Consiglio di Stato 2025 - La recente sentenza del Consiglio di Stato riguardante le multe per il parcheggio non autorizzato di biciclette e motocicli rappresenta un tema complesso e controverso. Da un lato, c'è la necessità di mantenere il decoro urbano e assicurare che le città siano ordinate e funzionali. Dall'altro, esistono preoccupazioni legittime riguardo alla gestione dello spazio pubblico e all'accessibilità per i ciclisti e i motociclisti, che spesso si trovano a fronteggiare la carenza di rastrelliere o spazi dedicati al parcheggio.
**Punti a favore della sentenza:**
1. **Decoro urbano**: La sentenza mira a garantire un ordine estetico nelle città. Le biciclette e i motocicli bloccati ai pali o parcheggiati in modo improprio possono ostacolare il passaggio dei pedoni e creare situazioni di disordine.
2. **Sicurezza**: Parcheggiare in aree designate riduce il rischio di incidenti e facilita il lavoro dei servizi pubblici, come la pulizia delle strade e il passaggio delle ambulanze o dei mezzi di emergenza.
3. **Regole chiare**: Una normativa chiara su dove è possibile parcheggiare aiuta a stabilire delle aspettative tra i cittadini, incoraggiando comportamenti più responsabili da parte di ciclisti e motociclisti.
**Preoccupazioni e critiche:**
1. **Carenza di infrastrutture**: Molte città soffrono di una mancanza di posti sicuri per parcheggiare biciclette e moto. Se i comuni non forniscono sufficienti rastrelliere e aree di sosta, multare i ciclisti potrebbe sembrare ingiusto e una forma di punizione piuttosto che di promozione dell'uso sostenibile della bicicletta.
2. **Caccia alle streghe**: C'è il timore che questa nuova misura possa trasformarsi in una "caccia ai ciclisti e motociclisti", con agenti incaricati di multare piuttosto che educare e facilitare l'uso di mezzi di trasporto sostenibili.
3. **Tassa mascherata**: Molti cittadini potrebbero vedere queste multe come un modo per incrementare le entrate comunali piuttosto che per migliorare la sicurezza e l'organizzazione del traffico. Ciò potrebbe generare malcontento, specialmente se le risorse non vengono reinvestite nella creazione di spazi adeguati per parcheggiare.
In conclusione, la sentenza del Consiglio di Stato solleva interrogativi importanti sulla gestione degli spazi urbani e dell'uso della bicicletta e della moto come mezzi di trasporto ecologici. Mentre il decoro urbano e la sicurezza sono fattori rilevanti, è fondamentale che i Comuni accompagnino queste regole con politiche attive che comprendano l'espansione delle infrastrutture per la mobilità sostenibile, così da evitare che i ciclisti si sentano penalizzati piuttosto che supportati.
Pubblicato il 17/09/2025
N. 07353/2025REG.PROV.COLL.
N. 03680/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3680 del 2024, proposto da XXXXX XXXXX - Associazione di Promozione Sociale XXXXX XXXXX Ente del Terzo Settore”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati XXXXX, XXXXX, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di XXXXX, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesca Frau, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (sezione seconda) n. 74, pubblicata il 30 gennaio 2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di XXXXX;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2025 il consigliere Marina Perrelli e dato atto che gli avvocati Fenu e Lai e l'avvocato Frau hanno depositato, per le rispettive parti in causa, istanze di passaggio in decisione senza discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’associazione appellante ha chiesto la riforma della sentenza indicata in epigrafe con la quale è stato respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto avverso il Regolamento di polizia e sicurezza urbana del Comune di XXXXX con riferimento agli artt. 19, comma 1, lettera b), ai sensi del quale “nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, a salvaguardia della vivibilità e del decoro della città è vietato: (. . .) b) incatenare biciclette (. . .) a infrastrutture pubbliche non destinate allo scopo” e 27, comma 1, ai sensi del quale “per i comportamenti accertati in violazione degli artt. . . . 19, comma 1, commessi all’interno di una delle aree individuate, indicate e perimetrate negli allegati al presente Regolamento, costituendo impedimento alla fruizione delle stesse aree, si applicano, oltre alle sanzioni del presente regolamento, le sanzioni e le misure di cui all’art. 9 del decreto legge 20/02/2017, n.14 convertito con modificazioni dalla legge 18/04/2017, n.48, ovvero la sanzione amminist
1.2. L’associazione appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata per violazione dell’art.112 c.p.c. e per omessa pronuncia, per violazione degli artt. 1, 3 e 88 c.p.a. e dell’art. 24 Cost., per travisamento degli atti e dei fatti di causa.
L’associazione appellante parte dalla perimetrazione del thema decidendum del ricorso di primo grado, avente ad oggetto esclusivamente la legittimità del “divieto d’incatenamento” delle biciclette che si trovino in posizione di “sosta regolare” su spazi di sosta non regolamentata nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 157, commi 2, 3 e 4, del codice della strada, e deduce l’erroneità della decisione che si sarebbe concentrata solo sugli “spazi urbani dove la sosta è vietata” in tal modo omettendo di pronunciarsi su tutti i motivi articolati sia con il ricorso principale che con i motivi aggiunti.
Sulla scorta di tale premessa l’appellante ha riproposto tutte le censure già articolate in primo grado contestando in relazione a ciascuna l’omessa pronuncia e deducendo, inoltre, il vizio di ultrapetizione nella parte in cui la sentenza, in assenza di una specifica domanda di accertamento, afferma che “le infrastrutture pubbliche alle quali fa riferimento il regolamento . . . insistono principalmente sui marciapiedi e sugli altri elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale . . . aree in cui è generalmente vietata la sosta dei veicoli”.
1.3. L’appellante lamenta:
1) in relazione al primo motivo di ricorso - violazione ed errata applicazione degli artt. 3 e 97 Cost., del principio di uguaglianza per discriminazione con monopattini e segway e con autoveicoli– che la sentenza non si sarebbe pronunciata né sull’evidente illegittimità del Regolamento per disparità di trattamento conseguente alla mancata estensione del divieto di incatenamento anche ai detti mezzi di locomozione, né sulla discriminazione rispetto agli autoveicoli perché l’incatenamento costituisce l’unica modalità di sosta possibile per la bicicletta e il disposto divieto di fatto la impedisce. Mancherebbe, infine, ad avviso dell’appellante una decisione sull’impatto del divieto impugnato sulla circolazione delle persone a basso reddito per le quali l’uso della bicicletta è sostitutivo dell’auto;
2) in relazione al secondo motivo - violazione degli artt. 1 della legge n. 241/1990, 97 Cost., 157 e 158 del codice della strada, del principio di legalità – che il giudice di primo grado avrebbe ignorato il disposto dell’art. 157 del codice della strada senza avvedersi dell’illegittimità di una disposizione che di fatto introduce una nuova ipotesi di divieto di sosta solo per le biciclette, atteso che fuori dalla rastrelliera l’unica sosta sicura per tale mezzo di locomozione sarebbe costituito dall’incatenamento;
3) in relazione al terzo motivo - eccesso di potere per illogicità manifesta, per disparità di trattamento, per ingiustizia grave e manifesta – che il giudice di primo grado avrebbe limitato la propria decisione a ipotesi di “biciclette in divieto di sosta” e addirittura “accatastate” e avrebbe omesso di considerare che il divieto d’incatenamento incide anche su veicoli in sosta regolare, posizionati su uno spazio pubblico che hanno il diritto di occupare, in conformità all’art. 157, commi 2 e 4, del codice della strada con conseguente erroneità della decisione sul punto. Se il giudice di primo grado avesse individuato correttamente i termini del raffronto avrebbe ritenuto il divieto di mero aggancio del velocipede illogico ai fini della tutela della vivibilità e del decoro perché in grado di avere un effetto deflattivo sull’uso della bicicletta con conseguente peggioramento generalizzato legato alla qualità dell’aria, al rumore dell’ambiente cittadino, alla sicurezza degli utenti della strada a causa del correlato incremento del traffico automobilistico, nonché irragionevole per l’assenza di modulazione e di misure di adattamento dello stesso in relazione a ciascun specifico contesto cittadino, a differenza di quanto previsto da altri articoli del medesimo Regolamento in ordine allo scuotimento di panni (art. 23) e allo sciorinamento della biancheria (art. 24). Né, infine, il giudice di primo grado si sarebbe espresso sulla proporzionalità della sanzione irrogata in ipot
4) in relazione al quarto motivo - violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., del principio di legalità, nonché per eccesso di potere per contraddittorietà e violazione del principio di coerenza – che il giudice di primo grado avrebbe utilizzato come parametro per il giudizio di ragionevolezza delle norme impugnate l’interesse alla “rapidità, alla sicurezza e alla efficienza dei collegamenti viari” e non quello alla vivibilità e al decoro e, pertanto, non avrebbe rilevato la contraddittorietà e l’illogicità delle disposizioni anche alla luce degli obiettivi fissati dal PUMS di miglioramento dell'attrattività del trasporto ciclopedonale, della sicurezza per pedoni e ciclisti, della mobilità per le persone a basso reddito e di promozione dei mezzi a basso impatto inquinante;
5) in relazione ai motivi aggiunti - violazione dell’art. 1 del codice della strada, dell’art. 9 del d.l. n. 14/2017, per eccesso di potere per carenza e travisamento dei presupposti, per violazione del principio di proporzionalità e imparzialità - che la decisione sarebbe erronea in quanto avrebbe valutato il contemperamento dei contrapposti interessi non utilizzando come parametri la vivibilità e il decoro e avrebbe operato un’illogica equazione tra incatenamento e impedimento alla fruizione al fine di giustificare il divieto e la legittimità sia della sanzione pecuniaria ulteriore che dell’ordine di allontanamento.
1.4. Alla luce delle predette censure l’associazione appellante ha riproposto le istanze istruttorie volte a dimostrare la carenza di rastrelliere e la mancanza di capillarità ed ha concluso per l’accoglimento dell’appello.
2. Il Comune di XXXXX si è costituito in giudizio, ha riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse e di legittimazione per avere l’associazione appellante impugnato il Regolamento di polizia e sicurezza urbana che sarebbe privo di immediata lesività in mancanza di un atto applicativo ed ha concluso nel merito per il rigetto.
3. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie e repliche ai sensi dell’art. 73 c.p.a..
4. Alla pubblica udienza del 17 luglio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. L’appello non è fondato nel merito e deve essere respinto, ragione che esime il Collegio dall’esaminare l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso di primo grado, riproposta, ai sensi dell’art. 101 c.p.a., dall’amministrazione comunale.
6. L’associazione appellante ha impugnato alcune specifiche disposizioni del Regolamento di polizia e sicurezza urbana del Comune di XXXXX, approvato con delibera n. 30 del 21 febbraio 2023, il cui oggetto è la disciplina dei comportamenti e delle attività “a diverso titolo suscettibili di incidere sulla vita della collettività nelle sue diverse espressioni” e le cui finalità sono la tutela della “convivenza civile, con particolare riguardo ai soggetti deboli, agli anziani e ai bambini”, della “sicurezza urbana”, della “pubblica incolumità”, del “decoro urbano” e della “migliore fruibilità degli spazi e dei beni di interesse artistico, storico, culturale e ambientale” (art. 1).
6.1. Oggetto di contestazione da parte dell’associazione appellante sono l’art. 19, incluso nel capo II dedicato al decorso, ai sensi del cui comma 1 lett. b) “Nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, a salvaguardia della vivibilità e del decoro della città, è vietato: … b) incatenare biciclette, ciclomotori o motocicli a infrastrutture pubbliche non destinate allo scopo” e l’art. 27 che al comma 1 prevede per chi violi l’art. 19 l’assoggettamento ad una “sanzione amministrativa pecuniaria pari ad una somma da euro 75,00 ad euro 500,00” e al comma 3, in ipotesi di comportamento commesso “all’interno di una delle aree individuate, indicate e perimetrate negli allegati al presente Regolamento, costituendo impedimento alla fruizione delle stesse aree”, l’applicazione anche delle sanzioni e delle misure “di cui all’articolo 9 del Decreto Legge 20 febbraio 2017, n. 14 convertito con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n. 48 ovvero la sanzione amministrativa pecuniaria pari ad una somma da euro 100,00 ad eu
7. Con un unico motivo, declinato in relazione a ciascuna delle censure articolate in primo grado, l’associazione appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata perché il giudicante avrebbe perimetrato male il thema decidendum sottoposto al suo vaglio concentrandosi sugli spazi urbani in cui la sosta è vietata e non, invece, come prospettato da parte ricorrente, sulla legittimità del divieto d’incatenamento delle biciclette che si trovino in posizione di sosta regolare su spazi di sosta non regolamentata nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 157, commi 2, 3 e 4, del codice della strada. Di qui, ad avviso dell’appellante, il giudice di primo grado avrebbe omesso di pronunciarsi su tutti i motivi articolati sia con il ricorso principale che con i motivi aggiunti, mentre, in assenza di una specifica domanda di accertamento, avrebbe ritenuto che “le infrastrutture pubbliche alle quali fa riferimento il regolamento . . . insistono principalmente sui marciapiedi e sugli altri elementi di arredo urbano
8. Le censure non sono fondate sia quanto alla dedotta omessa pronuncia sui vizi lamentati in relazione alle disposizioni del Regolamento contestate, sia in relazione alla lamentata ultrapetizione.
8.1. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il giudice di primo grado ha dato atto che secondo la prospettazione dell’associazione ricorrente l’art. 19 “creerebbe una discriminazione tra i “cd utenti deboli”, ossia quelli che si spostano (o vorrebbero spostarsi) in bicicletta e i “cd utenti forti” che si spostano in auto o con altri veicoli a motore”, che “in città non sarebbero presenti sufficienti rastrelliere per le biciclette rispetto ai numerosi posteggi delimitati per le macchine e le moto e che, pertanto gli unici spazi per le bici sarebbero le aree di sosta non regolamentate” e che, pertanto, in tale contesto urbano “il divieto di incatenamento delle bici alle strutture esistenti penalizzerebbe gravemente l’utilizzo delle biciclette”.
8.2. Alla luce delle predette considerazioni il Collegio ritiene che, a differenza di quanto prospettato dall’appellante, il giudice di primo grado abbia correttamente inquadrato il thema decidendum non limitando la propria decisione ai soli spazi in cui la sosta è vietata, ma avendo riguardo all’intero territorio comunale, come si evince dalla considerazione sugli obiettivi di salvaguardia della vivibilità e del decoro della città che “resterebbero inevitabilmente pregiudicati da un disordinato e incontrollato accatastamento di biciclette ancorate a supporti pubblici destinate ad altre finalità anche negli ipotizzati casi di assenza di ragioni di intralcio alla circolazione”.
Come affermato dal giudice di primo grado, il Regolamento e, segnatamente, l’art. 19 non introduce nessuna nuova “ipotesi di divieto di sosta ma è intervenuto in relazione a beni giuridici estranei a quelli presi in considerazione dal codice della strada in tema di circolazione per impedire modalità di utilizzo improprie e lesive dei beni indicati”.
Tale conclusione trova ulteriore supporto anche nella collocazione dell’art. 19 all’interno del Regolamento nel capo II, intitolato “Il decoro”, che è espressamente definito all’art. 3 come “il rispetto della dignità dello spazio urbano, soprattutto nelle sue parti di uso collettivo”.
Ne discende, pertanto, che il divieto di incatenamento non mira a modificare le zone in cui è vietata la sosta delle biciclette con conseguente irrilevanza del richiamo degli artt. 157 e 158 del codice della strada, ma a tutelare nell’ottica del decoro urbano quelle “infrastrutture pubbliche che (…) insistono principalmente sui marciapiedi e sugli altri elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale, gallerie, portici, recinzioni di monumenti” e in relazione alle quali è già “generalmente vietata la sosta dei veicoli”.
Pertanto, la disposizione in questione non viola le norme del codice della strada perché, a differenza di quanto affermato da parte appellante, dal divieto di incatenamento non si può inferire il divieto di sosta delle biciclette sul presupposto della maggiore probabilità di subirne il furto.
8.3. Alla luce delle predette considerazioni sono, pertanto, infondate le censure relative ai primi tre motivi di ricorso in primo grado. Al riguardo merita anche di essere evidenziato che non sussiste neanche la lamentata disparità di trattamento tra gli “utenti deboli” che si spostano con la bicicletta e gli “utenti forti” che si spostano con l’auto o con altri veicoli a motore, disparità di trattamento che è configurabile solo a fronte di perfetta identità delle situazioni messe a confronto e che non ricorre nel caso di specie. Né, infine, la detta disparità, invocata in appello anche rispetto ai monopattini, appare in alcun modo dimostrata.
9. Sono infondate anche le censure con le quali l’appellante deduce l’erroneità della sentenza perché il giudice di primo grado non avrebbe rilevato la contraddittorietà delle disposizioni del Regolamento con gli obiettivi fissati dal PUMS di miglioramento dell'attrattività del trasporto ciclopedonale, della sicurezza per pedoni e ciclisti, della mobilità per le persone a basso reddito e di promozione dei mezzi a basso impatto inquinante, non ne avrebbe debitamente considerato l’impatto deflattivo sull’uso della bicicletta con conseguente peggioramento generalizzato legato alla qualità dell’aria, al rumore dell’ambiente cittadino, alla sicurezza degli utenti della strada, né l’irragionevolezza per l’assenza di modulazione e di misure di adattamento a ciascun specifico contesto cittadino, a differenza di quanto previsto da altri articoli in ordine allo scuotimento di panni (art. 23) e allo sciorinamento della biancheria (art. 24).
9.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, il giudice non può sostituirsi all'amministrazione nella valutazione discrezionale, ma può solo verificarne la manifesta irragionevolezza, la violazione di principi giuridici o la palese irrazionalità, nonché il vizio nella motivazione o la carenza di presupposti tecnici - scientifici.
Nel caso di specie non ricorre nessuna delle predette ipotesi perché non sussiste alcun contrasto con le prescrizioni del PUMS che “esprimono obiettivi di carattere generale”, quali quelli di miglioramento dell'attrattività del trasporto ciclopedonale, della sicurezza per pedoni e ciclisti, della mobilità per le persone a basso reddito e di promozione dei mezzi a basso impatto inquinante che non solo sono differenti da quelli perseguiti dalla disposizione in controversia, ma neanche confliggono con gli stessi, a meno di non voler elevare una situazione patologica, quale è il possibile furto della bicicletta, a situazione fisiologica tale da elidere anche qualsiasi bilanciamento con il decoro urbano e la tutela di elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale etc..
Peraltro, come affermato dal giudice di primo grado, il PUMS è espressione della “potestà programmatoria dell’ente”, il che vuole dire che gli obiettivi in esso prefissati “per tradursi in opzioni concrete devono essere contemperati con gli ulteriori interessi pubblici coinvolti quali quello alla rapidità, alla sicurezza e all’efficienza dei collegamenti viari”, oltre che con quelli del decoro urbano e con altri di volta in volta scelti dalla P.A. che non necessariamente debbono essere ritenuti recessivi rispetto “al contrapposto interesse agli spostamenti col mezzo della bicicletta”.
10. E’, infine, infondata anche l’ultima censura relativa all’erroneità della decisione sui motivi aggiunti per non avere utilizzato nel bilanciamento dei contrapposti interessi come parametri la vivibilità e il decoro e per avere operato al fine di giustificare il divieto e la legittimità sia della sanzione pecuniaria ulteriore che dell’ordine di allontanamento.
10.1. Il Collegio non può che richiamare le considerazioni esposte in relazione agli altri motivi per quanto attiene agli interessi considerati dall’amministrazione comunale in sede di bilanciamento.
10.2. Con riguardo, infine, alla ragionevolezza e alla proporzionalità delle sanzioni previste dall’art. 27 merita di essere evidenziato che la detta disposizione dispone l’aggravamento della sanzione soltanto per ipotesi particolari e ben delimitate, commesse “all’interno di una delle aree individuate, indicate e perimetrate negli allegati al presente Regolamento, costituendo impedimento alla fruizione delle stesse aree”. Ne discende, quindi, che non vi alcuna generalizzata equazione tra incatenamento e impedimento alla fruizione, essendo quest’ultima ipotesi prevista anzi come caso particolare di aggravamento della sanzione.
Con riguardo infine alla valutazione di proporzionalità della sanzione concretamente irrogata, intesa come “rapporto fra l’illecito commesso e l’adeguatezza\congruità di quest’ultima alla “forbice edittale” (e cioè in ordine al suo minimo e al suo massimo)”, come condivisibilmente osservato dal giudice di primo grado, la stessa non potrà che riguardare il provvedimento applicativo che nel caso di specie non è stato ancora adottato, né fatto oggetto di contestazione.
11. Per le esposte considerazioni l’appello deve essere respinto.
12. In considerazione della natura degli interessi sottesi alla controversia sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Marina Perrelli, Consigliere, Estensore
Gianluca Rovelli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marina Perrelli Paolo Giovanni Nicolo' Lotti
IL SEGRETARIO
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