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12 aprile 2025

Tar 2025- Il caso in esame riguarda un ricorso presentato da un militare dell'Arma dei Carabinieri contro il rigetto di un precedente ricorso gerarchico in merito a una sanzione disciplinare inflitta per un comportamento ritenuto inadeguato. La sanzione, in forma di "rimprovero", è stata emessa il 8 luglio ...., in relazione a un episodio risalente al 4 settembre .....

 

Tar 2025- Il caso in esame riguarda un ricorso presentato da un militare dell'Arma dei Carabinieri contro il rigetto di un precedente ricorso gerarchico in merito a una sanzione disciplinare inflitta per un comportamento ritenuto inadeguato. La sanzione, in forma di "rimprovero", è stata emessa il 8 luglio ...., in relazione a un episodio risalente al 4 settembre .....

### Contesto del caso

Il graduato ha depositato presso la Procura della Repubblica di .... un'“annotazione di servizio” utilizzando l'intestazione del proprio reparto e l'emblema dello Stato. In questa annotazione, il militare ha esposto episodi di natura privata, specificamente un presunto illecito subìto durante la procedura di rinnovo della sua patente nautica. L'Amministrazione ha ritenuto che tale condotta fosse inappropriata per vari motivi:

1. **Utilizzo di Intestazione Ufficiale**: Il fatto di utilizzare l'intestazione del reparto e l'emblema dello Stato per questioni private è visto come un abuso della propria posizione. Questo comportamento può dare l'impressione di un coinvolgimento istituzionale in questioni personali, che va contro i principi di imparzialità e neutralità del corpo militare.

2. **Omissione di Comunicazione ai Superiori**: Il ricorrente non ha informato i suoi superiori riguardo a questa annotazione. Questo aspetto è cruciale in un contesto militare, dove la comunicazione e la gerarchia sono fondamentali. La mancata informazione potrebbe essere interpretata come un tentativo di gestire una situazione personale al di fuori delle procedure istituzionali, compromettendo così la trasparenza e l'affidabilità del servizio.

3. **Impatto sull'Amministrazione**: L'Amministrazione ha sostenuto che il comportamento del graduato ha creato disservizi e ha avuto riflessi negativi sul prestigio personale e dell'Istituzione. In un contesto in cui la reputazione e la fiducia nel corpo dei Carabinieri sono cruciali, qualsiasi azione che possa compromettere tali aspetti è generalmente trattata con rigore.

### Considerazioni giuridiche

Il ricorso si basa su questioni di diritto amministrativo e disciplinare. Il militare ha contestato la sanzione, ma dovrà dimostrare che la decisione dell'Amministrazione è stata infondata o sproporzionata. La difesa potrebbe argomentare che:

- La condotta non ha avuto un impatto significativo sul servizio o sull'immagine dell'Arma.
- La sanzione è stata applicata in modo eccessivo rispetto alla gravità dell'azione intrapresa.
- È importante considerare il contesto personale e le circostanze che hanno portato il graduato a presentare la denuncia.

### Conclusione

La questione sollevata dal ricorrente offre spunti di riflessione sul delicato equilibrio tra l'azione personale e le responsabilità professionali dei membri delle forze armate. La decisione finale dovrà tener conto non solo delle norme disciplinari applicabili, ma anche della necessità di garantire la fiducia del pubblico nelle istituzioni militari. In definitiva, il caso rappresenta un interessante esempio di come le norme disciplinari siano applicate all'interno di un contesto gerarchico rigoroso come quello dell'Arma dei Carabinieri.

Pubblicato il 01/04/2025
N. 00431/2025 REG.PROV.COLL.
N. 01326/.... REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1326 del ...., proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato
contro
- Comando provinciale Carabinieri di ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di ...., domiciliataria ex lege in ...., ..
- Comando compagnia Carabinieri di ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di ...., domiciliataria ex lege in ...., V..;
per l'annullamento
- del provvedimento n. 181/14, adottato in data 8 luglio .... dal Comando compagnia Carabinieri di ...., notificato in pari data, contenente la sanzione disciplinare di corpo del “Rimprovero”;
- del provvedimento n. 381/12-.... del 25 ottobre .... del Comando provinciale Carabinieri di .... di rigetto del ricorso gerarchico;
nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e/o collegati, anteriori e successivi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comando provinciale Carabinieri di .... e del Comando compagnia Carabinieri di ....;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2025 il dott. Danilo Cortellessa e uditi l'avv. .. su delega orale dell'avv. Lucia Marina ...., per il ricorrente, e l'avv. dello Stato Fabiola Roccotelli, per la difesa erariale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, militare appartenente all’Arma dei Carabinieri, ha impugnato il rigetto del ricorso gerarchico avverso la sanzione disciplinare (anch’essa impugnata) del “rimprovero” che gli è stata inflitta l’8 luglio .... in relazione ad un comportamento tenuto il 4 settembre ..... In particolare, il graduato avrebbe depositato presso la Procura della Repubblica di ...., utilizzando intestazione del reparto di appartenenza con emblema dello Stato e qualificandosi quale militare dell’Arma dei Carabinieri, “annotazione di servizio” con la quale sarebbero stati esposti episodi privati (un presunto “illecito comportamento” subito dal ricorrente nell’ambito della procedura attivata per il rinnovo della sua patente nautica) che avrebbero potuto avere riflessi sul servizio, omettendo di darne partecipazione ai superiori gerarchici; tale condotta, secondo l’Amministrazione che ha irrogato la sanzione, avrebbe creato disservizio all’Amministrazione e riflessi negativi sul prestigio personale e dell’Istituzione.
1.1. In sintesi, il ricorrente ha contestato la sanzione disciplinare irrogatagli per i seguenti, plurimi motivi di gravame: i) violazione degli artt. 1465 e 1466 del d.lgs. n. 66/2010 (codice dell’ordinamento militare – C.O.M.) e degli artt. 3, 24, 32 e 97 della Costituzione, deducendo che l’atto depositato presso la Procura della Repubblica sarebbe stato compiuto quale privato cittadino; ii) violazione e falsa applicazione dell'art. 1355 del C.O.M. in relazione agli artt. 713, 717 e 748, comma 5, e 751, comma 2, del d.P.R. n. 99/2010 (testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare – T.U.O.M.), deducendo eccesso di potere, travisamento dei fatti e carenza istruttoria; iii) violazione delle norme in materia di partecipazione e difetto di motivazione; violazione degli artt. 1346 e 1355 C.O.M., in relazione alla erroneità nei presupposti e dei criteri (di proporzionalità) per l’irrogazione della sanzione; iv) violazione dell’art. 1046 n. 6 del T.U.O.M., in relazione al termine di conclusione del procedimento disciplinare.
1.2. Ha poi sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 748, comma 5, lett. b del d.P.R. n. 90/2010 – T.U.O.M., in relazione agli artt. 15, 24, 97 Cost.: secondo parte ricorrente, l’obbligo di informare i superiori comporterebbe una restrizione delle libertà costituzionali riconosciute ad ogni individuo. Su tale linea – richiamando anche la sentenza della Corte costituzionale n. 229/2018 – si è insistito con memoria difensiva, nella quale – sempre in relazione alla medesima norma – è stata avanzata anche istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
2. Per l’Amministrazione resistente, si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato, la quale ha depositato documenti istruttori e relazioni dell’Amministrazione che – nel ricostruire il procedimento di irrogazione della sanzione – hanno posto in rilievo, in obiezione ai motivi di gravame proposti dal ricorrente, le ragioni di fatto e di diritto a sostegno della potestà disciplinare esercitata dalla p.a.
3. Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2025, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Si rendono necessarie alcune preliminari considerazioni e puntualizzazioni – in termini giuridico-fattuali – sulla vicenda che ha portato all’irrogazione della sanzione al ricorrente, anche al fine di superare la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione all’art. 748, comma 5, lett. b), del d.P.R. n. 90/2010.
4.1. Va premesso che la questione è innanzitutto inammissibile in quanto riferita ad un atto di natura regolamentare e come tale sottratto al giudizio della Corte costituzionale. Poi, anche a voler attrarre al controllo – indiretto – del Giudice delle leggi la predetta norma, intendendo la stessa, in qualche modo, “rievocativa” o “integrativa” di una disposizione di rango primario (disposizione primaria che però non è stata individuata dal ricorrente), la questione – per come sollevata – si palesa comunque manifestamente infondata ed anche carente del requisito di rilevanza. Infatti, l’obbligo dei ogni militare di dare sollecita comunicazione al proprio comando o ente con riguardo agli “eventi in cui è rimasto coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio” (art. 748, comma 5, lett. b, del d.P.R. n. 90/2010) è norma assolutamente in linea con le peculiari caratteristiche degli ordinamenti militari (come quello di cui fa parte l’odierno ricorrente), i quali, anche per i delicati compiti istituzionali cui sono preposti i loro appartenenti, sono improntati ad una elevata e speciale gerarchia sotto il profilo organizzativo-funzionale. Peraltro, la scelta del legislatore di connotare gli “ordinamenti speciali” (non solo militari) di queste peculiarità organizzative e gestionali ben si giustifica considerando che a queste articolazioni pubbliche sono affidati compiti e funzioni attinenti alla tutela di interessi fondamentali e preminenti dello Stato (quali la difesa e la sicurezza), per la cui puntuale ed effettiva realizzazione sono state ritenute – ragionevolmente – necessarie talune specificità organizzative e funzionali, senza che ciò possa comunque scalfire – come paventa il ricorrente nell’ultima memoria difensiva – la democraticità cui restano pur sempre informati gli ordinamenti del tipo di quello in questione (cfr. art. 52 Cost). Non può sfuggire, inoltre, che il richiamo operato dalla difesa del ricorrente alla sentenza della Corte costituzionale n. 229/2018 (nel tentativo di corroborare la invocata incostituzionalità della citata norma regolamentare) si rivela inconferente. Infatti, nella predetta pronuncia della Consulta è stato esaminato – peraltro nell’ambito di un conflitto di attribuzioni – il rapporto tra il segreto investigativo e gli obblighi informativi degli appartenenti alle Forze di polizia; obblighi, come noto, consustanziali alla stessa efficienza operativa delle organizzazioni (militari) a spiccata gerarchia, com’è appunto l’Arma dei Carabinieri. Sempre nella stessa sentenza, si è dato atto delle complesse interferenze tra beni giuridici fondamentali – quali, da un lato, il segreto investigativo e, dall’altro, le esigenze di funzionalità di apparati dello Stato “speciali” – e si è richiamata anche una delibera del Consiglio superiore della Magistratura del 15 giugno 2017, nella quale è stato tracciato un punto di equilibrio tra i contrapposti interessi in gioco. Infatti, la decisione dell’Organo di autogoverno ha evidenziato che le segnalazioni ai superiori debbano limitarsi a riportare gli elementi essenziali del fatto, escludendo qualsiasi aspetto di interesse investigativo e con l’osservanza degli obblighi di cui al codice di procedura penale. Dunque, pronunciandosi (giova ribadirlo) sul conflitto di attribuzioni promosso da un Procuratore della Repubblica, la Corte ha ritenuto che la disposizione impugnata determinasse la trasformazione di un legittimo coordinamento informativo e organizzativo in una forma indebita di coordinamento investigativo, quindi in lesione delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria. Per queste ragioni, la Consulta ha statuito che “non spetta al Governo della Repubblica approvare una disciplina come quella contenuta nel secondo periodo dell’art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che va pertanto annullata”. In definitiva, in disparte la corretta portata da attribuire agli effetti promananti dalla citata pronuncia costituzionale, il caso all’odierno esame non pone alcuna frizione – neppure in via potenziale – sul delicato bilanciamento tra segreto investigativo e obblighi informativi degli appartenenti alle Forze di polizia.
4.2. Infatti, nella vicenda per cui è causa è accaduto che il ricorrente – nel denunciare (direttamente) alla Procura della Repubblica di .... un presunto “torto” subito da parte di un ufficio pubblico nell’ambito di un procedimento amministrativo finalizzato al rinnovo della patente nautica dello stesso ricorrente – ha ritenuto di qualificarsi quale appartenente all’Arma dei Carabinieri e di redigere, conseguentemente, un’annotazione di servizio recante l’intestazione dell’ufficio di appartenenza. Se da un lato il richiamo ad un (pur solo potenziale) segreto investigativo da tutelare appare quanto meno inappropriato (considerati anche l’assenza di una vera e propria indagine in atto e di un ordine puntuale ricevuto da parte dell’autorità giudiziaria), dall’altro lato non può ignorarsi che l’interessato, a tutto voler concedere, avrebbe comunque potuto (e dovuto) riferire ai suoi superiori la vicenda occorsa, anche solo in termini generici e non circostanziati, vieppiù dopo aver utilizzato una produzione documentale recante intestazione d’ufficio. Tanto si richiedeva al ricorrente proprio per evitare – quanto poi effettivamente accaduto – che dinanzi a presumibili sviluppi investigativi della sua denuncia (rectius: annotazione di servizio), con richieste informative dirette all’ufficio di appartenenza, quest’ultimo potesse trovarsi all’oscuro di tutto, subendo un disservizio ed anche un discredito sull’immagine dell’Istituzione. Volendo schematizzare i fatti occorsi: i) il dipendente ha dapprima scelto di denunciare gli episodi cui era stato (direttamente) coinvolto utilizzando un atto tipico di servizio (cioè l’annotazione); ii) dunque ha inopinatamente fatto affidamento sulla circostanza che il deposito dell’annotazione sarebbe stato comunicato alla sua Amministrazione di appartenenza dall’ufficiale di p.g. che aveva ricevuto l’atto presso la Procura della Repubblica (in tal modo dimostrando anche la consapevolezza della necessità dell’informazione ai superiori); iii) infine, dopo aver subito la sanzione disciplinare, ha in questa sede (auto)qualificato – errando – la propria attività come esercizio di un diritto costituzionale quale privato cittadino. In realtà, seppur la vicenda attenesse ad aspetti personali e privati, sta di fatto che il militare, oltre a qualificarsi, ha deciso di formalizzare l’episodio con un atto d’ufficio e questo imponeva a fortiori un dovere di partecipazione all’ente di appartenenza. Dunque, la corretta ricostruzione dell’accaduto porta a ritenere che nel caso di specie non viene in rilievo la questione (sopra succintamente richiamata) relativa al bilanciamento tra obblighi informativi dei militari e segreto investigativo, quanto, piuttosto, un’iniziativa personale del carabiniere che ha deciso di esercitare (formalmente e sostanzialmente) funzioni (di polizia giudiziaria) rivestite in quanto appartenente ad un Corpo dello Stato. Rispetto alla scelta di utilizzare un “atto di servizio” per documentare una vicenda “personale” e, soprattutto, rispetto alla decisione di non partecipare l’Amministrazione di appartenenza di quanto accaduto, è scattata la potestà disciplinare dell’Arma dei Carabinieri che ha irrogato del tutto legittimamente – per le ragioni anche appresso esplicitate – la sanzione del rimprovero.
5. Superata la questione di legittimità costituzionale, deve poi essere respinta anche l’istanza di rinvio pregiudiziale – ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – sollevata sempre in relazione all’art. 748, comma 5, lett. b), del d.P.R. n. 90/2010. Al riguardo, pur volendo tralasciare la genericità della richiesta di rimessione, non si ravvisano profili di contrasto con l’ordinamento euro-unitario, segnatamente, con le norme richiamate dal ricorrente: artt. 20, 21, 41, 47, 48, 49, 53 e 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; ciò non solo per la già esposta “specialità” ordinamentale delle amministrazioni di tipo militare, ma anche perché la normativa (di derivazione europea) sul cd. whistleblowing (ossia sulla segnalazione di illeciti) – che la difesa del ricorrente asseritamente considera lesa dalla predetta norma dell’ordinamento militare – mira a tutelare la «persona segnalante», dovendosi intendere, a tal fine, “la persona fisica che effettua la segnalazione o la divulgazione pubblica di informazioni sulle violazioni acquisite nell'ambito del proprio contesto lavorativo” (art. 2, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 24/2023). In altri termini, con la predetta normativa di stampo europeo, si vuole evitare che il dipendente che proattivamente denunci comportamenti, atti od omissioni che ledono l'interesse pubblico o l'integrità dell'amministrazione pubblica possa subire effetti pregiudizievoli proprio a seguito della segnalazione di illeciti. Si tratta, in definitiva, di una forma di protezione del segnalante (ossia del dipendente) che va distinta dal caso all’odierno esame, riguardante una “annotazione di servizio” in relazione ad un fatto, asseritamente illecito, ma posto in essere da un’Amministrazione diversa da quella di appartenenza del “segnalante”.
6. Si può dunque procedere all’esame delle censure mosse – sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo formale – al procedimento amministrativo che ha portato all’irrogazione della sanzione e al rigetto del ricorso gerarchico.
6.1. Innanzitutto, risulta priva di pregio la doglianza avanzata in relazione all’art. 1350 del C.O.M., secondo la quale il ricorrente – nella presentazione di una “annotazione di servizio” avrebbe agito quale “privato cittadino” nell’esercizio di un proprio diritto costituzionale di talché sarebbe esclusa, ai sensi dell’art. 1466 del C.O.M., l’applicabilità di sanzioni disciplinari. Orbene, pur volendo ignorare il nome dell’atto in questione (indicato anche dallo stesso interessato come “annotazione di servizio”) nonché l’uso dell’intestazione dell’ufficio di appartenenza (profili, entrambi, molto significativi), a fugare ogni dubbio, sul piano sostanziale, circa la corretta qualificazione giuridica dell’atto presentato dal ricorrente risulta dirimente la considerazione che l’attività di polizia giudiziaria – che lo stesso ricorrente, pur con qualche contraddizione, ha sostanzialmente riconosciuto di aver svolto nel caso di specie, quanto meno per aver invocato, seppur impropriamente, la tutela del segreto investigativo, ut supra – non può in alcun modo essere riferibile ad un privato cittadino; il militare – redigendo l’annotazione di servizio – ha esercitato le funzioni di polizia giudiziaria cui è istituzionalmente preposto (cfr. artt. 55 e 357 c.p.p.). Come anticipato sopra, non si tratta di esercizio di un diritto quale soggetto privato ma di esercizio di funzioni pubbliche, seppur in relazione ad una vicenda personale. Diversamente, se davvero avesse voluto agire da “privato cittadino”, il ricorrente avrebbe potuto sottoscrivere, semplicemente, un esposto, una denuncia ovvero una denuncia-querela, senza però “spendere” la propria qualifica e, soprattutto, senza utilizzare l’intestazione formale dell’ufficio di appartenenza. Il motivo si rivela quindi infondato poiché l’attività posta in essere dal ricorrente rientra pienamente nel focus dell’art. 1350 del C.O.M., a mente del quale “Le disposizioni in materia di disciplina militare, si applicano nei confronti dei militari che si trovino in una delle seguenti condizioni: a) svolgono attività di servizio; (…) d) si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”.
6.2. Da quanto appena chiarito deriva poi l’inconsistenza dell’ulteriore censura mossa, secondo la quale il fatto oggetto di sanzione non avrebbe avuto riflessi per l’ufficio. Invero, proprio la scelta sulla modalità di formalizzazione dell’episodio (portato a conoscenza della Procura della Repubblica di .... “per dovere d’ufficio e l’ulteriore corso di legge”) ha comportato un evidente “riflesso” per l’ufficio di appartenenza. Quest’ultimo, infatti, è risultato destinatario di una specifica richiesta da parte della Guardia di finanza in relazione al procedimento penale innescato dall’annotazione del militare. Soltanto all’esito di tale corrispondenza, l’Arma dei Carabinieri è venuta a conoscenza dell’annotazione (e dell’attività) di servizio del proprio dipendente.
6.3. Non colgono nel segno, poi, neppure i rilievi mossi in punto di contraddittorietà, ingiustizia manifesta, sviamento, nonché illogicità e adeguatezza motivazionale del provvedimento. Da quanto emerso in atti, deve ritenersi che l’inflizione della sanzione è stata correttamente motivata, peraltro all’esito di un’istruttoria puntuale, partecipata e completa, senza che possano assumere alcun rilievo le generiche ed apodittiche (ma indimostrate) accuse mosse all’azione amministrativa, paventando financo il fenomeno del mobbing e tralasciando, ancora una volta, la dirimente circostanza relativa all’appartenenza del ricorrente ad una organizzazione militare e alla conseguente sottoposizione – per una propria libera e consapevole scelta professionale – a vincoli gerarchici e di obbedienza più stringenti di ogni altro pubblico dipendente.
6.4. Va respinto, inoltre, il rilievo concernente la presunta violazione del termine di 90 giorni previsto al livello ordinamentale per la conclusione del procedimento disciplinare di corpo, cui è stato destinatario il ricorrente. Sul punto, non può essere condiviso l’assunto di parte secondo il quale “non è possibile che l’Ufficiale di P.G. anch’esso appartenente all’Arma dei Carabinieri, che ha ricevuto le segnalazioni e sentito a s.i.t. il ricorrente e quindi dato avvio a procedimento penale, NON [abbia] INFORMATO IN DETTA DATA [4 settembre ....] LA SCALA GERARCHICA COM’E’ PREVISTO”. Innanzitutto, l’ufficiale in servizio presso le Sezioni di polizia giudiziaria presso le procure della Repubblica – peraltro sottoposto, per la sua peculiare preposizione organica, al più intenso livello di dipendenza funzionale previsto per ufficiali e agenti di p.g. nei confronti dell’autorità giudiziaria – non era affatto tenuto ad informare dell’annotazione ricevuta l’ufficio del ricorrente. In ogni caso, resta comunque totalmente indimostrata la presunta, anticipata decorrenza del dies a quo circa la conoscenza del fatto contestato nel rimprovero inflitto. Si rivela invece lineare e coerente con la documentazione versata in atti quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente, secondo la quale l’annotazione all’origine del rilievo disciplinare è stata “scoperta” soltanto al momento dello scambio informativo tra le due Forze di polizia (la Guardia di Finanza richiedente e l’Arma dei Carabinieri, Istituzione di appartenenza del ricorrente). Con riferimento a tale momento – individuato correttamente nel 16 aprile ...., quando l’annotazione di servizio è stata trasmessa all’Arma dei Carabinieri – risultano pienamente rispettati non solo i parametri di congruità e ragionevolezza per l’avvio del procedimento, ma anche il predetto termine – di 90 giorni – di conclusione del procedimento sanzionatorio, il quale è culminato nell’inflizione del rimprovero dell’8 luglio .....
6.5. Da ultimo, va respinta anche la doglianza sulla presunta violazione del principio di proporzionalità, tenuto conto che la tipologia della sanzione inflitta – rimprovero scritto, provvedimento di corpo (e non di stato) – è già di per sé ostativa alla qualificazione dell’invocata violazione del parametro di ragionevolezza se solo si considera che gli effetti del provvedimento gravato attengono ad una (mera) finalità in senso lato “rieducativa” affinché, per il futuro, l’incolpato possa essere più rispettoso dell’ordinamento militare, con conseguente effetto dissuasivo dal compimento di ulteriori infrazioni. A ciò si aggiunga pure che nell’ambito delle sanzioni di corpo – tipologia ex se più blanda rispetto alle sanzioni di stato cui conseguono effetti giuridici ed economici ben più penalizzanti – il rimprovero scritto si pone, in una scala graduale di “afflittività” crescente, alla seconda posizione su quattro sanzioni previste. Dunque, nessun dubbio può residuare sulla correttezza dell’operato dell’Amministrazione resistente anche in termini di proporzionalità della azione amministrativa esercitata nell’ambito del potere sanzionatorio (peraltro altamente discrezionale) di cui la stessa Amministrazione è attributaria.
7. Per tutto quanto sopra esposto, i motivi di ricorso si rivelano tutti infondati, unitamente alle questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità con il diritto dell’Unione europea, pertanto, il ricorso deve essere respinto con conseguente reiezione della connessa istanza risarcitoria. La particolarità della fattispecie, ragioni di equità e la limitata attività difensiva dell’Avvocatura erariale giustificano comunque la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in ...., nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2025, con l'intervento dei magistrati:
Carlo Dibello, Presidente FF
Lorenzo Mennoia, Referendario
Danilo Cortellessa, Referendario, Estensore
         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Danilo Cortellessa        Carlo Dibello
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

 

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