Tar 2025 - Il presente ricorso è stato proposto da una parte ricorrente rappresentata e difesa dai propri avvocati, contro il Ministero dell’Interno, rappresentato dal suo legale rappresentante pro tempore e difeso dall’Avvocatura Distrettuale. La controversia riguarda un’istanza volta all’annullamento di una nota del Ministero dell’Interno, datata 13 novembre 2020, con cui si fornisce una risposta negativa implicita alla richiesta della parte ricorrente circa il riconoscimento del computo ai fini dell’anzianità di servizio e dei diritti pensionistici relativi a un corso quadriennale per Allievo aspirante vice commissario.
Oggetto del contenzioso
L’oggetto principale del ricorso consiste nel chiedere l’annullamento di una nota del Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale Risorse Umane, con cui si nega il computo dell’anzianità di servizio derivante da un corso quadriennale presso l’Istituto Superiore di Polizia, svolto ai sensi dell’art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341/1982. Tale corso, secondo il ricorrente, dovrebbe essere riconosciuto ai fini dell’anzianità di servizio e della maturazione dei diritti pensionistici e previdenziali, come previsto dalla normativa di riferimento.
Contesto normativo
Il D.P.R. n. 341/1982 disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio per il personale appartenente alla Polizia di Stato, in relazione ai corsi di formazione e specializzazione svolti presso l’Istituto Superiore di Polizia. In particolare, l’art. 6 lett. a) sancisce il diritto al computo dell’anzianità per i corsi di formazione di durata quadriennale, che rappresentano un elemento fondamentale per il calcolo dei servizi utili ai fini pensionistici.
Inoltre, il D.P.R. 24 aprile 1982, n. 341, regolamenta specificamente il corso quadriennale per Allievo aspirante vice commissario e per i vice commissari, stabilendo le modalità di svolgimento e le conseguenze in termini di anzianità di servizio.
Analisi della decisione
Il TAR, in questa fase, si limita al commento dettagliato della sentenza, che si pone in un quadro di tutela dei diritti dei dipendenti pubblici in ambito di riconoscimento dell’anzianità di servizio e dei relativi diritti previdenziali.
In linea generale, il ricorso si fonda sulla presunta illegittimità del diniego implicito contenuto nella nota ministeriale, che ha negato il riconoscimento dell’anzianità maturata durante il corso quadriennale.
Il punto centrale riguarda la corretta interpretazione delle norme regolamentari e la corretta applicazione della normativa in materia di riconoscimento dell’anzianità. La parte ricorrente sostiene che il corso quadriennale svolto presso l’Istituto Superiore di Polizia, conformemente alle disposizioni del D.P.R. n. 341/1982, debba essere riconosciuto ai fini dell’anzianità di servizio e dei diritti pensionistici, e che il diniego sia quindi illegittimo e lesivo di diritti acquisiti.
Il TAR, in questa fase, è chiamato ad analizzare:
- La corretta interpretazione delle norme di legge e dei regolamenti di settore.
- La legittimità del diniego implicito contenuto nella nota ministeriale.
- La compatibilità del riconoscimento del corso con le disposizioni normative vigenti.
Il giudice amministrativo, in linea con la tutela dei diritti dei lavoratori pubblici, potrebbe annullare la nota ministeriale qualora ritenga che il diniego sia stato emesso in modo illegittimo o arbitrario. In particolare, se si dovesse accertare che il corso quadriennale svolto dall’istante è stato riconosciuto come titolo utile ai fini dell’anzianità di servizio e del computo pensionistico, il ricorso potrebbe essere accolto.
Al contrario, qualora il TAR ritenesse che la normativa vigente non consenta il riconoscimento automatico di tali corsi, o che ci siano state interpretazioni restrittive legittime, potrebbe respingere il ricorso.
Conclusioni
la sentenza TAR 2025 si si è concentrata sulla valutazione delle motivazioni espresse dal giudice, e più esattamente
- La corretta interpretazione delle norme di legge.
- La legittimità del diniego implicito alla luce delle disposizioni regolamentari.
- La tutela dei diritti dei dipendenti pubblici al riconoscimento dell’anzianità di servizio.
Di seguito la pronuncia espressa relativamente tutela dei diritti pensionistici e previdenziali dei lavoratori appartenenti alle forze di polizia, in relazione ai percorsi formativi svolti presso l’Istituto Superiore di Polizia.
Pubblicato il 06/02/2025
N. 00063/2025 REG.PROV.COLL.
N. 00074/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 74 del 2021, proposto da
...... ......, ...... ......, rappresentati e difesi dagli avvocati …. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliataria ex lege in L'Aquila, Complesso Monumentale San Domenico;
per l'annullamento
della nota del Ministero dell'Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Risorse Umane n. 333-A/U.C./…. del 13.11.2020 con la quale è stata fornita risposta implicitamente negativa alla formale diffida al computo ai fini dell'anzianità di servizio e pensionistici del corso quadriennale per Allievo aspirante vice commissario di cui all'art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341 del 1982, presso il preesistente Istituto Superiore di Polizia e riconoscimento del diritto al computo, ai fini dell'anzianità di servizio e ai fini della maturazione dei diritti pensionistici e previdenziali, del preesistente corso quadriennale per allievi vice commissari presso il preesistente Istituto Superiore di Polizia di cui al D.P.R. 24 aprile 1982 n. 341.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2025 il dott. Giovanni Giardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. ...... ...... e ...... ......, premesso di appartenere ai ruoli della Polizia di Stato e di aver partecipato al corso quadriennale per allievi vice commissari presso l’Istituto Superiore di Polizia previsto dal D.P.R. 24 aprile 1982 n. 341, hanno adito l’intestato Tribunale per l’annullamento della nota con la quale il Ministero dell’Interno ha negativamente riscontrato la richiesta di computo, ai fini dell’anzianità di servizio e pensionistici, del corso quadriennale per allievo aspirante vice commissario di cui all’art. 6 lett. a) del D.P.R. n. 341 del 1982, presso il preesistente Istituto Superiore di Polizia, nonché per l’accertamento del diritto al ridetto computo.
In merito alla pretesa azionata in giudizio, il Ministero dell’Interno, in riscontro all’istanza in tal senso pervenuta dagli odierni ricorrenti, ha sostenuto che il riconoscimento dell’intero corso quadriennale è previsto “solo qualora venga conseguita la laurea, così come previsto dall’art. 16 del citato d.P.R. n. 341/1982, previo riscatto a titolo oneroso, in applicazione del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184”.
Dunque, ad avviso dell’Amministrazione resistente, l’unica possibilità di valorizzare il corso in argomento, ai fini dell’anzianità di servizio e previdenziali, compatibilmente con il quadro normativo di riferimento, è costituita dalla ricorrenza del duplice presupposto del conseguimento del titolo di laurea e del riscatto, a titolo oneroso, dello stesso.
2. Il gravame è affidato alla denuncia di tre articolate doglianze con cui si deduce:
“1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 59 della legge 1.4.1981 n. 121, nonché degli articoli 8, 9, 11, 17, 18, 20 e 21 del D.P.R. 24.4.1982 n. 341”.
Con il primo motivo di censura i ricorrenti espongono che:
- il Ministero dell’Interno ha sempre acriticamente sostenuto che il periodo di frequenza del corso per allievi aspiranti vice commissari non costituisca un vero e proprio rapporto di impiego (rapporto che si instaurerebbe solo al momento della nomina a vice commissario in prova), ma senza tenere conto delle disposizioni della L. n. 121/1981 e del D.P.R. n. 341/1982, nonché del fatto che il trattamento economico corrisposto ai corsisti è stato sempre soggetto alle ritenute previdenziali. Quest’ultima circostanza non è spiegabile altrimenti se non ritenendo che il periodo di frequenza del corso integrava già il rapporto di impiego pubblico, visto che nell’ordinamento italiano non esiste alcuna ipotesi in cui la trattenuta dei contributi è disposta in assenza del rapporto di lavoro;
- fra l’altro, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n. 341/1982, il periodo di aspettativa in cui venivano collocati i corsisti provenienti da altri ruoli della Polizia di Stato è sempre stato computato ai fini dell’anzianità di servizio complessiva e, anzi, è stato anche “supervalutato” ai sensi dell’art. 3 della L. n. 283/1977;
- ma oltre a queste considerazioni (dalle quali emerge chiara la discriminazione operata a danno dei corsisti di provenienza esterna), rilevano le numerose disposizioni del D.P.R. n. 341/1982 da cui si evince che il periodo di frequenza del corso integrava già un rapporto di impiego. Tali disposizioni sono quelle di cui agli artt. 8 (accesso mediante concorso), 9 (requisiti di ammissione, del tutto identici a quelli previsti all’epoca per ogni altro concorso pubblico), 11 (nomina in prova e estensione nei confronti degli allievi aspiranti delle disposizioni concernenti gli allievi degli istituti di istruzione della Polizia di Stato), 18 (sanzioni disciplinari), 20 (riconoscimento del trattamento pensionistico di privilegio di cui alle leggi nn. 280 e 381 del 1981 in caso di perdita dell’idoneità psico-fisica, e di infermità o lesioni), 21 (obbligo di permanere in servizio per cinque anni dal conseguimento del diploma di cui all’art. 14). Ugualmente rilevante è la disposizione di cui all’art. 59 della L. n. 121/1981, che stabilisce il principio per cui il “trattamento economico” degli allievi va commisurato in misura proporzionale alle retribuzioni delle qualifiche iniziali cui dava accesso il corso.
“2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. a) n. 1) della legge 7.8.2015 n. 124 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del D.Lgs. 29.5.2017, n. 95, che estende espressamente agli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile, tra gli altri l’art. 1811 del D.Lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) - Violazione del principio di equiordinazione del personale delle Forze di polizia”.
Con il secondo motivo si deduce che:
- è noto che per tutte le Forze di polizia ad ordinamento civile i periodi di frequenza dei corsi di formazione sono sempre stati valutati ai fini del computo sia dell’anzianità di servizio sia dell’anzianità utile per la maturazione dei requisiti e del trattamento di quiescenza. Lo stesso vale anche per gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento militare, i quali vengono “reclutati” quali allievi nelle accademie militari dei Carabinieri e della Guardia di Finanza (art. 649 del Codice dell’ordinamento militare, che in parte qua non ha modificato la normativa previgente) e, una volta immessi nei ruoli con la qualifica di allievi ufficiali, maturano già nel secondo biennio di frequenza dell’accademia il grado di sottotenente, cioè quello iniziale della carriera degli ufficiali. Per questi ultimi, addirittura, l’art. 32 del D.P.R. n. 1092/1973 prevede che, quando per la nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea, “…si computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi. Si computano, altresì gli anni corrispondenti al corso di studi universitari, di durata inferiore al corso di laurea, richiesti come condizione necessaria per la nomina in servizio permanente effettivo o per l'ammissione ai corsi normali delle accademie militari per la nomina a ufficiale in servizio permanente effettivo”;
- alla luce di tale scenario, il trattamento deteriore riservato dall’Amministrazione agli allievi aspiranti vice commissari della Polizia di Stato costituisce dunque un unicum, che non trova corrispondenza né nell’ambito della stessa Amministrazione dell’Interno, né tra gli ordinamenti, del tutto parificati, delle altre Forze di polizia ad ordinamento civile o militare;
- peraltro, anche se è indiscutibile che tra gli ordinamenti civili e quelli militari sono tradizionalmente esistite notevoli differenze normative, è altrettanto vero che nel corso del tempo il legislatore ha cercato di omogeneizzare i vari istituti che erano regolamentati in modo difforme e in questo senso rileva da ultimo la delega conferita al Governo dall’art. 8 della L. n. 124/2015, il quale, come detto, prevede il criterio del “…mantenimento della sostanziale equiordinazione del personale delle Forze di polizia e dei connessi trattamenti economici, anche in relazione alle occorrenti norme transitorie, fermi restando le peculiarità ordinamentali e funzionali del personale di ciascuna Forza di polizia, nonché i contenuti di cui all’art. 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183”. Nell’ambito di tale processo di progressiva omogeneizzazione, l’art. 45 del D.Lgs. n. 95/2017 ha previsto l’estensione di quasi tutte le norme relative al trattamento economico dei militari previste dal D.Lgs. n. 66/2010 ed in particolare dagli artt. 1810-bis, 1811, 1811-bis, 1813, 1814, 1815, 1816, 1819, 1820, 1822, 1824, 1826 e 2262-bis, commi 6 e 7. Tra queste disposizioni rileva in particolare l’art. 1811, il quale prevede sia per gli ufficiali generali ed ufficiali superiori, sia per i maggiori, tenenti colonnelli e colonnelli, che, per le rispettive attribuzioni economiche connesse all’anzianità di servizio, si computi l’anzianità di servizio a decorrere “…dal conseguimento della nomina a ufficiale o della qualifica di aspirante”. L’art. 45 conferma dunque che i periodi trascorsi presso istituti di formazione concorrono a tutti gli effetti a determinare la complessiva anzianità di servizio del personale delle Forze di polizia;
- alla luce di tale evoluzione normativa, anche i pareri e le sentenze richiamati dal Ministero nell’atto impugnato perdono di rilievo, dovendo le norme del D.P.R. n. 341/1982 essere interpretate in base alla voluntas del legislatore, la quale, come si è visto, nel corso degli anni è orientata ad eliminare progressivamente le differenze che esistevano fra gli ordinamenti civili e quelli militari;
“3) In via subordinata: Illegittimità costituzionale degli artt. 55, lett. a) e 59 della legge 1.4.1981 n. 121, nella formulazione vigente fino all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 334 del 2000, in relazione agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.”
Al riguardo i ricorrenti evidenziano che:
- alcuni anni fa fu sottoposta alla Consulta la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 32 del D.P.R. n. 1092/1973, nella parte in cui essi non prevedono per i medici della Polizia di Stato il computo gratuito ai fini di pensione del periodo di tempo corrispondente alla durata legale del corso di laurea in medicina. La Corte, con ordinanza n. 168 del 1995, ha dichiarato manifestamente infondata la questione, considerate le “…peculiarità proprie dell’impiego militare rispetto a quello civile, con particolare riguardo ai più bassi limiti di età per la cessazione dal servizio stabiliti per i militari (con conseguente maggiore difficoltà, rispetto ai civili, di raggiungere il massimo dell’anzianità per il trattamento di quiescenza)…”, mentre il personale dei ruoli dei sanitari della Polizia di Stato veniva collocato a riposo, ai sensi della normativa vigente all’epoca, al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Questi argomenti non sono però più sostenibili, perché, a seguito delle novelle del 2015 e del 2017 di cui si è detto, tutto il personale progredisce con criteri e tempi del tutto equivalenti fino al raggiungimento dell’età per il collocamento a riposo, che oggi per tutti i direttivi ed ufficiali e primi dirigenti e colonnelli è fissata in 60 e non più in 65 anni;
- questo determina una evidente disparità di trattamento fra ufficiali (che si vedono computati per intero gli anni di frequenza dell’accademia) e funzionari/dirigenti della Polizia di Stato entrati in servizio tramite il corso per cui è giudizio (i quali, invece, saranno collocati a riposo sempre a 60 anni, ma con quattro anni di anzianità in meno);
- pertanto, laddove il T.A.R. non ritenesse di condividere i primi due motivi di ricorso, va sollevata la questione di costituzionalità degli artt. 55, let. a), e 59 della L. n. 121/1981, nella parte in cui essi prevedono che il quadriennio di frequenza del corso di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 341/1982 non sia computato ai fini dell’anzianità di servizio complessiva. Il contrasto è ravvisabile sia con l’art. 3 Cost. (sub specie di ingiustificata disparità di trattamento), sia con gli artt. 36 e 38 Cost. (perché l’omesso computo del quadriennio in questione incide in senso deteriore sul trattamento pensionistico), sia infine con l’art. 97 della Carta fondamentale (sub specie di violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. e di lesione dell’immagine della stessa amministrazione).
3. Si è costituita in resistenza al ricorso l’Amministrazione intimata, eccependo, in via preliminare, l’incompetenza territoriale di questo Tribunale in favore del T.A.R. del Lazio, stante la rilevanza generale della determinazione ministeriale impugnata. Sempre in via preliminare, la resistente ha poi eccepito la sussistenza di un’ipotesi di inammissibile ne bis in idem poiché, a suo dire, i ricorrenti avevano già proposto in precedenza un identico ricorso, proprio innanzi al T.A.R. Lazio, conclusosi con sfavorevoli sentenze n. 6456/2018 per ...... ...... e n. 6417/2018 per ...... ......, entrambe pubblicate in data 11/06/2018.
Nel merito la difesa erariale ha poi desunto l’infondatezza del ricorso, argomentando, in particolare, dalla non equiparabilità del corso di formazione svolto dai ricorrenti ad una effettiva attività di servizio computabile ai fini dell’anzianità lavorativa e previdenziale.
4. In prossimità dell’udienza di trattazione di merito, parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 73 c.p.a. riportandosi alle conclusioni già rassegnate nei propri scritti difensivi e chiedendone l’integrale accoglimento.
Nella medesima memoria conclusionale viene dedotta una ulteriore censura (rubricata “Violazione Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003”).
5. All’udienza pubblica del 24 gennaio 2025, al termine della discussione, la causa è stata chiamata ed introitata per la decisione.
6. In via preliminare, seguendo la tassonomia propria delle questioni secondo le coordinate ermeneutiche tracciate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015, in ordine logico è prioritario l’esame delle eccezioni preliminari formulate dalla parte intimata.
6.1. Non è fondata l’eccezione d’incompetenza territoriale di questo Tribunale.
I ricorrenti hanno addotto di essere dipendenti dell’Amministrazione in servizio, al momento della proposizione del ricorso, nella Regione Abruzzo.
Ciò posto, per la materia del pubblico impiego il codice del processo amministrativo ha introdotto la specifica regola di competenza di cui all’art. 13 comma 2, la quale stabilisce che “Per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio”.
Tale dato normativo è interpretato dalla giurisprudenza nel senso che il foro speciale così individuato riguarda, in particolare, “le controversie tra l'impiegato e l'amministrazione (intesa quale datore di lavoro), che hanno per oggetto pretese (diritti o interessi) inerenti al rapporto di lavoro” (Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 37/2012). E l’ipotesi all’esame odierno è, per l’appunto, proprio di tale natura.
Né rileva, a sostegno dell’incompetenza territoriale eccepita, la potenziale estensibilità del riconoscimento qui richiesto a tutto il personale che si trovi nella medesima condizione dei ricorrenti, come affermato invece dall’Amministrazione. L’argomento, non assistito da alcun dato normativo di supporto, porterebbe all’inammissibile conseguenza di attrarre alla competenza del T.A.R. del Lazio praticamente tutte le controversie dei pubblici dipendenti, sol perché afferenti a vicende potenzialmente idonee a riverberarsi su una più vasta platea di interessati al di fuori della sede di servizio del lavoratore specificamente ricorrente, svuotando così di qualsiasi senso e significato l’espressa riserva di competenza di cui al citato art. 13 comma 2 del c.p.a..
6.2. Priva di pregio giuridico è anche l’eccezione di inammissibile bis in idem sollevata dall’Amministrazione sul presupposto che i ricorrenti avrebbero già proposto identici giudizi innanzi al T.A.R. Lazio conclusosi con sfavorevoli sentenze n. 6456/2018 per ...... ...... e n. 6417/2018 per ...... .......
Come emerge dagli scritti delle parti, i pregressi ricorsi cui si fa riferimento erano stati proposti con la diversa finalità di ottenere l’equiparazione, a fini previdenziali e di anzianità lavorativa, del primo biennio del medesimo corso oggi in questione rispetto al servizio di leva: ciò fondando la relativa pretesa sull’art. 20 della legge n. 958 del 1986, in base al quale “Il periodo di servizio militare è valido a tutti gli effetti per l'inquadramento economico e per la determinazione della anzianità lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico”.
Per cui sotto questo profilo non vi è alcuna violazione del ne bis in idem, visto che nel presente giudizio sono diversi sia la causa petendi che il petitum.
7. Tutto ciò preliminarmente chiarito, il ricorso non è meritevole di positivo apprezzamento per le ragioni appresso specificate.
7.1. La questione sottoposta all’odierno esame del Tribunale, a differenza di quanto opinano i ricorrenti, è stata già esaminata varie volte dai giudici amministrativi di primo e di secondo grado, i quali, salvo che nell’isolata pronuncia del Consiglio di Stato del 2006 (decisione n. 2643), sono sempre pervenuti al rigetto di ricorsi analoghi a quello odierno (Consiglio di Stato Sezione III, sentenza n. 2424/2012 e sentenze di vari T.A.R., tra le cui più recenti, si richiamano: T.A.R. Marche n. 1007/2024; T.A.R. Napoli, n. 4938/2024; T.A.R. Veneto, n. 2013/2024; T.A.R. Lecce, n. 442/2024; T.A.R. Molise n. 169/2024; T.A.R. Sicilia n. 3877/2023).
7.2. Pertanto, anche ai sensi dell’art. 74 c.p.a., il Tribunale ritiene di poter richiamare le motivazioni rassegnate dal Consiglio di Stato nel parere della Sez. I n. 1324/2005 e nella sentenza della Sez. III n. 2424/2012 e dai Tribunali Amministrativi Regionali nelle decisioni richiamate al precedente § 7.1..
7.3. Quanto ai profili nuovi sollevati dai ricorrenti nella citata memoria conclusionale del 19 dicembre 2024 si osserva che:
- la questione di legittimità costituzionale dell’art. 54 del T.U. n. 1092/1973, sollevata dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti della Puglia con ordinanza n. 85/2021, non è stata definita nel merito dalla Consulta, la quale ha restituito gli atti al giudice a quo in ragione di sopravvenienze normative che imponevano al remittente di rivalutare la questione (ordinanza n. 36/2023). Premesso che non sono noti gli sviluppi successivi della vicenda, la controversia di cui si è occupato il giudice contabile pugliese riguarda un profilo diverso da quello che viene in rilievo nel presente giudizio e comunque non è possibile annettere automatica valenza operativa al principio di progressiva equiordinazione fra i trattamenti economici e pensionistici previsti, rispettivamente, per il personale militare e per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile. Del resto, con la sentenza n. 33 del 2023 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la q.l.c. dell’art. 1, comma 4, della L. n. 395/1990 (nella parte in cui la norma non prevede che i criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota retributiva della pensione, previsti dall’art. 54, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 1092/1973, siano estesi in favore del personale della Polizia penitenziaria), mentre con la precedente sentenza n. 270 del 2022 ha dichiarato non fondata la q.l.c. degli artt. 13 e 32 dello stesso D.P.R. n. 1092/1973 (nella parte in cui non prevedono l’applicazione anche ai funzionari della Polizia di Stato del computo gratuito ai fini pensionistici degli anni di durata legale del corso di laurea richiesto per l’accesso alle rispettive carriere; beneficio previsto invece per gli ufficiali dei Corpi militari dello Stato e, dunque, anche per quelli dell’Arma dei carabinieri). In entrambi i casi la Corte ha giustificato la propria decisione evidenziando che “…pur in presenza di interventi legislativi volti a un allineamento del regime ordinamentale del personale appartenente al comparto sicurezza, non può essere configurato nell’ordinamento un principio di piena omogeneità di regolazione fra personale militare e personale civile del comparto di pubblica sicurezza e ha evidenziato che «persist[e] la strutturale diversità tra i rispettivi status che determina differenti soluzioni sul piano normativo e che è all’origine della dicotomia nelle discipline previdenziali fra impiego civile e impiego militare presente nel d.P.R. n. 1092 del 1973»…”;
- quanto alla dedotta violazione della direttiva n. 2003/88/CE, la nozione di “orario di lavoro” di cui all’art. 2.1. della stessa presuppone che sia già insorto il rapporto di lavoro, tanto è vero che la disposizione menziona espressamente la figura del “datore di lavoro”. Ma nel caso in esame, come ha chiarito la giurisprudenza amministrativa in precedenza citata, gli allievi frequentatori del corso quadriennale di cui al D.P.R. n. 341/1982 non erano ancora immessi nei ruoli dell’amministrazione dell’Interno (tale effetto verificandosi solo al momento della nomina a vice commissario in prova) e dunque non esisteva alcun rapporto di impiego fra gli stessi e la Polizia di Stato.
8. Per tutte le ragioni sopra esposte, il gravame va pertanto respinto.
9. Il Collegio ravvisa, comunque, i giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti anche in ragione della natura degli interessi che i ricorrenti hanno inteso tutelare nel presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione e compensa le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Passoni, Presidente
Massimiliano Balloriani, Consigliere
Giovanni Giardino, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Giardino Paolo Passoni
IL SEGRETARIO
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