In particolare, si sottolinea che la presenza di impronte papillari su un oggetto utilizzato nel reato può essere considerata come una prova certa di partecipazione o di presenza del soggetto nel momento e nel luogo del fatto. La valenza probatoria di questa prova deriva dalla sua natura di elemento oggettivo e scientificamente verificabile. Tuttavia, si evidenzia anche che questa prova, da sola, può essere contestata o contrastata da una dimostrazione contraria da parte dell’indagato o imputato, che potrebbe, ad esempio, sostenere che le impronte non siano le sue, siano state manipolate, o che la loro presenza non dimostri necessariamente la sua partecipazione diretta al reato.
Il principio fondamentale qui è che la prova delle impronte digitali ha un’efficacia probatoria molto elevata, ma non assoluta, e che la dimostrazione contraria può essere fatta solo dall’interessato, cioè dal soggetto cui le impronte si riferiscono. Questa impostazione si inserisce nel più ampio contesto delle garanzie di difesa e del principio di presunzione di innocenza, secondo cui ogni prova deve essere valutata nel suo insieme e nel contesto dell’intero processo.
In conclusione, si riconosce che le impronte digitali rappresentano una prova scientifica di grande valore, e la loro attribuzione al soggetto specifico può costituire un elemento sufficiente per ritenere la sua responsabilità, salvo che quest’ultimo non riesca a fornire una prova contraria convincente. La Cassazione, in questo ambito, si è spesso pronunciata nel senso che le impronte digitali sono un elemento probatorio altamente affidabile, ma che l’accertamento della responsabilità richiede comunque una valutazione complessiva delle prove acquisite nel processo.
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