Consiglio di Stato 2025-Il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza che condanna il Viminale per i ritardi nella regolarizzazione degli stranieri, evidenziando la possibilità di un danno erariale che potrebbe ammontare a svariati milioni di euro. Questo provvedimento sottolinea l'importanza di una gestione efficiente delle pratiche di regolarizzazione, non solo per garantire i diritti degli immigrati, ma anche per evitare spese aggiuntive per lo Stato.
I ritardi nella regolarizzazione possono portare a una serie di conseguenze negative, tra cui l'aumento dei costi per l'assistenza sociale e la gestione dei servizi pubblici. La decisione del Consiglio di Stato potrebbe spingere il governo a rivedere le proprie procedure e a implementare misure più efficaci per gestire le domande di regolarizzazione, al fine di evitare ulteriori problematiche e costi.
Questo caso mette in evidenza anche l'importanza di una politica migratoria chiara e tempestiva, che possa garantire un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i diritti umani, contribuendo così a una gestione più sostenibile e giusta della situazione degli stranieri nel Paese.
Pubblicato il 24/02/2025
N. 01596/2025REG.PROV.COLL.
N. 04371/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4371 del 2023, proposto da:
..OMISSIS.. rappresentati e difesi dagli avvocati Gennaro Santoro, Salvatore Fachile e Giulia Crescini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gennaro Santoro in Roma, piazza Mazzini Giuseppe, 8;
Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Dario Belluccio e Salvatore Fachile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Salvatore Fachile in Roma, piazza G. Mazzini, 8;
Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (Cild), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Antonio Angelelli e Salvatore Fachile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Salvatore Fachile in Roma, piazza G. Mazzini, 8;
Oxfam Italia Onlus, Nonna Roma, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Salvatore Fachile, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza G. Mazzini, 8;
Spazi Circolari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Daniele Valeri e Salvatore Fachile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Salvatore Fachile in Roma, piazza G. Mazzini, 8;
Progetti Diritti Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Salerni e Salvatore Fachile, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Salvatore Fachile in Roma, piazza G. Mazzini, 8;
contro
Ufficio Territoriale del Governo di Roma, Ministero dell'Interno, Questura di Roma, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Roma, Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, non costituito in giudizio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
..OMISSIS.. tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Salvatore Fachile, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Casa dei Diritti Sociali Lazio Odv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Greco e Gennaro Santoro, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Dardanelli n. 23;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Prima-ter, n. 4621/2023, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma, del Ministero dell'Interno e della Questura di Roma;
Visti gli atti di intervento ad adiuvandum di ..OMISSIS.. e della Casa dei Diritti Sociali Lazio Odv;
Viste le ordinanze collegiali n. 4269/2024 e 8242/2024;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2025 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti l'Avvocato Loredana Leo, in sostituzione dell'Avvocato Salvatore Fachile, e l'Avvocato Cristina Laura Cecchini, in sostituzione dell'Avvocato Daniele Valeri, nonché l'Avvocato dello Stato Ilia Massarelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con sentenza n. 4621/2023 il T.A.R. del Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso proposto da alcuni cittadini e associazioni, ai sensi del d. lgs. 20 dicembre 2009, n. 189, al fine di accertare il disservizio nei procedimenti di emersione dal lavoro irregolare ex art. 103 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 in relazione al bacino di utenza relativo alla Prefettura di Roma.
Il T.A.R., soprassedendo sulle eccezioni in rito, ha respinto il ricorso, richiamandosi in più punti alla sentenza di questa Sezione n. 1390/2019, rilevando che i ritardi sarebbero imputabili a vari profili di criticità (pandemia da COVID-19, numero delle pratiche, complessità delle stesse, ed altro) che escluderebbero il presupposto delle “disfunzioni sistematiche dell’azione amministrativa”.
Ha osservato ancora il T.A.R. che “La lamentata violazione del termine di 180 giorni, non espressamente contemplato dalla normativa, ma individuato da alcune pronunce del Consiglio di Stato (sentenze nn. 3578/2022 e 3645/2022), dovrebbe, ad avviso del Collegio, tenere conto della completezza della domanda, della sua correttezza e della presentazione dei documenti richiesti ed in ogni caso non può prescindere dalla complessità della procedura, resa ancor più gravosa dalle situazioni determinate, non solo dal numero di domande, ma altresì dalla quantità e qualità dei dati che deve contenere (vedi artt. 5 e 6 del DM 27 maggio 2020) e dei documenti da presentarsi allo Sportello Unico, da analizzare minuziosamente anche al fine di verificarne l’autenticità”.
Proprio la sentenza di questa Sezione n. 3578/2022 è poi valorizzata dal TAR per giustificare i ritardi: “Si rinvengono pertanto nei passaggi della sentenza del giudice d’appello le ragioni che possono giustificare l’impiego di un tempo più lungo per la definizione dei procedimenti e che se, da un lato, sconsigliano la mancanza di un termine, per offrire un rimedio all’occasionale inerzia colpevole dell’amministrazione, dall’altro, contemplano la possibilità che il termine residuale di 180 giorni possa di fatto rivelarsi insufficiente. A fronte di quanto qui osservato, l’intimata Amministrazione non risulta avere adottato comportamenti elusivi, né risulta avere svolto le procedure in modo disfunzionale, avendo invece evitato facili archiviazioni o rigetti delle domande anche a fronte di domande gravemente incomplete o prive di idonea documentazione, informando la propria attività alla garanzia dei richiedenti il titolo di soggiorno con il ricorso reiterato al soccorso istruttorio per consentire all’interessato di rimediare anche rinnovando il preavviso o la convocazione”.
2. L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dai ricorrenti in primo grado.
Gli appellanti, oltre ad argomentare in merito alla loro legittimazione, hanno censurato la sentenza gravata in relazione ai seguenti profili:
2.1. “Sulla sistematica elusione del termine di conclusione del procedimento amministrativo da parte della PA e sulla violazione dei diritti coinvolti”.
2.2. “Sulla persistente ignavia della PA, sul malfunzionamento generalizzato e sul conseguente difetto di motivazione della sentenza impugnata. difetto di istruttoria necessaria alla decisione”.
2.3. “Sulla lesione concreta ed attuale degli interessi e sulla natura del ritardo”.
2.4. “Sulla mancata applicazione delle previsioni di cui agli artt. 16 e 17 della legge n. 241 del 1990”.
3. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, l’Ufficio Territoriale del Governo di Roma, il Ministero dell'Interno la Questura di Roma, che nel corso del giudizio hanno depositato una memoria (il 3 febbraio 2024) e varia documentazione (anche in adempimento alle ordinanze istruttorie di cui si dirà).
Le amministrazioni appellate, oltre a contestare nel merito la fondatezza della pretesa, alle pagg. 8 e seguenti della memoria depositata il 3 febbraio 2024 hanno eccepito anzitutto che “per entrambi i ricorrenti – privati ed associazioni – si ritiene sia totalmente carente una qualsivoglia legittimazione ad agire ex d. lgs. n. 198/2009”.
4. Sono altresì intervenuti, ad adiuvandum, la Casa dei Diritti Sociali Lazio Odv e i signori ..OMISSIS..
5. Il ricorso è stato una prima volta introitato per la decisione alla pubblica udienza del 7 marzo 2024.
Successivamente a tale udienza, e prima che fosse pubblicato il relativo provvedimento, in data 18 aprile 2024 il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Roma depositavano “nota inviata dalla Prefettura di Roma, firmata in data 12 aprile, nella quale viene rappresentato un elemento nuovo, successivo alla discussione, rilevante nell’economia del presente giudizio e per la decisione della causa”.
Con ordinanza collegiale n. 4269/2024, deliberata alla predetta udienza del 7 marzo 2024 e pubblicata il 13 maggio 2024, la Sezione disponeva incombenti istruttori da eseguirsi nei successivi quaranta giorni (e dunque entro il 23 giugno 2024).
In data 3 luglio 2024 le amministrazioni appellate, “in esecuzione dell’ordinanza presidenziale emessa dal Consiglio di Stato nr. 4269/2024” (trattasi in realtà di un’ordinanza collegiale), depositavano “la nota dell’Amministrazione prot.llo nr. 5833 del 25/06/2024”.
Il 9 settembre 2024 gli appellanti depositavano una memoria e documentazione.
6. Il ricorso veniva quindi trattenuto in decisione una seconda volta, alla pubblica udienza del 10 ottobre 2024, all’esito della quale il Collegio, con ordinanza n. 8242/2024, pubblicata il 15 ottobre 2024 e comunicata alle parti in pari data, rilevato che l’amministrazione in esecuzione della richiamata ordinanza istruttoria n. 4269/2024 aveva “fornito solo parte dei chiarimenti con essa richiesti”, ha reiterato l’ordine istruttorio disponendo che il Ministero dell’Interno rendesse, nei successivi quaranta giorni, ulteriori, documentati chiarimenti in merito ai seguenti punti:
“a) indicazione dei tempi e degli atti con cui sono state effettivamente rese disponibili le risorse di cui all’art. 103, commi da 23 a 26, del decreto-legge n. 34/2020 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77;
b) se, all’atto dell’entrata in vigore della richiamata normativa, sia stata fatta un’analisi d’impatto della stessa con riguardo alle varie sedi sul territorio nazionale, e sia stato o meno valutato il rapporto fra la forza lavoro presente in ciascuna sede e tali domande, avuto riguardo all’ipotizzato tempo di definizione di ciascuna di esse (ove tale dato temporale abbia costituito oggetto di valutazione e programmazione);
c) se in ogni caso sia stata successivamente operata, ed eventualmente con quali tempi, una ricognizione delle domande presentate nelle varie sedi, e sia stata operata una programmazione in chiave correttiva;
d) in caso di risposta ai precedenti quesiti di cui alle lettere b) e c) nel senso dell’incapienza delle risorse disponibili rispetto alle domande ricevute, come sia stato programmato – in relazione alle accertate dimensioni di tale incapienza - l’impiego delle risorse aggiuntive e specifiche di cui al precedente punto a), nella dimensione spaziale (nel senso della suddivisioni fra le varie sedi ubicate sul territorio nazionale), nella dimensione temporale (avuto riguardo alla necessità di rispettare il termine di conclusione del relativo procedimento, ove considerato quale parametro organizzativo), e nella dimensione organizzativa [di cui al successivo punto e)];
e) in ogni caso, quali siano state le modalità d’impiego delle risorse di cui al punto a), sia con riguardo a quelle relative a “prestazioni di lavoro straordinario per il personale dell'Amministrazione civile del Ministero dell'interno”, di cui al comma 25 del citato art. 103 del decreto-legge n. 34/2020, sia con riferimento a quelle di cui al comma 23 del medesimo articolo (“prestazione di lavoro a contratto a termine (…) tramite una o più agenzie di somministrazione di lavoro”): precisando, in questo secondo caso, se si siano valutati i tempi necessari per reclutare le risorse umane, formare le stesse, assicurarne il ricambio, anche in relazione alla valutazione – ove eseguita – del possibile numero di rinunce in considerazione del tipo di lavoro offerto, e quante di queste risorse siano state destinate ai costi del personale da assumere, e quante ai costi del procedimento di assunzione e degli strumenti, anche informatici, messi a disposizione del personale per svolgere le proprie mansioni”.
7. L’ordine istruttorio era adempiuto dal Ministero dell’Interno in data 22 novembre 2024.
Il 9 dicembre 2024 gli appellanti depositavano una memoria.
Il 19 dicembre 2024 l’amministrazione depositava un documento denominato “memoria di replica”.
8. Il ricorso è stato quindi definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 9 gennaio 2025.
DIRITTO
1. Come già evidenziato nella parte in fatto, il 19 dicembre 2024 l’amministrazione depositava un documento denominato “memoria di replica”.
Esso in realtà è un documento proveniente dell’amministrazione, privo di data certa, ma con l’indicazione “data protocollo”, senza però che vi sia alcun riferimento nel documento al numero di protocollo (nonostante l’ordinanza collegiale istruttoria n. 8242/2024 avesse chiarito – anche in relazione a precedenti depositi - che “Nella risposta a ciascuno di tali punti l’Amministrazione dovrà indicare i provvedimenti e gli atti interni, aventi data certa, dai quali si ricavano ex ante i dati eventualmente allegati”).
In ogni caso deve rilevarsi la tardività di tale produzione rispetto al termine stabilito dall’art. 73, comma 1, c.p.a. per la produzione di documenti (quaranta giorni liberi prima dell’udienza del 9 gennaio 2025).
Oggetto della produzione, infatti, nonostante la classificazione formale apposta non è una “memoria di replica” (in tesi tempestiva) ma, come chiarito, un documento indirizzato all’Avvocatura generale dello Stato e sottoscritto dal Vice Capo Dipartimento vicario del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno.
È appena il caso di osservare, in proposito, che una “memoria”, per poter essere qualificata tale, deve essere sottoscritta dal difensore della parte, in quanto atto defensionale, non potendosi evidentemente riconoscere tale qualità al citato documento, il quale è pertanto inutilizzabile ai fini della decisione in quanto tardivamente prodotto.
2. Sempre in ordine alle questioni di rito, deve essere esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dalle amministrazioni appellate.
2.1. L’eccezione non concerne la legittimazione ad appellare la sentenza gravata, ma si riferisce all’azione in quanto tale.
Come accennato, tale eccezione era stata sollevata anche in primo grado, ma su di essa il primo giudice non si è pronunciato, avendo respinto il ricorso nel merito, ed avendo comunque rilevato “che dette eccezioni riguardano solo alcuni dei ricorrenti e comunque non esimono il Tribunale dallo scrutinio del merito del ricorso”.
In particolare, nella memoria depositata nel giudizio di primo grado il 27 gennaio 2023 dall’Avvocatura dello Stato si era eccepita la carenza di legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti, mentre l’analoga eccezione sollevata con riferimento ai ricorrenti persone fisiche era in realtà argomentata con il riferimento alla “patente insussistenza di una lesione attuale e concreta delle posizioni giuridiche dedotte in giudizio da parte dei singoli ricorrenti (…)”.
Deve pertanto ipotizzarsi, ancorché non vi sia una espressa qualificazione in tal senso da parte delle amministrazioni appellate, che si tratti di una riproposizione dell’eccezione non esaminata in primo grado.
2.2. Rispetto ad una simile attività difensiva, tuttavia, l’art. 101, secondo comma, c.p.a. richiede che l’eccezione venga “espressamente” riproposta (il che qui non è), e comunque entro un preciso termine stabilito a pena di decadenza (“per le parti diverse dall'appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio”).
Rispetto a tale termine la memoria in esame, depositata il 3 febbraio 2024, è tardiva, posto che il termine per la costituzione in giudizio per le amministrazioni appellate nel caso di specie era scaduto il 16 luglio 2023, vale a dire sessanta giorni dopo la notificazione del ricorso in appello (in tal senso, ex multis, Cons. St., sez. V, n. 5203/2023).
2.3. Nondimeno, vertendo tale eccezione su una condizione dell’azione, essa attiene a questione rilevabile d’ufficio, sicché in base all’art. 104, comma 1, c.p.a. deve ritenersi ammissibile anche laddove sollevata oltre il termine stabilito dal citato art. 101.
3. Nel merito l’eccezione, ad avviso del Collegio, è infondata.
La disciplina della legittimazione ad agire è contenuta nell’art. 1, comma 1, del d. lgs. n. 198/2009, che individua i soggetti legittimati nei “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori”, che assumano di subìre una “lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché dalla mancata attuazione o violazione dei livelli di qualità dei servizi essenziali per l'inclusione sociale e l'accessibilità delle persone con disabilità contenuti nelle carte dei servizi oppure degli obblighi previsti dalla normativa vigente in materia”.
In argomento questa Sezione si è già espressa, su identica eccezione (ed identici argomenti), con la sentenza n. 7704/2024, che il Collegio condivide e alla quale si riporta nell’indicazione delle ragioni dell’infondatezza.
Tale posizione giurisprudenziale è del resto conforme all’autorevole insegnamento secondo cui quella prevista dal d.lgs. n. 198/2009 sarebbe un’azione “a legittimazione diffusa”, nel contesto del “processo storico di emersione degli interessi legittimi” che vede “ampliarsi la sfera di posizioni soggettive nei confronti della pubblica amministrazione riconosciutegli dall’ordinamento”.
Del resto anche la precedente giurisprudenza aveva ritenuto che la posizione giuridica legittimante è costituita da un “interesse diffuso” comune al gruppo di utenti di una determinata attività amministrativa (Cons. St., sez. V, 22 maggio 2023, n. 5031 e anche Cass. sez. un., 30 settembre 2015, n. 19453).
In tal senso si determina, ex art. 1, comma 4, (in forza del riferimento alle finalità, ed agli interessi degli associati), anche la legittimazione delle associazioni o dei comitati (Cons. St., sez. V, 22 maggio 2023, n. 5031).
Costituiscono del resto una conferma dell’ampiezza che il legislatore ha voluto configurare in punto di legittimazione (recte: di partecipazione al giudizio), in relazione alla ridetta natura collettiva del rimedio, le norme di favor tese a consentire l’intervento in giudizio (art. 1, commi 2 e 3, del d. lgs. n. 198/2009).
Se pure deve ritenersi che la titolarità della pretesa allo scrutinio dell’(in)efficienza complessiva dell’amministrazione non possa essere riconosciuta in capo al quivis de populo, ma debba comunque in qualche modo differenziarsi in forza di un collegamento fra il soggetto che agisce in giudizio e l’oggetto dell’azione di classe, nel caso di specie un simile collegamento risulta positivamente riscontrato in relazione all’oggetto del giudizio, non rilevando in contrario le ragioni addotte a sostegno dell’eccezione in esame, in quanto – come meglio si dirà - estranee ai tratti caratterizzanti la disciplina e la funzione dello strumento processuale azionato dai ricorrenti.
Invero gli argomenti con cui la difesa erariale, specie in relazione ai ricorrenti persone fisiche, sostiene l’eccezione in esame, implicano sul piano logico che la posizione azionata sia di interesse legittimo (sono concettualmente propri di una tale impostazione): così però propriamente non è (non lo è quanto meno nel senso della limitazione dell’accesso al ricorso), proprio in ragione di quanto sopra chiarito.
4. Inoltre l’eccezione in parola è argomentata con l’affermazione della “mancanza del requisito – indefettibile ex lege – di un interesse concreto ad attuale in capo ai ricorrenti persone fisiche, visto che già da tempo, tutte le 45 istanze segnalate nel ricorso presentato per l’efficienza della pubblica amministrazione ai sensi degli artt. 1 e 3, d.lgs. n. 198/2009 risultano definite”.
Una simile impostazione – come si dirà anche a proposito dell’esame del merito della pretesa – poggia su di una inesatta percezione del contenuto del rimedio: il quale è preordinato non tanto a superare l’inerzia dell’amministrazione rispetto alla singola pratica, quanto piuttosto ad accertare (e a correggere) eventuali disfunzioni strutturali nell’organizzazione relativa alla complessiva gestione di un’attività amministrativa.
Ne consegue l’irrilevanza del riferimento al fatto che le istanze dei ricorrenti siano poi state evase nel corso del giudizio.
Conseguentemente, va rigettata la richiesta – formulata in sede di discussione orale dalla difesa erariale – di accertare la sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso a seguito della chiusura delle pratiche, perché non pertinente alla disciplina dell’azione.
5. Per quanto riguarda invece le associazioni ricorrenti, l’eccezione in parola è argomentata in relazione al fatto che mancherebbe “(anche per loro, sebbene per altri motivi) il requisito dell’attualità e della concretezza dell’interesse”.
Anche per questa parte l’eccezione è viziata dal medesimo profilo di erroneità del presupposto interpretativo sopra rilevato.
Nel ricorso in appello si afferma che le associazioni ricorrenti “vantano un interesse attuale e concreto all’immediato ripristino del corretto funzionamento della PA, essendo tutte e sei portatrici di interesse diffuso nella specifica materia sottesa alla regolarizzazione”.
La difesa erariale non contesta tale elemento, vale a dire la connessione fra finalità statutarie e oggetto del giudizio, ma deduce che “la procedura di emersione, da ultimo finalizzata al rilascio di un permesso di soggiorno individuale, non può in alcun modo riguardare interessi di natura diffusa, ma involge esclusivamente il singolo richiedente: perdipiù, lungi dal voler tutelare un interesse diffuso di cui sarebbe titolare la collettività indifferenziata dei lavoratori stranieri, le associazioni de quibus agirebbero in giudizio in luogo del singolo soggetto richiedente il beneficio di emersione, il quale però manca di qualsivoglia interesse visto che, come ampiamente evidenziato, la sua posizione è già stata definita in toto”.
Sfugge, ancora una volta, a tale prospettazione che oggetto del presente giudizio non è il rispetto del termine di conclusione del singolo procedimento, ma l’attività di macro-organizzazione di un intero settore di attività amministrativa rispetto al quale il singolo esito procedimentale è del tutto irrilevante, in quanto tale, ai fini della legittimazione ad agire.
Non essendo contestato che il settore di attività delle associazioni appellanti ha una connessione funzionale con la regolarizzazione dei cittadini stranieri, l’eccezione è pertanto infondata anche in relazione a questo profilo.
6. Venendo all’esame del merito del gravame, occorre preliminarmente delimitare i contorni strutturali e soprattutto funzionali del rimedio azionato.
In tal senso giova anzitutto richiamare quanto affermato nella citata ordinanza collegiale istruttoria n. 8242/2024, nel senso che “il rimedio in esame tende ad accertare non già l’esistenza di un atto adempitivo in quanto tale, ma l’efficienza e l’efficacia delle misure organizzative adottate dall’amministrazione in relazione ad un determinato settore di attività”.
Tale conclusione è del resto coerente all’inquadramento dell’azione di classe come rivolta non all’atto ma all’attività, prescindendo da uno scrutinio di validità o meno dei singoli provvedimenti, nell’ottica di una valutazione del complessivo risultato organizzativo accertato.
Attraverso la disciplina del rimedio in esame la categoria della illegittimità, intesa come contrarietà al disegno normativo, si configura pertanto non soltanto nell'ipotesi di positiva adozione di un provvedimento il cui contenuto contrasta con il paradigma normativo, ma anche nella fattispecie di non episodica od occasionale ineffettività del risultato voluto dalla norma, conseguente alla mancata adozione delle misure organizzative necessarie per garantirne l'attuazione.
La norma sanziona così scelte allocative di risorse che risultino disfunzionali (in quanto privilegiano attività ed obiettivi diversi o ulteriori), che determinano una sostanziale frustrazione o negazione dell’interesse pubblico primario indicato normativamente come tale, e che risultano pertanto lesivi di tale interesse (e dei correlati interessi legittimi) in modo non dissimile da quanto accade in ipotesi di adozione di un provvedimento illegittimo.
In tal modo la dimensione dell’ineffettività (dovuta ad inefficienza) è fatta transitare dal legislatore nel perimetro dell’illegittimità amministrativa: sia pure – anche in ragione dell’oggetto, collettivo e non individuale, della domanda e del connesso accertamento - con effetti non caducatori ma unicamente correttivi (in funzione del recupero di effettività dell’azione amministrativa).
Tale conclusione risulta da una disciplina che, in una fattispecie quale quella dedotta nel presente giudizio, implica quali presupposti per l’accoglimento della domanda:
- l’accertamento della violazione dei termini (art. 1, comma 1);
- la valutazione dello sforzo esigibile in relazione alle “risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate”.
Il contenuto della sentenza è in parte di accertamento, e in parte di condanna (“ordinando alla pubblica amministrazione o al concessionario di porvi rimedio entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”: art. 4, comma 1), senza che all’accoglimento della domanda possano correlarsi pretese risarcitorie (art. 1, comma 6); peraltro in caso di accoglimento l’amministrazione deve individuare “i soggetti che hanno concorso a cagionare le situazioni di cui all'articolo 1, comma 1, e adotta i conseguenti provvedimenti di propria competenza” (art. 4, comma 5).
Il giudizio è poi chiaramente distinto da quello sul silenzio-inadempimento, stante “la diversa finalizzazione dell’azione (collettiva) de qua alla correzione di una situazione patologica afferente alla “funzione” (e, quindi, alla pluralità dei procedimenti amministrativi di cui essa costituisce espressione) rispetto all’azione (individuale) di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., avente ad oggetto una specifica inerzia procedimentale” (Cons. St., sez. III, n. 7704/2024).
7. Date le superiori premesse, occorre verificare l’esito della disposta attività istruttoria allo scopo di valutare la sovrapposizione o meno di quanto accertato in giudizio rispetto ai presupposti stabiliti dalle disposizioni richiamate per l’accoglimento dell’azione di classe.
7.1. Il principale profilo di criticità emerso dall’istruttoria accertata attiene ad un elemento che non risente di un problema di carenza di risorse, o comunque di difficoltà organizzative, ma piuttosto di una gestione dei moduli procedimentali che ha immotivatamente rallentato il raggiungimento del risultato voluto dalla norma della cui attuazione si tratta.
Come – incontestatamente – dedotto dalle parti appellanti in memoria conclusionale, “per n. 2103 pratiche pendenti presso il SUI di Roma, è stato necessario attendere ben TRE anni per passare alla fase di convocazione in attesa del parere di Questura e/o ITL, nonostante l’art. 16 della legge n. 241/1990 fosse pienamente vigente e quindi “attivabile” sin da subito, ovvero da un tempo significativamente inferiore (quanto meno ciò sarebbe potuto accadere a seguito, non solo della citata sentenza n. 3578/2022, ma anche dei chiari orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia”.
Un simile dato denota una non episodica od occasionale inefficienza, non dovuta a limiti strutturali, ma unicamente ad una organizzazione e gestione dei procedimenti del tutto avulsa dalla considerazione del fattore temporale (tanto più rilevante con riferimento ai richiamati, plurimi interessi pubblici e privati implicati dalla predetta normativa di emersione).
Date le dimensioni massive del fenomeno, il ricorso a tale meccanismo di semplificazione procedimentale sarebbe stato a costo zero per l’amministrazione, sicché esso si pone fra i principali fattori che sul piano eziologico hanno condotto all’accertata situazione di inefficienza, senza che in merito possano rinvenirsi plausibili ragioni di natura organizzativa o strutturale, essendosi trattato di una precisa scelta in tal senso, evidentemente consapevole delle ricadute sul piano della tempistica e dunque dell’efficienza.
7.2. Ancora, dai dati prodotti emerge come la notifica del ricorso di primo grado abbia impresso una significativa accelerazione alla trattazione delle pratiche. Tale elemento, se – per le ragioni connesse alla disciplina dell’azione che saranno in seguito richiamate – non ha rilevanza in punto di accertamento dello stato di inefficienza da un punto di vista diacronico, dimostra peraltro come sul piano strutturale una simile accelerazione era comunque possibile rebus sic stantibus, di talché rimane privo di risposta l’interrogativo circa le ragioni che, prima della notifica del ricorso, hanno impedito di operare in tal senso.
7.3. Ai superiori elementi, già di per sé dirimenti nel senso della fondatezza del ricorso di primo grado, si aggiunge la criticità dell’adempimento delle due ordinanze istruttorie sopra richiamate in punto di indicazione delle risorse economiche disponibili ed utilizzate, posto che nelle relazioni depositate nelle due occasioni si fa riferimento a saldi non coincidenti.
Inoltre, le ore di straordinario programmate non risultano essere state utilizzate completamente, con conseguente ricorso al lavoro interinale (e alle criticità dello stesso).
Ancora, la seconda istruttoria conteneva uno specifico quesito sulla ripartizione territoriale delle risorse, che non risulta essere stato pienamente soddisfatto.
Infine, risulta dalla relazione adempitiva dell’ultima ordinanza che la c.d. task force ministeriale si è recata presso la Prefettura di Roma solo nel mese di maggio 2023: il che denota una evidente sottovalutazione del problema della massiva intempestività dell’esame delle pratiche; l’attività di tale task force si sarebbe poi sostanziata nella notifica alle parti del preavviso di rigetto.
Dall’insieme di tali elementi rappresentati dall’amministrazione emerge un dato palese, quello per cui i fattori di inefficienza non rimontano a circostanza straordinarie, o a carenze organizzative imputabili a fattori esterni, ma unicamente ad un’impostazione della gestione delle procedure che, quando si è voluto e deciso (secondo la tempistica riportata), si è corretta con accorgimenti minimi implicanti semplicemente un recupero di attenzione al dato dell’efficienza organizzativa interna.
8. Dalle superiori risultanze emerge pertanto che è mancata una corretta analisi di impatto e una azione correttiva una volta conosciuto il numero di pratiche da lavorare; è mancata altresì la considerazione dei tempi necessari per reclutare le necessarie risorse umane e assicurarne il rapido ricambio (nonché la considerazione che il tipo di lavoro a termine offerto ai reclutati ha costituito un fattore di eccessive rinunce al lavoro).
Un simile fattore causale, che ha prodotto conseguenze sull’attività dell’ufficio periferico considerato, risulta riconducibile all’amministrazione centrale.
Come ricordato, la disciplina dell'azione di classe proposta nel presente giudizio prevede che il ricorrente debba provare l'inefficienza, mentre l'amministrazione deve provare che questa, ove sussistente, sia dovuta a mancanza di risorse adeguate: si assiste infatti ad una tipizzazione normativa del profilo dell'inesigibilità.
Nel caso di specie, l'inefficienza (sistematica) è incontestata, e comunque risulta dai dati acquisiti; le difese dell’amministrazione allegano elementi ordinari di difficoltà gestionale, quali scorrimenti di graduatorie ecc., che per la suddetta ragione risultano non pertinenti al thema decidendum, e che in ogni caso, quand’anche – superando la tipizzazione normativa - fossero considerati sul piano causale quali ipotetici fattori di inesigibilità del risultato di efficienza, andrebbero comunque considerati come meramente concorrenti rispetto al fattore determinante costituito dal descritto modus operandi procedimentale (connesso più a scelte amministrative in quanto tali che a profili organizzativi di scienza dell’amministrazione).
9. Come già chiarito da questa Sezione nella richiamata ordinanza collegiale istruttoria n. 4269/2024, “l’art. 103 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77), ai commi da 23 a 26 ha stanziato, per l’efficiente esercizio della funzione oggetto del giudizio, le risorse finanziarie indicate dalle richiamate disposizioni e ha disciplinato specificamente l’utilizzo delle risorse finanziarie ed umane per un verso necessarie all’effettivo (e non meramente nominale) perseguimento dell’interesse pubblico portato da tale normativa (evidentemente - alla luce di tali stanziamenti - ritenuto dal legislatore di primaria importanza anche per fronteggiare le esigenze del mercato del lavoro e del sistema economico nel suo complesso), e per altro verso funzionali alla tutela degli interessi legittimi fondamentali dei soggetti richiedenti”.
I chiarimenti resi nel presente giudizio dal Ministero dell’Interno hanno fatto emergere l’adozione di adeguate misure organizzative solo a distanza di circa tre anni dall’entrata in vigore del richiamato provvedimento legislativo.
La difesa erariale, in sede di discussione orale, ha imputato tale tempistica anzitutto alla circostanza che solo con la pubblicazione della sentenza n. 3578/2022 di questo Consiglio di Stato l’amministrazione avrebbe preso contezza della necessità di definire le pratiche entro il termine di 180 giorni ipotizzato da tale sentenza, e si sarebbe attrezzata di conseguenza.
L’argomento non è condivisibile.
In primo luogo, la sentenza n. 3578/2022, relativa ad un giudizio avverso il silenzio-inadempimento a fronte di una istanza di emersione del rapporto di lavoro irregolare nell’interesse di una persona di cittadinanza straniera (ai sensi dell’art. 103, comma 1, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con l.17 luglio 2020, n. 77), è stata pubblicata il 9 maggio 2022: dunque circa un anno prima che venissero adottate le misure correttive asseritamente da essa indotte.
Inoltre, tale argomento – come del resto la piattaforma logico-giuridica su cui poggiano tutte le difese dell’amministrazione nel presente giudizio – risulta non adeguatamente consapevole del parametro normativo alla stregua del quale va accertata la denunciata inefficienza dell’amministrazione.
10. Va infatti considerato che, come ben chiarito dalla sentenza di questa Sezione n. 7704/2024 (in relazione ad identica difesa dell’amministrazione), “il fatto che per l’innanzi sussistesse incertezza circa il suddetto termine non può assumere rilievo esimente per l’Amministrazione, ove si consideri che l’esigenza di definizione tempestiva delle istanze dei cittadini - con la conseguente necessità di apprestare le misure necessarie a non lasciare le stesse pendenti per un tempo indefinito - è immanente al principio di buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost., anche se non consacrata in puntuali disposizioni di carattere temporale”.
Inoltre, al di là della irricevibilità di un simile argomento per le ragioni appena considerate, va altresì osservato che esso sarebbe comunque inidoneo a paralizzare la pretesa degli appellanti nel presente giudizio, che è stato introdotto con ricorso notificato il 4 ottobre 2022, e depositato il successivo 5 ottobre, ossia ben oltre la data di pubblicazione della sentenza n. 3578/2022.
Ogni risultato adempitivo posto in essere dall’amministrazione successivamente alla proposizione del ricorso è irrilevante ai fini dell’accertamento della situazione di inefficienza, posto che “il disposto dell’art. 3, commi 1 e 2, d. lgs. n. 198/2009, il quale, nel subordinare la proponibilità del ricorso alla preventiva notifica di una diffida all’Amministrazione “ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati” ed alla “persistenza, totale o parziale, della situazione denunciata” nonostante il decorso del termine suindicato, rende evidentemente irrilevante l’adempimento successivo e posto in essere in corso di causa” (Cons. St., sez. III, n. 7704/2024, cit.).
La ricordata produzione (tardiva, rispetto alla già celebrata udienza del 7 marzo 2024) dell’amministrazione in data 18 aprile 2024, è sintomatica della rilevata estraneità delle difese erariali all’oggetto proprio del giudizio: l’aggiornamento dello stato di evasione delle pratiche al 12 aprile 2024 (data di tale documento) non ha infatti alcun rilievo ai fini della delibazione della fondatezza o meno della domanda collettiva, posto che esso si colloca temporalmente ben oltre il descritto orizzonte temporale rilevante per legge, e soprattutto in considerazione del fatto che assume ad oggetto unicamente un dato (le pratiche evase e la calendarizzazione di quelle da evadere) non pertinente al reale oggetto del giudizio, che è dato dalle misure di macro organizzazione adottate nell’arco temporale rilevante.
Considerazioni di analogo tenore – in punto di coerenza sintomatica delle tesi dell’amministrazione - valgono in relazione al contenuto del documento tardivamente prodotto in data 19 dicembre 2024, di cui si è detto.
11. La sentenza di questa Sezione da ultimo richiamata, relativa alla medesima procedura e al medesimo settore di attività (anche se in relazione a diverso ufficio), ha condivisibilmente scrutinato anche ulteriori argomenti addotti dalla difesa erariale e riproposti anche nel presente giudizio per giustificare la riscontrata inefficienza: “Per quanto attiene invece ai rallentamenti che le norme di contenimento dell’epidemia da Covid-19 avrebbero imposto all’attività di disbrigo delle pratiche di emersione, deve in primo luogo osservarsi che la loro efficacia si colloca nella fase iniziale di gestione di queste ultime, risultando quindi inidonee a giustificare una situazione di ritardo che persisteva ancora all’epoca (maggio 2022) di proposizione del ricorso collettivo de quo. Inoltre, gli impedimenti derivanti dalle citate disposizioni afferivano - almeno fino a quando non è stata introdotta l’istruttoria “a sportello”, come riferito alla lett. c) della relazione istruttoria depositata in primo grado dall’Amministrazione - alla fase conclusiva della procedura di emersione, con la conseguenza che esse non impedivano di porre in essere gli adempimenti propriamente pre-istruttori ed istruttori e, quindi, la definizione delle istanze una volta terminata – ben prima della data di incardinazione del giudizio – l’emergenza pandemica. 19. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per ciò che attiene alle evenienze procedimentali di segno patologico, come quelle connesse alla presentazione di false istanze e/o di falsa documentazione, con i connessi risvolti anche di carattere penale: deve infatti ritenersi che se le stesse sono astrattamente idonee a dare conto delle ragioni del ritardo nella definizione di singole istanze di emersione, non possono valere, proprio per il loro carattere episodico, a giustificare quello che ha caratterizzato in così estesa misura l’attività amministrativa in materia”.
A tali considerazioni, che il Collegio condivide e alle quali si riporta, occorre aggiungere soltanto che l’accertamento dell’inefficienza, ai fini – anche correttivi – che qui rilevano per precisa scelta normativa, ha riguardo alle misure organizzative strutturali, che nel caso di specie sono risultate grandemente carenti pur a fronte di un ingente stanziamento di risorse (evidentemente programmato sulla base dell’impatto atteso dalla misura legislativa), irrilevanti essendo le evenienze (ordinarie e straordinarie) dei singoli procedimenti, quali quelle appena esaminate, riscontrate ex post.
12. Date le superiori premesse, e considerato che la (sistematica e non isolata) violazione dei termini procedimentali (in relazione all’Ufficio e all’arco temporale considerato) non è stata contestata dall’amministrazione (che ha addotto tuttavia l’esistenza di pretesi fattori – della cui rilevanza si è detto - che avrebbero reso inesigibile il rispetto di tali termini), e che è comunque risultata dagli accertamenti istruttori svolti, la domanda risulta fondata in base alla chiara ricostruzione che la Sezione ha fatto – in materia analoga (procedimenti relativi alla cittadinanza – con la sentenza n. 1390/2019, più volte invocata nella motivazione della stessa sentenza del TAR a supporto della pronuncia di rigetto). Secondo tale ricostruzione l’azione “è diretta a presidiare non solo la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo oggettivo ma, come emerge chiaramente dalla costruzione letterale della norma (‘violazione di termini’), a porre rimedio a tutte le violazioni dell’obbligo di provvedere nei tempi previsti dall’art. 2 della L. n. 241/1990 e s.m.i.; - è esperibile per tutte le tipologie di procedimenti amministrativi ‘Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione’ e, come dimostra il riferimento agli organi ‘competenti a esercitare le funzioni’, senza alcuna specifica esclusione che non siano quelle espressamente considerate dalla disposizione di legge stessa (come del resto ricordato dagli appellanti incidentale con il giusto riferimento alla relazione alla legge delega). In sostanza l’azione prevista dall’art. 1, comma 1 del d. lgs. n. 198/2009 è finalizzata al mantenimento dell’ordinaria efficienza delle pubbliche amministrazioni e, tra le varie ipotesi previste, concerne specificamente anche tutte le violazioni dei termini procedimentali stabiliti che provochino una lesione diretta, concreta ed attuale ad una pluralità di soggetti. In sostanza si deve trattare di disfunzioni che, come tali, non siano però il frutto della ignavia manifestata nel caso singolo -- contro la quale è sempre azionabile la tutela sul silenzio di cui all’art. 31 del c.p.a. -- ma dipendono da disfunzioni sistematiche dell’azione amministrativa. In conclusione, sul punto non vi sono ragioni né di ordine interpretativo e né di ordine sistematico che consentano di escludere il procedimento di riconoscimento della cittadinanza dall’ambito proprio del rimedio della class action per cui è causa. Contrariamente a quanto vorrebbe il Ministero, esattamente il Tar ha infatti annotato che l’azione è diretta ad ottenere che l’amministrazione ponga termine a comportamenti costantemente elusivi e generalizzati del rispetto dei termini procedimentali”.
Ne deriva, pertanto, in accoglimento dei motivi di appello, la riforma della sentenza gravata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado.
La peculiarità della fattispecie, che ha tra l’altro richiesto i ricordati adempimenti istruttori, giustifica la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
13. Deve, conclusivamente darsi atto che gli intervenienti ..OMISSIS.. hanno domandato il patrocinio a spese dello Stato.
L’apposita Commissione presso questo Consiglio, preso atto della sussistenza dei presupposti reddituali, ha tuttavia respinto le istanze avendole esaminate (nella seduta dell’8 aprile 2024) dopo che la causa era stata introitata una prima volta per la decisione.
I predetti intervenienti hanno dunque reiterato le loro istanze al Collegio.
Considerata l’accertata sussistenza del requisito reddituale (con i richiamati provvedimenti della Commissione in data 9 aprile 2024), e la non manifesta infondatezza delle relative posizioni di interesse (alla luce della motivazione della presente sentenza), tali istanze devono essere accolte con ammissione dei predetti al patrocinio a spese dello Stato, mentre si provvederà alla liquidazione delle spettanze di difesa su presentazione di istanza di liquidazione, ad oggi non in atti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e in riforma della sentenza gravata accoglie il ricorso di primo grado; per l’effetto condanna il Ministero dell’Interno e la Prefettura – Ufficio Territoriale di Governo di Roma a porre rimedio alla situazione di inefficienza di cui in motivazione, mediante l’adozione degli opportuni provvedimenti, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della presente sentenza, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Ammette gli intervenienti ..OMISSIS.. al patrocinio a spese dello Stato.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore
Luca Di Raimondo, Consigliere
Angelo Roberto Cerroni, Consigliere
Enzo Bernardini, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Tulumello Rosanna De Nictolis
IL SEGRETARIO
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