso, siffatto requisito sarebbe contrario alla giurisprudenza della Corte EDU. Esso violerebbe altresì l’articolo 1 (diritto alla dignità umana), l’articolo 3 (diritto all’integrità della persona), l’articolo 7 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’articolo 52, paragrafo 3, (principio della protezione equivalente dei diritti fondamentali) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). La parte ricorrente ricorda, inoltre, che una serie di Stati membri (6) attribuisce alla dichiarazione della persona transgender il valore di prova giuridica della sua identità di genere.
12. La parte resistente chiede il rigetto del ricorso. Essa sostiene che la parte ricorrente non ha fornito alcun documento pubblico o prova medica che certifichi l’asserito cambiamento di genere.
13. Il giudice del rinvio ritiene necessaria un’interpretazione dell’articolo 16 del RGPD al fine di chiarire a quali condizioni l’interessato possa ottenere la rettifica del dato relativo al suo genere contenuto nel registro. Sebbene la legge in materia di diritto di asilo disciplini il trattamento delle modifiche dei dati registrati e la rettifica delle voci erronee, essa non disciplina la procedura né i requisiti in presenza dei quali può essere registrato il cambiamento del genere o il conseguente cambiamento di nome.
14. Nella sua sentenza del 27 giugno 2018, l’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale, Ungheria) (7), ha dichiarato incostituzionale l’omessa previsione, da parte del legislatore ungherese, di una procedura per consentire il cambiamento di genere e di nome delle persone prive di cittadinanza ungherese e legalmente stabilite in Ungheria, mentre detta possibilità era invece riconosciuta ai cittadini ungheresi, a causa della violazione dell’articolo II (inviolabilità della dignità umana) e dell’articolo XV, paragrafo 2, (divieto di discriminazione), della Magyarország Alaptörvény (Legge fondamentale dell’Ungheria). L’Alkotmánybíróság (Corte Costituzionale) ha esortato il Parlamento ungherese a porre rimedio a tale omissione al più tardi entro il 31 dicembre 2018. Nella sua sentenza del 16 luglio 2020, nella causa Rana c. Ungheria (8), la Corte EDU ha dichiarato che l’Ungheria aveva violato l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), non avendo concesso a un rifugiato la possibilità di accedere a una procedura per facilitare il riconoscimento giuridico del cambiamento di genere.
15. La Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ricorda che, nonostante le sentenze dell’Alkotmánybíróság (Corte Costituzionale) e della Corte EDU, la normativa ungherese non prevede una procedura per il riconoscimento giuridico del cambiamento di genere per le persone che risiedono legalmente in Ungheria ma non hanno la cittadinanza di tale Stato membro. A seguito della sentenza dell’Alkotmánybíróság (Corte Costituzionale), l’Ungheria ha cessato di concedere il riconoscimento giuridico del cambiamento di genere anche ai propri cittadini. Di conseguenza, il giudice del rinvio ritiene di non poter «colmare la lacuna normativa applicando per analogia le disposizioni relative ai cittadini ungheresi».
16. La Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che l’autorità incaricata della tenuta dei registri ai sensi del diritto nazionale sia tenuta, in relazione all’esercizio dei diritti della persona interessata, a rettificare il dato personale relativo al genere di detta persona registrato dall’autorità nel caso in cui tale dato sia cambiato dopo il suo inserimento nel registro e non sia pertanto conforme al principio di esattezza stabilito dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD.
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione pregiudiziale, se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che richiede che la persona che chiede la rettifica del dato relativo al suo genere fornisca prove che giustifichino la sua domanda di rettifica.
3) In caso di risposta affermativa alla seconda questione pregiudiziale, se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che la persona richiedente è tenuta a dimostrare di essersi sottoposta ad una riassegnazione chirurgica del genere».
IV. Procedimento dinanzi alla Corte
17. La parte ricorrente, i governi estone, spagnolo, francese, ungherese, dei Paesi Bassi e portoghese, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte.
18. Dalle osservazioni scritte della parte ricorrente emerge che essa «nel frattempo», ha acquisito la cittadinanza ungherese e che la sua iscrizione nel registro in materia di asilo non è più necessaria. Ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte di giustizia, la Corte ha chiesto al giudice del rinvio di chiarire l’impatto di tale mutamento delle circostanze sul procedimento principale. Il giudice del rinvio ha risposto che detto mutamento non influisce sull’esito di tale procedimento poiché, ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 2, della közigazgatási perrendtartásról szóló 2017. évi I. törvény (legge n. I del 2017 che istituisce il codice del processo amministrativo) (9), detto giudice «controlla la legittimità dell’azione amministrativa in base ai fatti esistenti nel momento in cui è avvenuta».
19. La parte ricorrente, i governi spagnolo, francese, ungherese, dei Paesi Bassi e la Commissione europea hanno svolto osservazioni orali e risposto ai quesiti della Corte nel corso dell’udienza del 3 giugno 2024.
V. Valutazione
A. Prima questione
1. Argomenti concernenti la prima questione
20. La parte ricorrente sostiene che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD, l’esattezza dei dati deve essere valutata tenendo conto delle finalità per le quali vengono trattati. Lo scopo del registro in materia di asilo è identificare le persone che l’Ungheria riconosce come rifugiati. Quando il genere di una persona transgender, così come registrato, non rispecchia l’identità con cui essa viene riconosciuta in pubblico, rispetto alla sua identità giuridica, tale registrazione non facilita la sua identificazione e può persino esporla a discriminazioni e molestie. L’articolo 16 del RGPD dovrebbe essere interpretato in modo da facilitare la rettifica dei dati relativi al genere delle persone transgender.
21. Con riferimento all’articolo 15, paragrafo 1, lettera d), all’articolo 6, paragrafo 2, e all’articolo 16 del RGPD, il governo estone sostiene che gli Stati membri devono introdurre norme procedurali nazionali per consentire a una persona che abbia cambiato genere di chiedere la rettifica dei dati personali contenuti in un registro pubblico divenuti inesatti rispetto alle finalità per le quali sono stati trattati.
22. Il governo spagnolo sostiene che una normativa nazionale sul riconoscimento giuridico dell’identità transgender che imponga condizioni alle persone che chiedono di rettificare i dati personali relativi al genere contenuti in registri pubblici limita l’esercizio del diritto di rettifica di cui all’articolo 16 del RGPD. Sebbene tali limitazioni possano essere giustificate dalla necessità di salvaguardare gli interessi menzionati all’articolo 23 del RGPD, l’Ungheria non potrebbe invocare tale disposizione, poiché non ha adottato una normativa in materia di riconoscimento del genere delle persone transgender. In ogni caso, i vari interessi menzionati in tale disposizione non si applicherebbero alle circostanze della causa pendente dinanzi al giudice del rinvio.
23. Poiché la parte ricorrente ha lo status di rifugiato, il governo spagnolo sostiene inoltre che altre disposizioni del diritto dell’Unione, diverse dal RGPD, sono pertinenti ai fini del rinvio pregiudiziale in esame, sicché la Corte dovrebbe riformulare la prima questione. Tra le misure che la Corte dovrebbe interpretare in tale contesto vi sono gli articoli 7 e 21 della Carta, l’articolo 24, paragrafo 1 (10), e l’articolo 25, paragrafo 1 (11), della direttiva 2011/95 (12). Il governo spagnolo sostiene che tali disposizioni ostano a un ordinamento giuridico nazionale che non «preveda alcuna procedura diretta a permettere a una persona con lo status di rifugiato e con un’identità transgender di modificare il dato relativo al suo genere nel registro in materia di asilo». L’assenza di tale procedura sarebbe in contrasto anche con la giurisprudenza della Corte EDU (13). Il governo spagnolo si basa, per analogia, sulla sentenza Freitag (14), che verteva sul diniego, da parte di uno Stato membro, del riconoscimento del cambiamento di nome effettuato da un altro Stato membro. In tale causa, la Corte ha statuito che la confusione e gli inconvenienti derivanti dalla diversità tra i due nomi utilizzati per la stessa persona ostacolavano l’esercizio del diritto, sancito dall’articolo 21 TFUE, di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Secondo il governo spagnolo, una discrepanza tra il genere femminile indicato su un permesso di soggiorno o un documento di viaggio rilasciato ai sensi degli articoli 24, paragrafo 1, e 25 paragrafo 1, della direttiva 2011/95 e l’identificazione della parte ricorrente come uomo – che il giudice del rinvio ha ritenuto coerente con la sua condotta e con il suo aspetto fisico – potrebbero generare confusione e dubbi sull’identità della parte ricorrente e sull’autenticità di tali documenti.
24. Il governo francese opera una distinzione tra i dati che erano inesatti al momento della loro registrazione e i dati che diventano inesatti in un momento successivo. Esso sostiene che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), e dell’articolo 16 del RGPD, il dato relativo al genere può essere rettificato con effetto retroattivo se era inesatto al momento della sua registrazione. Nei registri dello stato civile le autorità pubbliche possono avere interesse a seguire l’evoluzione dei dati concernenti l’identità di una persona. Qualsiasi procedura volta a facilitare tale rettifica può quindi essere concepita in modo tale da lasciare una traccia di tutti i dati inseriti in tali registri (15).
25. Il governo ungherese ritiene che l’articolo 16 del RGPD, interpretato alla luce dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD e dell’articolo 8, paragrafo 2, della Carta, attribuisca alle persone il diritto di rettifica dei dati relativi al genere che non corrispondono alla realtà. Non sarebbero sorte difficoltà se il richiedente avesse chiesto di rettificare il dato relativo al suo genere che era stato registrato in modo errato sin dall’inizio. Poiché, secondo il governo ungherese, la parte ricorrente chiede di rettificare dati che sono stati registrati correttamente, l’articolo 16 del RGPD non trova applicazione. A sostegno di tale approccio, il governo traccia un’analogia con la sentenza nella causa Nowak (16), in cui la Corte ha statuito che le risposte errate fornite in una prova d’esame non possono essere rettificate.
26. Il governo dei Paesi Bassi osserva che l’assenza di una procedura efficiente per il riconoscimento giuridico del cambiamento di genere di una persona costituisce una violazione dell’articolo 3 (diritto all’integrità della persona) e dell’articolo 7 (rispetto della vita privata e familiare) della Carta. L’assenza di una procedura di questo tipo costituisce un ostacolo all’esercizio del diritto della parte ricorrente di rettificare il dato relativo al suo genere ai sensi dell’articolo 16 del RGPD.
27. Secondo il governo portoghese, l’articolo 16 del RGPD, interpretato alla luce degli articoli 1, 3, 7, 8 e 21 della Carta, esige che gli interessati possano ottenere la rettifica dei dati relativi al genere registrati ai fini della loro identificazione qualora tali dati siano cambiati rispetto al momento della registrazione iniziale.
28. La Commissione sostiene che la prima questione si basa sulla premessa che i dati della parte ricorrente contenuti nel registro in materia di asilo possano essere inesatti. Tale ipotesi fa sorgere la questione se l’esattezza del dato relativo al genere di una persona dipenda dal riconoscimento giuridico della riassegnazione del genere. Alla luce dell’articolo 8 della CEDU, degli articoli 7 e 8 della Carta e della giurisprudenza della Corte EDU (17), la Commissione ritiene che l’assenza di un sistema per il riconoscimento della riassegnazione del genere non possa impedire la rettifica di dati inesatti relativi al genere di una persona in un registro pubblico. In tali circostanze, l’articolo 16 del RGPD, in combinato disposto con gli articoli 7 e 8 e con l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, esige che l’autorità responsabile della tenuta di tale registro rettifichi il dato personale relativo al genere dell’interessato qualora tale dato sia divenuto inesatto.
2. Portata della prima questione
29. La prima questione della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) si basa sulla premessa che il dato relativo al genere della parte ricorrente contenuto nel registro in materia di asilo sia stato registrato correttamente e che sia divenuto inesatto a causa di un mutamento delle circostanze intervenuto a seguito dell’effettuazione di tale registrazione. Il giudice del rinvio chiede quindi se l’articolo 16 del RGPD conferisca il diritto di rettificare tale dato personale al fine di riflettere il cambiamento di genere di una persona transgender.
30. La procedura di cui all’articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione fra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti. Nell’ambito di siffatta cooperazione, la Corte attribuisce alle questioni dei giudici nazionali relative al diritto dell’Unione una presunzione di rilevanza. La Corte, dunque, rifiuta di pronunciarsi su tali questioni soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi in fatto e in diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte. Poiché la funzione assegnata alla Corte nell’ambito dei procedimenti di pronuncia pregiudiziale consiste nel contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri, e non nell’esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche, la Corte può riformulare le questioni che le sono sottoposte (18).
31. Nella presente causa, rilevo una differenza significativa tra i fatti che il giudice del rinvio descrive nell’ordinanza di rinvio e il testo della prima questione. I fatti in parola rivelano che il cambiamento dell’identità di genere della parte ricorrente è avvenuto prima del riconoscimento del suo status di rifugiato, nel 2014, tanto che detto cambiamento sembra essere stato la base sulla quale l’Ungheria ha riconosciuto alla parte ricorrente lo status di rifugiato (19). Risulta inoltre che non vi sia stata alcuna evoluzione o cambiamento nel genere della parte ricorrente dopo il 2014. La registrazione del genere della parte ricorrente nel registro in materia di asilo era, di conseguenza, inesatta fin dal momento in cui è avvenuta. Nella causa dinanzi al giudice di rinvio, quindi, i dati da rettificare sono stati registrati in modo inesatto sin dall’inizio, e non sono divenuti inesatti «dopo» (20) l’avvenuta registrazione. Il ricorso proposto dinanzi al giudice del rinvio mira quindi a correggere un errore originario, e non a modificare la registrazione per riflettere un mutamento delle circostanze.
32. Per evitare di rispondere a una questione ipotetica che la condurrebbe oltre i limiti della competenza ad essa attribuita dall’articolo 267 TFUE, suggerisco alla Corte di tener conto dei fatti sottesi all’ordinanza di rinvio nella sua risposta alla prima questione (21).
33. A differenza di quanto osservato dal governo spagnolo, ritengo che le questioni proposte dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) non mirino a chiarire se il diritto dell’Unione imponga a uno Stato membro di stabilire un quadro giuridico per facilitare il riconoscimento del cambiamento di identità di genere di una persona che esso riconosce come rifugiato. La domanda di pronuncia pregiudiziale chiede espressamente quale siano la natura e la portata del diritto di rettifica di dati inesatti ai sensi degli articoli 5 e 16 del RGPD. Alla luce dei fatti descritti dal giudice del rinvio, un’interpretazione di tali disposizioni è quindi sufficiente per consentire a quest’ultimo di pronunciarsi nel procedimento principale. In questo contesto, osservo che la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) non ha sollevato alcuna questione in merito alla richiesta di rettifica del nome della parte ricorrente nel registro in materia di asilo, per cui sembra che tale richiesta sia stata presentata in via accessoria rispetto a quella concernente la modifica della registrazione del suo genere. La domanda di pronuncia pregiudiziale non verte, quindi, sull’eventuale applicazione dell’articolo 16 del RGPD nel contesto di una richiesta di modifica della registrazione di un nome (22). Inoltre, il presente procedimento non offre alla Corte l’opportunità di interpretare l’articolo 24, paragrafo 1, e l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2011/95. Nell’ordinanza della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) tali disposizioni non sono menzionate e non è fornita alcuna informazione in merito a permessi di soggiorno o documenti di viaggio eventualmente rilasciati alla parte ricorrente ai sensi di tali disposizioni (23).
3. Diritto di rettifica
34. Dall’articolo 1, paragrafo 2, del RGPD, in combinato disposto con i considerando 4 e 10 dello stesso, risulta che tale regolamento mira, in particolare, a garantire un elevato grado di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei loro dati personali. Il RGPD crea un contesto giuridico al fine di attuare i requisiti di cui all’articolo 8 della Carta, con particolare riguardo alla protezione dei dati personali. Esso è strettamente collegato al diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito all’articolo 7 della Carta (24).
35. Il RGPD è dotato di un ambito di applicazione materiale assai ampio. Ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, il RGPD si applica «al trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi» senza operare alcuna distinzione in base all’identità del responsabile del trattamento. Fatte salve le eccezioni di cui all’articolo 2, paragrafo 2, del RGPD, che la parte resistente non sembra invocare, esso si applica alle operazioni di trattamento effettuate da soggetti privati e da autorità pubbliche (25).
36. La definizione di «dato personale» di cui all’articolo 4, punto 1, del RGPD non fa riferimento al «sesso» o al «genere» di una persona fisica come fattore che può identificarla, direttamente o indirettamente. L’espressione «qualsiasi informazione» nella definizione di «dato personale» che figura in tale disposizione attribuisce tuttavia a tale nozione un’accezione estesa (26). Il riferimento a «elementi caratteristici [dell’]identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale» sembra sufficientemente ampio da includere il genere di una persona fisica (27). Ne consegue che la registrazione dei dati personali della parte ricorrente, compreso il genere, in un registro pubblico di persone alle quali è riconosciuto lo status di rifugiato costituisce un «trattamento» di dati personali ai fini dell’articolo 4, punto 2, del RGPD.
37. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), b), c) e d), del RGPD, i dati personali devono essere trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato; essere raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime; essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto a tali finalità; essere esatti e, se necessario, aggiornati (28). A norma dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD, i dati personali «sono» esatti. Devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati.
38. L’articolo 6, paragrafo 1, del RGPD stabilisce un elenco esaustivo dei casi nei quali un trattamento di dati personali è lecito (29). In linea di principio, il trattamento dei dati personali in un registro in materia di asilo è lecito in virtù dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), del RGPD. Conformemente all’articolo 6, paragrafo 2, del RGPD, gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni specifiche per adeguare l’applicazione delle norme di tale regolamento al trattamento di cui all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), dello stesso, al fine di garantire che tale trattamento sia lecito e corretto. In forza dell’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD, il trattamento ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), deve essere fondarsi sul diritto dell’Unione o sul diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento. Tale base giuridica deve rispondere a un obiettivo di interesse pubblico ed essere proporzionata all’obiettivo legittimo perseguito (30). Nulla nel fascicolo dinanzi alla Corte indica che l’inserimento e il mantenimento di un’indicazione relativa al genere di un rifugiato nel registro in materia di asilo in Ungheria non sia conforme all’articolo 6 del RGPD (31).
39. L’articolo 8, paragrafo 2, della Carta prevede, in particolare, che «[o]gni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica». L’articolo 16 del RGPD riflette tale diritto (32). Il diritto di rettifica e la sua applicazione su iniziativa di soggetti privati (33) contribuiscono ad assicurare il rispetto del principio di esattezza previsto all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD.
40. Poiché l’esattezza dei dati personali può variare a seconda del contesto in cui sono trattati, la finalità della raccolta dei dati influisce direttamente sulla valutazione della loro esattezza (34). Una delle finalità dichiarate del registro in materia di asilo in Ungheria è l’identificazione delle persone (35) e il «genere» è considerato uno dei «dati di identificazione delle persone fisiche» (36). Nel 2014, quando l’Ungheria ha riconosciuto lo status di rifugiato alla parte ricorrente, questa si è identificata come maschio transgender. Le autorità ungheresi competenti hanno accettato le prove presentate dalla parte ricorrente a sostegno di tale identità di genere. L’indicazione del genere della parte ricorrente come «femminile» nel registro in materia di asilo risulta quindi inesatta ai fini dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD.
41. Già a livello di principi primi, un’indicazione di questo tipo deve poter essere rettificata in virtù dell’articolo 16 del RGPD, interpretato alla luce del suo articolo 5, paragrafo 1, lettera d) (37). Indipendentemente dalle considerazioni che possono emergere quanto all’applicazione di tali disposizioni alla rettifica di un dato che era corretto al momento della sua registrazione (il che solleva la questione della portata dell’obbligo che il RGPD impone in capo ai titolari del trattamento di mantenere i dati aggiornati e di trattarli in modo dinamico), se tali disposizioni non conferissero agli interessati il diritto di ottenere la rettifica di un dato la cui inesattezza al momento della registrazione è stata dimostrata, esse risulterebbero prive di oggetto.
42. Ciò nonostante, il governo ungherese sostiene che, conformemente all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, del RGPD, il diritto dell’interessato di ottenere la rettifica di un dato in un registro ufficiale, come il registro in materia di asilo, può essere esercitato soltanto sulla base della normativa dello Stato membro, e non invocando direttamente l’articolo 16 del RGPD.
43. Sebbene il combinato disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), e dell’articolo 6, paragrafi 2 e 3, del RGPD garantisca agli Stati membri un «margine di manovra» (38) al fine di consentire loro di mantenere o introdurre disposizioni più specifiche per «adeguare» (39) le norme del RGPD sulla base delle quali i titolari possono trattare lecitamente dati personali nell’ambito dell’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri (40), a differenza di quanto sostenuto dal governo ungherese l’articolo 16 del RGPD chiarisce che il trattamento lecito dei dati di cui all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), del RGPD è subordinato al diritto di rettifica. A differenza di altre disposizioni del RGPD in materia di diritti degli interessati, l’articolo 16 del RGPD non specifica le modalità di esercizio del diritto di rettifica alla luce di talune disposizioni dell’articolo 6 di tale regolamento (41). In ogni caso, la facoltà degli Stati membri di mantenere o introdurre tali disposizioni non può derogare al diritto di rettifica sancito dall’articolo 8, paragrafo 2, della Carta. Il fatto che gli Stati membri possano stabilire un quadro giuridico per garantire l’applicazione pratica del diritto di rettifica ai sensi dell’articolo 16 del RGPD, per quanto concerne, in particolare, i registri pubblici tenuti per motivi di interesse pubblico generale, in conformità all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), di tale regolamento, non può limitare in alcun modo l’esercizio o il godimento del diritto di rettifica (42).
44. Ciò non toglie che il diritto di rettifica, interpretato alla luce del principio dell’esattezza di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD, non è un diritto assoluto e il suo esercizio può essere limitato in presenza di determinate condizioni (43). L’articolo 23 del RGPD elenca una serie di circostanze in cui tale diritto, tra gli altri di cui godono gli interessati, può essere limitato. La domanda di pronuncia pregiudiziale non fa riferimento a tale disposizione, né il governo ungherese l’ha invocata nelle sue osservazioni scritte al fine di delimitare l’applicazione dell’articolo 16 del RGPD nelle circostanze all’origine della presente causa. L’articolo 23, paragrafo 1, lettera e) (44), e il considerando 73 del RGPD prevedono, tra l’altro, che il diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento può limitare la portata degli obblighi e dei diritti di cui agli articoli 5 e 16 «per salvaguardare (...) altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro» quali «la tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale» (45). Tale limitazione deve essere prevista dalla legge, rispettare il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà fondamentali e costituire una misura necessaria e proporzionata in una società democratica (46). Uno Stato membro può quindi fondarsi sull’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del RGPD per limitare il diritto di rettifica in determinate circostanze, al fine di garantire l’attendibilità e la coerenza dei registri pubblici, compresi i registri dello stato civile (47). Ciò non può costituire, di per sé, un ostacolo all’accoglimento di una richiesta di rettifica del genere del richiedente in un registro in materia di asilo, al fine di farvi constare l’identità di genere corretta al momento sua registrazione. Accogliere una richiesta di tale natura non può che contribuire a rafforzare l’attendibilità di tale registro e l’esattezza dei dati in esso contenuti (48).
45. Suggerisco pertanto alla Corte di dichiarare che l’articolo 16 del RGPD, letto alla luce dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento, deve essere interpretato nel senso che l’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro dei rifugiati è tenuta, su richiesta, a rettificare il dato personale relativo al genere di un rifugiato che detta autorità abbia registrato in modo non corretto al momento del suo inserimento nel registro.
B. Seconda e terza questione
46. La seconda e la terza questione vertono sulle prove che una persona che chiede la rettifica del dato relativo al suo genere ai sensi dell’articolo 16 del RGPD deve presentare a sostegno di tale richiesta e sulla questione se a tale persona possa essere richiesto di fornire la prova di essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione del genere. Tali questioni possono essere esaminate congiuntamente.
47. L’articolo 16 del RGPD non specifica quale sia, eventualmente, la prova che un interessato è tenuto a presentare per ottenere «dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo». Ciò testimonia il fatto che l’(in)esattezza dei dati, e la necessità di rettificarli, deve essere valutata caso per caso, con la conseguenza che le prove eventualmente richieste a tale scopo possono variare. Data l’ampia definizione di «titolare del trattamento» di cui all’articolo 4, punto 7, del RGPD, che include le autorità pubbliche e le persone fisiche, le regole o le modalità di esercizio del diritto di rettifica possono essere contenute nella legislazione (49) o essere decise caso per caso, a seconda delle circostanze individuali. Ne consegue che una persona che chiede la rettifica dei dati può essere tenuta a produrre le prove che possono essere ragionevolmente richieste per accertare l’inesattezza di tali dati alla luce delle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati (50). Va sottolineato che l’interessato non è tenuto a invocare o a dimostrare un interesse particolare alla rettifica dei dati inesatti o che l’asserita inesattezza gli arrechi un pregiudizio. Nella presente causa, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, ritengo che sia sufficiente che la parte ricorrente produca prove atte a dimostrare che l’Ungheria le ha riconosciuto lo status di rifugiato nel 2014, sulla base della sua identità transgender preesistente, e che nel registro in materia di asilo tale identità è riportata in modo inesatto (51).
48. Il RGPD non impone alcun requisito ai sensi del quale la parte ricorrente dovrebbe dimostrare di essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione del genere. La Corte EDU ha ripetutamente condannato l’imposizione di tale requisito, statuendo che «subordinare il riconoscimento dell’identità di genere delle persone transgender a un intervento chirurgico o a un trattamento di sterilizzazione, oppure a un intervento chirurgico o a un trattamento che potrebbero comportare la sterilizzazione, ai quali non desiderano sottoporsi, equivale a subordinare il pieno esercizio del loro diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 8 della [CEDU] alla rinuncia al pieno esercizio del diritto al rispetto della loro integrità fisica, quale tutelato da tale disposizione nonché dall’articolo 3 della [CEDU]» (52). In molti casi, l’imposizione di un requisito di tal genere produrrebbe l’effetto di negare il diritto di rettifica di un dato inesatto relativo al genere di una persona transgender ai sensi dell’articolo 16 del RGPD (53). A mio avviso, l’obbligo di produrre siffatte prove lederebbe anche la dignità umana che, conformemente all’articolo 1 della Carta, è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata. Siffatto requisito è parimenti incompatibile con l’articolo 3, paragrafo 1, della Carta, ai sensi del quale «[o]gni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» e con l’articolo 7 della Carta (rispetto della vita privata e familiare). In tale contesto, vorrei aggiungere che i giudici nazionali sono tenuti a rispettare i diritti riconosciuti nella Carta quando applicano il RGPD.
VI. Conclusione
49. Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni proposte dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria) come segue:
l’articolo 16 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), letto alla luce dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento,
deve essere interpretato nel senso che l’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro dei rifugiati:
1) è tenuta, su richiesta, a rettificare il dato personale relativo al genere di un rifugiato che detta autorità abbia registrato in modo inesatto al momento del suo inserimento nel registro;
2) può esigere dalla persona che chiede la rettifica del dato la produzione di prove che dimostrino l’inesattezza di tale dato alla luce delle finalità per le quali è stato raccolto o trattato, ma non può esigere la prova che tale persona si sia sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione del genere.
1 Lingua originale: l’inglese.
i Il nome della presente causa è un nome fittizio. Esso non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti nel procedimento.
2 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1; in prosieguo: il «RGPD»).
3 Magyar Közlöny, 2007/83.
4 Secondo l’Oxford Dictionary of English, 2a edizione, riveduta (2005), i pronomi di genere neutro «they», «them» e «their» possono essere utilizzati «per riferirsi a una persona di sesso non specificato». Per non pregiudicare il compito di accertamento dei fatti da parte del giudice del rinvio ai sensi dell’articolo 267 TFUE, nelle presenti conclusioni [nella loro versione in lingua inglese], si fa riferimento alla parte ricorrente mediante tali pronomi. Si tratta di un discostamento intenzionale dalla prassi della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), le cui sentenze in materia di identità di genere adottano i pronomi utilizzati dai ricorrenti nei loro atti processuali, indipendentemente dall’esito del procedimento dinanzi ad essa.
5 V., in particolare, Corte EDU, 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia (CE:ECHR:2017:0406JUD007988512) e Corte EDU, 11 ottobre 2018, S.V. c. Italia (CE:ECHR:2018:1011JUD005521608).
6 Regno del Belgio, Regno di Danimarca, Irlanda, Repubblica ellenica, Repubblica di Malta, Repubblica di Portogallo e Regno di Svezia.
7 Sentenza 6/2018 (VI. 27.).
8 CE:ECHR:2020:0716JUD004088817.
9 Magyar Közlöny 2017/30.
10 Il quale prevede che gli Stati membri rilasciano un permesso di soggiorno ai beneficiari dello status di rifugiato.
11 Ai sensi del quale gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato documenti di viaggio allo scopo di permettere loro di viaggiare al di fuori del loro territorio.
12 Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione) (GU 2011, L 337, pag. 9).
13 V., in particolare, Corte EDU, 16 luglio 2020, Rana c. Ungheria, CE:ECHR:2020:0716JUD004088817 e Corte EDU, 22 giugno 2023, R.K. c. Ungheria, CE:ECHR:2023:0622JUD005400620.
14 Sentenza dell’8 giugno 2017, Freitag (C‑541/15, EU:C:2017:432) (in prosieguo: la «sentenza Freitag»).
15 V., per analogia, Corte EDU, 17 febbraio 2022, Y c. Polonia, CE:ECHR:2022:0217JUD007413114.
16 Sentenza del 20 dicembre 2017, Nowak (C‑434/16, EU:C:2017:994) (in prosieguo: la «sentenza Nowak»).
17 V., in particolare, Corte EDU, 11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno Unito, CE:ECHR:2002:0711JUD002895795, §§ da 86 a 93.
18 Sentenze del 15 settembre 2011, Unió de Pagesos de Catalunya (C‑197/10, EU:C:2011:590, punti da 16 a 18) e del 26 settembre 2019, UTEP 2006. (C‑600/18, EU:C:2019:784, punto 17).
19 Il fascicolo che il giudice del rinvio ha trasmesso alla Corte contiene i documenti e le prove presentate nel corso della procedura di asilo, che fanno ampio riferimento all’identità transgender della parte ricorrente. Sebbene la decisione di riconoscere lo status di rifugiato alla parte ricorrente non individui i motivi precisi su cui si è basata, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, sembra che alla parte ricorrente sia stato riconosciuto lo status di rifugiato a causa di atti di persecuzione determinati dalla sua identità transgender. V., per analogia, articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95.
20 V., il testo della prima questione.
21 V. sentenza del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, EU:C:1981:302, punti 18 e 19).
22 In udienza, il rappresentante della parte ricorrente ha dichiarato che la richiesta di modifica del nome è accessoria rispetto a quella concernente il cambiamento del genere. Nelle osservazioni scritte del governo ungherese si sostiene che la modifica del nome non è accessoria alla modifica del genere. Nelle sue conclusioni nella causa Asociaţia Accept e a. (C‑4/23, EU:C:2024:385 paragrafi da 59 a 64), l’avvocato generale Richard de la Tour ha sostenuto che il riconoscimento del cambiamento di prenome può essere dissociato dal riconoscimento del cambiamento di genere, «anche se il prenome apparisse legato a un genere diverso da quello a cui è sociologicamente associato il sesso registrato alla nascita».
23 È difficile applicare in via analogica la sentenza Freitag alle circostanze della presente causa. Tale sentenza riguardava il diritto fondamentale dei cittadini dell’Unione di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri ai sensi dell’articolo 21 TFUE. Come indicato al paragrafo 18 delle presenti conclusioni, il giudice del rinvio ha espressamente escluso la rilevanza della circostanza che la parte ricorrente possieda la cittadinanza dell’Unione ai fini della controversia dinanzi ad esso pendente. Non sembra neppure che il caso in esame sia caratterizzato da un elemento transfrontaliero. In assenza di una discussione su tale aspetto, ritengo che la Corte non possa pronunciarsi sul merito. V. anche conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa Asociaţia Accept e a. (C‑4/23, EU:C:2024:385, paragrafi 40, 89 e 90) e sentenza del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo» (C‑490/20, EU:C:2021:1008, punto 42 e giurisprudenza ivi citata), in cui si sottolinea la rilevanza della cittadinanza dell’Unione in contesti analoghi.
24 Sentenza del 5 giugno 2023, Commissione/Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici) (C‑204/21, EU:C:2023:442, punto 332).
25 Sentenza del 2 marzo 2023, Norra Stockholm Bygg (C‑268/21, EU:C:2023:145, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). L’articolo 2, paragrafo 3, del RGPD contiene un’ulteriore eccezione concernente il trattamento dei dati personali da parte di istituzioni, organi, uffici e agenzie dell’Unione. L’articolo 2, paragrafo 2, del RGPD è interpretato restrittivamente: v. sentenza del 16 luglio 2020, Facebook Ireland e Schrems (C‑311/18, EU:C:2020:559, punto 84 e giurisprudenza citata).
26 Sentenza del 4 maggio 2023, Österreichische Datenschutzbehörde e CRIF (C‑487/21, EU:C:2023:369, punto 23).
27 V., per analogia, sentenza del 17 luglio 2014, YS e a. (C‑141/12 e C‑372/12, EU:C:2014:2081, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
28 Un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con il RGPD nel caso in cui i dati appaiano inadeguati, non siano o non siano più pertinenti, oppure siano eccessivi rispetto alle finalità del trattamento e al tempo trascorso. Sentenza del 24 settembre 2019, GC e a. (Deindicizzazione di dati sensibili) (C‑136/17, EU:C:2019:773, punto74 e giurisprudenza ivi citata).
29 Sentenza del 4 luglio 2023, Meta Platforms e a. (Condizioni generali di utilizzo di un social network) (C‑252/21, EU:C:2023:537, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).
30 Sentenza del 5 giugno 2023, Commissione/Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici) (C‑204/21, EU:C:2023:442, punti da 335 a 337).
31 Il trattamento dei dati della parte ricorrente e l’inclusione del suo genere nel registro in materia di asilo non sembra rientrare nelle categorie particolari di dati personali il cui trattamento è vietato dall’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD. I dati sul genere di una persona non devono essere equiparati, a mio avviso, ai «dati genetici» o ai «dati relativi (...) alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona».
32 V., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, Österreichische Post (Informazioni relative ai destinatari di dati personali) (C‑154/21, EU:C:2023:3, punto 44).
33 L’articolo 79, paragrafo 1, del RGPD stabilisce che, fatto salvo ogni altro ricorso amministrativo o extragiudiziale disponibile, ogni interessato da un operazione di trattamento di dati personali ha il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale effettivo qualora ritenga che i diritti di cui gode a norma del regolamento siano stati violati a seguito di un trattamento di tali dati.
34 V., per analogia, la sentenza Nowak, punto 53. L’esattezza dei dati è valutata caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti.
35 V. paragrafo 81, lettera c), della legge in materia di diritto di asilo.
36 V. paragrafo 82, lettera f), della legge in materia di diritto di asilo.
37 L’incongruenza tra i motivi di riconoscimento dello status di rifugiato della parte ricorrente e l’indicazione del suo genere come «femminile» nel registro in materia di asilo si pone in contrasto anche con il diritto alla buona amministrazione. Sebbene l’articolo 41, paragrafo 1, della Carta non sia rivolto agli Stati membri, il diritto alla buona amministrazione, sancito da tale disposizione, riflette un principio generale del diritto dell’Unione che gli Stati membri devono rispettare quando attuano il diritto dell’Unione, ivi compresa la direttiva 2011/95. Sentenza del 10 febbraio 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Termine di prescrizione) (C‑219/20, EU:C:2022:89, punti 36 e 37).
38 V. considerando 10 del RGPD.
39 L’impiego del termine «adeguare» nell’articolo 6, paragrafo 2, del RGPD rivela che l’obiettivo di tale disposizione è consentire agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni specifiche sul trattamento dei dati personali nell’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri. Pertanto, esso non può operare in modo da limitare l’effetto utile dei diritti e degli obblighi sanciti in altre disposizioni del RGPD: v. considerando 10 del RGPD.
40 Sentenza del 20 ottobre 2022, Koalitsia «Demokratichna Bulgaria – Obedinenie» (C‑306/21, EU:C:2022:813, punto 50).
41 V., in particolare l’articolo 21, paragrafo 1, del RGPD, che fa riferimento al diritto di opposizione nel contesto del trattamento di dati personali ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere e) o f), di tale regolamento. V. anche articolo 13, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, lettera b), articolo 17, paragrafo 1, lettera b), e articolo 20, paragrafo 1, lettera a), del RGPD, che fanno riferimento a specifiche lettere dell’articolo 6, paragrafo 1, del RGPD.
42 V. considerando 59 del RGPD, ai sensi del quale «[è] opportuno prevedere modalità volte ad agevolare l’esercizio, da parte dell’interessato, dei diritti di cui al presente regolamento, compresi i meccanismi per richiedere e, se del caso, ottenere gratuitamente, in particolare l’accesso ai dati, la loro rettifica e cancellazione e per esercitare il diritto di opposizione. Il titolare del trattamento dovrebbe predisporre anche i mezzi per inoltrare le richieste per via elettronica, in particolare qualora i dati personali siano trattati con mezzi elettronici. Il titolare del trattamento dovrebbe essere tenuto a rispondere alle richieste dell’interessato senza ingiustificato ritardo e al più tardi entro un mese e a motivare la sua eventuale intenzione di non accogliere tali richieste».
43 V., per analogia, la sentenza del 21 giugno 2022, Ligue des droits humains (C‑817/19, EU:C:2022:491, punto 112) in cui la Corte ha ricordato che i diritti fondamentali sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta non appaiono prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale.
44 V. conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa J & S Service (C‑620/19, EU:C:2020:649, paragrafo 130) sul carattere «aperto [della] formulazione» dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del RGPD. Sebbene le limitazioni debbano essere interpretate restrittivamente, l’uso dell’espressione «in particolare» nell’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del RGPD fa sì che tale disposizione non sia limitata alle materie ivi indicate, ma includa «altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro». Sull’interpretazione restrittiva delle limitazioni ai sensi dell’articolo 23 del RGPD, v. sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a. (C‑511/18, C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791, punto 210). V. anche il punto 3 delle linee guida 10/2020 del Comitato europeo per la protezione dei dati sulle limitazioni a norma dell’articolo 23 del regolamento generale sulla protezione dei dati, versione 2.1., adottate il 13 ottobre 2021. https://www.edpb.europa.eu/system/files/2021-10/edpb_guidelines202010_on_art23_adopted_after_consultation_en.pdf.
45 Ai sensi del considerando 73 del RGPD, «[i]l diritto dell’Unione o degli Stati membri può imporre limitazioni a specifici principi e ai diritti di informazione, accesso, rettifica (...) di dati, (...) ove ciò sia necessario e proporzionato in una società democratica per la salvaguardia della (...) tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale (...). Tali limitazioni dovrebbero essere conformi alla Carta e alla [CEDU]».
46 Ciò riflette, di fatto, l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
47 V., per analogia, Corte EDU, 31 gennaio 2023, Y c. Francia, (CE:ECHR:2023:0131JUD007688817, § 89).
48 Con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio.
49 V., per analogia, sentenza del 14 dicembre 2023,Natsionalna agentsia za prihodite (C‑340/21, EU:C:2023:986, punto 60).
50 V., per analogia, sentenza dell’8 dicembre 2022,Google (Deindicizzazione di contenuti asseritamente inesatti) (C‑460/20, EU:C:2022:962, punto 68).
51 Dal fascicolo risulta che il giudice del rinvio ha dichiarato di disporre di prove sostanziali sulla base delle quali può accertare l’inesattezza dell’indicazione relativa al genere della parte ricorrente nel registro in materia di asilo.
52 V. Corte EDU, 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia, (CE:ECHR:2017:0406JUD007988512 § 131). V. anche Corte EDU, 19 gennaio 2019, X e Y c. Romania, (CE:ECHR:2021:0119JUD000214516 § 165). Le sentenze della Corte EDU non sono vincolanti per la Corte, in quanto l’Unione non ha aderito alla CEDU. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, la Corte deve garantire che la sua interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, e dell’articolo 7 della Carta assicuri un livello di protezione che non conculchi quello garantito agli articoli 3 e 8 della CEDU, come interpretati dalla Corte EDU. V., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina) (C487/19, EU:C:2021:798, punto 123 e giurisprudenza ivi citata). Il criterio stabilito dalla Corte EDU, in particolare, nella sua sentenza definitiva del 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia (CE:ECHR:2017:0406JUD007988512) è quindi pertinente ai fini del procedimento dinanzi al giudice del rinvio.
53 V., per analogia, sentenza dell’8 dicembre 2022, Google (Deindicizzazione di contenuti asseritamente inesatti) (C‑460/20, EU:C:2022:962, punto 68).
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
13 marzo 2025 (*)
« Rinvio pregiudiziale – Protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali – Regolamento (UE) 2016/679 – Articolo 5, paragrafo 1, lettera d) – Principio di esattezza – Articolo 16 – Diritto di rettifica – Articolo 23 – Limitazioni – Dati relativi all’identità di genere – Dati inesatti al momento della loro iscrizione in un registro pubblico – Mezzi probatori – Prassi amministrativa consistente nel richiedere la prova di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale »
Nella causa C‑247/23 [Deldits] (i),
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), con decisione del 29 marzo 2023, pervenuta in cancelleria il 18 aprile 2023, nel procedimento
VP
contro
Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, T. von Danwitz (relatore), vicepresidente della Corte, M.L. Arastey Sahún, presidente della Quinta Sezione, A. Kumin e I. Ziemele, giudici,
avvocato generale: A.M. Collins
cancelliere: I. Illéssy, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 giugno 2024,
considerate le osservazioni presentate:
– per VP, da G. Győző, ügyvéd, E. Polgári e T.L. Sepsi, ügyvéd;
– per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e R. Kissné Berta, in qualità di agenti;
– per il governo estone, da N. Grünberg, in qualità di agente;
– per il governo spagnolo, da S. Núñez Silva e A. Pérez-Zurita Gutiérrez, in qualità di agenti;
– per il governo francese, da R. Bénard, B. Dourthe e B. Fodda, in qualità di agenti;
– per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, A. Hanje e J.M. Hoogveld, in qualità di agenti;
– per il governo portoghese, da P. Barros da Costa, A. Pimenta, J. Ramos e Â. Seiça Neves, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da A. Bouchagiar, H. Kranenborg e Zs. Teleki, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2024,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1; in prosieguo: il «RGPD»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra VP, una persona fisica, e l’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság (Direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, Ungheria) (in prosieguo: l’«autorità competente in materia di asilo») in merito alla rettifica dei dati relativi all’identità di genere di VP in un registro pubblico tenuto da tale autorità.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 I considerando 1, 10, 59 e 73 del RGPD enunciano quanto segue:
«(1) La protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un diritto fondamentale. L’articolo 8, paragrafo 1, della [carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”)] e l’articolo 16, paragrafo 1, [TFUE] stabiliscono che ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.
(...)
(10) Al fine di assicurare un livello coerente ed elevato di protezione delle persone fisiche e rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione [europea], il livello di protezione dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati dovrebbe essere equivalente in tutti gli Stati membri. È opportuno assicurare un’applicazione coerente e omogenea delle norme a protezione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali in tutta l’Unione. Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali per l’adempimento di un obbligo legale, per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali al fine di specificare ulteriormente l’applicazione delle norme del presente regolamento. (...)
(...)
(59) È opportuno prevedere modalità volte ad agevolare l’esercizio, da parte dell’interessato, dei diritti di cui al presente regolamento, compresi i meccanismi per richiedere e, se del caso, ottenere gratuitamente, in particolare l’accesso ai dati, la loro rettifica e cancellazione e per esercitare il diritto di opposizione. (...)
(...)
(73) l diritto dell’Unione o degli Stati membri può imporre limitazioni a specifici principi e ai diritti di (…) rettifica e cancellazione [di dati personali] (…) ove ciò sia necessario e proporzionato in una società democratica per la salvaguardia della sicurezza pubblica, ivi comprese (…) le attività di prevenzione, indagine e perseguimento di reati o l’esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica (…), per la tutela di altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro, tra cui (…) la tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale (…), o per la tutela dell’interessato o dei diritti e delle libertà altrui, compresi la protezione sociale, la sanità pubblica e gli scopi umanitari. Tali limitazioni dovrebbero essere conformi alla Carta e alla [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”)]».
4 L’articolo 1 del RGPD, intitolato «Oggetto e finalità», al paragrafo 2 così dispone:
«Il presente regolamento protegge i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali».
5 L’articolo 2 del RGPD, intitolato «Ambito di applicazione materiale», al paragrafo 1, prevede quanto segue:
«Il presente regolamento si applica al trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi».
6 Ai sensi dell’articolo 4 del RGPD, intitolato «Definizioni»:
«Ai fini del presente regolamento s’intende per:
1) “dato personale” qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale;
2 “trattamento” qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione;
(...)».
7 L’articolo 5 del RGPD, intitolato «Principi applicabili al trattamento di dati personali», al paragrafo 1, così dispone:
«I dati personali sono:
(...)
d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati (“esattezza”);
(...)».
8 L’articolo 6 del RGPD, rubricato «Liceità del trattamento», prevede quanto segue:
«1. Il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
(...)
c) il trattamento è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento;
(...)
e) il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento;
(...)
2. Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni più specifiche per adeguare l’applicazione delle norme del presente regolamento con riguardo al trattamento, in conformità del paragrafo 1, lettere c) ed e), determinando con maggiore precisione requisiti specifici per il trattamento e altre misure atte a garantire un trattamento lecito e corretto anche per le altre specifiche situazioni di trattamento di cui al capo IX.
3. La base su cui si fonda il trattamento dei dati di cui al paragrafo 1, lettere c) ed e), deve essere stabilita:
a) dal diritto dell’Unione; o
b) dal diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento.
La finalità del trattamento è determinata in tale base giuridica o, per quanto riguarda il trattamento di cui al paragrafo 1, lettera e), è necessaria per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. Tale base giuridica potrebbe contenere disposizioni specifiche per adeguare l’applicazione delle norme del presente regolamento, tra cui: Tali disposizioni possono riguardare «le condizioni generali relative alla liceità del trattamento da parte del titolare del trattamento; le tipologie di dati oggetto del trattamento; gli interessati; i soggetti cui possono essere comunicati i dati personali e le finalità per cui sono comunicati; le limitazioni della finalità, i periodi di conservazione e le operazioni e procedure di trattamento, comprese le misure atte a garantire un trattamento lecito e corretto, quali quelle per altre specifiche situazioni di trattamento di cui al capo IX. Il diritto dell’Unione o degli Stati membri persegue un obiettivo di interesse pubblico ed è proporzionato all’obiettivo legittimo perseguito.
(...)».
9 L’articolo 16 del RGPD, intitolato «Diritto di rettifica», stabilisce quanto segue:
«L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa».
10 L’articolo 23 del RGPD, intitolato «Limitazioni», al paragrafo 1, dispone quanto segue:
«Il diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento può limitare, mediante misure legislative, la portata degli obblighi e dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 e 34, nonché all’articolo 5, nella misura in cui le disposizioni ivi contenute corrispondano ai diritti e agli obblighi di cui agli articoli da 12 a 22, qualora tale limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per salvaguardare:
a) la sicurezza nazionale;
b) la difesa;
c) la sicurezza pubblica;
d) la prevenzione, l’indagine, l’accertamento e il perseguimento di reati o l’esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica;
e) altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro, in particolare un rilevante interesse economico o finanziario dell’Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale;
(...)
h) una funzione di controllo, d’ispezione o di regolamentazione connessa, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri nei casi di cui alle lettere da a), a e) e g);
(...)».
Diritto ungherese
11 L’articolo 81 del menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo), del 29 giugno 2007 (Magyar Közlöny 2007/83; in prosieguo: la «legge sul diritto di asilo») così dispone:
«L’autorità competente in materia di asilo tratta nel registro relativo a tale materia i dati personali dei rifugiati, dei beneficiari di protezione sussidiaria, dei beneficiari della condizione di persona accolta, dei beneficiari di protezione provvisoria, nonché delle persone che chiedono protezione internazionale e delle persone soggette alla procedura Dublino (in prosieguo, congiuntamente: le “persone soggette alla presente legge”), i dati riguardanti il loro soggiorno nonché l’assistenza e gli aiuti cui hanno diritto, così come le successive modifiche degli stessi, al fine di:
a) verificare che esse abbiano lo status di rifugiato, di beneficiario di protezione sussidiaria, di beneficiario di protezione provvisoria o di beneficiario della condizione di persona accolta e assicurarsi che spetti loro il godimento dei diritti derivanti da tale status;
b) verificare che spetti loro il diritto all’assistenza e agli aiuti definiti nella presente legge e in altre norme;
c) verificare la loro identità personale;
d) evitare la duplicazione di procedure; e
e) accertare se la domanda sia stata presentata più volte».
12 L’articolo 82 della legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:
«Ai fini del presente capo, sono considerati “dati di identificazione delle persone fisiche” i seguenti dati delle persone soggette alla presente legge:
(...)
f) genere».
13 L’articolo 83, paragrafo 1, di tale legge così stabilisce:
«Il registro in materia di asilo contiene i seguenti dati delle persone soggette alla presente legge:
a) i dati di identificazione delle persone fisiche.
(...)».
14 L’articolo 83/A, paragrafo 5, di detta legge così dispone:
«L’autorità competente in materia di asilo deve cancellare d’ufficio le annotazioni contrarie alla normativa, correggere quelle non corrette e inserire le annotazioni mancanti nel registro ufficiale da essa tenuto».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
15 VP è una persona di cittadinanza iraniana che ha ottenuto lo status di rifugiato in Ungheria nel corso del 2014. A sostegno della sua domanda di ottenimento di tale status, VP aveva invocato la sua transidentità e aveva prodotto certificati medici rilasciati da specialisti in psichiatria e ginecologia. Secondo tali attestati, anche se VP era nato donna, la sua identità di genere era maschile. A seguito del riconoscimento del suo status di rifugiato su tale base, VP è stato tuttavia registrato come donna nel registro dell’asilo che, conformemente alle disposizioni della legge sul diritto di asilo, è tenuto dall’autorità competente in materia di asilo e che contiene i dati di identificazione, compreso il genere, delle persone fisiche che hanno ottenuto tale status.
16 Nel corso del 2022, VP ha presentato una domanda presso l’autorità competente in materia di asilo, sulla base dell’articolo 16 del RGPD, diretta a far rettificare la menzione del suo genere come maschile e a modificare il suo nome nel registro dell’asilo. VP ha allegato i suddetti certificati medici a tale domanda. Con decisione dell’11 ottobre 2022, tale autorità ha respinto detta domanda, con la motivazione che VP non aveva dimostrato di aver subito un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale e che i certificati forniti dimostravano soltanto la sua transidentità.
17 VP ha proposto un ricorso di annullamento avverso tale decisione dinanzi alla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), giudice del rinvio. A sostegno del suo ricorso, VP fa valere che la transidentità implica, per definizione, un cambiamento di identità di genere e che i certificati medici presentati confermano tale cambiamento. Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulterebbe che un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale non può essere richiesto ai fini del riconoscimento di un cambiamento di identità di genere. Un requisito di tal genere sarebbe altresì contrario, in particolare, agli articoli 3 e 7 della Carta. VP sostiene inoltre che diversi Stati membri, tra cui il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, la Repubblica di Malta, la Repubblica portoghese e il Regno di Svezia, riconoscerebbero i cambiamenti di identità di genere sulla base di dichiarazioni delle persone interessate. VP precisa che i certificati medici presentati a sostegno del suo ricorso attestano il suo aspetto maschile e fanno espressamente riferimento, a titolo diagnostico, al codice F64.0 della classificazione internazionale delle malattie stabilita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), relativo alla transidentità.
18 L’autorità competente in materia di asilo conclude per il rigetto del ricorso.
19 Secondo il giudice del rinvio, sebbene la legge sul diritto di asilo contenga certamente una disposizione generale relativa alla rettifica delle iscrizioni erronee, tale legge non prevedrebbe né la procedura né le condizioni per il riconoscimento di un cambiamento di identità di genere e/o di nome in relazione a tale cambiamento. A tal riguardo, l’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale, Ungheria) avrebbe considerato, nella sua sentenza n. 6/2018, del 27 giugno 2018, che la mancata adozione, da parte del legislatore ungherese, di una procedura che consentisse alle persone che risiedono legalmente in Ungheria, senza avere la qualità di cittadini ungheresi, di modificare la menzione relativa al loro genere e al loro nome, mentre una siffatta possibilità era offerta ai cittadini ungheresi, era incostituzionale. Inoltre, la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe dichiarato, con la sua sentenza del 16 luglio 2020, Rana c. Ungheria (CE:ECHR:2020:0716JUD004088817), che l’Ungheria aveva violato la CEDU non prevedendo una procedura di riconoscimento giuridico di un cambiamento di identità di genere per i rifugiati. Tale situazione di vuoto giuridico perdurerebbe da allora, nonostante tali sentenze.
20 Detta situazione sarebbe aggravata dalla circostanza che, dal 2020, la possibilità di riconoscimento giuridico di un cambiamento di identità di genere avrebbe cessato di esistere per i cittadini ungheresi. Proprio a causa di tale assenza di possibilità di riconoscimento nel diritto nazionale, VP avrebbe proposto il suo ricorso sulla base dell’articolo 16 del RGPD. In tale contesto, il giudice del rinvio si chiede se tale articolo imponga all’autorità competente in materia di asilo un obbligo di rettificare i dati relativi al genere nel registro dell’asilo e, in caso affermativo, quali sarebbero le prove che l’interessato dovrebbe fornire a sostegno della sua domanda.
21 In tale contesto, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che l’autorità incaricata della tenuta dei registri ai sensi del diritto nazionale sia tenuta, in relazione all’esercizio dei diritti della persona interessata, a rettificare il dato personale relativo al sesso di detta persona registrato dall’autorità nel caso in cui tale dato sia cambiato dopo il suo inserimento nel registro e non sia pertanto conforme al principio di esattezza stabilito dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD.
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione pregiudiziale, se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che richiede che la persona che chiede la rettifica del dato relativo al suo sesso fornisca prove che giustifichino la sua domanda di rettifica.
3) In caso di risposta affermativa alla seconda questione pregiudiziale, se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che la persona richiedente è tenuta a dimostrare di essersi sottoposta ad una riassegnazione chirurgica del genere».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
22 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che impone a un’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento.
23 In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 16 del RGPD, l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento, quanto prima, la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa.
24 Tale disposizione concretizza il diritto fondamentale sancito all’articolo 8, paragrafo 2, seconda frase, della Carta, secondo il quale ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.
25 Inoltre, l’articolo 16 del RGPD deve essere letto alla luce, da un lato, dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), del RGPD, che sancisce il principio di esattezza, in forza del quale i dati trattati devono essere esatti e, se necessario, aggiornati, fermo restando che devono essere adottate tutte le misure ragionevoli affinché i dati inesatti, tenuto conto delle finalità per le quali sono trattati, siano cancellati o rettificati senza indugio. Dall’altro lato, tale disposizione deve essere letta anche alla luce del considerando 59 del RGPD, dal quale risulta che dovrebbero essere previste modalità per agevolare l’esercizio, da parte dell’interessato, dei diritti conferitigli da tale regolamento, compresi i mezzi per chiedere e, se del caso, ottenere gratuitamente, in particolare, la rettifica dei suoi dati personali.
26 A tal riguardo, occorre precisare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il carattere esatto e completo dei dati personali deve essere valutato alla luce della finalità per la quale tali dati sono stati raccolti (v., per analogia, sentenza del 20 dicembre 2017, Nowak, C‑434/16, EU:C:2017:994, punto 53).
27 Infine, quanto all’interpretazione dell’articolo 16 del RGPD, occorre ancora ricordare che l’obiettivo perseguito da detto regolamento, quale risulta dall’articolo 1 nonché dai considerando 1 e 10 di quest’ultimo, consiste, segnatamente, nel garantire un elevato livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare del loro diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, sancito dall’articolo 8, paragrafo 1, della Carta e all’articolo 16, paragrafo 1, TFUE (sentenza del 9 gennaio 2025, Mousse, C‑394/23, EU:C:2025:2, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).
28 Conformemente a tale obiettivo, qualsiasi trattamento di dati personali deve, in particolare, essere conforme ai principi relativi al trattamento di tali dati enunciati all’articolo 5 del RGPD, compreso il principio di esattezza ricordato al punto 25 della presente sentenza, ma anche soddisfare le condizioni di liceità elencate all’articolo 6 di tale regolamento (v., in tal senso, sentenza del 9 gennaio 2025, Mousse, C‑394/23, EU:C:2025:2, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
29 In tali circostanze, l’aggiornamento dei dati trattati costituisce un aspetto essenziale della tutela della persona interessata con riguardo al trattamento di tali dati.
30 Nel caso di specie, è pacifico, da un lato, che l’informazione relativa all’identità di genere di VP può essere qualificata come «dato personale», dal momento che si riferisce a una persona fisica identificata o identificabile, ai sensi dell’articolo 4, punto 1, del RGPD, e, dall’altro, che tale dato è stato oggetto di un «trattamento», ai sensi dell’articolo 4, punto 2, di tale regolamento, in quanto è stato raccolto e registrato dall’autorità competente in materia di asilo in un registro pubblico, ossia il registro dell’asilo. Di conseguenza, un siffatto trattamento, che verte su dati contenuti o destinati a figurare in un archivio, rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae di detto regolamento, in forza dell’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultimo (v., per analogia, sentenza del 9 gennaio 2025, Mousse, C‑394/23, EU:C:2025:2, punto 30).
31 Sebbene il rispetto delle condizioni di liceità del trattamento di cui trattasi, ai sensi dell’articolo 6 del RGPD, non sembri essere stato rimesso in discussione nell’ambito del procedimento principale, il rispetto, da parte dell’autorità competente in materia di asilo, del principio di esattezza enunciato all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento è contestato da VP, che chiede una rettifica del dato personale relativo alla sua identità di genere, ai sensi dell’articolo 16 di detto regolamento.
32 Alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 26 della presente sentenza, spetta al giudice del rinvio verificare l’esattezza del dato di cui trattasi nel procedimento principale alla luce della finalità per la quale esso è stato raccolto e valutare, in particolare, alla luce dell’articolo 81, lettera c), della legge sul diritto di asilo, se la raccolta di tale dato abbia lo scopo di identificare la persona interessata. Se così fosse, detto dato sembrerebbe quindi riguardare l’identità di genere vissuta da tale persona, e non quella che le sarebbe stata assegnata alla nascita. In tale contesto, contrariamente a quanto sostiene il governo ungherese, spetterebbe al titolare del trattamento, nella fattispecie all’autorità competente in materia di asilo, prendere in considerazione l’identità di genere di detta persona al momento della sua iscrizione nel registro dell’asilo, e non l’identità di genere che gli sarebbe stata assegnata alla nascita.
33 Di conseguenza, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 31 e 40 delle sue conclusioni, e alla luce del fascicolo di cui dispone la Corte, secondo il quale, nell’ambito della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, l’Ungheria avrebbe ammesso che VP era una persona transgender, il dato personale relativo alla sua identità di genere, figurante nel registro dell’asilo, sembra essere stato inesatto sin dalla sua iscrizione.
34 A tal riguardo, contrariamente a quanto sostiene il governo ungherese, uno Stato membro non può avvalersi di disposizioni di diritto nazionale specifiche, adottate sulla base dell’articolo 6, paragrafi 2 e 3, del RGPD, per ostacolare il diritto di rettifica sancito all’articolo 8, paragrafo 2, della Carta e concretizzato all’articolo 16 del RGPD.
35 Infatti, da un lato, dal considerando 10, terza frase, di tale regolamento risulta che tali disposizioni specifiche sono destinate unicamente a precisare ulteriormente l’applicazione delle norme contenute nel RGPD, e non a derogarvi.
36 D’altro canto, il diritto di rettifica di cui all’articolo 16 del RGPD può essere limitato solo alle condizioni di cui all’articolo 23 di tale regolamento, letto alla luce del considerando 73 dello stesso. Pertanto, uno Stato membro può, in particolare, prevedere, mediante misure legislative interne, limitazioni a tale diritto nel caso di dati personali contenuti in registri pubblici tenuti per motivi di interesse pubblico generale. Tuttavia, nel caso di specie, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta che il legislatore ungherese abbia limitato, nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 23 del RGPD, la portata di detto diritto di rettifica, né che l’autorità competente in materia di asilo abbia motivato il suo rifiuto della rettifica richiesta invocando una siffatta limitazione legale. Infatti, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, sembrerebbe che tale rifiuto non sia fondato su una misura legislativa adottata ai sensi dell’articolo 23 del RGPD, bensì sulla considerazione secondo cui VP non avrebbe fornito la prova della sua identità di genere.
37 In ogni caso, uno Stato membro non può invocare l’assenza, nel proprio diritto nazionale, di un procedimento di riconoscimento giuridico della transidentità per ostacolare il diritto di rettifica. A tal riguardo, occorre ricordare che, sebbene il diritto dell’Unione non pregiudichi la competenza degli Stati membri in materia di stato civile delle persone e di riconoscimento giuridico della loro identità di genere, tali Stati devono tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, rispettare il diritto dell’Unione. Pertanto, una normativa nazionale che osta a che una persona transgender, in mancanza del riconoscimento della sua identità di genere, possa soddisfare una condizione necessaria per beneficiare di un diritto tutelato dal diritto dell’Unione come, nel caso di specie, il diritto sancito all’articolo 8, paragrafo 2, della Carta e concretizzato all’articolo 16 del RGPD, deve essere considerata, in linea di principio, incompatibile con il diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 4 ottobre 2024, Mirin, C‑4/23, EU:C:2024:845, punti 53 e 60 e giurisprudenza ivi citata).
38 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 16 del RGPD deve essere interpretato nel senso che esso impone a un’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento.
Sulla seconda e terza questione
39 Con le sue questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 16 del RGPD debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro può subordinare, mediante una prassi amministrativa, l’esercizio del diritto di rettifica dei dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica, contenuti in un registro pubblico, alla produzione di prove, segnatamente, di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale.
40 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle sue conclusioni, l’articolo 16 del RGPD non precisa quali siano gli elementi di prova che possono essere richiesti da un titolare del trattamento al fine di dimostrare l’inesattezza dei dati personali di cui una persona fisica chiede la rettifica.
41 In tale contesto, se l’interessato, che chiede la rettifica di tali dati, può essere tenuto a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che, alla luce delle circostanze del caso di specie, possono ragionevolmente essere richiesti a tale persona per dimostrare l’inesattezza di detti dati [v., per analogia, sentenza dell’8 dicembre 2022, Google (Deindicizzazione di un contenuto asseritamente inesatto), C‑460/20, EU:C:2022:962, punti 68 e 72], occorre tuttavia precisare, come ricordato al punto 36 della presente sentenza, che uno Stato membro può limitare l’esercizio del diritto di rettifica solo nel rispetto dell’articolo 23 del RGPD.
42 Orbene, l’articolo 23, paragrafo 1, del RGPD prevede che il diritto dell’Unione o il diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento possono limitare, mediante misure legislative, la portata degli obblighi e dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 e all’articolo 34 di tale regolamento, nonché al suo articolo 5, nella misura in cui le disposizioni del diritto in questione corrispondano ai diritti e agli obblighi previsti agli articoli da 12 a 22 di detto regolamento, a condizione, tuttavia, che una siffatta limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e costituisca una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per garantire taluni obiettivi elencati dal medesimo regolamento, quali, in particolare, importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro. Come rilevato al punto 36 della presente sentenza, il diritto di rettifica può essere oggetto di limitazioni nel contesto della tenuta di registri pubblici conservati per motivi di interesse pubblico generale, in particolare al fine di garantire l’affidabilità e la coerenza di tali registri.
43 Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che lo Stato membro interessato ha adottato una prassi amministrativa consistente nel subordinare l’esercizio, da parte di una persona transgender, del suo diritto di rettifica dei dati relativi alla sua identità di genere, contenuti in un registro pubblico, alla produzione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale. Una siffatta prassi amministrativa dà luogo a una limitazione del diritto di rettifica, che deve essere conforme alle condizioni di cui all’articolo 23 del RGPD, come ricordato ai due punti precedenti della presente sentenza.
44 Orbene, in primo luogo, occorre rilevare che tale prassi amministrativa non soddisfa il requisito secondo cui il diritto di uno Stato membro può limitare la portata del diritto previsto all’articolo 16 del RGPD solo mediante misure legislative. Infatti, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, il diritto ungherese non sembra contenere alcuna misura legislativa relativa ai requisiti probatori applicabili quanto alla rettifica dei dati relativi all’identità di genere delle persone iscritte nel registro dell’asilo.
45 In secondo luogo, una siffatta prassi amministrativa pregiudica l’essenza dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, in particolare, l’essenza del diritto all’integrità della persona e del diritto al rispetto della vita privata, di cui rispettivamente agli articoli 3 e 7 di quest’ultima.
46 A tal riguardo, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i diritti garantiti da quest’ultima hanno lo stesso significato e la stessa portata dei corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU, che costituisce una soglia di protezione minima (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2024, Mirin, C‑4/23, EU:C:2024:845, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
47 Orbene, da giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che l’articolo 8 della CEDU, che corrisponde all’articolo 7 della Carta, tutela l’identità di genere di una persona, che è un elemento costitutivo e uno degli aspetti più intimi della sua vita privata. Pertanto, tale disposizione include il diritto di ciascuno di stabilire i dettagli della propria identità di essere umano, il che comprende il diritto delle persone transgender allo sviluppo personale e all’integrità fisica e morale, nonché al rispetto e al riconoscimento della loro identità di genere. Tale articolo 8 impone, a tal fine, agli Stati, oltre ad obblighi negativi aventi ad oggetto quello di premunire le persone transgender contro le ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, obblighi positivi, il che implica altresì l’attuazione di procedimenti efficaci e accessibili che garantiscano un rispetto effettivo del loro diritto all’identità di genere. Inoltre, tenuto conto della particolare importanza di tale diritto, gli Stati dispongono solo di un potere discrezionale limitato in tale settore (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2024, Mirin, C‑4/23, EU:C:2024:845, punti 64 e 65 e giurisprudenza ivi citata).
48 In tale contesto, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, in particolare, che il riconoscimento dell’identità di genere di una persona transgender non può essere subordinato alla realizzazione di un trattamento chirurgico non desiderato da tale persona (v., in tal senso, Corte EDU, 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania, CE:ECHR:2021:0119JUD000214516, §§ 165 e 167 e giurisprudenza ivi citata).
49 Infine, in terzo luogo, una prassi amministrativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale non è, in ogni caso, necessaria né proporzionata al fine di garantire l’affidabilità e la coerenza di un registro pubblico, quale il registro dell’asilo, dal momento che un certificato medico, ivi compresa una previa diagnosi psicologica, può costituire un elemento di prova pertinente e sufficiente al riguardo (v., in tal senso, Corte EDU, 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia, CE:ECHR:2017:0406JUD007988512, §§ 139 e 142).
50 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza dichiarando che l’articolo 16 del RGPD deve essere interpretato nel senso che, ai fini dell’esercizio del diritto di rettifica dei dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica, contenuti in un registro pubblico, tale persona può essere tenuta a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che si possono ragionevolmente richiedere a detta persona per dimostrare l’inesattezza di tali dati. Tuttavia, uno Stato membro non può in alcun caso subordinare, mediante una prassi amministrativa, l’esercizio di tale diritto alla produzione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale.
Sulle spese
51 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) L’articolo 16 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati),
dev’essere interpretato nel senso che:
impone a un’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), di tale regolamento.
2) L’articolo 16 del regolamento 2016/679
dev’essere interpretato nel senso che:
ai fini dell’esercizio del diritto di rettifica dei dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica, contenuti in un registro pubblico, tale persona può essere tenuta a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che si possono ragionevolmente richiedere a detta persona per dimostrare l’inesattezza di tali dati. Tuttavia, uno Stato membro non può in alcun caso subordinare, mediante una prassi amministrativa, l’esercizio di tale diritto alla produzione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale.
Firme
* Lingua processuale: l’ungherese.
i Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.
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