Cassazione 2025 – la decisione della Cassazione del 3 luglio 2025, n. 18189, affronta un tema di grande rilevanza nel diritto del lavoro: la possibilità per il datore di lavoro di attribuire al dipendente, come trattamento di miglior favore, una qualifica superiore a quella che gli spetterebbe in base alle mansioni effettivamente svolte. Analizziamo nel dettaglio i punti salienti di questa pronuncia e le implicazioni giuridiche che ne derivano.
1. **Principio generale sulla qualifica e le mansioni**
L’articolo 2103 del codice civile stabilisce che la qualifica di un lavoratore deve corrispondere alle mansioni per le quali è stato assunto, al fine di tutelare i diritti del lavoratore stesso. Questa norma mira a garantire che il livello di responsabilità, retribuzione e trattamento siano proporzionati alle funzioni effettivamente svolte. Tuttavia, la pronuncia in oggetto chiarisce che tale principio può essere derogato, in via di trattamento di favore, dal datore di lavoro.
2. **Derogabilità della norma a favore del lavoratore**
La Corte di Cassazione afferma che la attribuzione di una qualifica superiore come “miglior favore” del lavoratore è ammissibile, anche se la modifica non risulta totalmente favorevole al lavoratore stesso, purché risponda a un interesse apprezzabile delle parti e non contrasti con norme imperative. In particolare, la possibilità di derogare al principio dell’art. 2103 si basa sulla autonomia negoziale e sulla volontà delle parti di concordare condizioni diverse da quelle standard, purché non eliminino o eludano norme di ordine pubblico, come il divieto di contratti di lavoro a tempo determinato.
3. **Significato di “trattamento di miglior favore”**
Il trattamento di miglior favore si configura come una tutela supplementare per il lavoratore, che può essere riconosciuta anche attraverso l’attribuzione di una qualifica superiore rispetto a quella strettamente richiesta o prevista dalle mansioni svolte. La pronuncia sottolinea che questa attribuzione può essere fatta indipendentemente dalla corrispondenza effettiva delle mansioni alla qualifica superiore, e non necessita di una verifica puntuale delle attività svolte in confronto alle categorie contrattuali.
4. **Rilevanza della sentenza e riferimenti giurisprudenziali**
La decisione si inserisce in un orientamento consolidato della giurisprudenza, che ha già affermato, ad esempio con la Cassazione n. 1068/1997, che la qualifica può essere attribuita anche in assenza di corrispondenza reale tra mansioni e categoria, purché si tratti di un atto di favore e non di un tentativo di elusione delle norme. Analogamente, la Cassazione n. 133267/2002 ha precisato che la qualificazione di dirigente, anche se non rispecchia le mansioni effettivamente svolte, può essere riconosciuta come legittima se effettuata come trattamento di favore.
5. **Implicazioni pratiche**
Questa pronuncia rafforza la possibilità per il datore di lavoro di riconoscere, anche in modo “simbolico” o di cortesia, qualifiche superiori ai propri dipendenti, senza che ciò costituisca una violazione delle norme sul rapporto di lavoro. Ciò può avere effetti positivi per il lavoratore in termini di percezione di valorizzazione e, in alcuni casi, di maggiori diritti o prerogative.
**In conclusione**, la sentenza della Cassazione del 2025 chiarisce che l’attribuzione di una qualifica superiore, come trattamento di favore, rappresenta una possibilità legittima e tutelata dall’ordinamento, purché rispetti i principi di autonomia negoziale e non contrasti con le norme imperative. Tale interpretazione favorisce una maggiore flessibilità contrattuale e riconosce la libertà delle parti di stabilire accordi che vadano oltre le mere esigenze di corrispondenza tra mansioni e qualifiche, sempre nel rispetto delle regole di ordine pubblico.
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 3 luglio 2025, n. 18189
Fatti di causa
La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza in atti, in accoglimento dell’appello proposto da XXXXX avverso la sentenza del tribunale, ha accertato il diritto dell’appellante a percepire dal 25/10/2006 il trattamento economico previsto dal CCNL per il III livello e l’indennità di maneggio danaro ed ha quindi condannato XXXXX Srl a pagare allo XXXXX la somma complessiva di euro 27.617,87 per differenze retributive e TFR relative ai suddetti titoli, oltre accessori; ha respinto l’appello incidentale proposto da XXXXX Srl e condannato la stessa al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
A fondamento della sentenza, la Corte ha rilevato che le mansioni in concreto svolte dal XXXXX non erano di concetto e non erano riconducibili al III livello rientrando nelle figure professionali tipiche del IV livello (contabile d’ordine, cassiere comune, commesso alla vendita al pubblico, eccetera).
Tuttavia, potendo il datore attribuire al dipendente, come trattamento di miglior favore, una qualifica superiore a quella che gli spetterebbe in base alle mansioni effettivamente svolte, nel caso di specie il riconoscimento del III livello era stato pacificamente conferito al lavoratore dall’amministratrice delegata M.XXXXX dotata dei poteri di rappresentanza e la cui eventuale carenza non era comunque opponibile al lavoratore; eventuali limiti ai poteri di rappresentanza della stessa XXXXX derivanti dalla sua qualità di XXXXX D. “non erano iscritti” e “neppure è stato dedotto e provato che il sig. XXXXX abbia agito intenzionalmente… a danno della società”, come recita l’art. 2384 c.c., comma 2”.
Spettava inoltre al lavoratore, l’indennità di maneggio denaro ai sensi dell’art. 198 del CCNL, essendo sufficiente allo scopo che il lavoratore fosse adibito ad operazioni di cassa “normalmente” e con carattere di “continuità”.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione XXXXX Srl con sette motivi di ricorso ai quali ha resistito con controricorso XXXXXM.
Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienzXXXXX Il collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni dall’udienzXXXXX
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce ex art. 360 n. 3 la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. avendo la Corte commesso un errore di sussunzione per mancata qualificazione giuridica del contratto oggetto del procedimento.
2. Con il secondo motivo ex art. 360 n.3 si deduce la violazione degli artt. 111, c 6 Cost., 161 c.1 e 132 c. 2 n.4 c.p.c. e art. 118 disp. att. cpc perché la Corte avrebbe omesso di esporre le ragioni giuridiche della decisione e in particolare di procedere alla qualificazione giuridica del contratto e di indicare le norme applicabili e applicate ai fini della decisione.
3. Con il terzo motivo di ricorso ex art. 360 n.3 si denuncia la violazione degli artt. 115 cpc, 1362 e ss. , art. 2094, 1324, 1325, 1418 c.2, 1421 c.c. perché la Corte avrebbe errato nel non porre a fondamento fatti definitivamente accertati.
4. Con il quarto motivo si sostiene ex art.360 n.3 la violazione degli artt. 770, 769, 1325 c 1 n.2, 782, 1325 c.1 n.3, 782 e 1325 c1 n.4, 782 e 1325 c 1 n.4 c.c . perché la Corte avrebbe errato nella parte in cui afferma che il lavoratore ha prestato consenso al trattamento migliorativo, laddove ai sensi dei suindicati articoli non è necessario nessun consenso esplicito bastando un’accettazione implicitXXXXX
5. Con il quinto motivo di deduce ex art.360 n.3 la violazione degli artt. 111 c. 6 Cost., 161 c.1 e 132 c.2 n.4 cpc 116 disp. att. e 115 cpc e degli artt. 1324, 1325 c.1 pt 2, 1421, 1418 c. 2 c.c. perché la Corte avrebbe errato nell’omettere nella motivazione fatti definitivamente accertati non posti a fondamento della decisione.
6. Con il sesto motivo ex art. 360 n.3 si sostiene la violazione degli artt. 2384 c. 1, 2476, 2247, 2380 bis, 2328 c.c . ed art. 115 c.p.c. perché la Corte non avrebbe considerato che il rapporto di lavoro rientra nell’alveo dei contratti a prestazioni corrispettive, il lavoratore non avrebbe mai svolto le mansioni tipiche della qualifica superiore e tra l’atto di attribuzione e le mansioni non sussisterebbe alcun collegamento.
7. Con il settimo motivo di denuncia la violazione ex art. 360 n. 3 degli artt. 2479 c 2 cc, 12 disp. sulla legge in generale e falsa applicazione dell’art. 2384 c.c., perché la Corte di appello avrebbe applicato falsamente l’art. 2384 c.c. violando anche l’art. 2479 c. 2 n.5. c.c.
8. I motivi di ricorso possono essere esaminati unitariamente per la connessione delle censure e devono essere disattesi.
9. Anzitutto vanno rigettate le censure relative ad asseriti difetti di motivazione ed a pretese omesse valutazioni di “fatti definitivamente accertati”.
Occorre allo scopo considerare anzitutto che il vizio di motivazione può essere censurato in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 cpc solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico contenuto nella impugnata pronunciXXXXX
10. Per quanto riguarda la selezione del materiale probatorio va ricordato che il potere di selezionare e valutare le prove idonee ai fini della dimostrazione del fatto appartiene al giudice di merito e non può essere sindacato in questa sede di legittimità.
11. Inoltre non configura vizio deducibile in sede di legittimità l’omessa valutazione di un fatto probatorio in quanto tale (“fatti accertati”); posto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
12. Occorre altresì rilevare che il ricorso è pure imperniato su difese connotate da rilevanti novità rispetto a quanto risulta dalla sentenza impugnata e che quindi non si sottraggono dal vizio di inammissibilità posto che non indicano dove, come e quando le stesse questioni siano state ritualmente e tempestivamente sollevate davanti ai giudici di primo grado e di appello.
Si fa riferimento in particolare alle questioni relative alla qualificazione del contratto, alla asserita donazione, alle nullità, alla assenza di causa giuridica, al difetto di potere di rappresentanza derivante da preteso esercizio di poteri eccedenti.
13. Le denunce che attengono al riconoscimento della qualifica superiore sono altrettanto prive di fondamento essendo ius receputm che è legittima l’attribuzione al lavoratore, quale trattamento di favore, di una qualifica superiore a quella corrispondente alle mansioni svolte, qualifica che in tal caso prescinde dalla verifica della corrispondenza in concreto delle mansioni svolte a quelle contemplate dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 1068 del 05/02/1997).
La tesi è stata correttamente riaffermata dalla Corte di appello che ha accertato l’esistenza dei poteri di rappresentanza in capo all’amministratrice delegata M.XXXXX dotata dei poteri di rappresentanza e la cui eventuale carenza non era opponibile al lavoratore.
Essa fa chiaro riferimento al contratto di lavoro subordinato e richiama la giurisprudenza di legittimità che ad esso di riferisce; ed è stata ribadita da Cass. n. 13326 del 12/09/2002, la quale ha avuto modo di chiarire che “Il riconoscimento ad un lavoratore della qualifica di dirigente a prescindere dalla corrispondenza della stessa alle mansioni effettivamente svolte e la successiva stipulazione con lo stesso di una clausola di durata del rapporto di lavoro non possono ritenersi in contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.
Il principio fondamentale desumibile dall’art. 2103 cod. civ., secondo cui la qualifica deve corrispondere alle mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto, infatti, essendo stabilito a tutela dei diritti del lavoratore, può essere derogato in suo favore, anche nel caso in cui la deroga alla contrattazione collettiva non sia totalmente favorevole al lavoratore, ma presenti aspetti a lui sfavorevoli, in quanto la deroga costituisce legittima espressione di autonomia negoziale se risponde ad un apprezzabile interesse delle parti e non ha finalità elusive di norme imperative, e in particolare di quelle concernenti il divieto di contratti di lavoro a tempo determinato.
14. Complessivamente, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.
15. Sussistono altresì le condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 3.500,00 per compensi e € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli altri oneri di legge;
ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater d.p.r. numero 115 del 2000, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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