CGUE 2025- "Sport e diritti: L'atleta è un consumatore? La recente pronuncia dell'Unione Europea"
La recente pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) riguardante il caso di un atleta minorenne e la sua qualifica di "consumatore" rappresenta un importante passo nella tutela dei diritti dei giovani sportivi. La questione centrale è se un atleta, in particolare un "giocatore promessa" minorenne, possa essere considerato un consumatore ai sensi della Direttiva 93/13/CEE, che tutela i consumatori da clausole abusive nei contratti di adesione.
Contesto Giuridico
La Direttiva 93/13/CEE ha come obiettivo principale quello di proteggere i consumatori da clausole contrattuali che possano essere considerate abusive, in particolare in contratti stipulati tra professionisti e consumatori. La Corte è stata chiamata a esprimersi su vari articoli della direttiva, in particolare sulla definizione di consumatore e sull'applicabilità delle disposizioni a un contratto di adesione concluso tra un professionista e un atleta minorenne.
La Situazione dell'Atleta
Nel caso specifico, un atleta minorenne, rappresentato dai suoi genitori, aveva stipulato un contratto con un professionista del settore sportivo. Tale contratto prevedeva il pagamento di una commissione del 10% sui redditi futuri dell'atleta per un periodo di quindici anni. Questa clausola ha sollevato interrogativi sulla sua validità e sull'equità del contratto, in particolare considerando la vulnerabilità dell'atleta minorenne.
Aspetti Rilevanti della Decisione
Definizione di Consumatore: La Corte ha esaminato se l'atleta potesse essere considerato un consumatore nel contesto della direttiva. La definizione di consumatore si estende a chiunque agisca per scopi che non rientrano nella propria attività commerciale o professionale. L'atleta minorenne, che non ha capacità giuridica piena, è rappresentato dai genitori, il che complica ulteriormente la questione.
Tutela del Minore: La Corte ha anche fatto riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, in particolare agli articoli che tutelano i diritti del minore. Questo aspetto è cruciale, poiché riconosce la necessità di proteggere i giovani atleti da contratti potenzialmente svantaggiosi, sottolineando la loro vulnerabilità e la necessità di una protezione giuridica adeguata.
Clausole Abusive: La Corte ha valutato se la clausola che impone una remunerazione al professionista fosse abusiva. In base alla normativa europea, le clausole che determinano obblighi sproporzionati o che non sono state adeguatamente chiarite al consumatore possono essere dichiarate nulle. La decisione della Corte potrebbe stabilire un precedente importante per la validità di contratti simili nel settore sportivo.
Implicazioni della Sentenza
La pronuncia della CGUE potrebbe avere ampie implicazioni nel mondo dello sport, in particolare per quanto riguarda:
Contratti Sportivi per Minori: Potrebbe portare a una revisione dei contratti stipulati da atleti minorenni, garantendo una maggiore protezione e trasparenza.
Regolamentazione del Settore: Potrebbe incentivare le federazioni sportive e le autorità competenti a rivedere le normative relative ai contratti di rappresentanza e gestione degli atleti, soprattutto per quanto riguarda i minori.
Diritti dei Consumatori: Potrebbe rafforzare la posizione dei consumatori nel contesto sportivo, estendendo la protezione giuridica a categorie che precedentemente potevano essere considerate fuori dal perimetro di applicazione delle normative sui consumatori.
Conclusione
La decisione della Corte di Giustizia Europea del 2025 rappresenta un passo significativo verso una maggiore tutela dei diritti degli atleti, in particolare dei minori. La qualificazione dell'atleta come consumatore potrebbe avere un impatto duraturo sulla regolamentazione dei contratti nel settore sportivo, promuovendo una maggiore equità e trasparenza nel trattamento dei giovani talenti. Questo caso evidenzia l'importanza di un approccio giuridico che tenga conto delle specificità e delle vulnerabilità del mondo sportivo, soprattutto quando si tratta di minori.
Edizione provvisoria
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
ATHANASIOS RANTOS
Presentate il 4 ottobre 2024 (1)
Causa C-365/23 [Arce] (2)
SIA “A”
contro
C,
D,
E
(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Augstākā tiesa (Senāts) (Corte suprema, Lettonia))
« Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 1 – Sfera di applicazione – Articolo 2, lett. b) – Nozione di “consumatore” – Articolo 3, paragrafo 1 – Articolo 4, paragrafo 2 – Articolo 5 – Articolo 6, paragrafo 1 – Articolo 8 bis – Contratto di adesione – Contratto stipulato tra un professionista che fornisce servizi di sviluppo sportivo e di supporto alla carriera e un atleta, giocatore minorenne “giovane promessa”, rappresentato dai propri genitori – Clausola che prevede l'obbligo di versare al professionista una remunerazione pari al 10% dei redditi percepiti dall’atleta nei quindici anni successivi – Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – Articolo 17 - Diritto di proprietà – Articolo 24 - Diritti del minore »
I. Introduzione
1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell’articolo 2, lettera b), dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’articolo 4, paragrafo 2, dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 8 bis della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (3), nel combinato disposto con gli articoli 17, paragrafo 1, e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia sorta tra la società A, una società a responsabilità limitata di diritto lettone costituita allo scopo di fornire servizi di sviluppo degli atleti in Lettonia (in prosieguo: la «società A»), e le persone fisiche C, giocatore dilettante minorenne «giovane promessa» dello sport, unitamente ai propri genitori, D ed E (in prosieguo: i «genitori»), avente ad oggetto l’azione di recupero, da parte della società A, della remunerazione dovuta da C a titolo di corrispettivo per le prestazioni previste dal contratto di servizi di sviluppo sportivo e di supporto alla carriera, concluso il 14 gennaio 2009 tra la società A, da un lato, e C, nonché i propri genitori, D ed E, dall'altro (in prosieguo: il «contratto controverso»).
3. Nel caso di specie, la Corte sarà chiamata a esaminare l'applicabilità del diritto dell'Unione europea in materia di tutela dei consumatori, in particolare della direttiva 93/13, ad un contratto come quello controverso, nel contesto specifico di un consumatore inizialmente minorenne, rappresentato dai propri genitori, divenuto maggiorenne e giocatore professionista nel corso del contratto stesso. L’emananda sentenza, che traccerà la sfera di applicazione di detta direttiva, inciderà evidentemente sul contenuto di tale tipologia di contratti, e ciò ben oltre il solo ambito sportivo.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell'Unione
1. Direttiva 93/13
4. A termini del decimo, del tredicesimo e del sedicesimo considerando della direttiva 93/13:
«considerando che si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; che tali regole devono applicarsi a qualsiasi contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore; che sono segnatamente esclusi dalla presente direttiva i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare, i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società;
[...]
considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte; che a questo riguardo l'espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative» che figura all'articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo diverso;
[...]
considerando che la valutazione, secondo i criteri generali stabiliti, del carattere abusivo di clausole, in particolare nell'ambito di attività professionali a carattere pubblico per la prestazione di servizi collettivi che presuppongono una solidarietà fra utenti, deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa; che si tratta nella fattispecie del requisito di buona fede; che nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore; che il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi».
5. L'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva medesima così recita:
«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».
6. Ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva, la nozione di «consumatore» è definita come «qualsiasi persona fisica che […] agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale». Ai sensi della successiva lettera c), il termine «professionista» si riferisce a «qualsiasi persona fisica o giuridica che […] agisce nell'esercizio della sua attività commerciale o professionale, sia essa pubblica o privata».
7. A termini dell'articolo 3 della direttiva medesima:
«1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell'ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.
Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l'applicazione del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto di adesione.
Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l'onere della prova.
[...]»
8. Ai sensi del successivo articolo 4:
«1. Fatto salvo l'articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.
2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».
9. Il successivo articolo 5 dispone, segnatamente in particolare che, «[n]el caso di contratti in cui tutte o alcune delle clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile».
10. Il successivo articolo 6, paragrafo 1, così dispone:
«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive»
11. A termini dell'articolo 8 della direttiva medesima, «[g]li Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».
12. Ai sensi dell'articolo 8 bis, paragrafo 1, della direttiva medesima:
«Quando uno Stato membro adotta disposizioni conformemente all’articolo 8, ne informa la Commissione, così come di qualsiasi successiva modifica, in particolare qualora tali disposizioni:
– estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure
– contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive».
2. La direttiva 2005/29/CE
13. L'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2005/29/CE (4) così recita:
«Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera».
B. Diritto lettone
1. Il Codice Civile
14. L'articolo 186 del Latvijas Republikas Civillikums (Codice civile della Repubblica di Lettonia, in prosieguo: il «Codice civile») del 20 febbraio 1937 (5) dispone che «[i] genitori rappresentano congiuntamente il figlio nei suoi rapporti personali e patrimoniali (rappresentanza congiunta)».
15. Ai sensi del successivo articolo 223, «il padre e la madre sono, in virtù del diritto di custodia, i tutori naturali del figlio minore».
16. Il successivo articolo 293 così dispone:
«Il tutore può, nell'interesse del minore, stipulare qualsiasi tipo di contratto relativo ai rapporti giuridico-economici del minore, nonché ricevere ed effettuare pagamenti. Ogni atto di tale natura è vincolante per il minore, a condizione che il tutore lo abbia compiuto in buona fede, sempreché non esuli dall’ambito della gestione economica e non abbia vincolato il minore, senza particolari necessità, per un periodo superiore alla maggiore età».
17. A termini dell'articolo 1408 del Codice medesimo, «[i] minori sono privi di capacità di agire».
2. La legge sulla tutela dei diritti dei consumatori
18. L'articolo 1 della Patērētāju tiesību aizsardzības likums (legge sulla tutela dei diritti dei consumatori) del 1° aprile 1999 (6), intitolato «Definizioni utilizzate dalla legge», nel testo vigente all’epoca della conclusione del contratto controverso, definiva, ai punti 3 e 4, le seguenti nozioni:
«consumatore - qualsiasi persona fisica che intenda acquistare, acquisti o possa acquistare o utilizzare un bene o un servizio per fini non connessi alla propria attività economica o professionale;
fornitore di servizi - qualsiasi soggetto che, nell’ambito della propria attività economica o professionale, fornisca un servizio a un consumatore; [...]»
19. L'articolo 6 della legge medesima, intitolato «Clausole contrattuali abusive», nel testo vigente all’epoca della conclusione del contratto, così disponeva:
«[...]
(2) Le clausole contrattuali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile.
(3) Una clausola di un contratto che non sia stata negoziata individualmente è abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, crea un significativo squilibrio, a danno del consumatore, tra i diritti e gli obblighi delle parti risultanti dal contratto.
[...]
(8) Le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un produttore, un professionista o un fornitore di servizi e un consumatore restano prive di effetti dal momento della conclusione del contratto, ma il contratto rimane valido se può sussistere dopo l'esclusione delle clausole abusive.
[...]»
20. Il successivo articolo 6, recante trasposizione nell'ordinamento lettone dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, nel testo entrato in vigore il 1° luglio 2014, al paragrafo 2 così recitava:
«Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle clausole contrattuali che definiscono l'oggetto del contratto e la perequazione tra il prezzo e il corrispettivo, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. [...]»
III. Il procedimento principale, le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia
21. A, una società a responsabilità limitata di diritto lettone, si propone di assicurare lo sviluppo degli atleti in Lettonia. A tal fine, essa offre ai medesimi una serie di servizi per lo sviluppo delle loro capacità professionali e delle loro carriere, stipulando contratti per effetto dei quali sorge, in presenza di determinate condizioni, il futuro obbligo di corresponsione di una remunerazione.
22. C, persona fisica, era un minore, dell’età di 17 anni, che agli inizi del 2009 era un giovane atleta nel settore della pallacanestro che non aveva ancora iniziato la propria carriera sportiva a livello professionistico (non essendo quindi alle dipendenze di alcuna società).
23. Il 14 gennaio 2009, la società A, da un lato, e C unitamente ai propri genitori, dall’altro, concludevano il contratto controverso a favore di C. Scopo del contratto era quello di provvedere alla realizzazione, in favore di C, di una carriera sportiva professionistica di successo nel settore della pallacanestro. Il contratto veniva stipulato per una durata di quindici anni, ossia fino al 14 gennaio 2024.
24. In tale ottica, il contratto prevedeva che la società A offrisse a C un'intera gamma di servizi (7). In base al punto 6.1 di detto contratto (in prosieguo: la «clausola controversa»), C si impegnava a versare alla società medesima, in contropartita, un corrispettivo pari al 10% di tutti i proventi netti derivanti da eventi consistenti in gioco, in pubblicità, in marketing e da eventi mediatici relativi alla disciplina sportiva di cui trattasi percepiti nel corso del contratto, oltre l'imposta sul valore aggiunto applicabile in Lettonia, a condizione che tali proventi ammontassero quantomeno ad un importo pari a EUR 1.500 al mese.
25. Dagli elementi forniti dal giudice del rinvio risulta che la menzionata clausola era stata predisposta dalla società A e non era stata oggetto di una negoziazione individuale ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13. Si tratterebbe, quindi, di un contratto di adesione che sarebbe stato sottoscritto, negli stessi termini, anche da altri giovani atleti.
26. Secondo il giudice del rinvio, nel corso del 2009 e del 2010 la società A avrebbe fornito a C servizi di sostegno allo sviluppo sportivo e alla carriera, come previsto dal contratto controverso, in particolare allenamenti individuali e di squadra sotto la supervisione di specialisti, i quali avrebbero richiesto un impegno economico da parte della società stessa. Benché una parte dei servizi offerti non sarebbe stata utilizzata da C, secondo la società A, non avendole corrisposto la remunerazione prevista per i servizi ricevuti, C ed i suoi genitori sarebbero venuti meno al contratto.
27. Considerato che, nel corso del periodo in questione, i redditi prodotti da C, divenuto nel frattempo un giocatore di pallacanestro professionista, derivanti dai contratti stipulati con società sportive sono ammontati complessivamente a 16.637.779,90 euro, C sarebbe stato quindi tenuto a versare alla società A il 10% di tale somma, ossia 1.663.777,99 euro.
28. Il 29 giugno 2020, la società A avviava un'azione giudiziaria nei confronti di C e dei suoi genitori, volta ad ottenere il recupero della remunerazione prevista dal contratto controverso.
29. Il giudice di primo grado e, successivamente, il giudice di appello respingevano la domanda proposta dalla società A in base al rilievo, segnatamente, che il contratto controverso non rispettava le disposizioni nazionali relative alla tutela dei diritti dei consumatori e che la clausola controversa era abusiva.
30. La società A ha quindi proposto ricorso per cassazione dinanzi all'Augstākā tiesa (Corte Suprema, Lettonia), giudice del rinvio, deducendo che le disposizioni in materia di tutela dei diritti dei consumatori non troverebbero applicazione nella specie, dovendosi ritenere che il contratto de quo ricadrebbe nei contratti destinati ad atleti «giovani promesse» dello sport, ai quali tali disposizioni non sarebbero destinate ad applicarsi. Nel proprio ricorso, la società medesima ha chiesto la proposizione di una domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte.
31. A parere del giudice medesimo, la Corte avrebbe già fornito un'interpretazione della nozione di «consumatore», senza peraltro affrontare, sino ad oggi, nella propria giurisprudenza la questione se le disposizioni sulla tutela dei diritti dei consumatori siano applicabili al settore dello sport.
32. A tal riguardo, lo stesso giudice ritiene di sì. Infatti, in assenza di una normativa specifica che li escluda dalla sfera di applicazione della direttiva 93/13, i contratti conclusi nel settore dello sport potrebbero essere qualificati, in base alle disposizioni della direttiva medesima, come «contratti conclusi tra un professionista e un consumatore».
33. A parere di detto giudice, non si potrebbe peraltro attribuire rilevanza al fatto che l'attività del giovane atleta abbia successivamente acquisito carattere essenzialmente professionistico, atteso che tale circostanza non potrebbe, di per sé, impedire al destinatario dei servizi di avvalersi dello status di «consumatore», ai sensi della direttiva 93/13 (8) .
34. Inoltre, ad avviso del giudice medesimo, i contrasti nella giurisprudenza degli Stati membri depongono parimenti a favore della necessità di sottoporre questioni pregiudiziali al fine di acclarare se i requisiti in materia di tutela dei consumatori dettati dalla direttiva 93/13 si applichino ai contratti conclusi tra giovani atleti e società sportive (9).
35. In tale contesto, l'Augstākā tiesa (Senāts) (Corte Suprema, Lettonia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se un contratto di prestazione di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera di uno sportivo, concluso tra un professionista che esercita la sua attività professionale nel campo dello sviluppo e dell’allenamento di sportivi, da un lato, e un minore rappresentato dai suoi genitori il quale, al momento della conclusione del contratto, non svolgeva un’attività da professionista nello sport di cui si tratta, rientri nell’ambito di applicazione della [direttiva 93/13/CEE].
2) In caso di risposta negativa alla [prima questione], se la direttiva 93/13 osti a una giurisprudenza nazionale che interpreta le norme di trasposizione di detta direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale in modo tale che le disposizioni in materia di tutela dei consumatori ivi contenute sono applicabili anche ai contratti in parola.
3) In caso di risposta affermativa alla [prima o alla seconda questione], se un giudice nazionale possa sottoporre alla valutazione del carattere abusivo di cui all’articolo 3 della direttiva 93/13 una clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera in un determinato sport, come specificati nel contratto, il giovane sportivo si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10% delle entrate percepite nei successivi 15 anni, senza considerare che tale clausola rientri tra quelle sottratte alla valutazione del carattere abusivo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della medesima direttiva.
4) In caso di risposta affermativa alla [terza questione], se debba considerarsi redatta in modo chiaro e comprensibile, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 93/13, una clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della fornitura di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera, come specificati nel contratto, il giovane sportivo si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10 % delle entrate percepite nei successivi 15 anni, tenuto conto del fatto che, al momento della conclusione del contratto, quest’ultimo non disponeva di informazioni chiare sul valore del servizio fornito né sull’importo da pagare per tale servizio, che gli consentissero di valutare le ripercussioni economiche che ne potevano derivare.
5) In caso di risposta affermativa alla [terza questione], se una clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della fornitura di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera, come specificati nel contratto, il giovane sportivo si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10 % delle entrate percepite nei successivi 15 anni, debba essere considerata, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, una clausola che determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, tenuto conto del fatto che tale paragrafo non mette in relazione il valore del servizio fornito con il costo di detto servizio per il consumatore.
6) In caso di risposta affermativa alla [quinta questione], se la decisione di un giudice nazionale che riduce l’importo del pagamento esigibile dal consumatore a favore del prestatore di servizi all’entità dei costi effettivi sostenuti da quest’ultimo per la fornitura al consumatore dei servizi previsti dal contratto sia in contrasto con i requisiti stabiliti dall'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.
7) In caso di risposta negativa alla [terza questione] e qualora la clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera di un sportivo, come specificati nel contratto, il consumatore si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10 % delle entrate percepite nei successivi 15 anni, sia sottratta alla valutazione del carattere abusivo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, se il giudice nazionale, avendo constatato che l’importo della remunerazione è manifestamente sproporzionato rispetto al contributo fornito dal prestatore dei servizi, possa nondimeno dichiarare abusiva detta clausola sulla base del diritto nazionale.
8) In caso di risposta affermativa alla [settima questione], se, nel caso di un contratto stipulato con un consumatore in un momento in cui l’articolo 8 bis della direttiva 93/13 non era ancora entrato in vigore, debbano essere prese in considerazione le informazioni fornite dallo Stato membro alla Commissione europea conformemente a detto articolo relativamente alle disposizioni adottate dallo Stato membro ai sensi dell’articolo 8 di detta direttiva e, in caso di risposta affermativa, se la competenza dei giudici nazionali sia limitata da tali informazioni in base all’articolo 8 bis della medesima direttiva, qualora lo Stato membro abbia comunicato che la propria normativa non va oltre lo standard minimo stabilito dalla direttiva in parola.
9) In caso di risposta affermativa alla [prima o alla seconda questione], quale rilevanza occorra accordare, alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, della Carta, in combinato disposto con l’articolo 24 della medesima, ai fini dell’applicazione delle norme di trasposizione delle disposizioni della direttiva 93/13 nell’ordinamento giuridico nazionale, al fatto che, al momento della conclusione del contratto di prestazione di servizi di cui trattasi, della durata di 15 anni, il giovane sportivo fosse minorenne e che detto contratto fosse stato quindi concluso dai genitori in suo nome, prevedendo l’obbligo per il minore stesso di versare una remunerazione pari al 10 % di tutte le entrate da lui percepite nei successivi 15 anni.
10) In caso di risposta negativa alla [prima o alla seconda questione], in considerazione del fatto che le attività sportive rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, se un contratto di prestazione di servizi della durata di 15 anni, stipulato con un giovane sportivo minorenne – concluso in suo nome dai suoi genitori – in cui è previsto l’obbligo per il minore di versare una remunerazione pari al 10 % di tutte le entrate da questi percepite nei successivi 15 anni, violi i diritti fondamentali sanciti dall’articolo 17, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della medesima».
36. Osservazioni scritte sono state depositate alla Corte dalla società A, da C, dal governo lettone e dalla Commissione europea. Queste stesse parti, unitamente ai genitori, che non avevano presentato osservazioni scritte, hanno anche presentato osservazioni orali, rispondendo ai quesiti orali posti dalla Corte all'udienza del 13 giugno 2024.
IV. Analisi
A. Ricevibilità di talune questioni pregiudiziali
37. Nelle proprie osservazioni scritte la società A ha eccepito l’irricevibilità delle questioni terza, quarta, quinta, settima, nona e decima in base al rilievo, in primo luogo, che, con le proprie questioni da terza a quinta, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte di applicare e non di interpretare il diritto dell'Unione, in particolare esaminando, da un lato, se si debba ritenere che le clausole relative alla fissazione della remunerazione ricadano non nell'ambito dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, bensì dell'articolo 3 della medesima (terza questione) e, dall’altro, se esse rispondano ai requisiti dettati dagli articoli 5 e 3, paragrafo 1, della direttiva stessa (quarta e quinta questione), in secondo luogo, che la settima questione riveste carattere ipotetico; e, infine, in terzo luogo, che la nona e la decima questione sono eccessivamente astratte e costituiscono una richiesta di parere consultivo.
38. A tal proposito, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito del procedimento istituito all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi. Ne consegue che una questione pregiudiziale relativa al diritto dell'Unione gode di una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura teorica oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (10).
39. Orbene, si deve rilevare che, nella specie, l'ordinanza di rinvio descrive in modo sufficientemente dettagliato il contesto di fatto e di diritto nel quale si colloca il procedimento principale e le informazioni fornite dal giudice del rinvio consentono di determinare la portata delle questioni pregiudiziali e di ritenere, in conclusione, che esse non sono né prive di alcun rapporto con l'oggetto della controversia né di natura ipotetica. In particolare, da un lato, quanto alle questioni pregiudiziali dalla terza alla quinta nonché nona e decima, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il giudice del rinvio s’interroga sul significato e sulla portata di varie disposizioni della direttiva 93/13 al fine di determinare se possa procedere alla verifica del carattere abusivo della clausola controversa alla luce della direttiva medesima. Il giudice del rinvio non chiede, quindi, alla Corte di applicare tali disposizioni alla fattispecie in esame, né di sostituire la propria valutazione alla sua, cosa che in ogni caso non potrebbe fare (11). Dall'altro, quanto al carattere ipotetico della settima questione, che deriva, a parere della società A, dal fatto che il diritto lettone non contempla la possibilità di constatare che il ritorno sull’investimento è eccessivo, è sufficiente ricordare che, nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 267 TFUE, le funzioni della Corte e quelle del giudice nazionale sono chiaramente distinte e che spetta esclusivamente a quest’ultimo interpretare la normativa nazionale(12).
40. Ciò premesso, ritengo che tutte le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice nazionale siano ricevibili.
B. Nel merito
41. Il giudice del rinvio, ritenendo che il contesto di fatto in cui si colloca il procedimento principale sollevi un complesso di questioni relative all'interpretazione e all'applicazione della direttiva 93/13, ha deciso di sottoporre una serie di questioni pregiudiziali le quali, dal punto di vista tematico, riguardano vari aspetti di detta direttiva, che possono essere raggruppati come segue:
– La sfera di applicazione della direttiva 93/13 (prima questione) ;
– l'estensione della sfera di applicazione rispetto al livello minimo di protezione conferito dalla direttiva (seconda questione) e le modalità di attuazione della normativa nazionale in base all'articolo 8 della direttiva medesima (questioni settima e ottava);
– il trattamento delle clausole contrattuali relative all’ «oggetto principale del contratto» o al «prezzo e alla remunerazione» ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva (terza questione);
– il requisito di «trasparenza» ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, e dell'articolo 5 della direttiva stessa (quarta questione);
– la valutazione del «significativo squilibrio» nel contesto dell'esame del carattere abusivo di una clausola ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (quinta questione);
– le conseguenze derivanti della qualificazione di una clausola contrattuale come «abusiva» ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva (sesta questione);
– l'applicazione delle disposizioni della Carta nell’ambito della valutazione delle clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori (nona e decima questione).
1. Sulla sfera di applicazione della direttiva 93/13 (prima questione)
42. Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le clausole di un contratto concluso tra un professionista che eserciti un'attività nel settore dello sviluppo degli atleti, da un lato e, dall'altro, un minore, rappresentato dai propri genitori, il quale, al momento della conclusione del contratto medesimo, non fosse ancora impiegato nel settore dello sport, ricadano nella sfera di applicazione della direttiva 93/13.
43. In tale contesto, C e i suoi genitori, il governo lettone e la Commissione ritengono che un contratto di tal genere rientri nella sfera di applicazione della direttiva, mentre la società A suggerisce di rispondere alla questione in senso negativo, deducendo al riguardo, in particolare, che la natura futura di un'attività professionale nulla toglierebbe alla natura del contratto stesso.
44. Occorre rammentare, in limine, che la direttiva 93/13, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, è volta al ravvicinamento delle normative degli Stati membri relative alle clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore. Si tratta, quindi, di un atto legislativo orizzontale diretto ad assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori (13), tutelandoli contro le clausole abusive inserite in tutti i tipi di contratti stipulati con i professionisti (14). La direttiva è quindi destinata ad applicarsi a tutti i settori di attività economica e, in linea di principio, a tutti i tipi di contratti per l'acquisto di beni e la fornitura di servizi conclusi tra un professionista e un consumatore.
45. Inoltre, come la Corte ha più volte rilevato, il sistema di protezione attuato dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (15). In considerazione di tale situazione di inferiorità, l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva stabilisce che le clausole abusive non vincolano i consumatori. Si tratta di una disposizione imperativa volta a sostituire all'equilibrio formale che il contratto stabilisce tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale in grado di ripristinare l'uguaglianza tra di essi (16).
46. Ne consegue che lo scopo della direttiva è, da un lato, quello di affrontare situazioni di disuguaglianza tra le parti in relazione alle clausole contrattuali, che possono essere dovute ad un’asimmetria di informazioni o di competenze tecniche (17), o di potere negoziale (18), in relazione alle clausole contrattuali (19) e, dall'altro, quello di dissuadere i professionisti dall'utilizzare clausole abusive in futuro (20).
47. È alla luce di tali obiettivi perseguiti dalla direttiva 93/13 che occorre esaminare se il contratto controverso rientri nella sfera di applicazione della direttiva stessa.
48. A tal riguardo, si deve ricordare che la direttiva 93/13 si applica, come risulta dall'articolo 1, paragrafo 1, e dall'articolo 3, paragrafo 1, della stessa, alle clausole dei «contratti conclusi tra un professionista e un consumatore» che non siano «state oggetto di negoziato individuale». Come indicato nel decimo considerando di tale direttiva, le norme uniformi sulle clausole abusive devono applicarsi a «qualsiasi contratto» concluso tra un «professionista» e un «consumatore», quali definiti all'articolo 2, lettere b) e c), della direttiva medesima (21). Di conseguenza, affinché un contratto rientri nella sfera di applicazione di detta direttiva, è necessario che una parte del contratto sia un «professionista», quale definito all'articolo 2, lettera c), della direttiva 93/13, e che l'altra parte sia un «consumatore», ai sensi della lettera b) dell’articolo 2 della stessa direttiva. In altre parole, in presenza di un professionista, da un lato, e di un consumatore, dall'altro, si ritiene che il contratto rientri nella sfera di applicazione della direttiva 93/13.
49. Nel caso di specie, rilevo, da un lato, che, sebbene dagli elementi del fascicolo sottoposto alla Corte risulti che il contratto controverso era un «contratto tipo» redatto mediante un modulo prestampato e firmato da molti altri giovani atleti, la società A sostiene che la clausola controversa è stata oggetto di trattative individuali (22). Spetta, quindi, al giudice del rinvio pronunciarsi al riguardo, tenuto conto delle norme relative alla ripartizione dell'onere della prova di cui all'articolo 3, paragrafo 2, primo e terzo comma, della direttiva 93/13, ai sensi delle quali, in particolare, qualora l'operatore economico sostenga che una clausola standardizzata sia stata oggetto di negoziazione individuale, l'onere della prova incombe sul medesimo (23).
50. D'altro canto, è pacifico che il contratto controverso sia stato sottoscritto dalla società A, che agiva in qualità di «professionista» ai sensi dell'articolo 2, lettera c), della direttiva de qua. Ciò detto, la prima questione dev’essere intesa nel senso che il giudice nazionale chiede, in sostanza, in primo luogo, se una persona fisica, come C, che, al momento della conclusione del contratto controverso, non esercitava attività professionale nella disciplina sportiva in questione, ma che è divenuto sportivo professionista successivamente, debba essere considerato, nell'ambito del contratto medesimo, quale «consumatore» ai sensi del menzionato articolo 2, lettera c), di modo che il contratto ricada nella sfera applicazione ratione personae della direttiva stessa (a) e, in secondo luogo, se l'oggetto stesso del contratto, che secondo la società A, dovrebbe essere considerato «appartenente ai contratti degli atleti “giovani promesse" dello sport», possa costituire un'eccezione alla sfera di applicazione ratione materiae della direttiva 93/13, giustificando in tal modo l’inapplicabilità della sua disciplina (b).
a) Sulla sfera di applicazione ratione personae della direttiva 93/13
51. In primis, per quanto attiene all'applicabilità ratione personae della direttiva 93/13 e, più specificamente, alla nozione di «consumatore», ricordo che, a termini dell'articolo 2, lettera b), di tale direttiva, s’intende per «consumatore» «qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della […] direttiva [medesima], agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale». Lo stesso articolo, alla successiva lettera c), conferisce alla nozione di «professionista» una definizione ampia, secondo la quale per «professionista» deve intendersi «qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della […] direttiva [stessa], agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».
52. Ne consegue che la direttiva 93/13 definisce i contratti cui essa si applica non in base all'identità delle parti in causa, bensì in base allo status delle parti nel contratto, a seconda che esse agiscano o meno nell'ambito della propria attività professionale (24). Questo approccio, che viene spesso definito «funzionale», corrisponde all'idea, già richiamata supra al paragrafo 46, su cui si fonda il sistema di tutela istituito dalla direttiva de qua, ossia che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità rispetto al professionista, sia per quanto riguarda il potere di trattativa sia il livello di informazione (25).
53. Ne risulta che la qualificazione di un soggetto come «consumatore» deve essere valutata caso per caso in relazione allo specifico contratto in esame, tenendo conto della natura e dell'oggetto del contratto stesso e del fatto che la direttiva 93/13 è volta a proteggere il consumatore in quanto parte generalmente più debole (26). Ai fini della qualificazione di una persona come «consumatore» è quindi indispensabile esaminare l'equilibrio dei poteri tra le parti in relazione al contratto in questione. I fattori tipici sono l'asimmetria dell'informazione, delle conoscenze tecniche o del potere contrattuale.
54. Parallelamente, la nozione di «consumatore» è oggettiva e riflette la posizione generalmente più debole del medesimo rispetto al professionista. La natura oggettiva significa che tale nozione è indipendente dalle conoscenze e dalle informazioni concrete di cui l'interessato dispone realmente (27). Come affermato dalla Corte, l’utilizzo di un criterio di riferimento astratto per il controllo della trasparenza di una clausola contrattuale consente di evitare di far dipendere tale controllo dal ricorrere di un complesso insieme di fattori soggettivi che è difficile, se non impossibile, dimostrare (28).
55. Nel caso di specie, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, è pacifico che, al momento della conclusione del contratto controverso, la carriera di C non era ancora iniziata, tenuto conto che nessuna società professionistica lo aveva ingaggiato. Orbene, in linea di principio sussiste una disparità tra la società A e C, considerata l'asimmetria di informazione e di competenze tecniche esistente tra le parti. Infatti, una società del genere dispone, generalmente, di un'organizzazione permanente, di un ufficio legale specializzato nel settore e di competenze tecniche di cui non dispone necessariamente un giovane atleta, che agisce a fini privati e che, non essendo professionista al momento della conclusione di un contratto, si trova incidentalmente di fronte a un contratto siffatto. Sembrerebbe quindi legittimo presumere che C si trovasse, a maggior ragione in considerazione della sua minore età, oggettivamente in una posizione più debole rispetto a quella detenuta dalla società A. Da un lato, C non possedeva lo stesso livello di conoscenze della società A con riguardo ai vari servizi previsti dal contratto controverso e, dall'altro, disponeva di un potere negoziale ridotto, tenuto conto, in particolare, che, al momento della conclusione del contratto de quo, la società A sembrava essere l'unica a fornire questo tipo di servizi di sviluppo sportivo in Lettonia (29). Tuttavia, spetterà parimenti al giudice del rinvio verificare se tale squilibrio di poteri tra la società A e C fosse compensato dal fatto che C era rappresentato dai suoi genitori, tra cui il padre, che, secondo quanto dichiarato oralmente della società A, al momento della conclusione del contratto controverso era un allenatore di pallacanestro. A tal proposito, va rammentato che, come affermato dalla Corte, per quanto un «consumatore» specifico possa possedere di conoscenze ed esperienze superiori, ciò non gli impedisce peraltro di essere un «consumatore» ai sensi della direttiva 93/13 (30).
56. Da tutti gli elementi menzionati nel paragrafo precedente emerge che, in linea di principio, C avrebbe agito, al momento della conclusione del contratto controverso, in qualità di «consumatore» ai sensi della direttiva 93/13 e che, conseguentemente, le disposizioni della direttiva medesima dovrebbero trovare applicazione a tale contratto.
57. Tale conclusione non può, a mio avviso, essere inficiata dalla circostanza che lo status di «consumatore» dell’atleta interessato sia mutato, successivamente alla conclusione del contratto, quando questi è divenuto un atleta «professionista» ai sensi dell'articolo 2, lettera c), della direttiva di cui trattasi. Al pari del giudice del rinvio, ritengo che tale evoluzione non costituisca un elemento pertinente, nel contesto specifico del diritto dei consumatori, ai fini della valutazione della natura del rapporto giuridico esistente inter partes. Pertanto, a differenza delle fattispecie attinenti all'applicazione delle disposizioni legislative sulla determinazione della competenza giurisdizionale (31), per quanto riguarda la sfera di applicazione del diritto dei consumatori, è, a mio avviso, irrilevante che l'attività del giovane atleta nel settore oggetto del contratto abbia successivamente acquisito carattere professionistico. Ciò vale parimenti nell’ipotesi in cui risultasse che il giovane atleta abbia utilizzato i servizi forniti dal professionista unicamente al fine di acquisire competenze professionali, dal momento che l'elemento essenziale risiede nella circostanza che, al momento della conclusione del contratto controverso, il giovane atleta non era un professionista.
58. Da un lato, infatti, a termini dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, «il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei […] servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione» (32). Come confermato dalla Corte, è quindi la data di conclusione del contratto che rileva ai fini della valutazione della natura abusiva di una clausola, ragion per cui l'applicabilità della direttiva stessa deve essere esaminata con riferimento a quel momento, a prescindere da qualsiasi ulteriore evoluzione dello status di «consumatore» verso quello di «professionista». Qualsiasi altra interpretazione più «dinamica» dello status di «consumatore», consistente nel sostenere che tale status potrebbe essere perso nel corso del tempo, si porrebbe in contrasto con il tenore stesso di detta disposizione.
59. Dall'altro, questa interpretazione è parimenti conforme all'obiettivo perseguito dalla direttiva 93/13, laddove è al momento della conclusione del contratto, che coincide con l'eventuale posizione sfavorevole rispetto al professionista, che il contratto è suscettibile di produrre conseguenze sfavorevoli, anche a lungo termine, per il consumatore.
b) Sulla sfera di applicazione ratione materiae della Direttiva 93/13
60. In secundis, per quanto attiene alla sfera di applicazione ratione materiae della direttiva 93/13 e, più specificamente, la questione se il contratto di un atleta «giovane promessa» dello sport possa esserne escluso, va ricordato che la direttiva si applica a «qualsiasi contratto» concluso tra professionisti e consumatori in qualsiasi settore di attività economica (33), e che il criterio decisivo ai fini dell'applicazione della direttiva è la veste nella quale le parti hanno agito al momento della conclusione del contratto controverso, e non l'oggetto di quest’ultimo (34), che resta, in linea di principio, irrilevante ai fini della definizione della sfera di applicazione della direttiva medesima. Tale regola presenta, tuttavia, talune eccezioni (35).
61. Da un lato, l'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 esclude dall'ambito di applicazione della medesima le «clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte». A tal proposito, la Corte ha dichiarato che, tenuto conto dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia la tutela dei consumatori contro le clausole abusive nei contratti conclusi con un professionista, l’esclusione prevista dal menzionato articolo 1, paragrafo 2, deve essere interpretata in senso stretto, al fine di garantire l'effetto utile della direttiva stessa (36). La Corte ha, inoltre, ricordato che, in ogni caso, una clausola contrattuale contenuta in un contratto concluso da un professionista con un consumatore è esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva de qua solo se tale clausola contrattuale riproduce il contenuto di una disposizione legislativa o regolamentare obbligatoria, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, nel combinato disposto con il tredicesimo considerando della stessa. Tale esclusione è, infatti, giustificata dal fatto che è legittimo presumere che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra il complesso dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti, equilibrio che il legislatore dell'Unione ha espressamente inteso preservare (37).
62. Dall'altro, il decimo considerando della direttiva 93/13 aggiunge che «sono segnatamente esclusi dalla [direttiva medesima] i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare, i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società». Al pari dell'esclusione prevista dall'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva stessa, la ratio legis dell'esclusione di tale tipo di contratti si fonda sul fatto che la lex specialis che disciplina tutti i contratti di tal genere consente di eliminare eventuali asimmetrie tra i diritti e gli obblighi delle parti.
63. Nella specie, la società A deduce che il contratto controverso ricade nell'ambito di applicazione della normativa nazionale relativa ai contratti per le «giovani promesse» dello sport e che, di conseguenza, le disposizioni della direttiva 93/13 non trovano applicazione. Orbene, alla luce dei suesposti rilievi, spetta al giudice del rinvio verificare il contenuto di tale normativa al fine di acclarare se le clausole del contratto di cui trattasi riproducano norme imperative che sarebbero applicabili nella specie, in modo da consentire, in astratto, di compensare eventuali squilibri tra atleti «giovani promesse» e i professionisti, nonché di escludere talune clausole, in particolare la clausola controversa del contratto medesimo, relativa alla remunerazione, dall'ambito di applicazione della direttiva de qua. In tale contesto, tuttavia, il giudice medesimo dovrà tenere conto dei seguenti elementi: anzitutto, un’eccezione del genere all'applicazione della direttiva dovrebbe essere interpretata, a mio avviso, restrittivamente (38); poi, quanto al carattere imperativo della normativa nazionale, conformemente alla giurisprudenza della Corte, per escludere l'applicazione della direttiva stessa, il giudice del rinvio dovrà assicurarsi che essa si applichi alle parti contraenti indipendentemente dalla loro scelta e, in via suppletiva (per difetto), in assenza di qualsiasi diverso accordo pattuito al riguardo dalle parti medesime (39); inoltre, il giudice medesimo dovrà tenere conto del fatto che, qualora dovessero trovare applicazione, al di là della direttiva 93/13, altre disposizioni di diritto nazionale, occorrerà privilegiare, in via generale, un'interpretazione che preservi il più possibile l'effetto utile della direttiva stessa (40); infine, nulla impedisce che, nel valutare la trasparenza e la natura abusiva delle clausole contrattuali nel contesto di detta direttiva, possa essere presa in considerazione l'esistenza di altre disposizioni (41).
64. Alla luce degli elementi che precedono, suggerisco di rispondere alla prima questione dichiarando che l'articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che un contratto di servizi di sviluppo sportivo e di sostegno alla carriera, concluso tra un professionista che esercita la propria attività nel settore della formazione e dello sviluppo sportivo, da un lato, e, dall'altro, un minore rappresentato dai propri genitori e che non era occupato nel settore dello sport al momento della conclusione del contratto stesso, rientra, in linea di principio, nella sfera di applicazione della direttiva 93/13, a condizione che ricorrano le altre condizioni di applicazione previste dalla direttiva medesima.
2. Sull’estensione del livello minimo di protezione conferito dalla direttiva 93/13 (seconda questione)
65. Con la seconda questione, posta nell’ipotesi di una risposta negativa alla prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se la direttiva 93/13 osti all'estensione della sfera di applicazione della direttiva, esclusivamente ope judicis, in modo da consentire l’applicazione delle sue disposizioni a contratti che esulino dall'ambito di applicazione della direttiva stessa.
66. Alla luce della risposta che intendo fornire alla prima domanda, ritengo superfluo procedere all’esame della seconda.
67. In ogni caso, e per scrupolo di completezza, come emerge dalla risposta suggerita con riguardo alla prima domanda, la direttiva 93/13 attiene unicamente ai contratti conclusi tra un «professionista» e un «consumatore» e quindi, a contrario, non si applica ai contratti in cui non sia coinvolto alcun consumatore. Tuttavia, trattandosi di un'armonizzazione parziale e minima, nulla impedisce agli Stati membri di estendere il campo di applicazione delle norme nazionali di trasposizione della direttiva 93/13 ad altri contratti, quali, ad esempio, quelli conclusi tra due «consumatori» o, all’inverso, tra due «professionisti» (42). La Corte ha infatti confermato che gli Stati membri mantengono, segnatamente, la possibilità di applicare le disposizioni della direttiva, come norme di diritto nazionale, a fattispecie non ricomprese nell’ambito di applicazione della direttiva, purché ciò sia compatibile con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva medesima e con i Trattati (43). In particolare, gli Stati membri possono decidere di estendere l'applicabilità delle norme della direttiva a persone fisiche o giuridiche che non siano «consumatori» ai sensi della direttiva, ove l'applicabilità delle disposizioni della direttiva stessa a settori non ricompresi nella sua sfera di applicazione resta attribuita alla competenza degli Stati membri(44). Del resto, tale «estensione» della sfera di applicazione della direttiva 93/13, sia essa effettuata ope legis o ope judicis (45), costituirebbe questione di esclusiva competenza del diritto nazionale dello Stato membro interessato.
3. Sull’applicazione dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (terza questione)
68. Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una clausola contrattuale che fissi, in particolare, il quantum della remunerazione della prestazione prevista nel contratto controverso, ricada nell'ambito di applicazione dell'articolo 4, n. 2, della direttiva 93/13, qualora, al momento della conclusione del contratto stesso, tale disposizione non fosse stata ancora trasposta nell’ordinamento nazionale (46).
69. In primo luogo, occorre ricordare che, a termini dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, «la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile», vale a dire, in altre parole, purché tali clausole soddisfino il requisito di trasparenza dettato dalla direttiva stessa. Come affermato dalla Corte, le clausole di cui a tale disposizione, pur rientrando nel settore disciplinato da detta direttiva, sono sottratte alla valutazione del loro carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva medesima, soltanto qualora il giudice nazionale competente dovesse considerare, in esito ad un esame caso per caso, che esse siano state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile (47).
70. Tale disposizione è quindi unicamente volta a stabilire le modalità e la portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivano le prestazioni essenziali dei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore (48). Di conseguenza, nel caso in cui una clausola contrattuale verta sulla definizione dell'oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, non occorre procedere alla valutazione del carattere abusivo, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, qualora la clausola sia formulata in modo chiaro e comprensibile (49).
71. In secondo luogo, per quanto attiene alla trasposizione di tale disposizione nell'ordinamento nazionale, la Corte ha affermato che nulla impedisce a uno Stato membro di mantenere o adottare, nel settore disciplinato dalla menzionata direttiva nel suo complesso, ivi incluso l’articolo 4, n. 2, della medesima, regole più severe di quelle previste dalla direttiva medesima, purché siano dirette a garantire un livello di protezione più elevato per i consumatori (50). Le clausole di cui al menzionato articolo 4, n. 2, rientrano, infatti, senz’altro nel settore disciplinato dalla direttiva stessa e, pertanto, l’articolo 8 di quest’ultima, che consente agli Stati membri di adottare disposizioni più severe al fine di garantire al consumatore un livello di tutela più elevato, è applicabile anche al suddetto articolo 4, n. 2 (51). A tal riguardo, la Corte ha precisato che, al fine di garantire concretamente gli obiettivi di tutela dei consumatori perseguiti dalla direttiva 93/13, qualsiasi trasposizione del menzionato articolo 4, n. 2, deve essere completa, di modo che il divieto di valutare il carattere abusivo delle clausole verta unicamente su quelle formulate in modo chiaro e comprensibile (52).
72. Ne consegue che, in caso di mancata trasposizione dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, il giudice nazionale potrà in ogni caso valutare, nell'ambito di una controversia relativa a un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, il carattere abusivo di una clausola, non negoziata individualmente, vertente, in particolare, sull’oggetto principale o sulla perequazione del prezzo o della remunerazione, anche nelle ipotesi in cui tale clausola sia stata predisposta dal professionista in modo chiaro e comprensibile (53). Consentendo la possibilità di un completo controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole, tale scelta consente di garantire al consumatore, ai sensi dell'articolo 8 della direttiva di cui trattasi, un livello di tutela effettiva più elevato di quello dalla medesima stabilito (54).
73. Nel caso di specie, considerato che il contratto controverso nel procedimento principale è stato concluso nel corso del 2009 e che l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 è stato trasposto nell'ordinamento giuridico lettone solo nel corso del 2014, un giudice nazionale, quale il giudice del rinvio, dovrebbe essere pertanto in grado, in ogni caso, di valutare il carattere abusivo di una clausola del contratto stesso, a prescindere dalla questione se essa riguardi l'oggetto del contratto o la perequazione del prezzo e della remunerazione, da un lato, e dei servizi o dei beni da fornire in contropartita, dall'altro, e ciò anche qualora il professionista l'abbia predisposta in termini chiari e comprensibili (55).
74. Alla luce delle suesposte considerazioni, la terza questione va risolta nel senso che, se, al momento della conclusione del contratto controverso, l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non era stato trasposto nell’ordinamento interno, il giudice nazionale deve essere in grado, in ogni caso, di valutare se una determinata clausola contrattuale sia abusiva ai sensi dell'articolo 3 della direttiva medesima, a prescindere dalla questione se tale clausola riguardi l'oggetto del contratto o la perequazione del prezzo e della remunerazione, da un lato, e dei servizi o dei beni da fornire in contropartita, dall'altro, e ciò anche qualora il professionista l'abbia predisposta in modo chiaro e comprensibile.
4. Sul requisito di «trasparenza» di cui all'articolo 5 della direttiva 93/13 (quarta questione)
75. Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente se e, eventualmente, in presenza di quali condizioni una clausola contrattuale, come quella oggetto del procedimento principale, ai sensi della quale un atleta si impegna, a fronte della prestazione di servizi di sviluppo sportivo e di sostegno alla carriera, a riconoscere un corrispettivo pari al 10% dei propri redditi percepiti nel corso dei 15 anni seguenti, debba essere considerata redatta in modo «chiaro e comprensibile» ai sensi dell'articolo 5 della direttiva 93/13.
76. Più precisamente, la questione verte sull’estensione e sulla natura della trasparenza che caratterizzano una clausola considerata non abusiva. A tal proposito, si deve ricordare che, ai sensi dell'articolo 5 della direttiva 93/13, da un lato, nel caso di contratti in cui tutte o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile e, dall'altro, in caso di dubbio sul senso di una clausola, deve prevalere l'interpretazione più favorevole al consumatore.
77. Per quanto attiene al requisito della trasparenza delle clausole contrattuali, quale risultante dall'articolo 5 o dall'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva de qua, la Corte ha sottolineato che tale requisito non può essere limitato al solo carattere comprensibile sul piano formale e grammaticale delle clausole stesse, ma che tale obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali deve, al contrario, essere inteso in modo estensivo, atteso che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 si basa sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il livello di informazione (56).
78. Tale requisito di trasparenza impone quindi non solo che una clausola sia intelligibile per il consumatore interessato sui piani formale e grammaticale (57), ma anche che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto di tale clausola e di valutare così, sulla base di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una clausola del genere sui suoi obblighi finanziari (58).
79. Pertanto, il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile deve essere inteso nel senso che impone anche che il contratto esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola in questione nonché, se del caso, il rapporto fra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, di modo che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano (59).
80. Nel caso di specie, il giudice del rinvio rileva che, al momento della conclusione del contratto in questione, C non disponeva, per quanto attiene al valore della prestazione fornita e all'importo da versare a titolo di corrispettivo, di un complesso di informazioni alla luce delle quali avrebbe potuto valutare le conseguenze economiche che avrebbero potuto derivargliene. Sebbene non spetti, certamente, alla Corte procedere a tale valutazione, i seguenti elementi mi sembrano comunque rilevanti ai fini della valutazione della trasparenza della clausola in questione.
81. In primo luogo, mi sembra pacifico che la clausola controvrsa attinente alla remunerazione sia facilmente comprensibile da un «consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto» (60), sia sul piano formale e grammaticale, sia dal punto di vista del calcolo relativo alla remunerazione dovuta da C alla società A. Infatti, mi sembra che non sia contestato il fatto che C e i suoi genitori fossero in grado di comprendere il funzionamento concreto di tale clausola, basata su un criterio preciso (il calcolo della remunerazione è semplice, in quanto ammonta al «10% di tutti i redditi netti percepiti nel corso del contratto», ossia un periodo predeterminato di quindici anni) e intelligibile (senza alcun riferimento a elementi tali da rendere più complesso il metodo di calcolo, quali un'eventuale indicizzazione). Di conseguenza, non sembrano sussistere dubbi quanto al fatto che l'atleta fosse in grado di comprendere il metodo di calcolo utilizzato, ammesso, ovviamente, che la società A avesse ben specificato in cosa consistessero «tutti i redditi netti».
82. In secondo luogo, data l'oggettiva impossibilità di prevedere l'importo esatto della remunerazione, considerato che sarebbe dipesa dall'importo dei redditi futuri prodotti da C, il requisito di trasparenza dev’essere valutato, conformemente alla giurisprudenza della Corte, con riferimento alle informazioni di cui disponeva il professionista al momento della conclusione del contratto con il consumatore. Non si può quindi esigere che il professionista informi il consumatore riguardo alle conseguenze economiche finali deeeel suo impegno, che dipendono da eventi futuri, imprevedibili e indipendenti dalla volontà del professionista stesso (61).
83. In terzo luogo, e a tal proposito, la Corte ha dichiarato che resta il fatto che le informazioni che il professionista è tenuto a comunicare anteriormente alla conclusione del contratto devono consentire al consumatore di prendere la sua decisione con prudenza e con piena cognizione di causa, da un lato, quanto alla possibilità che tali eventi si verifichino e, dall'altro, quanto alle conseguenze che ne possono derivare (62). Spetta, quindi, al giudice nazionale valutare, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti che hanno accompagnato la conclusione del contratto stesso, se le informazioni fornite dal professionista anteriormente alla sua conclusione abbiano consentito al consumatore, quale consumatore normalmente informato, di prendere la propria decisione con prudenza e con piena cognizione delle conseguenze derivanti della conclusione del contratto stesso. A tal riguardo, spetterà al giudice nazionale valutare, in particolare, se la società A abbia comunicato a C l'insieme dell'ampia gamma di servizi proposti (63), nonché la loro durata, in modo che C potesse stimarne il valore complessivamente rispetto alla remunerazione potenzialmente dovuta a tale società, poiché è proprio sulla base di questi due elementi che la decisione di avviare un rapporto contrattuale con la società medesima avrebbe dovuto essere logicamente presa.
84. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alla quarta questione dichiarando che l'articolo 5 della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che l'obbligo di formulare le clausole contrattuali in modo «chiaro e comprensibile» impone ad un'impresa, che offre servizi di sviluppo sportivo e di sostegno alla carriera, di fornire ad un giovane atleta informazioni sufficienti per consentirgli di prendere una decisione consapevole, fondata su dati precisi, cosicché la clausola contrattuale dev’essere non solo comprensibile sui piani formale e grammaticale, ma deve parimenti permettere al consumatore, da un lato, di apprezzare nella loro interezza le conseguenze pecuniarie significative che da tale clausola potrebbero derivare con riguardo ai propri impegni economici e, dall'altro, di misurarne la perequazione rispetto al valore complessivo dei servizi offerti dall’impresa medesima.
5. Sul carattere abusivo della clausola relativa alla remunerazione ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (quinta questione)
85. Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola controversa crei, a danno del consumatore, un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, considerato che essa non stabilisce una correlazione tra il valore del servizio fornito e il suo costo per il consumatore. Tale questione è pertanto volta alla valutazione del carattere abusivo della clausola controversa e, in particolare, della compatibilità del calcolo della remunerazione del contratto controverso con l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13.
86. In limine, appare utile fornire alcune precisazioni in merito alla valutazione del carattere eventualmente abusivo della clausola controversa.
87. Da un lato, è importante ricordare che la clausola de qua può essere considerata rilevante sotto il profilo tanto dell’ «oggetto principale del contratto» (64), quanto della «perequazione del prezzo e della remunerazione» (65), ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. In virtù di tale disposizione, una clausola del genere rientra, pertanto, nella sfera di applicazione di tale direttiva, ma la valutazione del suo carattere abusivo, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, è esclusa laddove essa rispetti il requisito di trasparenza dettato dalla direttiva stessa. Di conseguenza, l'analisi che segue è rilevante unicamente nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse concludere che la clausola controversa non soddisfi il requisito di trasparenza – ove la circostanza che una clausola non sia redatta in modo chiaro e comprensibile non è, di per sé, tale da conferirle carattere abusivo (66)- o nel caso in cui il giudice possa valutarne il carattere abusivo, in base al rilievo che l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non troverebbe applicazione nella specie in quanto, al momento della conclusione del contratto controverso, tale disposizione non era stata ancora trasposta nell'ordinamento lettone (67). In ogni caso, la trasparenza di una clausola contrattuale, imposta dall'articolo 5 della direttiva, è uno degli elementi essenziali da prendere in considerazione anche ai fini della valutazione del suo eventuale carattere abusivo (68).
88. D'altro canto, occorre precisare che la competenza della Corte in tale materia riguarda l'interpretazione delle nozioni della direttiva 93/13 e i criteri che il giudice nazionale può o deve applicare nell'esame di una clausola contrattuale alla luce delle disposizioni della direttiva stessa, fermo restando che spetta al giudice medesimo pronunciarsi, tenendo conto di tali criteri, sulla qualificazione specifica di una determinata clausola contrattuale in considerazione delle specifiche circostanze della specie. Ne consegue che la Corte deve limitarsi a fornire al giudice del rinvio indicazioni di cui quest'ultimo deve tener conto (69).
89. Fatte queste precisazioni, va rammentato che l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone che una clausola contrattuale, che non sia stata oggetto di negoziato individuale, è considerata abusiva qualora, in contrasto con il requisito della buona fede, determini, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Ne consegue che spetta al giudice nazionale valutare, in considerazione di tutte le circostanze della controversia, in un primo momento, la possibile violazione del requisito della «buona fede» e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale «significativo squilibrio» a danno del consumatore, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (70).
90. Da un lato, per quanto riguarda il requisito della «buona fede», il sedicesimo considerando della direttiva afferma, inter alia, che «il professionista può soddisfare [tale] requisito […]t rattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi» e che spetta al giudice nazionale «rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore » (71). Il giudice nazionale deve quindi verificare se il professionista, trattando in modo leale ed equo con il consumatore, poteva ragionevolmente attendersi che quest’ultimo aderisse ad una clausola del genere nell’ambito di un negoziato individuale (72).
91. Dall’altro, per quanto riguarda il requisito relativo al «significativo squilibrio» tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto, che costituisce oggetto specifico della quinta questione pregiudiziale, la Corte ha rilevato la necessità, segnatamente, di prendere in considerazione, in assenza di accordo inter partes, le norme applicabili in base al diritto nazionale, al fine di valutare se e, in caso affermativo, in qual misura, il contratto collochi il consumatore in una posizione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dalla normativa nazionale vigente (73). Infatti, proprio in base a tale analisi comparativa il giudice nazionale può valutare se un contratto ponga il consumatore in una posizione giuridica meno favorevole di quella prevista dal vigente diritto nazionale in vigore e, in caso affermativo, in qual misura ciò avvenga (74). Tuttavia, laddove non esistano disposizioni integrative pertinenti previste dal diritto nazionale (come può avvenire nel caso della determinazione della remunerazione nell’ambito dei contratti di atleti «giovani promesse dello sport»), lo squilibrio significativo dovrà essere valutato sulla base di altri fattori di riferimento, quali le pratiche di mercato giuste ed eque alla data di conclusione del contratto relative alla remunerazione nel settore sportivo in questione (75) o un raffronto dei diritti e degli obblighi delle parti nell'ambito di un determinato contratto, in considerazione della sua natura e delle clausole contrattuali connesse (76). Allo stesso modo, sembra opportuno, a tal fine, esaminare la situazione giuridica in cui si trova il consumatore stesso tenuto conto dei mezzi di cui dispone, in base alle norme nazionali, per porre fine all'uso di clausole abusive (77). Infine, a termini dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, giudice nazionale è tenuto a valutare il carattere abusivo di una clausola contrattuale tenendo conto della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che ne accompagnano la conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende (78).
92. Spetta al giudice del rinvio valutare la fattispecie oggetto della causa principale, tenendo conto dei rilievi formulati supra ai paragrafi da 91 a 93, dopo aver acclarato gli elementi che si collocano nel contesto di fatto del caso di specie e nel quadro giuridico nazionale.
93. Nella specie, come risulta dagli elementi sottoposti alla Corte, il giudice nazionale dovrà verificare se la normativa nazionale relativa ai contratti di atleti «giovani promesse» dello sport non contenga disposizioni in materia di remunerazione dalle quali il contratto in esame si discosti. In assenza di disposizioni in tal senso, spetterà al giudice medesimo fare riferimento alle pratiche di mercato leali ed eque in materia di remunerazione dei servizi in questione nel settore sportivo interessato, vigenti al momento della conclusione del contratto in questione. Inoltre, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice nazionale dovrà tenere conto della natura dei servizi oggetto di tale contratto e verificare se l'assenza di una correlazione tra il valore dei servizi forniti dalla società A e la remunerazione dei servizi stessi da parte di C possa attribuire carattere abusivo alla clausola controversa.
94. A tal proposito, mi sembra che il giudice del rinvio, nel valutare l’eventuale sussistenza di un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, dovrà prendere in considerazione la questione se il prestatore di servizi sia in grado di dimostrare che la remunerazione pari al 10% di tutti gli introiti prodotti da C nel corso del contratto controverso fosse effettivamente connessa ai servizi forniti dalla società A e se tale remunerazione corrisponda al valore di mercato nel settore sportivo interessato. Una sproporzione assoluta tra i servizi forniti e il prezzo versato non può, a mio avviso, essere considerata accettabile, anche se consentita dalla normativa nazionale o dalla medesima non espressamente vietata (79).
95. A tal riguardo, mi sembra, tuttavia, importante che il giudice medesimo tenga conto dei seguenti elementi che depongono a favore dell'assenza di un «significativo squilibrio»: (i) il fatto che tale remunerazione diventi esigibile solo a condizione che i redditi di cui trattasi siano di importo pari ad almeno EUR 1.500 mensili; (ii) il fatto che, a termini del contratto controverso, C avrebbe potuto decidere di recedere unilateralmente dal contratto senza versamento di alcuna indennità nell’ipotesi in cui, segnatamente, avesse deciso di non proseguire la propria carriera professionistica (80); e, iii) il fatto che i servizi forniti dalla società A siano stati forniti senza alcuna garanzia che C avrebbe ottenuto i risultati auspicati, vale a dire divenire un professionista, il che significa che, per sua stessa natura, il contratto comportava un notevole elemento di alea per la società medesima. Quanto a tale aspetto, il giudice nazionale dovrà, infatti, tenere conto, a mio parere, della circostanza che la remunerazione percepita da parte di C sarà utilizzata non solo per finanziare i servizi offerti dalla società A a C, ma anche a tutti gli altri atleti giovani promesse dello sport giovani che abbiano stipulato contratti analoghi con la società stessa (in particolare quelli che non siano divenuti professionisti), e ciò potenzialmente per vari anni. Occorrerà valutare, quindi, il sistema nel suo complesso.
96. Infine, il giudice del rinvio dovrà nondimeno tener parimenti conto degli elementi che depongono a favore dell'esistenza di uno squilibrio e, in particolare, il fatto che il contratto controverso sembra non contenesse una clausola che prevedesse la possibilità per le parti di concordare una riduzione degli gli obblighi del giovane atleta o di modificare la durata del contratto stesso, ad esempio, una volta che il giovane atleta avesse raggiunto la maggiore età o in base all'importanza e alla durata delle prestazioni ricevute, essendo tale clausola normalmente richiesta per tenere conto degli interessi del giovane atleta.
97. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alla quinta questione dichiarando che l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, al fine di valutare il carattere eventualmente abusivo di una clausola di un contratto di servizi a sostegno dello sviluppo e della carriera di un atleta per effetto della quale, a fronte della prestazione di tali servizi, il giovane atleta, agente in qualità di consumatore, si impegni a versare un compenso pari al 10% dei redditi che, divenendo eventualmente professionista, dovesse percepire nei successivi quindici anni, rilevano l'eventuale mancato rispetto del requisito della «buona fede» e l'esistenza di un possibile «significativo squilibrio» a danno del consumatore, con la precisazione che, in assenza di un accordo inter partes, occorrerà tenere conto, segnatamente, dell'esistenza di norme applicabili in base al diritto nazionale, in modo da valutare se e, eventualmente, in qual misura tale contratto ponga il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole di quella prevista dal diritto nazionale vigente e, in assenza di tali norme, delle prassi di mercato vigenti alla data di conclusione del contratto in materia di remunerazione nel settore sportivo in questione, purché leali ed eque, e della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto, facendo riferimento, al momento della conclusione del medesimo a tutte le circostanze che ne hanno accompagnato la conclusione, nonché a tutte le altre clausole del contratto stesso o di un altro contratto da cui esso dipenda e, segnatamente, della questione se la remunerazione richiesta corrisponda al valore di mercato nel settore sportivo interessato, tenendo particolarmente conto del rischio derivante, per il professionista, dall’assenza di garanzie di ottenimento della remunerazione qualora il giovane atleta non divenga professionista.
6. Sulla natura non vincolante di una clausola abusiva ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (sesta questione)
98. Con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede se, nel caso in cui una clausola contrattuale sia ritenuta abusiva ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, l'articolo 6, paragrafo 1, della medesima osti a che il giudice nazionale possa procedere ad una riduzione del quantum dovuto dal consumatore, a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi professionista ai fini dell’esecuzione del contratto.
99. Ne consegue che la sesta questione verte sull’eventuale facoltà di cui disporrebbe il giudice del rinvio di rivedere o modificare una clausola qualora dovesse ritenere che essa presenti carattere abusivo.
100. A tal proposito, va ricordato che, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle rispettive legislazioni nazionali. Tale disposizione prevede parimenti che il contratto resti vincolante per le parti, secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.
101. Come la Corte ha ripetutamente sottolineato, si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra le medesime (81). Inoltre, data la natura e l'importanza dell'interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva 93/13 garantisce ai consumatori, l'articolo 6 della medesima deve essere considerato come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico (82)I.
102. Orbene, la Corte ha già dichiarato che l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve essere considerata, in linea di principio, come se non fosse mai esistita, in modo da non poter produrre alcun effetto nei confronti del consumatore (83). Di conseguenza, l'accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola del genere deve, in linea di massima, produrre la conseguenza di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza della clausola (84).
103. Ne consegue a tal riguardo, in primo luogo, che l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare una clausola contrattuale abusiva che imponga il pagamento di somme che si rivelano indebite implica, in linea di principio, un corrispondente effetto restitutorio delle somme medesime. L’assenza di tale effetto restitutorio potrebbe, infatti, pregiudicare l’effetto deterrente che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della stessa, mira a collegare alla dichiarazione del carattere abusivo delle clausole contenute in contratti stipulati tra un consumatore e un professionista (85). A maggior ragione, se, come nel caso di specie, un consumatore non ha effettuato pagamenti che si sono rivelati indebiti per effetto del carattere abusivo della clausola che li impone, non può essere tenuto a pagare, nemmeno in parte, le somme dovute in virtù della clausola medesima, che deve essere considerata come mai esistita (86). Se così non fosse, la clausola in questione rimarrebbe parzialmente vincolante e il professionista trarrebbe un qualche vantaggio dal suo utilizzo.
104. In secondo luogo, per quanto riguarda il potere di modificare o rivedere una clausola abusiva, la Corte ha affermato che il giudice nazionale non può essere autorizzato a rivedere il contenuto delle clausole abusive, salvo contribuire ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore delle clausole abusive stesse (87) . La Corte ha, infatti, esplicitamente dichiarato che l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non può essere interpretato nel senso di consentire al giudice nazionale, laddove accerti il carattere abusivo di una clausola penale in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, di ridurre l'importo della penale dovuta dal consumatore anziché disapplicare integralmente la clausola medesima nei confronti di quest’ultimo. A tal riguardo, la Corte ha ritenuto che, a fronte della finalità e dell’economia generale della direttiva de qua, se al giudice nazionale fosse consentito di rivedere il contenuto delle clausole abusive contenute in tali contratti, una facoltà del genere potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva medesima, atteso che tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore delle clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati ad utilizzare le clausole stesse, sapendo che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti (88).
105. Di conseguenza, ritengo che, nel caso in cui un giudice nazionale dovesse accertare il carattere abusivo della clausola in questione, riconoscergli il potere di rivedere o modificare la clausola contrattuale stessa non risulterebbe conforme all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13. L'unica possibilità di cui dispone il giudice medesimo è quella di annullare la clausola abusiva per poi esaminare se, in base alle norme del diritto nazionale, il contratto possa essere mantenuto, da un punto di vista giuridico, senza la clausola abusiva, cosa che deve essere accertata sulla base di un approccio oggettivo (89).
106. Alla luce dei suesposti rilievi, suggerisco di rispondere alla sesta questione dichiarando che l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve essere considerata, in linea di principio, come mai esistita, cosicché essa non può produrre alcun effetto nei confronti del consumatore, nei cui confronti deve essere ripristinata la situazione di diritto e di fatto in cui si sarebbe trovato in assenza della clausola stessa, senza che il giudice nazionale possa imporgli il pagamento di alcuna somma a titolo di remunerazione prevista dalla clausola dichiarata abusiva, a prescindere dal fatto che essa sia ridotta o meno fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi professionista nell'ambito dell’esecuzione del contratto.
7. Sulla portata degli articoli 8 e 8 bis della direttiva 93/13 (questioni settima e ottava)
107. Con la settima e l'ottava questione, che propongo di esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se, nel caso in cui trovi applicazione l'articolo 4, n. 2, della direttiva 93/13, da un lato, il giudice del rinvio possa, laddove accerti la manifesta sproporzione del quantum della remunerazione rispetto al contributo fornito dal prestatore di servizi, dichiarare tale clausola contrattuale abusiva esclusivamente sulla base delle disposizioni del diritto nazionale (settima questione) e, in caso di risposta affermativa, nel caso di un contratto concluso anteriormente all'entrata in vigore dell'articolo 8 bis della direttiva stessa, se il giudice medesimo sia tenuto, dall'altro lato, a prendere in considerazione esclusivamente le informazioni relative alle disposizioni adottate dallo Stato membro, ai sensi dell'articolo 8 della direttiva, e dal medesimo comunicate alla Commissione ai sensi del menzionato articolo 8 bis, qualora tale Stato membro abbia dichiarato la propria normativa non va al di là delle norme minime ivi previste (ottava questione).
108. Poiché queste due questioni, strettamente connesse, sono state sollevate nell’assunto che l'articolo 4, n. 2, della direttiva 93/13 impedisca al giudice nazionale di valutare il carattere abusivo di una clausola come quella oggetto della causa principale, mentre, alla luce della soluzione proposta per la terza questione, il giudice medesimo deve essere in grado di valutare il carattere abusivo di una clausola se, al momento della conclusione del contratto, l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva non era stato trasposto nell’ordinamento nazionale, ritengo superfluo rispondere a tale questione.
109. In ogni caso, e per scrupolo di completezza, da un lato, per quanto riguarda la settima questione, come rilevato supra al paragrafo 68, ricordo che la direttiva 93/13 rientra nell'ambito di un'armonizzazione minima e che, di conseguenza, ai sensi dell'articolo 8 della direttiva medesima, gli Stati membri possono apprestare un grado di protezione più elevato rispetto a quello ivi previsto, purché compatibile con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva. In altre parole, gli Stati membri possono basarsi sull'articolo 8 della direttiva per adottare disposizioni che ampliano la gamma di tipi di clausole contrattuali delle quali può essere valutato il carattere abusivo, estendendola ad altre clausole di questo tipo, come, in particolare, quelle relative all'oggetto principale del contratto o all'adeguatezza del rapporto tra qualità e prezzo, e ciò anche se esse sono redatte in modo chiaro e comprensibile(90).
110. Dall'altro, per quanto riguarda l'ottava questione, si deve rammentare che l'articolo 8 bis della direttiva 93/13 impone agli Stati membri che adottino disposizioni ai sensi dell'articolo 8 della stessa di informare la Commissione in merito all'adozione di tali disposizioni e di ogni loro successiva modifica, in particolare quando tali disposizioni estendono la valutazione del carattere abusivo a clausole contrattuali negoziate individualmente o a clausole relative alla perequazione del prezzo o della remunerazione, o contengono elenchi di clausole contrattuali considerate abusive. Secondo le informazioni di cui dispone la Commissione, la Repubblica di Lettonia non ha comunicato alcuna misura, ai sensi dell'articolo 8 bis, che vada oltre le norme minime previste dalla direttiva 93/13. Tuttavia, ciò non pregiudica in alcun modo la facoltà di applicare disposizioni legislative nazionali volte a migliorare la tutela dei consumatori, considerato che l'articolo 8 bis della direttiva non attribuisce alcuna conseguenza giuridica alla mancata notifica, da parte di uno Stato membro, della propria legislazione. In altre parole, l'omessa notifica di una misura nazionale di tal genere non significa che essa non possa essere applicata nello Stato membro de quo. La direttiva 93/13 non prevede, infatti, che la notifica delle disposizioni adottate ai sensi dell'articolo 8bis della medesima costituisca una condizione necessaria ai fini della loro validità e della loro efficacia vincolante. Di conseguenza, la mancata notifica da parte di uno Stato membro non può essere invocata come motivo per ritenere che la legislazione dello Stato membro in questione non sia entrata in vigore o non sia vincolante.
8. Sull'applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta (questioni nona e decima)
111. Con la nona questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, nell'ipotesi di risposta affermativa alla prima o alla seconda questione, di determinare la rilevanza, nella specie, dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, tenuto conto del fatto che, in primo luogo, il contratto controverso vincolava C per un periodo di 15 anni ed era tale da produrre conseguenze pecuniarie significative e che, in secondo luogo, all'epoca della conclusione del contratto, C era minorenne. La decima questione riguarda, essenzialmente, gli stessi aspetti della nona e viene posta in subordine rispetto a quest'ultima, ossia in caso di risposta negativa alla prima o alla seconda questione. In considerazione della risposta suggerita per la prima questione, appare superfluo rispondere alla decima questione.
112. Ne consegue che, con tali due questioni, il giudice del rinvio intende, da un lato, acclarare se, tenuto conto della durata e del livello di remunerazione ivi previsti, un contratto come quello oggetto del procedimento principale, concluso tra un professionista e un consumatore minorenne al momento della sua conclusione, sia contrario all' «interesse superiore» del minore, ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 2, della Carta, e al diritto di proprietà sancito dall'articolo 17 della medesima, e, dall’altro, stabilire se, ai sensi della direttiva 93/13, tale circostanza possa influire sulla valutazione del carattere abusivo di una clausola.
113. Anzitutto, ritengo utile sottolineare che, qualora la Corte ritenesse, come ho suggerito nella mia risposta alla prima questione, che la direttiva 93/13 sia applicabile nel procedimento principale, analoga conclusione varrebbe anche per la Carta. Infatti, in virtù del suo articolo 51, paragrafo 1, le disposizioni della Carta si applicano, in particolare, nell’attuazione del diritto dell'Unione da parte degli Stati membri. Di conseguenza, i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, compresi quelli di cui agli articoli 17 (diritto di proprietà) e 24 (diritti del minore), dovrebbero essere rispettati.
114. Da un lato, per quanto attiene al diritto di proprietà, a quanto mi risulta la Corte non ha finora ritenuto che l'articolo 17, paragrafo 1, della Carta, che disciplina il diritto di proprietà in termini generali, presenti una rilevanza specifica con riguardo all'applicazione della direttiva 93/13. Ciò mi sembra del tutto logico e coerente.
115. Dall’altro, per quanto attiene ai diritti del minore, l'articolo 24, paragrafo 2, della Carta stabilisce che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private (…) l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». Tale disposizione, sebbene, a quanto mi risulti, non sia mai stata interpretata dalla Corte nel contesto dell'interpretazione della direttiva 93/13, è formulata in termini ampi e dovrebbe, a mio avviso, poter essere applicata ad atti, quali il contratto controverso, che implicano conseguenze potenzialmente significative per il minore interessato (91). Tale rilievo è confermato dall'articolo 3, paragrafo 1, della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (92), cui fanno espressamente riferimento le spiegazioni relative all'articolo 24 della Carta. A termini del menzionato l'articolo 3, paragrafo 1, l'interesse superiore del minore deve avere priorità in tutte le decisioni riguardanti l’infanzia. Tale disposizione ricomprende quindi, in termini generali, tutte le decisioni e tutte le azioni riguardanti direttamente o indirettamente l’infanzia (93), come osservato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia(94). Il termine «interesse superiore del minore» si riferisce infatti e nel contempo a un diritto sostanziale, a un principio interpretativo e a una norma procedurale (95).
116. Tale espressione, laddove fa riferimento a «un principio interpretativo», potrebbe rilevare, a mio parere, ai fini dell'interpretazione e dell'applicazione delle disposizioni della direttiva 93/13, nell’ipotesi in cui, come nella specie, il consumatore interessato fosse minorenne al momento della conclusione del contratto controverso.
117. Orbene, si deve rilevare che la direttiva 93/13 non fa menzione alcuna dell'età dei consumatori né, a fortiori, della loro minore età. Tuttavia, l'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali contiene una disposizione specifica relativa alle pratiche commerciali rivolte a «un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili [...]». Uno dei fattori che determinano tale vulnerabilità è l'età del consumatore. Quest’ultima direttiva prevede quindi che, nel caso in cui tale gruppo costituisca l’obiettivo di una pratica commerciale, questa debba essere valutata «nell'ottica del membro medio di tale gruppo»(96).
118. Conseguentemente, se la direttiva 93/13 deve essere interpretata alla luce dell'articolo 24, paragrafo 2, della Carta, il fatto che il consumatore fosse minorenne e, quindi, particolarmente vulnerabile dev’essere preso in considerazione, mutatis mutandis, nella valutazione se la clausola in questione fosse abusiva dal punto di vista del «consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto». Tuttavia, come precisato supra al paragrafo 59, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere valutato tenendo conto della natura dei servizi oggetto del contratto, con riferimento a «tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione», ivi compresa, eventualmente, la minore età del consumatore.
119. Tuttavia, nella specie, se la «minore età» del consumatore può costituire una circostanza da prendere in considerazione, occorrerà tener parimenti conto del fatto che, al momento della conclusione del contratto controverso, il minore era rappresentato dai genitori e che il contratto è stato sottoscritto appena un anno prima che C divenisse maggiorenne.
120. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco di rispondere alla nona questione dichiarando che l'articolo 3, paragrafo 1, e l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, nel combinato disposto con l'articolo 24, paragrafo 2, della Carta, devono essere interpretati nel senso che, nel valutare il carattere abusivo di una clausola, si deve tener conto del fatto che il consumatore interessato, essendo minorenne al momento della conclusione del contratto, appartiene a un gruppo particolarmente vulnerabile, senza peraltro trascurare altre circostanze esistenti al momento della conclusione di tale contratto, quali il fatto che il minore fosse rappresentato dai genitori nonché il grado di maturità del medesimo.
V. Conclusione
121. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dalla Augstākā tiesa (Senāts) (Corte Suprema, Lettonia) come segue:
1) L'articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011,
deve essere interpretato nel senso che:
un contratto di servizi di sviluppo sportivo e di supporto alla carriera, concluso tra un professionista che esercita la propria attività nel settore della formazione e dello sviluppo sportivo, da un lato, e, dall'altro, un minore rappresentato dai propri genitori e che non era non occupato nel settore dello sport al momento della conclusione del contratto stesso, rientra, in linea di principio, nella sfera di applicazione di tale direttiva, a condizione che ricorrano le altre condizioni di applicazione previste dalla direttiva medesima;
2) L'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83,
deve essere interpretato nel senso che:
nell’ipotesi in cui, al momento della conclusione del menzionato contratto, l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non fosse stato trasposto nell’ordinamento interno, il giudice nazionale deve essere in grado, in ogni caso, di valutare se una determinata clausola contrattuale sia abusiva ai sensi dell'articolo 3 della direttiva medesima, a prescindere dalla questione se tale clausola riguardi l'oggetto principale del contratto o la perequazione del prezzo e della remunerazione, da un lato, e dei servizi o dei beni da fornire in contropartita, dall'altro, e ciò anche qualora il professionista l'abbia predisposta in modo chiaro e comprensibile.
3) L'articolo 5 della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83,
deve essere interpretato nel senso che:
l'obbligo di formulare le clausole contrattuali in modo «chiaro e comprensibile» impone ad un'impresa, che offre servizi di sviluppo sportivo e di supporto alla carriera, di fornire ad un giovane atleta informazioni sufficienti per consentirgli di prendere una decisione consapevole, fondata su dati precisi, cosicché la clausola contrattuale dev’essere non solo comprensibile sul piano formale e grammaticale, ma deve parimenti permettere al consumatore di apprezzare nella loro interezza, da un lato, le conseguenze pecuniarie significative che ne potrebbero derivare con riguardo ai suoi impegni economici e, dall'altro, di misurarne la perequazione rispetto al valore complessivo dei servizi offerti dall’impresa medesima.
4) L'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83,
deve essere interpretato nel senso che:
al fine di valutare il carattere eventualmente abusivo di una clausola di un contratto di servizi a sostegno dello sviluppo e della carriera di un atleta per effetto della quale, a fronte della prestazione di tali servizi, il giovane atleta, agente in qualità di consumatore, si impegni a versare un compenso pari al 10% dei redditi che, divenendo eventualmente professionista, dovesse percepire nei successivi quindici anni, rilevano l'eventuale mancato rispetto del requisito della «buona fede» e l'esistenza di un possibile «significativo squilibrio» a danno del consumatore, con la precisazione che, in assenza di un accordo inter partes, occorre tenere conto, segnatamente, dell'esistenza di norme applicabili in base al diritto nazionale, in modo da valutare se e, eventualmente, in qual misura tale contratto ponga il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole di quella prevista dal diritto nazionale vigente e, in assenza di tali norme, prassi di mercato vigenti alla data di conclusione del contratto in materia di remunerazione nel settore sportivo in questione, purché leali ed eque, nonché della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto, facendo riferimento, al momento della conclusione del medesimo, a tutte le circostanze relative alla sua conclusione, nonché a tutte le altre clausole del contratto stesso o di un altro contratto da cui esso dipenda, e, segnatamente, della questione se la remunerazione richiesta corrisponda al valore di mercato nel settore sportivo interessato, tenendo particolarmente conto del rischio derivante, per il professionista, dall’assenza di garanzie di ottenimento della remunerazione qualora il giovane atleta non divenga professionista.
5) L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83,
deve essere interpretato nel senso che:
una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve essere considerata, in linea di principio, come mai esistita, cosicché essa non può produrre alcun effetto per il consumatore, nei cui confronti deve essere ripristinata la situazione di diritto e di fatto in cui si sarebbe trovato in assenza di tale clausola, senza che il giudice nazionale possa imporgli il pagamento di alcuna somma a titolo della remunerazione prevista dalla clausola dichiarata abusiva, a prescindere dal fatto che essa sia ridotta o meno fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi professionista nell'ambito dell’esecuzione del contratto;
6) L’articolo 3, paragrafo 1, e l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83, nel combinato disposto con l'articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
devono essere interpretati nel senso che:
nel valutare il carattere abusivo di una clausola, si deve tener conto del fatto che il consumatore interessato, essendo minorenne, appartiene a un gruppo particolarmente vulnerabile, senza peraltro trascurare altre circostanze esistenti al momento della conclusione di tale contratto, quali il fatto che il minore fosse rappresentato dai genitori nonché il grado di maturità del medesimo.
1 Lingua originale: il francese.
2 Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti in causa
3 Direttiva del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, (GU 2011, L 304, pag,64).
4 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, , relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22) (in prosieguo: la «direttiva sulle pratiche commerciali sleali»).
5 Valdības Vēstnesis, 1937, n. 41.
6 Latvijas Vēstnesis,1999, n. 104/105
7 I servizi offerti dalla società A comprendevano, in particolare, servizi di formazione e di allenamento, di medicina dello sport e di assistenza da parte di uno psicologo dello sport, misure di sostegno alla carriera (ossia l'elaborazione, l'attuazione e il monitoraggio di un piano di carriera e la conclusione di contratti tra l'atleta e i club), nonché di supporto in materia di marketing, di assistenza legale e contabile.
8 La causa in esame si distinguerebbe, pertanto, da quelle oggetto della giurisprudenza della Corte relative all'applicazione di disposizioni legislative in materia di determinazione della competenza giurisdizionale [v. sentenze del 25 gennaio 2018, Schrems (C-498/16, EU:C:2018:37), punti 31, 38 e 39 nonché la giurisprudenza ivi citata) e del 10 dicembre 2020, Personal Exchange International (C-774/19, EU:C:2020:1015, punti 40 e 42 nonché la giurisprudenza ivi citata).
9 V. , in tal senso, quanto all'importanza di garantire un'interpretazione uniforme del diritto dell'Unione la sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C-561/19, EU:C:2021:799, punto 49). Secondo le informazioni di cui dispone il giudice del rinvio, la Cour d’appel de Paris (Corte d'appello di Parigi, Francia) ha dichiarato, con sentenza del 23 maggio 2019, che un giocatore di pallacanestro che, in qualità di futuro giocatore, aveva concluso un contratto di prestazione di servizi con un'agenzia sportiva, ai sensi del quale quest'ultima si impegnava, nell'interesse del medesimo, a negoziare con società sportive l'ingaggio del giocatore medesimo, mentre quest'ultimo si impegnava a riconoscere all'agenzia una determinata somma calcolata in percentuale degli introiti complessivamente risultanti dai contratti conclusi nell'ambito di tale cooperazione, agiva come consumatore e non in qualità di professionista. Al contrario, l'Oberlandesgericht München (Tribunale superiore del Land di Monaco di Baviera, Germania), con sentenza del 7 novembre 2002, pronunciandosi su una controversia tra un giovane tennista e un'agenzia sportiva scaturita da un contratto di servizi simile a quello concluso dalle parti nella specie, non ha applicato a tale rapporto giuridico le disposizioni nazionali sulla tutela dei diritti dei consumatori (OLG München, 07.11.2002 – 19 U 3238/02).
10 V., in tal senso, la sentenza del 29 giugno 2023, International Protection Appeals Tribunal e a. (Attentato in Pakistan) (C-756/21, EU:C:2023:523, punti 35 e 36 nonché la giurisprudenza ivi citata).
11 V., in tal senso, la sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C-421/14, in prosieguo: la «sentenza Banco Primus», EU:C:2017:60, punto 57 nonché la giurisprudenza ivi citata).
12 V. la sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C-416/10, EU:C:2013:8, punto 58 nonché la giurisprudenza ivi citata).
13 V. l'articolo 114 TFUE, che costituisce ora il fondamento normativo della direttiva 93/13, nonché l'articolo 169 TFUE e l'articolo 38 della Carta.
14 V., a tal riguardo, la sentenza del 18 novembre 2020, DelayFix (C-519/19, in prosieguo: la «sentenza DelayFix», EU:C:2020:933, punto 52, e la giurisprudenza ivi citata), nonché la comunicazione della Commissione, intitolata «Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» (GU 2019 C 323, pagg. da 4 a 92, in prosieguo: gli «Orientamenti della Commissione", pag. 5).
15 V. la sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell'annullamento del contratto) (in prosieguo: la «sentenza Bank M», C-520/21, EU:C:2023:478, punto 54 nonché la giurisprudenza ivi citata).
16 V. la sentenza dell'11 aprile 2024, Air Europa Líneas Aéreas (C-173/23, EU:C:2024:295, punto 13 nonché la giurisprudenza ivi citata).
17 V. la sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote - Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen (in prosieguo: la «sentenza Karel de Grote», C-147/16 EU:C:2018:320, punto 59), vertente sulla disuguaglianza tra un istituto di istruzione e uno studente derivante dell'asimmetria di informazioni e competenze tecniche tra tali parti.
18 V., a titolo di esempio, la sentenza del 3 settembre 2015, Costea (in prosieguo: la «sentenza Costea», C-110/14, EU:C:2015:538, punto 27 e giurisprudenza ivi citata), in cui la Corte ha precisato che, anche a voler affermare che un avvocato disponga di un elevato livello di competenze tecniche, tale circostanza non consentirebbe di presumere che egli non sia una parte debole rispetto a un professionista.
19 V. gli Orientamenti della Commissione (pag. 9).
20 V., in tal senso, la sentenza del 21 dicembre 2016Gutiérrez Naranjo e a. (in prosieguo: la «sentenza Gutiérrez Naranjo e a.», C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 63), e la sentenza del 15 giugno 2023, Bank M (Conseguenze derivanti dall’annullamento del contratto) (C-520/21, EU:C:2023:478,, punto 58), nonché le conclusioni dell'Avvocato generale Pitruzzella nella causa Dziubak (C-260/18, EU:C:2019:405, paragrafo 53 e la giurisprudenza ivi citata). V. anche gli Orientamenti della Commissione (pag. 9).
21 V. la sentenza Karel de Grote (punti 45 e 46).
22 In particolare, la società A ha sostenuto che C e i suoi genitori avevano avuto la possibilità di negoziare il contratto controverso, tenuto conto che, prima della firma, le parti contraenti si sarebbero incontrate ripetutamente. La società A ha tuttavia riconosciuto che, in occasione di tali incontri, non è stata sollevata alcuna questione relativa alla durata del contratto o all'entità dei futuri impegni, ad esempio con riguardo all'importo dell'indennità dovuta o a qualsiasi altra clausola contrattuale, e che le discussioni svoltesi hanno riguardato principalmente la pallacanestro, le infrastrutture, gli allenatori, le condizioni di vita, la ristorazione, etc.
23 V. la sentenza del 13 luglio 2023, Banco Santander (riferimento a un indice ufficiale) (in prosieguo: la «sentenza Banco Santander I», C-265/22, EU:C:2023:578, punto 62).
24 In questo senso, v. le sentenze Karel de Grote (paragrafo 53 e giurisprudenza ivi citata) e DelayFix (paragrafi 53 e 54 e giurisprudenza ivi citata).
25 V. la sentenza Karel de Grote (punto 54 e la giurisprudenza ivi citata).
26 V., in tal senso, gli Orientamenti della Commissione (pag. 11).
27 V., in tal senso, la sentenza del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux (in prosieguo: la «sentenza Pouvin e Dijoux» (C-590/17, EU:C:2019:232, punti 24, 25 e 30 nonché la giurisprudenza ivi citata).
28 V. la sentenza del 4 luglio 2024, Caixabank e a. (Controllo della trasparenza nell'azione collettiva), in prosieguo: la «sentenza Caixabank» (C-450/22, EU:C:2024:577, punto 49 nonché la giurisprudenza ivi citata).
29 Tale rilievo si basa esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla società A all'udienza, che dovranno essere verificate dal giudice del rinvio.
30 V. le sentenze Costea (punto 21).e Pouvin e Dijoux (punti da 25 a 28).
31 V. le sentenze del 25 gennaio 2018, Schrems (C-498/16, EU:C:2018:37, punti 31, 38 e 39 nonché la giurisprudenza ivi citata) e del 10 dicembre 2020, Personal Exchange International (C-774/19, EU:C:2020:1015, punti 40 e 41). Infatti, come precisato dalla Commissione, in altri settori del diritto dell'Unione, come la disciplina della competenza giurisdizionale risultante dal regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU L 351, pag. 1), non è escluso che il giudice nazionale possa tenere conto dell'eventuale evoluzione dello status del consumatore nel corso del contratto, ad esempio, nel caso di contratti per l'utilizzo di servizi che si estendono su un periodo più lungo, nel senso che il contratto concluso dal consumatore può essersi evoluto, passando dall'utilizzazione dei servizi per scopi puramente privati ad un'attività esclusivamente professionistica, potendo la persona fisica, conseguentemente, perdere lo status di «consumatore».
32 Il corsivo è mio. V., a tal riguardo, le sentenze DelayFix (punto 60).e Caixabank (punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).
33 Vedi supra, paragrafo 45.
34 V., in tal senso, la sentenza Pouvin e Dijoux (punti 24, 25 e 30 nonché la giurisprudenza ivi citata). Va tuttavia osservato che, durante l'elaborazione del progetto di direttiva, la Commissione ha analizzato, nei vari Stati membri, alcuni tipi di contratti standardizzati offerti ai consumatori, quali i contratti di vendita, i contratti di noleggio di autoveicoli, i contratti relativi a determinati servizi bancari e assicurativi, i contratti relativi a vari tipi di servizi turistici (locazione di case, club vacanze, vacanze tutto compreso, multiproprietà, etc.), i contratti di trasporto aereo [condizioni contrattuali raccomandate dalla International Air Transport Association (IATA) (associazione internazionale dei vettori aerei)], i contratti relativi alla fornitura di servizi di interesse generale. Questi studi hanno dimostrato non solo l'onnipresenza delle clausole abusive nelle condizioni generali di contratto utilizzate dalle imprese, ma anche la difficoltà di ottenerle preliminarmente alla conclusione di un contratto [v. la relazione della Commissione del 27 aprile 2000 sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (COM(2000) 248 def.), pag. 9].
35 V. ordinanza del 19 novembre 2015, Tarcău (C-74/15, EU:C:2015:772, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).
36 V. la sentenza del 30 maggio 2024, Raiffeisen Bank (C-176/23, EU:C:2024:443, punto 22, e la giurisprudenza ivi citata).
37 V., in tal senso, le sentenze Mikrokasa e Revenue Niestandaryzowany Sekurytyzacyjny Fundusz Inwestycyjny Zamknięty (C-779/18, EU:C:2020:236, punti da 52 a 54 e la giurisprudenza ivi citata) e Raiffeisen Bank (punti da 22 a 24 e la giurisprudenza ivi citata).
38 V., in tal senso, gli Orientamenti della Commissione (pag. 12).
39 V. la sentenza del 3 aprile 2019, Aqua Med (C-266/18, EU:C:2019:282, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).
40 V., per analogia, gli Orientamenti della Commissione (pagg. 15 e 16), contenenti un elenco di altre norme del diritto dell'Unione applicabili in parallelo.
41 V., a titolo esemplificativo, il punto 2 del dispositivo, penultima frase, della sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C-453/10, EU:C:2012:144), relativa all’accertamento della natura sleale.
42 Quando, ad esempio, uno dei professionisti si trova in una posizione più debole rispetto a un altro. Tuttavia, tale fattispecie rimane ipotetica, considerato che non sembra essere stata introdotta alcuna estensione di tal genere nella legislazione nazionale degli Stati membri (V. l'allegato II degli Orientamenti della Commissione, contenente una panoramica delle notifiche ex articolo 8 bis della direttiva 93/13).
43 V., per analogia, le sentenze del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda [in prosieguo; la sentenza «Condominio di Milano, via Meda» (C-329/19, EU:C:2020:263, punti da 32 a 38 nonché la giurisprudenza ivi citata)] e del 21 dicembre 2021, Trapeza Peiraios (C-243/20, EU:C:2021:1045, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).
44 V. la sentenza Condominio di Milano, via Meda , punto 34.
45 A tal proposito, nella sentenza del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés (C-96/16 e C-94/17, EU:C:2018:643, punto 69), la Corte ha affermato che, mentre la giurisprudenza di un organo giurisdizionale supremo (nella specie, il Tribunal Supremo (Corte Suprema, Spagna)) non sembra certamente rientrare nell'ambito di applicazione delle più rigorose disposizioni che possono essere adottate dagli Stati membri al fine di garantire un livello più elevato di tutela dei consumatori ai sensi dell'articolo 8 della direttiva 93/13, atteso che, segnatamente, tale giurisprudenza non sembra possedere forza di legge o costituire una fonte di diritto nell'ordinamento giuridico spagnolo, resta il fatto che l'elaborazione di un criterio giurisprudenziale, come quello individuato nella specie da tale giudice, ricade nell'obiettivo di tutela del consumatore perseguito dalla direttiva medesima. Dall'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e dall'impianto generale della medesima emerge che il suo obiettivo non è tanto quello di garantire un equilibrio contrattuale globale tra i diritti e gli obblighi delle parti del contratto, quanto piuttosto quello di evitare che si verifichi uno squilibrio tra tali diritti e obblighi a danno del consumatore. V. anche la sentenza del 14 marzo 2019, Dunai (C-118/17, EU:C:2019:207, punti da 60 a 64).
46 L'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 è stato trasposto nell’ordinamento lettone solo successivamente, nel corso del 2014. Inoltre, l'Allegato II degli Orientamenti della Commissione mostra che la legislazione nazionale lettone non va oltre la norma minima stabilita dalla Direttiva 93/13.
47 V. sentenze del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (in prosieguo: la «sentenza Caja de Ahorros», C-484/08, EU:C:2010:309, punto 32) nonché del 21 marzo 2024, Profi Credit Bulgaria (Servizi accessori ai contratti di credito) (C-714/22, EU:C:2024:263, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).
48 V. sentenza Caja de Ahorros (punto 34).
49 V. sentenza Caja de Ahorros (punti da 40 a 44).
50 V. sentenza Caja de Ahorros (punto 40).
51 V. sentenza Caja de Ahorros (punto 35).
52 È stata, infatti, ritenuta incompleta una normativa nazionale che esclude la possibilità di un controllo giurisdizionale delle clausole che descrivono le prestazioni essenziali nei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore, anche quando la formulazione di tali clausole è oscura e ambigua, cosicché al consumatore sia assolutamente impedito di eccepire il carattere abusivo di una clausola relativa alla definizione dell'oggetto principale del contratto e alla perequazione tra il prezzo e i servizi o i beni da fornire [sentenza Caja de Ahorros, (punti 37 e 38), che si richiama alla sentenza del 10 maggio 2001, Commissione/Paesi Bassi (C-144/99‑, EU:C:2001:257)]. V. anche gli Orientamenti della Commissione (pag. 23 e nota 147) nonché il relativo allegato II, che contiene un elenco degli Stati membri la cui legislazione nazionale ha esteso la portata della valutazione del carattere abusivo alle clausole contrattuali relative alla definizione dell'oggetto principale del contratto e alla perequazione del prezzo o della remunerazione, a prescindere dal fatto che tali clausole siano o meno redatte in un linguaggio semplice e comprensibile.
53 V. , in tal senso, la sentenza Caja de Ahorros (punti 41 e 42).
54 V. , in tal senso, la sentenza Caja de Ahorros (punto 43).
55 Questa soluzione si fonda sull’assunto che la legge di trasposizione dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non si applichi retroattivamente.
56 V. le sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C-26/13, EU:C:2014:282, punto 72); del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (in prosieguo: la «sentenza Andriciuc», C-186/16, EU:C:2017:703, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata), nonché Caixabank (punto 36 e la giurisprudenza ivi citata).
57 Ciò implica, da un lato, che il consumatore abbia avuto l'effettiva possibilità di prendere conoscenza di una clausola contrattuale preliminarmente alla conclusione del contratto e, dall’altro, che le varie clausole siano intelligibili, tenendo conto della chiarezza del loro tenore e della specificità della terminologia utilizzata, nonché, eventualmente, di altre clausole contrattuali da considerare congiuntamente. A tal riguardo, occorre parimenti tenere conto della posizione o del punto di vista dei consumatori cui sono rivolte le clausole pertinenti [v., in tal senso, la sentenza 23 aprile 2015, Van Hove (C-96/14, EU:C:2015:262), punti 48 e 50)].
58 V. le sentenze del 18 novembre 2021, A.S.A. (C-212/20, EU:C:2021:934, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata), nonché Caixabank (punto 37 e la giurisprudenza ivi citata). La Corte ha inoltre precisato il requisito di trasparenza, con riguardo alle clausole contrattuali essenziali per la portata degli impegni che i consumatori accettano di assumere, ad esempio per quanto attiene alle clausole contrattuali rilevanti per stabilire i pagamenti che i consumatori devono effettuare sulla base di un contratto di mutuo. Alcune di dette sentenze vertono, in particolare, sui contratti di mutuo ipotecario (espressi) in valuta estera o indicizzati in base ad una valuta estera [v. gli Orientamenti della Commissione (pagg. 26 e 27)].
59 V. la sentenza Andriciuc (punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).
60 Vale a dire, il criterio di valutazione applicato nell'analisi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (cfr. considerando 18 di detta direttiva).
61 Sentenza del 12 gennaio 2023, D.V. (Onorari forensi - Principio della tariffa oraria) (in prosieguo:‑ la «sentenza D.V.», C-395/21, EU:C:2023:14, punto 43).
62 V. , per analogia, la sentenza nella causa D.V. (punti 42 e 43 e la giurisprudenza ivi citata).
63 V. supra, nota a piè di pagina 6.
64 Nel senso che «tali clausole devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali del contratto stesso e che, come tali, lo caratterizzano» [cfr. sentenza Andriciuc (punto 35 e la giurisprudenza ivi citata)].
65 Nel senso che la clausola si riferisce al «rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione» (v. il diciannovesimo considerando della direttiva 93/13).
66 V. l’analisi svolta nell’ambito della quarta questione pregiudiziale della sentenza Banco Santander (punto 66 e la giurisprudenza ivi citata). La legislazione nazionale può tuttavia prevedere che dalla mancanza di trasparenza possa derivare direttamente la nullità delle clausole senza necessità di applicare il criterio del carattere abusivo di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13. V. anche gli Orientamenti della Commissione (pag. 19).
67 V. l'analisi svolta nell’ambito della terza questione pregiudiziale. V. anche gli Orientamenti della Commissione (pag. 24, nota 163), secondo cui la legislazione nazionale può attribuire ai giudici tribunali la facoltà di valutare la perequazione del prezzo, anche quando tali clausole sono redatte in modo chiaro e comprensibile.
68 V., in tal senso, le sentenze del 26 aprile 20212, Invitel (C-472/10, EU:C:2012:242, punti 27 e 28) e Banco Santander (punto 66). A titolo esemplificativo, ai sensi del punto 1, lettera e), dell'allegato alla direttiva 93/13 e del ventesimo considerando della medesima, il fatto che il consumatore non abbia avuto una reale possibilità di prendere conoscenza di una clausola contrattuale costituisce un indizio del suo carattere abusivo.
69 V. la sentenza Banco Santander (punto 50 e la giurisprudenza ivi citata).
70 V. la sentenza Banco Santander (punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).
71 V. la sentenza Banco Primus (punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).
72 V. la sentenza Banco Santander (punto 64 e la giurisprudenza ivi citata).
73 V. la sentenza Banco Santander (punto 65 e giurisprudenza ivi citata).
74 V. la sentenza Banco Primus (punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).
75 V., per analogia, la sentenza Banco Santander (punto 65 e la giurisprudenza ivi citata).
76 V. la sentenza Banco Primus (punto 67, primo trattino). V. anche gli Orientamenti della Commissione (pag. 33 e nota 241).
77 V. la sentenza del 14 marzo 2013, Aziz (C-415/11, EU:C:2013:164, punto 68).
78 V. la sentenza Banco Primus (punto 61 e la giurisprudenza ivi citata).
79 V. , per analogia, le sentenze del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C-224/19 e C-259/19, EU:C:2020:578, punto 79), vertente su una clausola contrattuale che imponeva al mutuatario di sostenere tutte le spese di costituzione ed estinzione di un'ipoteca, in cui la Corte ha ritenuto che gli oneri ripercossi sul mutuatario devono corrispondere a servizi effettivamente forniti, e la sentenza del 16 marzo 2023, Caixabank (Commissione di concessione del mutuo), (C-565/21, EU:C:2023:212, punto 59), riguardante una clausola relativa ad una commissione di concessione del mutuo che, per escludere che potesse essere considerata tale da pregiudicare la posizione giuridica del consumatore prevista dal diritto nazionale, consentiva l’addebitare al consumatore, a titolo di tale commissione, unicamente di una somma proporzionale all'importo del mutuo.
80 Tale rilievo, basata esclusivamente sulle informazioni fornite dalla società A all'udienza, dovrà essere verificato dal giudice del rinvio.
81 V. la sentenza Banco Primus (punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
82 V. la sentenza nella causa Gutiérrez Naranjo e a. (punto 54 nonché la giurisprudenza ivi citata).
83 Conseguentemente, sebbene spetti agli Stati membri definire, per mezzo del loro diritto nazionale, le procedure in base alle quali viene accertato il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto e si concretizzano gli effetti giuridici derivanti da tale accertamento, resta il fatto che quest’ultimo deve consentire di ristabilire la situazione di diritto e di fatto che sarebbe esistita per il consumatore in assenza della clausola abusiva, prevedendo, in particolare, il diritto alla restituzione dei vantaggi indebitamente acquisiti, a suo danno, dal professionista sulla base della clausola abusiva de qua (v. le sentenze Caixabank (termine di prescrizione) (C-484/21, in prosieguo: la «sentenza Termine di prescrizione», EU:C:2024:360, punti da 15 a 20 e la giurisprudenza ivi citata) nonché la sentenza Banco Santander (Decorrenza del termine di prescrizione, C-561/21, EU:C:2024:362, punti da 18 a 23 e la giurisprudenza ivi citata).
84 V. la sentenza Termine di prescrizione (punto 15 e la giurisprudenza ivi citata.
85 V. la sentenza Termine di prescrizione (punti 16 e 17 e la giurisprudenza ivi citata).
86 V., per analogia, la sentenza del 21 marzo 2024, Profi Credit Bulgaria (Servizi accessori ai contratti di credito) (C-714/22, EU:C:2024:263, punto 88), in cui la Corte ha dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letti alla luce del principio di effettività, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che consenta di obbligare un consumatore a farsi carico di una parte delle spese processuali, qualora, in seguito alla dichiarazione di nullità di una clausola contrattuale a causa del suo carattere abusivo, sia accolta solo parzialmente la sua domanda di restituzione di somme che ha indebitamente pagato in forza di tale clausola, in base al rilievo che sarebbe praticamente impossibile o eccessivamente difficile determinare la portata del diritto di tale consumatore alla restituzione delle somme medesime.
87 V. la sentenza nella causa Gutiérrez Naranjo e a. (punto 60 nonché la giurisprudenza ivi citata). Dal carattere vincolante dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deriva che i consumatori non possono, in linea di principio, rinunciare alla tutela offerta dalla direttiva stessa, né per contratto né per dichiarazione unilaterale [v. gli Orientamenti della Commissione (pag. 38)].
88 V. le sentenze del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C-488/11, EU:C:2013:341, punti 58 e 59 e la giurisprudenza ivi citata) nonché del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C-70/17 e C-179/17, EU:C:2019:250, punti 53 e 54 e la giurisprudenza ivi citata). Nel solco della stessa logica, la Corte ha dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osta a una giurisprudenza nazionale che limiti nel tempo gli effetti restitutori connessi alla dichiarazione del carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva, di una clausola contenuta in un contratto stipulato fra un consumatore e un professionista, alle sole somme indebitamente versate in applicazione di una clausola del genere successivamente alla pronuncia della decisione che ne ha accertato giudizialmente il carattere abusivo (v. sentenza Gutiérrez Naranjo e a., punto 75).
89 V. , in tal senso, la sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C-260/18, EU:C:2019:819, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
90 V. , in tal senso, la sentenza nella causa Caja de Ahorros (punto 44) e i paragrafi da 72 a 75, supra.
91 V. , in tal senso e per analogia, la sentenza dell'11 marzo 2021, Stato belga (Ritorno del genitore di un minore) (C-112/20, EU:C:2021:197, punto 36).
92 Adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.
93 V. , in tal senso e per analogia, la sentenza dell'11 marzo 2021, État belge (Rimpatrio del genitore di un minore) (C-112/20, EU:C:2021:197, punti 37 e 38).
94 V., a tal proposito, il Commento generale n. 14 (2013) del Comitato sui diritti dell’infanzia sul diritto del minorenne a che il proprio superiore interesse sia tenuto in primaria considerazione (articolo 3, paragrafo 1), CRC/C/GC/14, punto 19.
95 V. la sentenza dell'11 giugno 2024, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Donne che si identificano nel valore fondamentale della parità tra uomini e donne) (C-646/21, EU:C:2024:487, punto 73) che fa riferimento al Commento generale n. 14 (2013) del Comitato sui diritti dell’infanzia sul diritto del minorenne a che il proprio superiore interesse sia tenuto in primaria considerazione (articolo 3, paragrafo 1), CRC/C/GC/14, punto 6.
96 V. i considerando 18 e 19 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
20 marzo 2025 (*)
« Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Ambito di applicazione – Articolo 2, lettera b) – Articolo 3, paragrafo 1 – Articolo 4, paragrafo 2 – Articolo 5 – Articolo 6, paragrafo 1 – Articolo 8 bis – Contratto di adesione – Contratto concluso tra un professionista che fornisce servizi di sviluppo sportivo e di supporto alla carriera e un giocatore “promessa” minorenne, rappresentato dai suoi genitori – Clausola che stabilisce l’obbligo di versare al professionista una remunerazione pari al 10% dei redditi percepiti da tale atleta nel corso dei quindici anni successivi – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 17 e 24 – Diritto di proprietà – Diritti del minore »
Nella causa C‑365/23 [Arce] (i),
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Augstākā tiesa (Senāts) (Corte suprema, Lettonia), con decisione del 7 giugno 2023, pervenuta in cancelleria il 9 giugno 2023, nel procedimento
SIA «A»
contro
C,
D,
E,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da I. Jarukaitis (relatore), presidente della quarta Sezione, facente funzione di presidente della quinta Sezione, D. Gratsias e E. Regan, giudici,
avvocato generale: A. Rantos
cancelliere: A. Lamote, amministratrice
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 giugno 2024,
considerate le osservazioni presentate:
– per la SIA «A», da A. Bitāns, advokāts;
– per C, da I. Grunte, advokāts;
– per D e E, da G. Madelis, jurists, e K. Salmgrieze, advokāte;
– per il governo lettone, da E. Bārdiņš, J. Davidoviča e K. Pommere, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da I. Rubene e N. Ruiz García, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 ottobre 2024,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, lettera b), dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’articolo 4, paragrafo 2, dell’articolo 5 e dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), dell’articolo 8 bis della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 (GU 2011, L 304, pag. 64), nonché dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la SIA «A», una società a responsabilità limitata di diritto lettone, il cui oggetto è quello di garantire lo sviluppo degli atleti in Lettonia, e, dall’altro, C, D e E, in merito a una domanda di pagamento di una remunerazione in esecuzione di un contratto di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Carta
3 L’articolo 17 della Carta, rubricato «Diritto di proprietà», al suo paragrafo 1 così dispone:
«Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale».
4 L’articolo 24 della Carta, rubricato «Diritti del minore», al suo paragrafo 2 prevede quanto segue:
«In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».
5 L’articolo 51 della Carta, relativo all’ambito di applicazione di quest’ultima, è così formulato:
«1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati.
2. La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati».
Direttiva 93/13
6 Ai sensi dei considerando decimo, tredicesimo e sedicesimo della direttiva 93/13:
«considerando che si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; che tali regole devono applicarsi a qualsiasi contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore; che sono segnatamente esclusi dalla presente direttiva i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare, i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società;
(...)
considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte; che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo;
(...)
considerando che la valutazione, secondo i criteri generali stabiliti, del carattere abusivo di clausole, in particolare nell’ambito di attività professionali a carattere pubblico per la prestazione di servizi collettivi che presuppongono una solidarietà fra utenti, deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa; che si tratta nella fattispecie del requisito di buona fede; che nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore; che il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi».
7 L’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva è così formulato:
«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».
8 Ai sensi dell’articolo 2 di detta direttiva:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) “clausole abusive”: le clausole di un contratto quali sono definite all’articolo 3;
b) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;
c) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».
9 L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della medesima direttiva prevede quanto segue:
«1. Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.
Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto di adesione.
Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova».
10 L’articolo 4 della direttiva 93/13 così recita:
«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.
2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».
11 L’articolo 5 di tale direttiva prevede quanto segue:
«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore. Questa regola di interpretazione non è applicabile nell’ambito delle procedure previste all’articolo 7, paragrafo 2».
12 L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva è così formulato:
«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
13 L’articolo 8 della medesima direttiva così dispone:
«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».
14 La direttiva 2011/83 ha modificato la direttiva 93/13, inserendo in quest’ultima un articolo 8 bis. Tale articolo, al suo paragrafo 1, prevede quanto segue:
«Quando uno Stato membro adotta disposizioni conformemente all’articolo 8, ne informa la Commissione, così come di qualsiasi successiva modifica, in particolare qualora tali disposizioni:
– estendano la valutazione di abusività a clausole contrattuali negoziate individualmente o all’adeguatezza del prezzo o della remunerazione, oppure
– contengano liste di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive».
Direttiva 2005/29/CE
15 L’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22), così dispone:
«Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell’ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera».
Diritto lettone
Codice Civile
16 L’articolo 186 del Civillikums (codice civile) prevede che i genitori rappresentano congiuntamente il figlio nei suoi rapporti personali e patrimoniali (rappresentanza congiunta).
17 Ai sensi dell’articolo 223 di tale codice:
«Il padre e la madre sono, in virtù del diritto di affidamento, i tutori naturali del figlio minore».
18 L’articolo 293 di detto codice è così formulato:
«Il tutore può, nei rapporti giuridico-economici del minore e nel suo interesse, stipulare qualsiasi tipo di contratto, nonché ricevere ed effettuare pagamenti. Ciascuno di tali atti è vincolante per il minore, a condizione che il tutore lo abbia compiuto in buona fede, restando al contempo nell’ambito della gestione economica e non vincolando il minore, senza particolari necessità, per un periodo superiore alla maggiore età».
19 A termini dell’articolo 1408 del medesimo codice:
«I minori sono privi di capacità di agire».
Legge sulla tutela dei diritti dei consumatori
20 L’articolo 1 del Patērētāju tiesību aizsardzības likums (legge sulla tutela dei diritti dei consumatori), del 1° aprile 1999 (Latvijas Vēstnesis, 1999, n. 104/105), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale, intitolato «Definizioni utilizzate dalla legge», prevede quanto segue:
«Ai fini della presente legge s’intende per:
(...)
3) consumatore – qualsiasi persona fisica che intenda acquistare, acquisti o possa acquistare o utilizzare un bene o un servizio per fini non connessi alla propria attività economica o professionale;
4) fornitore di servizi – qualsiasi soggetto che, nell’ambito della propria attività economica o professionale, fornisca un servizio a un consumatore;
(...)».
21 L’articolo 6 di tale legge, intitolato «Clausole contrattuali abusive», così dispone:
«(...)
(2) Le clausole contrattuali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile.
(3) Una clausola di un contratto che non sia stata negoziata individualmente è abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, crea un significativo squilibrio, a danno del consumatore, tra i diritti e gli obblighi delle parti risultanti dal contratto.
(...)
(8) Le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un produttore, un professionista o un fornitore di servizi e un consumatore restano prive di effetti dal momento della conclusione del contratto, ma il contratto rimane valido se può sussistere dopo l’esclusione delle clausole abusive.
(...)».
22 La legge del 24 aprile 2014 (Latvijas Vēstnesis, 2014, n. 92) ha inserito all’articolo 6 della legge sulla tutela dei diritti dei consumatori un paragrafo 22 così formulato:
«Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle clausole contrattuali che definiscono l’oggetto del contratto e la perequazione tra il prezzo e il corrispettivo, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. (...)».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
23 A offre agli atleti un insieme di servizi di supporto allo sviluppo delle loro capacità professionali e alla carriera.
24 Il 14 gennaio 2009, A ha concluso con C, un minore che all’epoca aveva 17 anni, rappresentato da D ed E, i suoi genitori, un contratto di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera di C, al fine di garantire a quest’ultimo, che non era ancora un atleta professionista, una carriera professionistica di successo nel settore della pallacanestro (in prosieguo: il «contratto del 14 gennaio 2009»). Detto contratto è stato stipulato per una durata di quindici anni, ossia fino al 14 gennaio 2024.
25 Il contratto del 14 gennaio 2009 prevedeva che A offrisse a C un’intera gamma di servizi, tra cui la formazione e l’allenamento, la medicina dello sport e l’accompagnamento da parte di uno psicologo dello sport, le misure di sostegno alla carriera, la conclusione di contratti tra l’atleta e le società sportive, il marketing, i servizi giuridici e la contabilità. A titolo di corrispettivo, in forza del punto 6.1 di tale contratto, C s’impegnava a versare ad A una remunerazione pari al 10% di tutti i redditi netti che avrebbe percepito durante la vigenza del contratto, oltre all’imposta sul valore aggiunto applicabile in Lettonia, a condizione che tali redditi ammontassero almeno a EUR 1 500 mensili.
26 Il 29 giugno 2020, ritenendo che la remunerazione prevista dal contratto del 14 gennaio 2009 per i servizi resi a C non fosse stato versata, A ha proposto ricorso dinanzi ai giudici lettoni, chiedendo che i resistenti nel procedimento principale fossero condannati a pagarle la somma di EUR 1 663 777,99, corrispondente al 10% dell’importo dei redditi di C derivanti da contratti conclusi con società sportive.
27 Il giudice di primo grado e, successivamente, il giudice d’appello hanno respinto la domanda di A sulla base del rilievo che il contratto del 14 gennaio 2009 non era conforme alle disposizioni nazionali relative alla tutela dei diritti dei consumatori e che, in particolare, la clausola che imponeva a C di versare una remunerazione pari al 10% dei suoi redditi per tutta la durata di tale contratto era abusiva.
28 A ha proposto ricorso per cassazione dinanzi all’Augstākā tiesa (Senāts) (Corte suprema, Lettonia), giudice del rinvio. Tale società ha sostenuto che le disposizioni nazionali relative alla tutela dei diritti dei consumatori non erano pertinenti nel caso di specie, poiché il contratto del 14 gennaio 2009 rientrava nella categoria dei contratti riguardanti atleti «giovani promesse», ai quali tali disposizioni non si applicano. A ha altresì chiesto di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale.
29 Il giudice del rinvio rileva che, sebbene la Corte abbia già interpretato più volte la nozione di «consumatore», essa non ha finora chiarito se le disposizioni relative alla tutela dei diritti dei consumatori siano applicabili al settore dello sport. Se così fosse, il giudice del rinvio ritiene che la circostanza che, come nel caso di specie, l’attività di un giovane atleta acquisisca, successivamente alla conclusione del contratto di servizi di cui trattasi, carattere professionistico sia irrilevante e non possa impedire all’interessato di avvalersi della qualità di «consumatore» ai sensi della direttiva 93/13.
30 Tale giudice menziona anche le differenze esistenti nella giurisprudenza degli Stati membri, differenze che, a suo parere, renderebbero necessario proporre questioni pregiudiziali su tale punto.
31 Infatti, in una sentenza del 23 maggio 2019, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) avrebbe dichiarato che un giocatore di pallacanestro che, in qualità di futuro giocatore, aveva concluso un contratto di servizi con un’agenzia sportiva, ai sensi del quale tale agenzia s’impegnava, nell’interesse di detto giocatore, a negoziare con società sportive l’ingaggio di quest’ultimo, mentre lo stesso s’impegnava a versare alla citata agenzia una somma il cui importo dipendeva dai contratti conclusi nell’ambito di tale cooperazione, agiva come consumatore e non come professionista. Per contro, in una sentenza del 7 novembre 2002, l’Oberlandesgericht München (Tribunale superiore del Land, Monaco di Baviera, Germania), pronunciandosi su una controversia tra un giovane tennista e un’agenzia sportiva che riguardava un contratto di prestazione di servizi simile a quello di cui trattasi nel procedimento principale, non avrebbe applicato a tale rapporto giuridico le disposizioni relative alla tutela dei consumatori.
32 Il giudice del rinvio esprime anche altri dubbi, chiedendosi in particolare se una clausola come quella di cui trattasi nel procedimento principale possa essere considerata redatta in modo chiaro e comprensibile e se essa crei un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 5 e dell’articolo 3 della direttiva 93/13.
33 È in tale contesto che l’Augstākā tiesa (Senāts) (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se un contratto di prestazione di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera di uno sportivo, concluso tra un professionista che esercita la sua attività professionale nel campo dello sviluppo e dell’allenamento di sportivi, da un lato, e un minore rappresentato dai suoi genitori il quale, al momento della conclusione del contratto, non svolgeva un’attività da professionista nello sport di cui si tratta, rientri nell’ambito di applicazione della [direttiva 93/13].
2) In caso di risposta negativa alla prima questione, se la direttiva 93/13 osti a una giurisprudenza nazionale che interpreta le norme di trasposizione di detta direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale in modo tale che le disposizioni in materia di tutela dei consumatori ivi contenute sono applicabili anche ai contratti in parola.
3) In caso di risposta affermativa alla prima o alla seconda questione, se un giudice nazionale possa sottoporre alla valutazione del carattere abusivo di cui all’articolo 3 della direttiva 93/13 una clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera in un determinato sport, come specificati nel contratto, il giovane sportivo si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10% delle entrate percepite nei successivi quindici anni, senza considerare che tale clausola rientri tra quelle sottratte alla valutazione del carattere abusivo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della medesima direttiva.
4) In caso di risposta affermativa alla terza questione, se debba considerarsi redatta in modo chiaro e comprensibile, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 93/13, una clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della fornitura di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera, come specificati nel contratto, il giovane sportivo si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10% delle entrate percepite nei successivi quindici anni, tenuto conto del fatto che, al momento della conclusione del contratto, quest’ultimo non disponeva di informazioni chiare sul valore del servizio fornito né sull’importo da pagare per tale servizio, che gli consentissero di valutare le ripercussioni economiche che ne potevano derivare.
5) In caso di risposta affermativa alla terza questione, se una clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della fornitura di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera, come specificati nel contratto, il giovane sportivo si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10% delle entrate percepite nei successivi quindici anni, debba essere considerata, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, una clausola che determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, tenuto conto del fatto che tale paragrafo non mette in relazione il valore del servizio fornito con il costo di detto servizio per il consumatore.
6) In caso di risposta affermativa alla quinta questione, se la decisione di un giudice nazionale che riduce l’importo del pagamento esigibile dal consumatore a favore del prestatore di servizi all’entità dei costi effettivi sostenuti da quest’ultimo per la fornitura al consumatore dei servizi previsti dal contratto sia in contrasto con i requisiti stabiliti dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.
7) In caso di risposta negativa alla terza questione e qualora la clausola contrattuale in cui è previsto che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo del talento e alla carriera di un sportivo, come specificati nel contratto, il consumatore si impegna a corrispondere una remunerazione pari al 10% delle entrate percepite nei successivi quindici anni, sia sottratta alla valutazione del carattere abusivo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, se il giudice nazionale, avendo constatato che l’importo della remunerazione è manifestamente sproporzionato rispetto al contributo fornito dal prestatore dei servizi, possa nondimeno dichiarare abusiva detta clausola sulla base del diritto nazionale.
8) In caso di risposta affermativa alla settima questione, se, nel caso di un contratto stipulato con un consumatore in un momento in cui l’articolo 8 bis della [direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83] non era ancora entrato in vigore, debbano essere prese in considerazione le informazioni fornite dallo Stato membro alla Commissione europea conformemente a detto articolo relativamente alle disposizioni adottate dallo Stato membro ai sensi dell’articolo 8 [della direttiva 93/13] e, in caso di risposta affermativa, se la competenza dei giudici nazionali sia limitata da tali informazioni in base all’articolo 8 bis della [direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83], qualora lo Stato membro abbia comunicato che la propria normativa non va oltre lo standard minimo stabilito dalla direttiva in parola.
9) In caso di risposta affermativa alla prima o alla seconda questione, quale rilevanza occorra accordare, alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 24 della Carta, ai fini dell’applicazione delle norme di trasposizione delle disposizioni della direttiva 93/13 nell’ordinamento giuridico nazionale, al fatto che, al momento della conclusione del contratto di prestazione di servizi di cui trattasi, della durata di quindici anni, il giovane sportivo fosse minorenne e che detto contratto fosse stato quindi concluso dai genitori in suo nome, prevedendo l’obbligo per il minore stesso di versare una remunerazione pari al 10% di tutte le entrate da lui percepite nei successivi quindici anni.
10) In caso di risposta negativa alla prima o alla seconda questione, in considerazione del fatto che le attività sportive rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, se un contratto di prestazione di servizi della durata di quindici anni, stipulato con un giovane sportivo minorenne – concluso in suo nome dai suoi genitori – in cui è previsto l’obbligo per il minore di versare una remunerazione pari al 10% di tutte le entrate da questi percepite nei successivi quindici anni, violi i diritti fondamentali sanciti dall’articolo 17, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
34 A eccepisce l’irricevibilità di talune delle questioni sollevate.
35 In primo luogo, le questioni dalla terza alla quinta sarebbero irricevibili in quanto, con esse, il giudice del rinvio chiederebbe alla Corte, in sostanza, non già d’interpretare il diritto dell’Unione, bensì di applicarlo a un caso concreto, in particolare determinando se la clausola di cui trattasi nel procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 e, in caso negativo, se essa sia contraria all’articolo 5 e all’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva.
36 In secondo luogo, la settima questione solleverebbe un problema di natura puramente ipotetica, in assenza di una base giuridica, nel diritto lettone, per constatare il carattere eccessivo del rendimento degli investimenti.
37 In terzo luogo, le questioni nona e decima, che riguarderebbero l’applicabilità della Carta ai rapporti orizzontali, sarebbero irricevibili, sotto un primo profilo, perché troppo astratte e costitutive, in sostanza, di una domanda di parere consultivo e, sotto un secondo profilo, perché la Carta non sarebbe applicabile nella presente causa.
38 A tal proposito, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della cooperazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del procedimento principale, la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione o sulla validità di una norma del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi Ne consegue che una questione pregiudiziale relativa al diritto dell’Unione gode di una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una simile questione solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 29 giugno 2023, International Protection Appeals Tribunal e a. (Attentato in Pakistan), C‑756/21, EU:C:2023:523, punti 35 e 36 nonché giurisprudenza ivi citata].
39 Orbene, nel caso di specie non risulta manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale oppure che il problema sia di natura ipotetica. Inoltre, la decisione di rinvio descrive in modo sufficientemente dettagliato il contesto di diritto e di fatto nel quale si colloca il procedimento principale, affinché la Corte sia in grado di fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte.
40 In particolare, da un lato, per quanto riguarda le questioni dalla terza alla quinta, nona e decima, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il giudice del rinvio si interroga sul significato e sulla portata di varie disposizioni della direttiva 93/13, eventualmente in combinato disposto con talune disposizioni della Carta, al fine di stabilire se esso possa, in applicazione di tale direttiva, procedere alla verifica del carattere abusivo della clausola contrattuale di cui trattasi nel procedimento principale. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 39 delle sue conclusioni, tale giudice non chiede alla Corte né di applicare tali disposizioni della direttiva 93/13 ai fatti del procedimento principale, né di sostituire la propria valutazione alla sua.
41 Dall’altro lato, per quanto riguarda l’asserito carattere ipotetico della settima questione, che risulterebbe, secondo A, dal fatto che non esisterebbe la possibilità, nel diritto lettone, di constatare il carattere eccessivo del rendimento degli investimenti, si deve ricordare che, nell’ambito del procedimento previsto dall’articolo 267 TFUE, le funzioni della Corte e quelle del giudice del rinvio sono chiaramente distinte ed è esclusivamente a quest’ultimo che spetta interpretare il proprio diritto nazionale (sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a., C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 58 e giurisprudenza ivi citata). Ciò detto, l’interpretazione del diritto nazionale proposta da A quanto all’impossibilità di constatare il carattere eccessivo del rendimento degli investimenti non può essere sufficiente a superare la presunzione di rilevanza ricordata al punto 38 della presente sentenza.
42 Pertanto, le questioni sollevate dal giudice del rinvio sono ricevibili.
Nel merito
Sulla prima questione
43 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che un contratto concluso tra, da un lato, un professionista che esercita un’attività nel settore dello sviluppo degli atleti e, dall’altro, un minore «promessa», rappresentato dai suoi genitori, il quale, al momento della conclusione di tale contratto, non era impiegato nel settore dello sport, rientri nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
44 A tal riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che l’ambito di applicazione della direttiva 93/13 è definito al suo articolo 1, paragrafo 1. Ai sensi di tale definizione, tale direttiva è volta, dunque, a ravvicinare le disposizioni degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore. Si tratta, pertanto, di una direttiva generale di tutela dei consumatori, intesa a trovare applicazione in tutti i settori di attività economica (v., in tal senso, sentenza del 6 luglio 2017, Air Berlin, C‑290/16, EU:C:2017:523, punto 44).
45 Per quanto riguarda le nozioni di «consumatore» e di «professionista» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 93/13, l’articolo 2, lettere b) e c), di tale direttiva le definisce come designanti, rispettivamente, qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto di detta direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale e qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della medesima direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata.
46 Pertanto, è in riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale, che la direttiva 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica (sentenza del 24 ottobre 2024, Zabitoń, C‑347/23, EU:C:2024:919, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
47 Di conseguenza, la direttiva 93/13 è applicabile nel caso in cui sia stato concluso un contratto tra, da un lato, un professionista che esercita un’attività nel settore dello sviluppo degli atleti e, dall’altro, un minore «promessa», rappresentato dai suoi genitori, il quale, al momento della conclusione di tale contratto, non praticava l’attività sportiva di cui trattasi a titolo professionistico.
48 Tale conclusione non può essere inficiata qualora, come nel procedimento principale, successivamente alla conclusione di tale contratto, il consumatore sia divenuto un atleta professionista.
49 Infatti, è stato dichiarato che la qualità di «consumatore» di una persona dev’essere valutata al momento della conclusione del contratto di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 73, e del 24 ottobre 2024, Zabitoń, C‑347/23, EU:C:2024:919, punto 32).
50 Di conseguenza, un minore che, alla data di conclusione di un contratto di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, non esercitava, a titolo professionistico, l’attività sportiva di cui trattasi non perde la qualità di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, per il fatto di essere divenuto un atleta professionista nel corso dell’esecuzione del contratto.
51 A questo proposito, occorre aggiungere che il solo fatto che tale consumatore sia considerato un giocatore «promessa» nella disciplina sportiva in cui è successivamente divenuto un giocatore professionista non è tale da modificare la qualità che possedeva alla data di conclusione del contratto di cui trattasi, né lo è la circostanza che l’oggetto di tale contratto fosse connesso all’eventuale futura carriera professionistica di detto atleta.
52 Parimenti, il fatto che il consumatore di cui trattasi potesse avere conoscenze o disporre di informazioni potenzialmente importanti nella disciplina sportiva in cui è successivamente divenuto un giocatore professionista è irrilevante per quanto riguarda la sua qualità alla data di conclusione del contratto di cui trattasi.
53 Infatti, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, possiede carattere oggettivo e prescinde dalle conoscenze concrete che l’interessato può avere o dalle informazioni di cui egli realmente dispone (sentenza del 3 settembre 2015, Costea, C‑110/14, EU:C:2015:538, punto 21).
54 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che un contratto di servizi di supporto allo sviluppo e alla carriera di un atleta, concluso tra, da un lato, un professionista che esercita un’attività nel settore dello sviluppo degli atleti e, dall’altro, un minore «promessa», rappresentato dai suoi genitori, il quale, al momento della conclusione di tale contratto, non era ancora impiegato nel settore dello sport e, pertanto, aveva la qualità di consumatore, rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
Sulla seconda questione
55 Non occorre rispondere alla seconda questione, in quanto essa è stata sollevata solo per l’ipotesi di una risposta negativa alla prima questione.
Sulla terza questione
56 Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 8 della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che un giudice nazionale può valutare, alla luce dell’articolo 3 di tale direttiva, il carattere abusivo di una clausola contrattuale che prevede che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo e alla carriera in un determinato sport, menzionati nel contratto, il giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto.
57 A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 prevede che la valutazione del carattere abusivo non verte sulle clausole relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto, né su quelle riguardanti la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.
58 Secondo la giurisprudenza della Corte, le clausole menzionate in tale articolo 4, paragrafo 2, pur rientrando nel settore disciplinato dalla direttiva 93/13, sono sottratte alla valutazione del loro carattere abusivo nei limiti in cui il giudice nazionale competente consideri, in seguito a un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile. Pertanto, tale disposizione è diretta unicamente a stabilire le modalità e la portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivono le prestazioni essenziali dei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore (v., in tal senso, sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, C‑484/08, EU:C:2010:309, punti 32 et 34). Inoltre, da detta disposizione si evince che la circostanza che una clausola non sia redatta in maniera chiara e comprensibile non è, di per sé, tale da conferirle un carattere abusivo [sentenza del 13 luglio 2023, Banco Santander (Riferimento a un indice ufficiale), C‑265/22, EU:C:2023:578, punto 66 e giurisprudenza ivi citata].
59 Nel caso in cui, come nel procedimento principale, un contratto abbia a oggetto la prestazione di servizi di supporto allo sviluppo e alla carriera in un determinato sport, menzionati in tale contratto, una clausola che preveda che, a fronte della prestazione di simili servizi, il giovane atleta contraente s’impegni a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di detto contratto è, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 87 delle sue conclusioni, rilevante ai fini della determinazione sia dell’oggetto principale del contratto sia della perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.
60 Ne consegue che detta clausola rientra nell’ambito di applicazione di tale articolo 4, paragrafo 2, e che, di conseguenza, in linea di principio, un giudice nazionale può procedere alla valutazione del suo carattere abusivo solo se giunge alla conclusione che essa non sia formulata in modo chiaro e comprensibile.
61 Nel caso di specie, tuttavia, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, alla data di conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale, ossia il 14 gennaio 2009, talune disposizioni della direttiva 93/13, e in particolare il suo articolo 4, paragrafo 2, non erano ancora state trasposte dalla Repubblica di Lettonia nel suo ordinamento giuridico e che la trasposizione di detta disposizione è divenuta effettiva solo il 1° luglio 2014.
62 A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 8 della direttiva 93/13 prevede espressamente la possibilità per gli Stati membri di «adottare o mantenere, nel settore disciplinato [da tale] direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».
63 La Corte ne ha dedotto che agli Stati membri non può essere impedito di mantenere o adottare, nel settore disciplinato dalla direttiva 93/13 nel suo complesso, in cui rientrano le clausole menzionate all’articolo 4, paragrafo 2, di quest’ultima, regole più severe di quelle previste dalla direttiva medesima, purché siano dirette a garantire un livello di protezione più elevato per i consumatori (sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, C‑484/08, EU:C:2010:309, punti 35 e 40).
64 Pertanto, qualora il diritto nazionale lo consenta, un giudice nazionale può valutare, nell’ambito di una controversia relativa a un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, il carattere abusivo di una clausola che non sia stata negoziata individualmente, la quale verta, in particolare, sull’oggetto principale di tale contratto, anche nelle ipotesi in cui tale clausola sia stata redatta preventivamente dal professionista in modo chiaro e comprensibile.
65 Spetta quindi al giudice del rinvio verificare se, alla data di conclusione del contratto del 14 gennaio 2009, il diritto nazionale consentisse di valutare il carattere abusivo di una clausola rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, e ciò anche nelle ipotesi in cui tale clausola fosse stata formulata in modo chiaro e comprensibile.
66 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 8 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che una clausola contrattuale che prevede che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo e alla carriera in un determinato sport, menzionati nel contratto, il giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione. Di conseguenza, un giudice nazionale può, in linea di principio, valutare, alla luce dell’articolo 3 di tale direttiva, il carattere abusivo di una simile clausola solo se giunge alla conclusione che essa non è formulata in modo chiaro e comprensibile. Tuttavia, le citate disposizioni non ostano a una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo di detta clausola anche qualora essa sia formulata in modo chiaro e comprensibile.
Sulla quarta questione
67 Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5 della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che una clausola di un contratto che si limita a prevedere, senza ulteriori precisazioni, che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un atleta s’impegna a versare al prestatore di servizi una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto dev’essere considerata redatta in modo chiaro e comprensibile, ai sensi di tale disposizione.
68 A tal proposito, l’articolo 5 della direttiva 93/13 prevede, da un lato, che, nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile e, dall’altro, che, in caso di dubbio sul senso di una clausola, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore.
69 Per quanto riguarda l’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, quale previsto sia all’articolo 4, paragrafo 2, sia all’articolo 5 della direttiva 93/13, la Corte ha sottolineato che tale obbligo non può essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di queste ultime, ma dev’essere interpretato in modo estensivo, tenuto conto della situazione di inferiorità in cui si trova il consumatore rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il grado di informazione (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
70 Detto obbligo di trasparenza impone, quindi, non solo che una clausola sia comprensibile per il consumatore di cui trattasi sui piani formale e grammaticale, ma anche che il contratto esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola in parola nonché, se del caso, il rapporto fra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, di modo che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano [v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria), C‑395/21, EU:C:2023:14, punti 36 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata].
71 Spetta al giudice nazionale verificare, alla luce di tutti i fatti pertinenti, se tale obbligo sia rispettato. Più in particolare, spetta a lui controllare, tenendo conto delle circostanze della conclusione del contratto, se sia stato comunicato al consumatore il complesso degli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno, che gli consentano di valutare le conseguenze finanziarie di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria), C‑395/21, EU:C:2023:14, punto 38 e giurisprudenza ivi citata].
72 A tal riguardo, la Corte ha dichiarato, nel contesto di una controversia che riguardava una clausola relativa al pagamento del compenso dell’avvocato, che, se è vero che non si può esigere che il professionista informi il consumatore riguardo alle conseguenze finanziarie finali del suo impegno, che dipendono da eventi futuri, imprevedibili e indipendenti dalla volontà di detto professionista, ciò non toglie che le informazioni che egli è tenuto a comunicare prima della conclusione del contratto debbano consentire al consumatore di prendere la sua decisione con prudenza e con piena cognizione, da un lato, della possibilità che siffatti eventi si verifichino e, dall’altro, delle conseguenze che essi potrebbero comportare per quanto riguarda la durata della prestazione di servizi legali di cui trattasi [sentenza del 12 gennaio 2023, D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria), C‑395/21, EU:C:2023:14, punto 43].
73 Nel caso di specie spetterà al giudice del rinvio valutare, tenendo conto delle specifiche caratteristiche della clausola di cui trattasi nel procedimento principale e di tutte le pertinenti circostanze della conclusione del contratto del 14 gennaio 2009, se le informazioni comunicate dal professionista prima della conclusione di tale contratto abbiano consentito al consumatore di prendere la sua decisione con prudenza e con piena cognizione delle conseguenze finanziarie derivanti dalla conclusione di detto contratto [v., per analogia, sentenza del 12 gennaio 2023, D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria), C‑395/21, EU:C:2023:14, punto 44].
74 Per quanto riguarda le caratteristiche di una clausola, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che stabilisce l’importo della remunerazione del prestatore di servizi sulla base di una percentuale fissa dei redditi futuri della controparte contrattuale per un periodo determinato, occorre rilevare che una simile clausola può, di per sé, essere considerata idonea a consentire all’interessato di valutare le conseguenze economiche che possono derivare, per lui, da tale clausola, solo a condizione che essa descriva in modo preciso i redditi di cui trattasi. Spetterà al giudice del rinvio verificare se l’indicazione, contenuta nel contratto del 14 gennaio 2009, che la remunerazione del prestatore di servizi è calcolata sulla base di una percentuale fissa di tutti i redditi netti derivanti da eventi di gioco, pubblicitari, di marketing e mediatici connessi allo sport di cui trattasi può, di per sé, essere considerata rispondente a un tale grado di precisione. È altresì necessario che la natura dei servizi forniti a fronte della remunerazione prevista possa essere ragionevolmente compresa o dedotta a partire dal contratto considerato nel suo complesso (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Kiss e CIB Bank, C‑621/17, EU:C:2019:820, punto 43).
75 Spetta, in definitiva, al giudice del rinvio verificare se, alla data di conclusione del contratto del 14 gennaio 2009, l’interessato disponesse, per quanto riguarda sia la natura dei servizi da fornire da parte del professionista sia la base di calcolo dell’importo della remunerazione da versare come corrispettivo, di tutte le informazioni necessarie per consentirgli di valutare le conseguenze economiche del suo impegno.
76 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 5 della direttiva 93/13 dev’essere interpretato nel senso che non è redatta in modo chiaro e comprensibile, ai sensi di tale disposizione, una clausola di un contratto che si limita a prevedere che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un atleta s’impegna a versare al prestatore di servizi una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, senza che siano comunicate al consumatore, prima della conclusione di detto contratto, tutte le informazioni necessarie per consentirgli di valutare le conseguenze economiche del suo impegno.
Sulla quinta questione
77 Con la sua quinta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che una clausola di un contratto che prevede che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, determina a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, ai sensi di tale disposizione, nel caso in cui tale clausola non stabilisca un nesso tra il valore della prestazione fornita e il suo costo per il consumatore.
78 A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la competenza di quest’ultima in materia verte sull’interpretazione delle nozioni della direttiva 93/13, nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale sotto il profilo delle disposizioni di quest’ultima, fermo restando che spetta a detto giudice pronunciarsi, in base ai criteri sopra citati, sulla qualificazione concreta di una specifica clausola contrattuale in funzione delle circostanze proprie del caso di specie. Ne risulta che la Corte deve limitarsi a fornire al giudice del rinvio indicazioni che quest’ultimo dovrà prendere in considerazione [sentenza del 13 luglio 2023, Banco Santander (Riferimento a un indice ufficiale), C‑265/22, EU:C:2023:578, punto 50].
79 L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti da tale contratto.
80 Nell’ambito della valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale non negoziata individualmente, che spetta al giudice nazionale effettuare in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, esso è tenuto a valutare, in considerazione di tutte le circostanze della controversia, in un primo momento, la possibile violazione del requisito della buona fede e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio a danno del consumatore, ai sensi di tale disposizione [sentenza del 13 luglio 2023, Banco Santander (Riferimento a un indice ufficiale), C‑265/22, EU:C:2023:578, punto 63].
81 Al fine di precisare tali nozioni, occorre ricordare, da un lato, relativamente alla questione di quali siano le circostanze in cui un tale squilibrio è determinato «in contrasto con il requisito della buona fede», che, alla luce del sedicesimo considerando della direttiva 93/13, il giudice nazionale deve verificare se il professionista, trattando in modo leale ed equo con il consumatore, potesse ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse a una clausola del genere nell’ambito di un negoziato individuale [sentenza del 13 luglio 2023, Banco Santander (Riferimento a un indice ufficiale), C‑265/22, EU:C:2023:578, punto 64].
82 Dall’altro lato, al fine di determinare se una clausola crei, a danno del consumatore, un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, occorre tener conto, in particolare, delle disposizioni applicabili nel diritto nazionale in mancanza di un accordo tra le parti, in modo da valutare se, ed eventualmente in che misura, tale contratto collochi tale consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale [sentenza del 13 luglio 2023, Banco Santander (Riferimento a un indice ufficiale), C‑265/22, EU:C:2023:578, punto 65].
83 Solo effettuando tale analisi comparativa il giudice nazionale potrà valutare se e, eventualmente, in che misura il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale.
84 Ciò posto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 91 delle sue conclusioni, anche altri fattori possono essere presi in considerazione per valutare la sussistenza di un significativo squilibrio, quali le pratiche di mercato leali ed eque alla data di conclusione del contratto di cui trattasi relative alla remunerazione nel settore sportivo in questione o gli obblighi a cui un consumatore ragionevolmente informato poteva prevedere di essere soggetto in considerazione di tali pratiche.
85 Infine, in conformità all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice nazionale è tenuto a valutare il carattere abusivo di una clausola contrattuale tenendo conto della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento in cui tale contratto è concluso, a tutte le circostanze che accompagnano la sua conclusione, nonché a tutte le altre clausole di detto contratto o di un altro contratto da cui esso dipende [v., in tal senso, sentenza del 4 luglio 2024, Caixabank e a. (Controllo di trasparenza nell’azione collettiva), C‑450/22, EU:C:2024:577, punto 29 e giurisprudenza ivi citata].
86 Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle sue conclusioni, il giudice del rinvio dovrà tener conto di diversi elementi propri al contratto del 14 gennaio 2009, come il fatto che, per sua stessa natura, tale contratto comportava un elemento di alea per A. Infatti, detto contratto prevedeva che la remunerazione dovuta ad A era esigibile solo a condizione che i redditi raggiungessero un importo pari ad almeno EUR 1 500 mensili, che C poteva recedere unilateralmente da tale contratto senza versare alcuna indennità nel caso, in particolare, decidesse di non proseguire la sua carriera professionistica o, ancora, che i servizi prestati da A venivano forniti senza garanzia che C avrebbe conseguito il risultato auspicato, vale a dire diventare un professionista. (v., per analogia, sentenza del 16 marzo 2010, Olympique Lyonnais, C‑325/08, EU:C:2010:143, punto 42).
87 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dev’essere interpretato nel senso che una clausola di un contratto che prevede che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, non determina a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, ai sensi di tale disposizione, per il solo fatto che tale clausola non stabilisce un nesso tra il valore della prestazione fornita e il suo costo per il consumatore. Infatti, la sussistenza di un simile squilibrio dev’essere valutata alla luce, in particolare, delle norme applicabili nel diritto nazionale in mancanza di accordo tra le parti, delle pratiche di mercato leali ed eque alla data di conclusione del contratto relative alla remunerazione nel settore sportivo di cui trattasi, nonché di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione di detto contratto e di tutte le altre clausole di quest’ultimo o di un altro contratto da cui esso dipende.
Sulla sesta questione
88 Con la sua sesta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale che abbia constatato che una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore ha carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, riduca l’importo dovuto dal consumatore fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi nell’ambito dell’esecuzione di tale contratto.
89 A tal riguardo, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 stabilisce che gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.
90 Tale disposizione costituisce una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (sentenza del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito, C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 38).
91 In tali circostanze, detta disposizione dev’essere considerata una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 54), sicché una clausola abusiva dev’essere considerata mai esistita.
92 Per quanto riguarda la possibilità, per un giudice nazionale che abbia accertato che una clausola di un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore ha carattere abusivo, di rivedere il contenuto di tale clausola invece di escluderne semplicemente l’applicazione nei confronti del consumatore, occorre rilevare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non può essere interpretato nel senso che consente al giudice nazionale di ricorrere a una possibilità del genere (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 71).
93 Se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto delle clausole abusive contenute in tale contratto, una facoltà del genere potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva 93/13. Infatti, tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di dette clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare le clausole stesse, sapendo che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 54).
94 Il contratto in questione può, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, essere mantenuto purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto senza le clausole abusive sia giuridicamente possibile, il che va verificato secondo un approccio obiettivo (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 39).
95 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla sesta questione dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale che abbia constatato che una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore ha carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, riduca l’importo dovuto dal consumatore fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi nell’ambito dell’esecuzione di tale contratto.
Sulle questioni settima e ottava
96 Non occorre rispondere alle questioni settima e ottava, in quanto esse sono state sollevate solo per l’ipotesi di una risposta negativa alla terza questione.
Sulla nona questione
97 Con la sua nona questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13, letta alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, debba essere interpretata nel senso che, nel caso in cui una clausola di un contratto preveda che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un consumatore s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, la circostanza che il consumatore fosse minorenne al momento della conclusione di detto contratto e che quest’ultimo sia stato concluso dai genitori del minore a nome dello stesso è rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo di una simile clausola.
98 Occorre ricordare che l’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.
99 Nel caso di specie, in risposta alla prima questione, la Corte ha accertato l’applicabilità della direttiva 93/13 a un contratto come quello di cui trattasi nel procedimento principale, sicché il quadro normativo nazionale nel quale si colloca il procedimento principale costituisce un’attuazione di tale direttiva e, quindi, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta.
100 Di conseguenza, il giudice del rinvio, quando applica la direttiva 93/13, è tenuto a rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, tra i quali figurano quelli previsti agli articoli 17 e 24 di quest’ultima, che riguardano, rispettivamente, il diritto di proprietà e i diritti del minore.
101 Per quanto riguarda, in particolare, i diritti del minore, garantiti all’articolo 24 della Carta, essi comportano, segnatamente, l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore in via preminente in tutti gli atti relativi ai minori.
102 Di conseguenza, sebbene la direttiva 93/13 non faccia riferimento ai consumatori minorenni, risulta tuttavia dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, nonché dall’articolo 3, paragrafo 1, della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 20 novembre 1989, al quale si riferiscono espressamente le spiegazioni relative all’articolo 24 della Carta, che l’interesse superiore del minore deve non solo essere preso in considerazione nella valutazione del merito delle domande riguardanti minori, ma anche influire sul processo decisionale che conduce a tale valutazione, mediante garanzie procedurali particolari. Infatti, come rilevato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, l’espressione «interesse superiore del minorenne», ai sensi di tale articolo 3, paragrafo 1, fa riferimento, al contempo, a un diritto sostanziale, a un principio interpretativo e a una regola procedurale [sentenza dell’11 giugno 2024, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Donne che si identificano nel valore della parità tra i sessi), C‑646/21, EU:C:2024:487, punto 73].
103 Ciò posto, l’obbligo di tenere in conto l’interesse superiore del minore, che grava segnatamente sul giudice del rinvio, non esclude che tale giudice possa, nel caso di specie, prendere in considerazione la circostanza che i genitori di C, che lo rappresentavano al momento della conclusione del contratto del 14 gennaio 2009, avevano essi stessi conoscenza dell’ambiente sportivo professionistico o il fatto che C aveva 17 anni alla data di conclusione di tale contratto.
104 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla nona questione dichiarando che la direttiva 93/13, letta alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, dev’essere interpretata nel senso che, nel caso in cui una clausola di un contratto preveda che, a fronte di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un consumatore s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, la circostanza che il consumatore fosse minorenne al momento della conclusione di detto contratto e che quest’ultimo sia stato concluso dai genitori del minore a suo nome è rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo di una simile clausola.
Sulla decima questione
105 Non occorre rispondere alla decima questione, in quanto essa è stata sollevata solo per l’ipotesi di una risposta negativa alla prima questione.
Sulle spese
106 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,
devono essere interpretati nel senso che:
un contratto di servizi di supporto allo sviluppo e alla carriera di un atleta, concluso tra, da un lato, un professionista che esercita un’attività nel settore dello sviluppo degli atleti e, dall’altro, un minore «promessa», rappresentato dai suoi genitori, il quale, al momento della conclusione di tale contratto, non era ancora impiegato nel settore dello sport e, pertanto, aveva la qualità di consumatore, rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
2) L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 8 della direttiva 93/13
devono essere interpretati nel senso che:
una clausola contrattuale che prevede che, a fronte della prestazione di servizi di supporto allo sviluppo e alla carriera in un determinato sport, menzionati nel contratto, il giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione. Di conseguenza, un giudice nazionale può, in linea di principio, valutare, alla luce dell’articolo 3 di tale direttiva, il carattere abusivo di una simile clausola solo se giunge alla conclusione che essa non è formulata in modo chiaro e comprensibile. Tuttavia, le citate disposizioni non ostano a una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo di detta clausola anche qualora essa sia formulata in modo chiaro e comprensibile.
3) L’articolo 5 della direttiva 93/13
dev’essere interpretato nel senso che:
non è redatta in modo chiaro e comprensibile, ai sensi di tale disposizione, una clausola di un contratto che si limita a prevedere che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un atleta s’impegna a versare al prestatore di servizi una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, senza che siano comunicate al consumatore, prima della conclusione di detto contratto, tutte le informazioni necessarie per consentirgli di valutare le conseguenze economiche del suo impegno.
4) L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13
dev’essere interpretato nel senso che:
una clausola di un contratto che prevede che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, non determina a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, ai sensi di tale disposizione, per il solo fatto che tale clausola non stabilisce un nesso tra il valore della prestazione fornita e il suo costo per il consumatore. Infatti, la sussistenza di un simile squilibrio dev’essere valutata alla luce, in particolare, delle norme applicabili nel diritto nazionale in mancanza di accordo tra le parti, delle pratiche di mercato leali ed eque alla data di conclusione del contratto relative alla remunerazione nel settore sportivo di cui trattasi, nonché di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione di detto contratto e di tutte le altre clausole di quest’ultimo o di un altro contratto da cui esso dipende.
5) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13
dev’essere interpretato nel senso che:
esso osta a che un giudice nazionale che abbia constatato che una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore ha carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, riduca l’importo dovuto dal consumatore fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi nell’ambito dell’esecuzione di tale contratto.
6) La direttiva 93/13, letta alla luce dell’articolo 17, paragrafo 1, e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
dev’essere interpretata nel senso che:
nel caso in cui una clausola di un contratto preveda che, come corrispettivo di una prestazione di servizi di supporto allo sviluppo sportivo e alla carriera, un consumatore s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi alla conclusione di tale contratto, la circostanza che il consumatore fosse minorenne al momento della conclusione di detto contratto e che quest’ultimo sia stato concluso dai genitori del minore a suo nome è rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo di una simile clausola.
Firme
* Lingua processuale: il lettone.
i Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.
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