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23 luglio 2025

La sentenza numero 119 del 2025 della Corte costituzionale, depositata oggi, rappresenta un importante pronunciamento in materia di accesso al patrocinio a spese dello Stato per cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea. La Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze riguardo alla disposizione che richiede, ai fini dell'ammissione al beneficio, la presentazione di una certificazione rilasciata dall’Ufficio consolare attestante la veridicità delle dichiarazioni sui redditi prodotti all’estero.

 

 

 La sentenza numero 119 del 2025 della Corte costituzionale, depositata oggi, rappresenta un importante pronunciamento in materia di accesso al patrocinio a spese dello Stato per cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea. La Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze riguardo alla disposizione che richiede, ai fini dell'ammissione al beneficio, la presentazione di una certificazione rilasciata dall’Ufficio consolare attestante la veridicità delle dichiarazioni sui redditi prodotti all’estero.



**Contesto normativo e questione sollevata**  
L’articolo contestato impone, ai fini dell’ammissione al beneficio, che il richiedente fornisca una certificazione rilasciata dall’Ufficio consolare attestante la veridicità delle dichiarazioni relative ai redditi esteri. La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Firenze, verte sulla compatibilità di questa disposizione con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, che garantiscono rispettivamente il principio di uguaglianza e il diritto di difesa.

**Motivazioni della Corte e ratio decidendi**  
La Corte costituzionale, nella sua sentenza, ha ritenuto che la disposizione non sia contraria alla Costituzione. La ratio sottesa a questa normativa, già ribadita in pronunce precedenti, risiede nella necessità di ottenere informazioni tempestive sulla situazione economica dei richiedenti stranieri, per evitare ingenti oneri burocratici e permettere un iter rapido di verifica. La certificazione consolare rappresenta un mezzo efficace per ottenere, in modo centralizzato e affidabile, la documentazione necessaria, evitando al richiedente di dover rivolgersi a più enti o uffici di diversi Stati.

**Ragioni dell’ammissibilità della certificazione anche in caso di residenza in Italia**  
La Corte sottolinea che la residenza nel territorio italiano, anche protratta nel tempo, non altera la rilevanza dell’interesse alla verifica dei redditi prodotti all’estero. Infatti, la nozione di “non abbienza” delle risorse economiche, condizione per l’accesso al beneficio, include tutte le risorse, indipendentemente dalla loro origine o dal luogo di produzione. Pertanto, la necessità di una certificazione consolare si mantiene valida anche per i cittadini di Stati non appartenenti all’UE residenti in Italia, poiché l’obiettivo è quello di accertare la reale capacità economica del richiedente, al fine di garantire un principio di equità e di tutela del principio di solidarietà sociale.

**Implicazioni e valutazioni critiche**  
La sentenza conferma l’importanza di bilanciare le esigenze di efficienza amministrativa e di tutela dei diritti fondamentali. La Corte riconosce che la richiesta di certificazione consolare non costituisce un aggravio sproporzionato, ma un mezzo per assicurare rapidità e affidabilità nelle verifiche, tutelando al contempo il principio di uguaglianza di trattamento tra cittadini italiani e stranieri. Tuttavia, questa soluzione potrebbe sollevare questioni circa l’accessibilità e la praticabilità delle certificazioni consolari, soprattutto in casi di difficoltà o di situazioni di emergenza.

**Conclusione**  
In definitiva, la sentenza 119/2025 ribadisce la legittimità costituzionale della disposizione, valorizzando la funzione della certificazione consolare come strumento di semplificazione e di tutela della corretta applicazione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato, anche in presenza di cittadini stranieri residenti in Italia. La pronuncia si inserisce nel solco di una giurisprudenza che mira a garantire un’efficace tutela dei diritti sociali e di accesso alla giustizia, senza però perdere di vista le esigenze di efficienza amministrativa e di tutela delle risorse pubbliche.

 

SENTENZA N. 119

ANNO 2025

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di Y. J., con ordinanza del 13 settembre 2024, iscritta al n. 187 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2025 il Giudice relatore Roberto Nicola Cassinelli;

deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 13 settembre 2024, iscritta al n. 187 reg. ord. del 2024, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «(Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Testo A)», nella parte in cui, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la verifica dei redditi prodotti all’estero, richiede ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che l’istanza di ammissione sia corredata con la certificazione dell’autorità consolare, anche quando si tratti di persone residenti in Italia e che già lo fossero nell’anno di riferimento per l’individuazione del requisito reddituale.

1.1.– Il giudice a quo, che è chiamato a giudicare con rito direttissimo Y. J., nato in Gambia, residente in provincia di Firenze, imputato di furto aggravato, riferisce di dover decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata in data 3 agosto 2023.

Riferisce ancora che l’imputato, incensurato, senza fissa dimora, ha dichiarato nell’istanza di essere unico componente della propria famiglia, di non avere percepito alcun reddito nell’ultimo anno, di non possedere beni mobili e immobili in Italia e nel Paese d’origine, ma non ha corredato l’istanza con la certificazione dell’autorità consolare, neppure deducendo l’impossibilità di presentare la richiesta di rilascio della stessa certificazione.

Pertanto, l’istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile.

1.2.– Evidenzia il rimettente di avere già investito questa Corte (con ordinanza iscritta al n. 153 reg. ord. del 2023), nel medesimo giudizio a quo, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, che reca una disciplina differenziata dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, con riferimento all’attestazione dei redditi prodotti all’estero.

In particolare, e per quanto ancora di interesse, la citata disposizione è stata oggetto di censura, «in ulteriore subordine», nella parte in cui si applica anche a coloro i quali «siano e fossero già residenti in Italia nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale». Con la sentenza n. 110 del 2024, questa Corte ha dichiarato inammissibili le citate questioni per mancanza di chiarezza delle argomentazioni a sostegno della rilevanza e della non manifesta infondatezza.

1.3.– Il giudice a quo ritiene sussista ancora la necessità dello scrutinio di merito delle suddette questioni e perciò le ripropone, precisando che il dubbio investe l’art. 79, comma 2, nella parte in cui si applica anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che siano residenti in Italia e già lo fossero nell’anno di riferimento per l’individuazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio.

Posto che l’imputato risulta residente anagraficamente in Italia quanto meno dal 12 aprile 2017, permarrebbe, sempre secondo il giudice a quo, la rilevanza delle questioni ai fini della decisione sull’istanza di ammissione al beneficio, essendo la disposizione censurata l’unico ostacolo all’accoglimento della stessa.

1.4.– Il rimettente prosegue argomentando la non manifesta infondatezza delle questioni, previa disamina della giurisprudenza costituzionale in tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo penale.

1.4.1.– È richiamata innanzitutto la sentenza n. 101 del 2012 di questa Corte, che ha individuato la ratio della disposizione censurata nella difficoltà di verificare l’esistenza e l’entità dei redditi prodotti all’estero dai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, diversamente da quanto avviene con riguardo al cittadino italiano, rientrando tale verifica tra i poteri del giudice, ai sensi dell’art. 96 t.u. spese di giustizia.

Nella stessa pronuncia si è sottolineato che la legge prende in considerazione l’eventualità che l’interessato all’ammissione al beneficio versi in situazione di «fattuale impossibilità» di produrre la certificazione consolare e per tale ipotesi ha previsto che debba essere prodotta, sempre a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva (art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia).

1.4.2.– Il rimettente richiama quindi la sentenza n. 157 del 2021 di questa Corte, in cui si è ribadito che la disciplina sul patrocinio a spese dello Stato attua il disposto dell’art. 24, terzo comma, Cost., che impone al legislatore di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione, ed è strumentale a rimuovere, in armonia con l’art. 3, secondo comma, Cost., le difficoltà di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa, espressamente qualificato inviolabile dall’art. 24 Cost.

Ciò avviene con particolare pregnanza nel processo penale, nel quale è giustificata una più intensa protezione del diritto di difesa dei non abbienti, giacché il processo penale è frutto di un’azione dell’organo pubblico che viene «subita» dal soggetto che aspira al beneficio e ha, come posta in gioco, il bene supremo della libertà personale.

L’ammissione al beneficio per l’indagato o l’imputato è subordinata esclusivamente alla condizione reddituale (è citata la sentenza n. 223 del 2022 di questa Corte).

Osserva ancora il giudice a quo, che la Corte europea dei diritti dell’uomo afferma che il diritto dell’accusato, sancito dall’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio – se non ha i mezzi per retribuire un difensore e quando lo esigono gli interessi della giustizia – è uno degli elementi del giusto processo nel settore penale (è richiamata la sentenza 1° ottobre 2009, Tsonyo Tsonev contro Bulgaria).

Rimarrebbe dunque acquisito, secondo il rimettente, che il diritto di difesa, quale diritto inviolabile, riconosciuto all’essere umano in quanto tale, non può tollerare distinzioni basate sul sesso, sulla razza, sulla religione e neppure «sul mero dato della cittadinanza», sicché la norma censurata, che invece differenzia in base al criterio della cittadinanza la disciplina di accesso al beneficio, produrrebbe una irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani ovvero europei e cittadini extraeuropei residenti in Italia.

1.5.– Peraltro, prosegue il giudice a quo, la sentenza n. 110 del 2024 di questa Corte avrebbe ribadito la ragionevolezza del differente trattamento, in considerazione delle peculiarità che contraddistinguono la situazione dello straniero da quelle del cittadino, in particolare con riguardo alla situazione reddituale e al relativo accertamento, affermando che la certificazione consolare è funzionale all’effettività del controllo delle dichiarazioni rese dalla persona che invoca il beneficio, poiché l’autorità consolare dello Stato di appartenenza è in grado di svolgere accertamenti non solo sulla base dei dati di cui dispone, ma anche nel dialogo con le amministrazioni di quello Stato.

La citata pronuncia avrebbe anche ribadito che la mancata presentazione della certificazione consolare non comporta automaticamente l’inammissibilità dell’istanza, poiché l’interessato può dimostrare l’impossibilità di produrre tale documentazione – da intendersi come impossibilità non assoluta ma relativa – e così limitarsi a produrre la dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia.

1.6.– Esclusa l’incompatibilità «in via generale» dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia con gli artt. 3 e 24 Cost., residuerebbe il dubbio riguardo alla richiesta del certificato consolare ai cittadini extracomunitari che siano residenti in Italia e che già lo fossero nel corso dell’anno al quale occorre fare riferimento per valutare il rispetto del requisito reddituale.

1.6.1.– La ratio dell’adempimento ulteriore, individuato nella possibilità/probabilità che il cittadino extracomunitario abbia prodotto un reddito nel proprio Paese d’origine e nella difficoltà di accertamento in capo alle autorità italiane, perderebbe di significato nella situazione descritta, essendo remota la possibilità che il cittadino extracomunitario, vivendo in Italia, abbia maturato un reddito all’estero nell’anno di riferimento. Più verosimilmente costui potrebbe avere prodotto reddito in Italia, in tal caso le autorità italiane disporrebbero degli stessi poteri di accertamento di cui dispongono nei confronti dei cittadini italiani.

Il giudice a quo ritiene, infatti, che il radicamento del cittadino extracomunitario nel territorio italiano arriverebbe a «recidere, in ottica presuntiva, il suo ipotetico collegamento con il proprio Paese di provenienza (collegamento su cui si fonda la presunzione "contraria” che innerva la disciplina dell’art. 79, comma 2)».

In astratto sarebbe possibile che il cittadino extracomunitario, pur vivendo in Italia, abbia maturato un reddito da capitale o da fabbricato all’estero, ma si tratterebbe di possibilità statisticamente poco significativa – tenuto conto che «spesso è proprio lo stato di indigenza ad indurre le persone ad emigrare» (è citata ancora la sentenza n. 157 del 2021) – e comunque, questa eventualità può ricorrere anche con riguardo ai cittadini italiani e di altri Stati dell’Unione europea, senza che le autorità italiane abbiano maggiori strumenti di verifica.

Nella situazione descritta, pertanto, non sarebbero ravvisabili le peculiarità che, in base alla sentenza n. 110 del 2024, contraddistinguono la situazione dello straniero da quella del cittadino italiano, avuto riguardo all’accertamento dei redditi prodotti all’estero.

1.6.2.– La violazione del principio di uguaglianza si apprezzerebbe ancora più chiaramente considerando la diversità di disciplina applicabile tra una persona nata e cresciuta all’estero, che risieda in Italia e abbia conseguito la cittadinanza italiana, e una persona nata e cresciuta all’estero, che risieda in Italia ma non abbia conseguito la cittadinanza italiana. Se l’imputato nel processo principale avesse conseguito la cittadinanza italiana, le autorità del nostro Paese non disporrebbero di poteri di accertamento maggiori riguardo agli eventuali redditi che egli avesse prodotto all’estero, tuttavia l’imputato sarebbe agevolato ai fini della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, perché non dovrebbe presentare la certificazione consolare.

In conclusione, la richiesta della documentazione consolare farebbe perno su un dato – la titolarità della cittadinanza italiana – che non è significativo in relazione ai poteri di accertamento dei redditi prodotti da cittadini di Paesi extra UE che siano residenti in Italia.

1.7.– Il rimettente è consapevole che l’omessa presentazione della certificazione consolare non comporta automaticamente l’inammissibilità dell’istanza, per effetto del disposto di cui all’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia, e che l’art. 79, comma 3, del medesimo testo unico assegna al giudice ampi poteri di sollecitazione e di accertamento; nondimeno, ove si ravvisi una ingiustificata disparità di trattamento, la possibilità di limitarne le conseguenze non può essere dirimente, essendo la disparità in quanto tale a dover essere eliminata.

Lo stesso rimettente esclude, infine, di poter addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, stante la chiarezza e univocità del dato testuale.

2.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.

2.1.– La difesa dello Stato richiama la sentenza n. 110 del 2024 di questa Corte, che ha dichiarato inammissibili le questioni analoghe alle odierne per insufficiente motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza.

A parere dell’Avvocatura le questioni riproposte sarebbero inammissibili perché non emendate dai vizi riscontrati.

Nella precedente ordinanza di rimessione il giudice a quo aveva fatto riferimento al cittadino straniero residente nel territorio italiano «già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale», mentre nell’ordinanza odierna indica il cittadino straniero già residente in Italia «nell’anno di riferimento per l’individuazione del reddito rilevante ai fini dell’istanza».

La modifica sarebbe priva di portata sostanziale e, in ogni caso, sarebbero rimasti inalterati gli ulteriori vizi rilevati, non essendo mutata la situazione processuale e stante il mancato raggiungimento di una soglia argomentativa minima, sufficientemente chiara e non contraddittoria atta a superarli.

2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero comunque non fondate alla luce della citata sentenza n. 110 del 2024 (in particolare, punti 6 e 7 del Considerato in diritto) e delle numerose altre pronunce in tema di patrocinio a spese dello Stato, che hanno esaminato la norma censurata (sono citate le sentenze n. 228 del 2023 e n. 157 del 2021 di questa Corte).

2.2.1.– La giurisprudenza costituzionale ha ricondotto l’istituto del patrocinio a spese dello Stato alla disciplina processuale, nella quale il legislatore gode di ampia discrezionalità con il solo limite della non manifesta irragionevolezza (sono citate le sentenze n. 80 e n. 47 del 2020, n. 97 del 2019, n. 81 del 2017 e l’ordinanza n. 3 del 2020).

Con la sentenza n. 237 del 2015 questa Corte ha fornito importanti elementi sistematici relativi all’istituto in esame, evidenziando la summa divisio tra processo penale e altre tipologie di giudizio.

Con la sentenza n. 47 del 2020 è stato chiarito che, nel bilanciamento degli interessi in gioco, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzie del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenere la spesa in materia di giustizia, e in questa prospettiva si spiega che nei giudizi diversi da quello penale è prevista una disciplina più rigorosa, a partire dal disposto dell’art. 74 t.u. spese di giustizia, che esige, per il riconoscimento del beneficio, la non manifesta infondatezza delle ragioni di chi agisce o resiste e, specularmente è prevista la revoca del beneficio qualora risulti che l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.

Con la sentenza n. 228 del 2023, richiamata dalla sentenza n. 110 del 2024, questa Corte ha ulteriormente chiarito che «è proprio per rafforzare l’interesse a un accertamento del requisito reddituale che la norma censurata [art. 79, comma 2] non si limita a richiedere ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea dichiarazioni sostitutive di certificazione dei redditi prodotti all’estero, diversamente da quanto dispone il comma 1 dell’art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002 per i cittadini italiani e per quelli di paesi appartenenti all’Unione europea. È, infatti, a tutela della effettività del controllo che il legislatore, facendo perno sul principio di leale collaborazione fra autorità appartenenti a diversi Stati, affida il compito di asseverare la veridicità di quanto dichiarato dall’istante a un ufficio, qual è quello consolare, per il quale è ben possibile svolgere congrui accertamenti, non solo sulla base dei dati di cui dispone, ma anche nel dialogo con le amministrazioni dello Stato di appartenenza. La soluzione legislativa, dunque, potenzia la tutela dell’interesse a una verifica concreta delle condizioni reddituali dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e, al contempo, consente a tali soggetti di rivolgersi ad amministrazioni che si trovano nel territorio italiano. In tal modo, l’interessato non deve corredare l’istanza con plurime certificazioni, eventualmente di contenuto solo negativo, rilasciate da differenti amministrazioni dello Stato competente, previo assolvimento degli oneri prescritti a garanzia della loro autenticità».

2.3.– L’Avvocatura generale dello Stato richiama infine l’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia che consente all’interessato, qualora impossibilitato a produrre la certificazione consolare, di allegare all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato una dichiarazione sostitutiva di certificazione.

La norma censurata risulterebbe, dunque, pienamente legittima, potendo il cittadino extracomunitario presentare la dichiarazione sostitutiva di certificazione per dimostrare la propria situazione reddituale, nel caso di impossibilità di produrre la certificazione consolare.

Il supporto documentale aggiuntivo si giustificherebbe per le ragioni evidenziate dalla sentenza n. 110 del 2024, che sarebbero pregnanti anche quando venga in considerazione la posizione del cittadino extracomunitario residente nel territorio italiano, posto che la necessità di raggiungere un’adeguata verifica della sussistenza delle condizioni reddituali per l’accesso al beneficio non appare scalfita dalla presenza fisica dell’interessato in Italia, né dalle considerazioni di carattere presuntivo del rimettente a proposito del venir meno del collegamento con il paese di provenienza per effetto del radicamento nel territorio italiano.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la verifica dei redditi prodotti all’estero richiede ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che l’istanza di ammissione sia corredata con la certificazione dell’autorità consolare, anche quando si tratti di persone residenti in Italia già nell’anno di riferimento per l’individuazione del requisito reddituale.

1.1.– Il giudice a quo deve decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata da Y. J., nato in Gambia, residente in provincia di Firenze, imputato di furto aggravato.

Nell’istanza, presentata in data 3 agosto 2023, l’imputato ha dichiarato di essere unico componente della propria famiglia, di non avere percepito alcun reddito nell’ultimo anno, di non possedere beni mobili e immobili in Italia e nel Paese d’origine.

L’istanza non risulta corredata con la certificazione dell’autorità consolare richiesta dall’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia e l’imputato, ai fini dell’applicazione dell’art. 94, comma 2, del medesimo testo unico, non ha dedotto l’impossibilità di presentare la richiesta di rilascio dell’indicata certificazione. Ne segue che l’istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile.

1.2.– Nella medesima situazione processuale, lo stesso giudice aveva già sollevato, «in ulteriore subordine», analoghe questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui impone la produzione della certificazione consolare anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che «siano e fossero già residenti in Italia nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale» (ordinanza iscritta al n. 153 reg. ord. del 2023).

Con la sentenza n. 110 del 2024, questa Corte ha dichiarato inammissibili le indicate questioni per mancanza di chiarezza delle argomentazioni a sostegno della rilevanza e della non manifesta infondatezza.

1.3.– Il giudice a quo ripropone le questioni, assumendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia nella parte in cui si applica anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che siano residenti in Italia al momento della presentazione dell’istanza e già lo fossero nell’anno di riferimento per l’individuazione del reddito rilevante ai fini dell’istanza.

La previsione ivi contenuta costituirebbe l’unico ostacolo all’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato, essendo costui residente in Italia dal 2017, sicché le questioni sarebbero ancora rilevanti ai fini della decisione sull’ammissione al beneficio.

1.4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente argomenta la violazione del principio di uguaglianza e, per il suo tramite, del diritto di difesa, evidenziando che la ratio del trattamento differenziato previsto dalla norma censurata – enucleata dalla giurisprudenza costituzionale nella difficoltà di accertamento dei redditi prodotti all’estero dal cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea – non sarebbe utilmente invocabile per giustificare l’aggravio procedimentale nel caso in esame.

La permanenza protratta nel territorio nazionale, come avvenuto nel caso in esame, farebbe presumere che sia stato reciso il collegamento con lo Stato di provenienza, sul quale poggia la presunzione, sottesa alla norma censurata, che ivi siano prodotti redditi.

Sarebbe remota, poi, la possibilità che l’istante, vivendo in Italia, abbia maturato un reddito da lavoro all’estero, mentre l’astratta possibilità ch’egli abbia maturato un reddito da capitale o da fabbricato all’estero sarebbe statisticamente ininfluente, tenuto conto che spesso è proprio lo stato di indigenza a indurre le persone a emigrare, come anche questa Corte non ha mancato di osservare (sentenza n. 157 del 2021).

In ogni caso, anche i cittadini italiani o di altri Stati dell’Unione europea che chiedano di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato potrebbero avere prodotto redditi all’estero e le autorità italiane non disporrebbero, nei loro confronti, di poteri di accertamento maggiori di quanti ne abbiano rispetto alla posizione del cittadino italiano o di Stato non appartenente all’Unione europea.

2.– Preliminarmente si deve esaminare l’eccezione di inammissibilità delle questioni, formulata dall’Avvocatura generale dello Stato.

Secondo l’interveniente, non sarebbero superate le ragioni di inammissibilità delle analoghe questioni già sollevate dal medesimo Tribunale e rilevate da questa Corte nella sentenza n. 110 del 2024.

Il rimettente si sarebbe infatti limitato ad apportare modifiche formali al quesito, senza emendare gli ulteriori vizi.

2.1.– L’eccezione non è fondata.

2.1.1.– Per costante giurisprudenza costituzionale, il giudice a quo è abilitato a sollevare ulteriormente la medesima questione nello stesso giudizio quando questa Corte abbia emesso una pronuncia a carattere non decisorio, fondata su motivi rimovibili dal rimettente, ciò in quanto in detti casi la riproposizione non si pone in contrasto con l’art. 137 Cost., che vieta l’impugnazione delle decisioni di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2024 e n. 247 del 2022). La riproposizione è condizionata, come è ovvio, alla rimozione del vizio che aveva impedito l’esame del merito della questione.

2.1.2.– Nel caso in oggetto risultano emendati i vizi motivazionali rilevati da questa Corte nella sentenza n. 110 del 2024.

Il giudice a quo ha premesso di dover provvedere sull’istanza di ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato, in base alla medesima, incompleta, documentazione, di cui già disponeva al momento del precedente atto di promovimento.

Lo stesso giudice ha quindi chiarito che il riferimento, operato nel quesito allora formulato, alla residenza in Italia del cittadino extracomunitario già nell’anno per il quale fosse maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, era strumentale all’individuazione del periodo che rileva ai fini dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. E, in effetti, l’art. 76 t.u. spese di giustizia, che reca la disciplina delle condizioni per l’ammissione, al comma 1 dispone che: «[p]uò essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 12.838,01».

Si comprende che nella prospettazione delle questioni non riveste significato il fatto che l’imputato, in quanto privo di lavoro e senza fonti di reddito in Italia, non avesse maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi: ciò che conta è che egli fosse residente in Italia nel 2022, anno di riferimento del reddito rilevante ai fini dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata nell’agosto del 2023.

La condizione che, in tesi del rimettente, dovrebbe esentare l’imputato dalla presentazione della certificazione consolare è costituita dalla residenza in Italia, a far tempo dall’anno che precede quello in cui viene formulata l’istanza di ammissione al beneficio.

2.2.– Le questioni sono tuttora rilevanti.

Il giudice a quo – che deve fare comunque applicazione della disposizione censurata (ex plurimis e da ultimo, sentenze n. 164 e n. 125 del 2024) – ha evidenziato che l’imputato potrebbe essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato soltanto in esito all’accoglimento delle questioni. In tal caso, in quanto residente in Italia al momento dell’istanza e già nell’anno di riferimento per l’individuazione del requisito reddituale, egli non sarebbe tenuto a produrre la certificazione consolare sulla dichiarata assenza di redditi prodotti all’estero, né la documentazione sostitutiva prevista dall’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia per l’ipotesi di impossibilità di produrre la certificazione consolare (nella specie peraltro neppure dedotta).

3.– Le questioni sono dunque ammissibili, ma nel merito non fondate.

3.1.– In premessa va richiamata la disciplina contenuta nel t.u. spese di giustizia, che garantisce il diritto fondamentale di difesa alla persona non abbiente nel processo penale.

L’art. 74, comma 1, del testo unico assicura tale difesa al cittadino non abbiente e il successivo art. 90 garantisce lo stesso trattamento allo straniero, residente o non in Italia, anche quando irregolarmente presente, e all’apolide residente in Italia.

La condizione di "non abbienza” è l’unico requisito richiesto per la difesa a spese dello Stato nel processo penale, diversamente da quanto avviene negli altri giudizi, in cui è necessario anche il vaglio della non manifesta infondatezza delle ragioni per agire o resistere.

L’art. 76 t.u. spese di giustizia stabilisce che può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore all’importo di euro 12.838,01. In caso di convivenza con il coniuge o altri familiari, si considerano anche i redditi conseguiti da costoro nel medesimo periodo. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti da IRPEF o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero a imposta sostitutiva.

L’art. 79 t.u. spese di giustizia disciplina l’istanza di ammissione al patrocinio, con regole improntate alla semplificazione. Il comma 1 dispone che l’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, deve contenere: «a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente; b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali; c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76; d) l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione».

Il comma 2, oggetto delle odierne questioni, dispone che, per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea correda l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto ivi indicato.

Il comma 3 stabilisce che gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto ivi indicato.

3.2.– In sintesi, la dichiarazione sostitutiva prevista dall’art. 79, comma 1, t.u. spese di giustizia è sufficiente all’ammissione al beneficio del cittadino italiano o di Stati appartenenti all’Unione europea, salvo che il giudice procedente richieda ulteriore documentazione per accertare la veridicità di quanto indicato nell’autocertificazione. In tale caso, la mancata produzione della documentazione richiesta determina l’inammissibilità dell’istanza.

L’ulteriore documentazione – sub specie della certificazione consolare – è, invece, richiesta, a pena di inammissibilità dell’istanza, al cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea per i redditi prodotti all’estero.

L’inammissibilità non segue peraltro automaticamente alla mancata presentazione della documentazione: l’art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia dispone infatti che, se è impossibile produrre la suddetta documentazione, è consentita la produzione di una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato.

4.– Il regime differenziato previsto dal censurato art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia è già stato ritenuto non irragionevole da questa Corte, che ne ha individuato la ratio nella difficoltà di verificare l’esistenza e l’entità dei redditi prodotti all’estero dal cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea (sentenze n. 110 del 2024, n. 228 del 2023, n. 157 del 2021 e n. 101 del 2012), con l’ulteriore precisazione che il sistema configurato dal legislatore, che fa perno sull’autorità consolare, oltre a potenziare la verifica del requisito reddituale, agevola anche l’interessato, il quale non è costretto a corredare l’istanza con plurime certificazioni, rilasciate da differenti amministrazioni dello Stato competente (sentenza n. 228 del 2023).

4.1.– Nella più volte richiamata sentenza n. 110 del 2024, questa Corte, sollecitata dall’odierno rimettente, ha ribadito tale ratio, facendo riferimento a precedenti anche risalenti (sentenza n. 219 del 1995, a sua volta richiamata dalla sentenza n. 228 del 2023), per concludere che la certificazione consolare è funzionale a rendere effettivo e non virtuale il controllo delle dichiarazioni rese dalla persona che invoca il beneficio. L’autorità consolare dello Stato di appartenenza, infatti, è in grado di svolgere accertamenti non solo sulla base dei dati di cui dispone, ma anche nel dialogo con le amministrazioni dello Stato di appartenenza e in questo modo, all’interno di una cornice necessariamente ispirata alla leale collaborazione, l’autorità consolare può conoscere la reale consistenza del patrimonio del cittadino di quello Stato.

5.– Nel quadro normativo e giurisprudenziale richiamato, le odierne questioni si risolvono nella domanda se la ratio che sorregge la previsione dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia come individuata dalla giurisprudenza di questa Corte, sia invocabile anche a fronte della residenza pluriennale in Italia del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea.

La risposta è affermativa.

5.1.– Il criterio della cittadinanza, che in generale non è funzionale all’accertamento del reddito della persona residente in Italia e perciò iscritta all’anagrafe tributaria, risulta coerente nel contesto della disciplina del patrocinio a spese dello Stato, nel quale la stessa nozione di reddito rilevante ai fini del requisito della "non abbienza” non coincide con quella di reddito fiscale.

Come chiarito da tempo da questa Corte (sentenze n. 382 del 1995 e n. 144 del 1992; ordinanze n. 153 del 2016 e n. 386 del 1998), ai fini della "non abbienza” occorre, infatti, tenere conto dei redditi non assoggettati a imposta (perché non rientranti nella base imponibile o perché esenti), dei redditi da attività illecite, dei redditi per i quali è stata elusa l’imposizione fiscale, e, più in generale, di tutte le risorse di cui il soggetto che aspira al beneficio possa disporre, compresi gli aiuti economici (significativi e non saltuari) in qualsiasi forma a lui prestati da familiari o terzi.

5.2.– Se, dunque, il reddito in ipotesi realizzato in Italia dal cittadino extracomunitario – che comunque è tenuto a dichiarare, ricorrendone i presupposti di legge – può ritenersi verificabile con gli stessi strumenti utilizzabili per il cittadino italiano o di Stato appartenente all’Unione, non altrettanto è a dirsi per il reddito prodotto all’estero, ossia nello Stato di provenienza o in altri Stati pure non appartenenti all’Unione europea. Rispetto a tale eventuale reddito le amministrazioni dello Stato di provenienza sono le uniche in grado di verificare, in tempi rapidi, l’esistenza e la consistenza di risorse economiche dei propri cittadini, seppure non più residenti in loco.

5.3.– Ecco allora che, nella prospettiva del bilanciamento tra la garanzia del diritto inviolabile di difesa e la necessità di assicurare effettività al controllo della condizione di "non abbienza”, quale requisito di accesso alla difesa penale a spese dello Stato, il ruolo certatorio dell’autorità consolare rimane centrale anche quando il cittadino extracomunitario risieda in Italia.

La verifica della situazione reddituale è, a sua volta, decisiva per evitare che il riconoscimento del diritto di difesa dei non abbienti si risolva in un’eccessiva compressione dell’interesse alla corretta allocazione delle risorse statali (sentenza n. 228 del 2023, n. 157 del 2021 e n. 47 del 2020).

6.– In senso contrario non rilevano gli ulteriori argomenti prospettati dal rimettente a supporto della censura di disparità di trattamento.

6.1.– La disciplina del patrocinio a spese dello Stato non è strutturata in funzione degli accertamenti fiscali e si limita a prevedere strumenti che garantiscano la veridicità di quanto dichiarato dalla persona che chiede di essere ammessa al beneficio. L’onere posto a carico dell’istante – attenuato dalla sentenza n. 157 del 2021 per il profilo della impossibilità (relativa) di produrre la documentazione richiesta – è circoscritto alla certificazione della condizione di "non abbienza”, poiché la garanzia del patrocinio deve essere assicurata in tempi brevi e sarebbe incompatibile con controlli e indagini di una qualche durata sull’effettivo reddito dell’istante.

7.– Ulteriormente il rimettente assume che, se l’imputato nel processo principale avesse conseguito la cittadinanza italiana, le autorità italiane non disporrebbero di poteri di accertamento maggiori riguardo agli eventuali redditi che avesse prodotto all’estero, tuttavia egli sarebbe agevolato ai fini della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, perché non dovrebbe presentare la certificazione consolare.

L’argomento è palesemente irrilevante ai fini della comparazione istituita dal rimettente tra cittadino extracomunitario residente o non in Italia, là dove, all’interno di detta comparazione, non è sostenibile la tesi secondo cui la residenza protratta in Italia reciderebbe in termini probabilistici – e nella specie avrebbe reciso – il legame del cittadino extracomunitario con lo Stato d’origine.

Come appena ribadito, il requisito della "non abbienza” non può essere presunto e riguarda la condizione economica complessiva della persona, comprendente qualsiasi risorsa, non soltanto i redditi da lavoro, che di regola vengono prodotti nel luogo in cui si vive.

8.– In conclusione, devono dichiararsi non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, in riferimento ai parametri evocati.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Roberto Nicola CASSINELLI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2025

 

La versione anonimizzata è conforme, nel testo, all'originale

 

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