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03 marzo 2025

Consiglio di Stato 2025-la pronuncia riguarda un ricorso presentato contro un atto amministrativo, nel quale il T.A.R. per la Calabria ha respinto la domanda risarcitoria della ricorrente, esaminando le diverse qualificazioni giuridiche che la domanda stessa avrebbe potuto assumere. La sentenza esamina vari aspetti della domanda risarcitoria, tra cui la sua configurabilità come danno derivante da un atto amministrativo illegittimo e come danno extracontrattuale derivante da mobbing o straining, escludendo entrambe le ipotesi.

 

Consiglio di Stato 2025-la pronuncia riguarda un ricorso presentato contro un atto amministrativo, nel quale il T.A.R. per la Calabria ha respinto la domanda risarcitoria della ricorrente, esaminando le diverse qualificazioni giuridiche che la domanda stessa avrebbe potuto assumere. La sentenza esamina vari aspetti della domanda risarcitoria, tra cui la sua configurabilità come danno derivante da un atto amministrativo illegittimo e come danno extracontrattuale derivante da mobbing o straining, escludendo entrambe le ipotesi.
Commento:
1.    Esame della domanda come danno da atto amministrativo illegittimo: Il T.A.R. inizialmente prende in considerazione la possibilità che la richiesta risarcitoria possa essere qualificata come danno derivante da un atto amministrativo illegittimo (ai sensi dell'art. 30, comma 2, c.p.a.), riferendosi al trasferimento della ricorrente. Tuttavia, il Tribunale osserva una "sfasatura" logica e cronologica tra i fatti che costituiscono la base della domanda (causa petendi) e il danno subito (petitum). In altre parole, la sentenza di annullamento del trasferimento illegittimo risale a un momento successivo rispetto ai danni patrimoniali e non patrimoniali che la ricorrente invoca, danni che si sarebbero manifestati in un periodo precedente al trasferimento. Questo ragionamento implica che la domanda di risarcimento non risulti correttamente connessa all’atto amministrativo annullato, rendendo la richiesta insostenibile sotto questa configurazione.
2.    Responsabilità extracontrattuale, mobbing e straining: La sentenza prosegue escludendo che vi sia una responsabilità extracontrattuale legata a mobbing o straining. Il Tribunale sottolinea che non sono emersi, con sufficiente immediata evidenza e adeguata causalità, comportamenti da parte del datore di lavoro pubblico che possano essere definiti come vessatori o ostruzionistici nei confronti della ricorrente. In particolare, il T.A.R. evidenzia come la ricorrente non abbia fornito prove sufficienti a sostegno della sua tesi di essere stata vittima di un ambiente di lavoro lesivo, limitandosi a una contestazione generica dei fatti. In questo contesto, l’assenza di prove concrete e l’insufficienza delle argomentazioni addotte dalla ricorrente sono valutate negativamente, portando alla conclusione che non sussista alcuna responsabilità da parte dell’amministrazione.
3.    Mancanza di prove e la contestazione generica: La sentenza pone particolare enfasi sulla mancanza di prove sufficienti a sostegno della tesi della ricorrente. Infatti, oltre a una contestazione vaga dei fatti, la ricorrente non ha fornito elementi concreti in grado di dimostrare che l’ambiente lavorativo fosse effettivamente caratterizzato da atti vessatori o da mobbing. La citazione dell’aggressione subita nel 2003, già risolta in sede penale e per la quale la ricorrente è stata risarcita, non è ritenuta rilevante per la configurazione del danno subito a causa di mobbing, poiché l'episodio risale a un periodo molto precedente e non è stato accompagnato da ulteriori comportamenti vessatori successivi. Il Tribunale, quindi, esclude che l’ambiente di lavoro sia stato oggettivamente dannoso o che abbia esercitato un'influenza determinante sulla condizione della ricorrente.
4.    Implicazioni giuridiche: Il rifiuto di considerare la domanda come risarcitoria per danno da atto amministrativo illegittimo e la mancata configurazione di mobbing o straining evidenziano un'importante questione giuridica riguardo al concetto di "prova" e di "causalità" nelle azioni legali. La decisione del Tribunale suggerisce che, in caso di danni derivanti da comportamenti presunti dannosi (come il mobbing), è fondamentale fornire elementi probatori chiari e specifici per dimostrare la natura dei fatti e la loro connessione causale con il danno subito. L'insufficienza delle prove, come nel caso descritto, comporta il rigetto della domanda risarcitoria.
Conclusioni:
In sintesi, il T.A.R. per la Calabria respinge il ricorso per due motivi principali: la mancata connessione tra l'atto amministrativo illegittimo e i danni subiti, e l'insufficienza di prove a supporto della tesi di mobbing o straining. La sentenza ribadisce l'importanza della prova adeguata in ambito giuridico, in particolare quando si invoca il risarcimento per danno da atto amministrativo illegittimo o per comportamenti vessatori da parte del datore di lavoro. La decisione pone in evidenza il fatto che una contestazione generica e priva di prove concrete non è sufficiente per supportare una richiesta risarcitoria.




Pubblicato il 12/02/2025
N. 01181/2025REG.PROV.COLL.
N. 04994/2021 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4994 del 2021, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato -;
contro
il Ministero delle politiche agricole e forestali (ora Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), in persona del Ministro pro tempore, e il Corpo forestale dello Stato, ora Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri, in persona del Comandante generale pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, 27 novembre 2020, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Corpo forestale dello Stato;
Vista la sentenza non definitiva della sezione n. 7046 del 20 giugno 2023;
Vista la relazione di verificazione versata in atti il 14 agosto 2024;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2025, il Cons. Antonella Manzione e udita per l’appellante l’avvocato Simona Maria Salazar su delega dell’avvocato Michele Salazar;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso al T.a.r. per la Calabria la signora -OMISSIS-, già agente scelto del Corpo forestale dello Stato, sulla premessa di aver sviluppato patologie di natura fisica e psicologica riconducibili causalmente ad atti/comportamenti dell’Amministrazione di appartenenza, ne chiedeva la condanna a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale asseritamente subito. In particolare, l’interessata faceva leva sugli esiti di un precedente contenzioso, definito con sentenza passata in giudicato del medesimo Tribunale, n. 558 del 15 giugno 2015, che nell’annullare il provvedimento del 24 luglio 2013, con il quale se ne era disposta la (ri)assegnazione alla sede di Cittanova, ne affermava chiaramente il contrasto con gli artt. 38 e seguenti del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, riconoscendo altresì le «conseguenze subite sul piano della salute psico-fisica» dalla ricorrente.
2. Con la sentenza in epigrafe, n. -OMISSIS- del 2020, il T.a.r. per la Calabria respingeva il ricorso, esaminando tutte le possibili qualificazioni giuridiche della domanda risarcitoria: ove intesa come richiesta danni da atto amministrativo illegittimo (art.30, comma 2, c.p.a.), ovvero quello annullato con la richiamata decisione n. 558 del 2015, sussisterebbe «[…] una “sfasatura” logica e cronologica tra i fatti costitutivi della domanda (causa petendi: illegittimità del trasferimento della ricorrente presso il comando di Cittanova adottato il 24.07.2013) e i danni patrimoniali e non patrimoniali (petitum) in massima parte ricondotti, nonché ipotizzati dalla stessa sentenza di annullamento, ad un lasso temporale anteriore e non successivo al trasferimento illegittimo»; per la configurabilità invece di responsabilità di tipo extracontrattuale, da mobbing o da straining, non sarebbe emersa «[…] con carattere di immediatezza e profilo di causalità adeguata, alcuna modalità fattuale nel comportamento del datore di lavoro pubblico tale da poter essere valutato come di obiettiva natura vessatoria o comunque ostruzionistica della normale attività lavorativa della ricorrente». Al di fuori infatti dell’aggressione effettivamente subita da parte di un collega nel 2003, per la quale quest’ultimo è stato condannato in sede penale e l’appellante risarcita, essa «[…] non ha fornito prove sufficienti in ordine al comportamento con finalità colpevolmente vessatoria e/o lesiva intrapreso dall'ambiente di lavoro nei suoi confronti, limitandosi ad una contestazione dei fatti generica e non priva di contraddizioni, come puntualmente rilevato dalle amministrazioni resistenti».
3. La signora -OMISSIS- ha appellato la sentenza lamentando in particolare la violazione del giudicato riveniente dalla decisione del T.a.r. per la Calabria del 2015, nella parte in cui “cristallizza” sia la sussistenza di un danno alla salute, sia la responsabilità nella causazione dello stesso in capo all’Amministrazione, ma solo in ragione dell’inosservanza delle prescrizioni del medico del lavoro, che a far data dal 2011 aveva riconosciuto la dipendente idonea alla mansione, raccomandandone tuttavia l’assegnazione a sedi non riconducibili in alcun modo agli eventi traumatici e alla conflittualità ambientale incontrata all’inizio della carriera. Da qui (anche) l’annullamento del trasferimento a Cittanova, disposto nel 2013 benché vi avesse preso servizio in qualità di Comandante un sovrintendente che in passato «aveva avuto non pochi problemi di incompatibilità con l’ass. -OMISSIS-, circostanza questa che rientra appieno nelle citate limitazioni d’impiego», come ricordava il Comandante provinciale ai propri superiori gerarchici per scongiurarne l’operatività, al fine di salvaguardare il «progressivo e positivo inserimento nell’attuale contesto lavorativo» della dipendente.
3.1. Ha riproposto quindi l’istanza risarcitoria riferita sia al danno non patrimoniale, corrispondente alle spese sanitarie e legali affrontate, per un importo pari ad euro 20.660,77 (che il T.a.r. ha ritenuto non risarcibili in quanto non provate o in quanto rispondenti ad autonoma scelta); sia a quello non patrimoniale, quantificato in euro 266.837,68 mediante rinvio alla consulenza di parte prodotta nel giudizio di primo grado, che fa riferimento tanto al danno biologico che a quello morale, oltre a quello correlato all’inabilità temporanea.
4. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si è costituito in giudizio per chiedere la conferma della decisione impugnata, di fatto riportandosi alle conclusioni già rassegnate in primo grado.
5. Con la sentenza non definitiva del 18 luglio 2023, n. 7046, la Sezione:
- ha riconosciuto quale unica voce di danno non patrimoniale risarcibile gli esborsi correlati alla gestione del ricorso gerarchico e del ricorso in opposizione avverso i provvedimenti poi annullati dal T.a.r. nel 2015 (pari ad euro 2.516,80, risultanti dalla somma della fattura riferita all’acconto e al saldo), «essendo del tutto comprensibile che la situazione di difficoltà psicologica nella quale si trovava abbia indotto l’appellante ad accedere al patrocinio forense, giusta la tipologia di interessi in gioco»;
- ha richiamato quanto già sostanzialmente oggetto di giudicato, ovvero il nesso causale fra la scelta di trasferire la ricorrente in una sede coincidente con quelle sconsigliate dal medico del lavoro e la permanenza/aggravio delle patologie psicologiche dalle quali è risultata affetta.
In particolare, ha mutuato dichiaratamente e integralmente, per comodità espositiva, stralci motivazionali dalla sentenza n. 558 del 2015, e segnatamente l’affermazione secondo la quale: «Il medico competente ai sensi degli artt. 38 ss. d lgs. n. 81/2008, con i certificati del 20.11.2012, del 20.11.2013 e del 7.11.2014, ha riconosciuto alla ricorrente, nell’ambito dello svolgimento della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41, d. lgs. n. 81/2008, l’idoneità alle mansioni con prescrizioni e limitazioni (art. 41, comma 6, lett. b), certificando che la stessa è idonea allo svolgimento delle proprie mansioni lavorative con il limite dell’impiego “per lo svolgimento di attività in ambienti che, per luoghi, persone e circostanze, considerati i precedenti, possano determinare condizioni di stress lavoro correlato con sofferenza psicofisica”. L’art. 42, d. lgs. n. 81 cit. statuisce, dunque, che “ Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all'articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente”. L’assegnazione della ricorrente alla sede di Cittanova è stata una delle concause atte a determinare la situazione di stress come certificata dal medico competente, causa del malore che ha determinato l’invio dapprima al pronto soccorso (si veda referto del 15.12.2011) e poi alla competente commissione sanitaria da parte del comandante provinciale al fine di valutarne l’idoneità psico - fisica al servizio (si veda relazione redatta dallo stesso comandante provinciale il 15.12.2011, in occasione della notifica alla -OMISSIS- dell’atto di diffida a prendere servizio presso la sede di Cittanova).In conseguenza dell’accaduto, il comandante provinciale provvedeva a collocare la -OMISSIS- in aspettativa sino all’esito dell’accertamento medico disposto. Accertamento che, come già sopra riferito, culminava con il primo certificato del 20.11.2012 che nel porre limitazioni all’impiego rispetto a luoghi, circostanze e persone che possano determinare situazioni di stress, non può che essere riferito all’assegnazione presso la sede di Cittanova, quale ultimo evento scatenante la situazione di stress su riferita».
Ha infine escluso la risarcibilità del danno morale, non essendo stato soddisfatto il relativo onere della prova.
5.1. Risolta positivamente, nei limiti precisati, la questione dell’an debeatur, circoscritto al periodo successivo al 10 febbraio 2011, in relazione all’individuazione del quantum debeatur, ha dato incarico ad un verificatore, individuato nel Direttore Generale dell’Inail, con facoltà di delega (in concreto esercitata a favore di una propria dirigente medico che a sua volta si è avvalsa della collaborazione di altro dirigente con competenza territoriale).
6. In data 14 agosto 2024 è stata depositata la relazione di verificazione, corredata del prospetto di ipotizzata quantificazione della somma dovuta a titolo di risarcimento. La stessa in particolare ha confermato una diagnosi di «disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti», indicandone la cronicizzazione a partire dal certificato di un medico specialistico psichiatrico del settembre 2019 e nel contempo evidenziando come la “gravità” risulti esclusivamente in quello del dicembre 2023. Le altre certificazioni mediche successive a quella del febbraio 2011 (v. elencazione in ordine cronologico contenuta a pag. 19 della relazione di verificazione), al contrario, riferiscono di un generico disturbo d’ansia «non accompagnato da reliquati psicopatologici invalidanti», tant’è che la dipendente è stata comunque ritenuta idonea alla funzione fino al 2019.
Ha pertanto individuato la percentuale di invalidità permanente nel 20 %, anziché nel 25 % rivendicato dall’appellante; nel 25 % la percentuale congrua avuto riguardo all’incapacità temporanea parziale di cui agli anni 2011 e 2012. Sul punto, ha anche inserito apposito paragrafo nella relazione, come richiesto in sede di conferimento dell’incarico, per confutare le argomentazioni del consulente di parte (v. osservazioni pervenute al verificatore il 26 luglio 2024), e segnatamente:
- quanto alla prima, afferente la maggior incidenza percentuale del danno biologico permanente, ha ricordato che «la forma “grave” della patologia viene attestata unicamente nella citata certificazione del dicembre 2023, ovvero in epoca molto vicina all’inizio delle attività di verificazione. Va sottolineato invece che sin dall’esordio del quadro clinico (2011) tale qualificazione non viene attestata in nessuna delle restanti certificazioni esaminate, comprese quelle in esito agli accertamenti effettuate dalle Commissioni ministeriali»;
- quanto alla seconda, riferita alla inabilità temporanea, ha evidenziato che quello di cui è causa è comunque «[…] un disturbo neuro-psichico non inquadrabile in forma grave o complicata e che negli anni non ha mai necessitato di un ricovero ovvero di controlli specialistici ravvicinati nel tempo».
6.1. La quantificazione del danno, effettuata sulla base delle Tabelle del Tribunale di Milano aggiornate all’anno 2024, ha pertanto individuato la somma spettante all’appellante, al netto di personalizzazioni, in euro 69.200,00, dei quali euro 60.575,00, a titolo di danno biologico permanente ed euro 8.625,00, per l’inabilità temporanea.
7. Con memoria del 2 gennaio 2025 l’appellante insiste sulla quantificazione del danno biologico nella percentuale richiesta, richiamando la “gravità” della malattia documentata dal Centro di Salute mentale dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria nel dicembre 2023, menzionata pure dal verificatore, ma senza attribuirle il giusto rilievo.
7.1. Anche facendo riferimento alle certificazioni pregresse, sarebbe dirimente quella della Commissione medica ospedaliera (C.M.O.) di Messina - processo verbale BL/B n. 1277 dell’8 marzo 2019 -, ovvero l’unica che in passato ha effettuato una qualche “quantificazione” della patologia: nel riconoscerla come dipendente da causa di servizio ai fini del conferimento della pensione privilegiata ordinaria (PPO), la ha ascritta alla 7^ categoria della Tabella A del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 738, individuando come data di stabilizzazione quella stessa della visita. Il che porterebbe alla medesima valutazione di “gravità”, attingendo alle statuizioni di cui all’art. 3 dell’Allegato 1) al d.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181, che, seppure in relazione alla capacità lavorativa, porta ad una fascia percentuale di invalidità permanente del 31% - 40%.
7.2. La inabilità temporanea a sua volta doveva essere riconosciuta nelle percentuali indicate del 50 % per i 130 giorni del 2011 e 70 % per i successivi 170 giorni del 2012.
8. Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
9. Oggetto della decisione del Collegio è esclusivamente la quantificazione del danno biologico già riconosciuto spettante all’appellante dalla sentenza non definitiva della Sezione n. 7046/2023.
Essa è stata affidata all’Inail proprio sull’assunto che non era possibile accedere «alla richiesta percentuale di invalidità permanente del 25 %, in quanto non solo genericamente affermata (nella relazione del consulente di parte del 30 gennaio 2016), ma anche in contrasto con i fatti e atti di causa per come succedutisi nel tempo. Innanzi tutto la presunta stabilizzazione della situazione (per cui la lesione si sarebbe “cronicizzata” nel 2011, non è chiaro se anche in relazione alle riferite somatizzazioni a carico dell’apparato digerente, per le quali vi è certificazione medica risalente di anni) non è comprovata in alcun modo e va comunque raccordata con la documentata pluriennale somministrazione di ansiolitici e antidepressivi. Inoltre, sembrerebbe contrastare con la invocata portata menomante, per giunta nell’entità ipotizzata, la riconosciuta idoneità al servizio attivo fino all’anno 2019, seppure con le cautele logistiche e/o relazionali richiamate nelle varie certificazioni mediche».
9.1. Le perplessità della Sezione hanno trovato piena e documentata conferma nella relazione del verificatore, che ha definitivamente chiarito come la diagnosi di “gravità”, cui la parte vorrebbe ascrivere la percentuale di invalidità invocata, emerga solo nella certificazione del dicembre 2023, nonché come la cronicizzazione, limitata al disturbo psicologico, è documentata a far data dal marzo 2019. Per contro in precedenza, e soprattutto nel periodo di teorica massima potenzialità lesiva delle incertezze sulla definitiva assegnazione della dipendente da parte dell’Amministrazione in una specifica sede lavorativa (ovvero a far data dal 2011), nessuna diagnosi medica si è espressa in tal senso, indicando esse piuttosto in termini generici un disturbo ansioso reattivo che non ha mai determinato neppure la inidoneità al servizio. In sintesi, manca la prova della riconducibilità della situazione per come cronicizzata nel 2019 ai comportamenti denunciati, e ancor più della sua “gravità” a partire da tale data e in ragione degli stessi. Correttamente, dunque, il C.T.U., mediando fra le ipotesi ricavabili indicativamente («a mero titolo di esempio», v. pag. 20 della relazione) dalle “Linee guida per la valutazione del danno alla persona in ambito civilistico SIMLA -2006” ha indicato il livello più alto della forbice edittale (che spazia da 16 a 20 %) dei casi comunque riferiti a una forma lieve “complicata”, oltre che “moderata”, perfettamente compatibile con la più volte ricordata continuità dell’attività lavorativa, malgrado i numerosi controlli medici cui la dipendente è stata sottoposta.
9.2. A maggior ragione ciò deve valere in relazione all’inabilità temporanea, venendo all’evidenza un danno biologico sostanzialmente riferibile all’insorgenza del disturbo, prima della sua stabilizzazione in esiti permanentemente invalidanti (certificata solo nel 2019, senza la specifica di “gravità”). Una volta esclusa, dunque, la forma “grave” o “complicata” dello stesso, finanche nel suo stadio finale, non può non darsi rilievo alla circostanza che esso «negli anni non ha mai necessitato di un ricovero ovvero di controlli specialistici ravvicinati nel tempo» (pag. 22 della relazione di verificazione).
9.3. Né a diverse conclusioni può condurre il tentativo di assimilare l’inserimento in categoria VII ai fini del riconoscimento della pensione privilegiata, non equivalendo ciò in alcun modo ad una valutazione di “gravità” del disturbo di adattamento, per giunta “passando per il tramite” dei contenuti della (diversa) Tabella allegata al d.P.R. n. 181/2009. Tali dati, eterogenei, perché rispondenti a diverse finalità, seppur comparabili, non implicano tabelle di parametrazione che prescindano dalle categorizzazioni cui fanno riferimento.
10. D’altro canto, non può sottacersi che l’appellante aveva già individuato le percentuali di invalidità, sia permanente che temporanea, rivendicate, assai prima che sopravvenisse la certificazione di “gravità” del 2023, con ciò comprovando l’assertività delle stesse, in alcun modo comprovate nella loro portata contraria alla ricostruzione del verificatore.
11. In conclusione, per le ragioni che si sono esposte, l’appello dev’essere respinto limitatamente alla richiesta di valutazione del danno biologico permanente nella misura del 25 % e dell’invalidità temporanea in quella del 50 % per il 2011 e 70 % del 2012, rideterminando in tal senso quelle indicate dal verificatore, alle cui conclusioni il Collegio intende integralmente aderire, riconoscendolo pertanto nella diversa misura del 20 % (la prima) e 25 % la seconda, avuto riguardo ad entrambe le annualità.
A ciò consegue la condanna del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al pagamento delle somme individuate nel prospetto allegato alla relazione di verificazione sulla base di ridette percentuali, avvalendosi delle Tabelle del Tribunale di Milano dell’anno 2024. In particolare, l’Amministrazione, oltre a quanto già liquidato dalla Sezione a titolo di danno non patrimoniale con sentenza non definitiva (Cons. Stato, sez. II, 20 giugno 2023, n. 7046), corrisponderà all’appellante a titolo di danno biologico, permanente e temporaneo, la somma di euro 69.200,00 (rispettivamente, euro 60.575,00 per il primo e euro 8.625.00 per il secondo), indicata al netto di qualsivoglia personalizzazione, in quanto egualmente non provata, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dal momento della presentazione del ricorso fino al soddisfo.
12. In considerazione del complessivo esito della controversia, le spese del doppio grado del giudizio, anche con riferimento alla sentenza non definitiva n. 7046 del 2023, sono compensate, ad eccezione dei costi della verificazione che sono posti a carico dell’Amministrazione, da subito nei limiti dell’acconto già ascritto all’appellante, a rettifica della precedente statuizione; in via definitiva all’esito di apposita istanza, con liquidazione demandata a separato decreto presidenziale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto condanna l’Amministrazione appellata al pagamento nei confronti dell’appellante della somma di euro 69.200/00 (sessantanovemilamiladuecento/00), oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio, anche con riferimento alla sentenza non definitiva n. 7046 del 2023, ad eccezione delle spese di verificazione, poste a carico dell’Amministrazione soccombente, da liquidarsi nei limiti dell’acconto di euro 2.000/00 (duemila/00), già provvisoriamente ascritto all’appellante, fermo restando l’importo definitivo da determinarsi con decreto presidenziale all’esito dell’apposita istanza da parte del verificatore.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e all’art. 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute dell’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Antonella Manzione        Oberdan Forlenza
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

 

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