Translate

13 luglio 2025

Consiglio di Stato 2025- la sentenza analizza le argomentazioni dell’appellante nel contesto di un contenzioso riguardante il beneficio della “promozione alla vigilia” previsto dall’art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, e la sua eventuale tutela dopo l’abrogazione di tale norma ad opera dell’art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014.

 

Consiglio di Stato 2025- la sentenza  analizza le argomentazioni dell’appellante nel contesto di un contenzioso riguardante il beneficio della “promozione alla vigilia” previsto dall’art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, e la sua eventuale tutela dopo l’abrogazione di tale norma ad opera dell’art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014.

**1. Notifiche e soggetti coinvolti**  
L’appellante chiarisce che le notifiche dell’originario ricorso e dell’appello sono state effettuate “soltanto per conoscenza” all’INPS, in quanto ente preposto all’erogazione del trattamento pensionistico, e non come soggetto parte del giudizio. Ciò potrebbe avere rilevanza in termini di rispetto del contraddittorio e di efficacia delle notifiche, ma non modifica sostanzialmente la formulazione delle questioni giuridiche.

**2. La questione principale: interpretazione della norma e decorrenza degli effetti**  
L’appellante sostiene che l’interpretazione fornita dal TAR ha distorto il significato della norma abrogata (art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005). In particolare, si evidenzia che:

- La norma abrogativa (art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014) ha abrogato esplicitamente l’art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005. Tuttavia, questa abrogazione non avrebbe effetti retroattivi sui fatti e rapporti già compiuti o sui diritti acquisiti sotto il vigore della norma abrogata, in virtù dei principi di diritto intertemporale, in particolare del principio “tempus regit actum” (il diritto applicabile è quello vigente al momento della maturazione dei diritti).

- La norma abrogante non disponeva di disposizioni transitorie, pertanto i diritti già acquisiti o fatti già compiuti prima dell’abrogazione devono essere tutelati secondo la normativa in vigore al momento.

**3. La tutela della “promozione alla vigilia”**  
L’appellante argomenta che la “promozione alla vigilia” costituisce un istituto che poteva essere invocato e maturato durante la vigenza della norma, e che questa promozione si fondava su requisiti specifici (ratio legis, anzianità di almeno cinque anni nella qualifica di dirigente superiore, destinatari chiaramente individuati, e evento determinante rappresentato dalla cessazione dal servizio).

- In particolare, si sottolinea che il beneficio si attribuiva “alla vigilia” del pensionamento, ovvero prima dell’effettiva cessazione, e che il momento di quest’ultima (collocamento a riposo) è determinante per l’applicazione del beneficio.

- La norma abrogata non prevedeva un termine entro il quale la cessazione dovesse avvenire, né limitazioni temporali per il riconoscimento del beneficio. Pertanto, i dirigenti che avevano maturato i requisiti durante la vigenza della norma potevano vantare il diritto anche successivamente alla sua abrogazione, purché avessero cessato il servizio secondo i criteri previsti.

**4. La questione del momento del collocamento a riposo**  
L’appellante sostiene che:

- La norma abrogata non imponeva limiti temporali alla cessazione dal servizio, e che quindi la cessazione poteva avvenire anche dopo l’abrogazione, purché si avessero maturato i requisiti durante la vigenza della norma.

- L’Amministrazione ha erroneamente interpretato le norme nel senso che la cessazione dovesse avvenire entro il 31 dicembre 2014 per poter beneficiare della promozione alla vigilia, ignorando che la norma non prevedeva tale limite temporale.

- Di conseguenza, l’abrogazione ha inciso solo sui dirigenti che non avevano ancora maturato i requisiti entro quella data, mentre quelli che avevano già maturato i requisiti prima dell’abrogazione conservano il diritto alla promozione, anche se la cessazione avviene successivamente.

**5. Conseguenze pratiche e disparità di trattamento**  
L’appellante evidenzia che l’interpretazione restrittiva adottata dall’Amministrazione avrebbe prodotto una disparità di trattamento tra i dirigenti che avevano cessato il servizio entro il 31 dicembre 2014 e quelli che avevano maturato i requisiti prima di tale data ma sono rimasti in servizio oltre quella data. La corretta lettura delle norme, secondo l’appellante, porta alla conclusione che l’abrogazione non influisce sui diritti già maturati, e che il beneficio può essere riconosciuto anche ai dirigenti in pensione dopo l’abrogazione, purché durante la vigenza della norma abbiano maturato i requisiti.

**6. Conclusioni interpretative**  
In sintesi, l’appellante sostiene che:

- La norma abrogata (art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005) prevedeva un beneficio che poteva essere maturato durante la vigenza della norma stessa, senza limiti temporali precisi sulla cessazione del servizio.

- La norma abrogante ha eliminato l’istituto, ma non ha previsto disposizioni transitorie o limitazioni retroattive, né ha condizionato i diritti già acquisiti.

- Pertanto, i dirigenti che hanno maturato i requisiti durante la vigenza della norma e hanno cessato il servizio successivamente all’abrogazione conservano il diritto alla promozione alla vigilia, e l’Amministrazione ha errato nel ritenere che tale beneficio fosse cessato con l’abrogazione.

**7. Considerazioni finali**  
Il ragionamento dell’appellante si basa sui principi di legalità e tutela dei diritti acquisiti, nonché sull’interpretezione delle norme in modo da evitare disparità di trattamento e violazioni del diritto intertemporale. Il giudizio si concentra sulla corretta interpretazione delle norme e sulla loro applicazione ai fatti specifici, evidenziando come l’abrogazione di una norma non possa incidere retroattivamente sui diritti maturati durante la vigenza di quella norma, a meno che non siano previste disposizioni transitorie o espressamente retroattive.


Pubblicato il 09/07/2025
N. 05988/2025REG.PROV.COLL.
N. 00469/2024 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 469 del 2024, proposto da
.... ...., rappresentato e difeso dagli avvocati .... .... e .... ...., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati .... ..con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Stralcio) n. 10853/2023, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inps;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2025 il Cons. Giovanni Pascuzzi e udito per la parte appellante l’avvocato .... ....;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO
1. Il dott. .... .... chiede la riforma della sentenza del Tar per il Lazio n. 10853/2023 che ha rigettato l’originario ricorso (del 2016) integrato da motivi aggiunti (del 2017) proposti dallo stesso dott. ....:
- per l’accertamento del diritto al trattamento pensionistico di dirigente generale di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 1, comma 260, lettera b) della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nonché;
- per l’annullamento della nota del Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane, Servizio Trattamento di Pensione di Previdenza Divisione 1°, emessa in data 10 settembre 2014, avente ad oggetto il collocamento a riposo dell’odierno appellante con trattamento deteriore rispetto a quello dovuto ed ancora;
- per l’annullamento (atto di motivi aggiunti) del Decreto del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, in data 13 settembre 2017, notificato all’appellante il successivo 7 dicembre 2017, nella parte in cui ha previsto la nomina (id est, promozione) del medesimo appellante alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza soltanto a far tempo dal giorno successivo alla data del collocamento a riposo ed ancora nella parte in cui viene stabilito che tale promozione “non produce in nessun caso effetti sul trattamento economico, previdenziale e pensionistico”.
2. Le premesse in fatto possono essere così sintetizzate:
- il dott. .... .... adiva il Tar per il Lazio per ottenere l’accertamento del diritto al trattamento pensionistico come dirigente generale di pubblica sicurezza, e ciò ai sensi dell'art. 1, comma 260, lett. b) della legge 23 dicembre 2005 n. 266, contestando che il trattamento applicato al momento del suo pensionamento (1.3.2015) fosse corrisposto a quello deteriore di dirigente superiore;
- al contempo, egli impugnava la citata nota del Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le risorse umane, Servizio Trattamento di Pensione di Previdenza Divisione 1°, emessa in data 10 settembre 2014 a firma del Direttore della Divisione, avente ad oggetto il suo collocamento a riposo, nonché il decreto prefettizio, di estremi ignoti al momento della proposizione del ricorso, nella parte in cui sarebbe stata omessa l'indicazione al competente Ente di previdenza;
- in subordine, il dott. .... chiedeva la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 1, comma 258, della legge di stabilità 23 dicembre 2014 n. 190 «nella parte in cui abroga l'art. 1, comma 260, lett. b), della legge 23 dicembre 2005 n. 266, senza fare salva la posizione dei dirigenti superiori della Polizia di Stato che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2014 (data di abrogazione del citato art. 1, comma 260, della legge 266 del 2005), il requisito di cinque anni di anzianità nella qualifica e siano stati collocati in quiescenza in data successiva all'abrogazione della norma anzidetta - il tutto previa sospensione del presente giudizio»;
- la domanda proposta in giudizio è incentrata sulla disciplina della c.d. promozione alla vigilia, in sostanza prospettando il ricorrente che al momento della pensione avrebbe in realtà maturato il requisito necessario ad essere inquadrato come dirigente generale e che la disposizione contestata (art. 1, comma 258, della legge 190/2014) avrebbe ingiustamente compromesso la propria posizione così come, del resto, quella dei dirigenti con anzianità di almeno cinque anni nella qualifica di dirigente superiore.
3. A sostegno del ricorso di primo grado, si deduceva la violazione dell'art. 1, comma 258, della legge 190/2014; dell'art. 9, comma 21, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122; dell'art. l, comma 260, lett. b), della legge 23 dicembre 2005 n. 266, nonché l’eccesso di potere per difetto e contraddittorietà della motivazione; errore nei presupposti di fatto e di diritto; difetto d’istruttoria; illogicità ed ingiustizia manifesta; disparità di trattamento; violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento; illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014 n, 190 e dell'art. 9, comma 21, della citata legge n. 122 del 2010 per contrasto con gli ari 3, 38 e 97 della Costituzione; violazione dei principi di partecipazione, trasparenza, completezza della comunicazione dei provvedimenti impugnati; violazione degli artt. 1, 3, 4, 24, 35 e 36 della Costituzione; violazione del diritto alla giusta retribuzione; violazione dei principi di buona fede e dell'affidamento; violazione dell'art. 1, protocollo n. 1, CEDU.
Il ricorrente evidenziava che la norma che ha istituito dal 1° gennaio 2006, a favore dei dirigenti superiori della Polizia di Stato, la promozione alla vigilia (art. 1, comma 260, lett. b della legge 23 dicembre 2005 n. 266) è stata abrogata in data 31 dicembre 2014 dall'art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014 n. 190 e che tuttavia gli effetti abrogativi di tale ultima norma non potevano applicarsi alla situazione del dott. .....
Invero, il ricorrente aveva maturato i cinque anni nella qualifica di dirigente superiore, nella piena vigenza dell’art. 1, comma 260, lett. b, della legge 23 dicembre 2005 n. 266, cosicché tale circostanza doveva ritenersi un fatto compiuto che non poteva subire l’effetto negativo della successiva abrogazione.
In subordine, la dedotta incostituzionalità della disciplina contestata, per contrasto con gli art. 3, 38 e 97 della Costituzione, trovava riscontro nella violazione del principio del legittimo affidamento, in forza del quale - giustamente - il ricorrente aveva posto ogni aspettativa ed aveva pienamente maturato la titolarità del diritto a conseguire quanto di propria spettanza per i presupposti che egli aveva già ampiamente maturato al 31 dicembre 2014.
3.1- Con motivi aggiunti, il ricorrente impugnava il Decreto del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, emesso in data 13 settembre 2017, nella parte in cui prevede la nomina (id est, promozione) del ricorrente alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza soltanto a far tempo dal giorno successivo alla data del collocamento a riposo ed ancora nella parte in cui viene stabilito che tale promozione non produce in nessun caso effetti sul trattamento economico, previdenziale e pensionistico. Anche tale provvedimento risultava viziato per illegittimità derivata.
4. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti il Ministero dell’Interno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e l’INPS opponendosi al ricorso e chiedendone il rigetto.
5. Con sentenza n. 10853/2023 il Tar per il Lazio ha rigettato il ricorso.
5.1 In particolare il Tar ha ritenuto che:
- è piana la formulazione di cui all’art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre2014, n. 190, la quale ha previsto l’espressa abrogazione dell'intero comma 260 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 – che risalentemente ha regolato la disciplina riguardante la promozione alla vigilia – a far data dal 1°gennaio 2015, dunque prima della data di pensionamento del ricorrente (1° marzo 2015), senza prevedere alcuna disciplina transitoria o clausole di salvaguardia per coloro che, cessando dal servizio successivamente a tale data, avrebbero potuto vantare il possesso dei requisiti per l'accesso alla qualifica di dirigente generale previsto dalla legge oggi abrogata;
- non è contestato tra le parti, ai sensi dell’art. 64, comma 2 c.p.a., che il ricorrente, pur avendo maturato al 28.02.2015 una anzianità (6 anni e 2 mesi) che gli avrebbe potuto in linea astratta comportare l’attribuzione della qualifica di dirigente generale, non è stato, tuttavia, mai destinatario di alcun provvedimento attributivo di tale qualifica; cosicché la prospettata teoria dei diritti quesiti quale presupposto per l’accoglimento del ricorso finisce, quasi paradossalmente, per evidenziare un assunto diametralmente opposto, ossia che nell’ipotesi di riconoscimento della qualifica di dirigente generale resterebbero pregiudicati coloro che effettivamente sono stati destinatari di tale gratificazione in costanza di rapporto di impiego presso l’Amministrazione.
5.2 Il Tar ha ritenuto infondato il ricorso per motivi aggiunti, affermando che:
- tenuto conto che con l’impugnato decreto del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, emesso in data 13 settembre 2017, vale a dire circa due anni e mezzo dopo il pensionamento del ricorrente, quest’ultimo è stato promosso alla qualifica di Dirigente Generale di Pubblica Sicurezza, a decorrere dal giorno successivo alla cessazione dal servizio, in applicazione dell'art. 45, comma 21, del d.lgs. legislativo 29 maggio 2017, n. 95;
- un riconoscimento che, per espressa previsione normativa, è inidoneo a sostanziare il bene della vita azionato, e ciò alla luce della chiarezza e non equivocità delle disposizioni applicate dall’Amministrazione (“le disposizioni di cui al presente comma non possono produrre in nessun caso effetti sul trattamento di economico, previdenziale e pensionistico del personale medesimo”).
5.3 Il Tar ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, essendosi già pronunciato il giudice delle leggi nelle sentenze 5 maggio 2021 n. 92, il quale ha statuito che «l’istituto speciale della promozione “alla vigilia” era volto ad attenuare la rigidità del meccanismo di sviluppo della carriera militare che si caratterizzava, stante la struttura piramidale del relativo apparato, per un numero particolarmente limitato di posti nelle qualifiche superiori della scala gerarchica»: si tratta, pertanto, di un istituto connotato da profili di specialità e che non avrebbe potuto persistentemente essere applicato, indiscriminatamente e con effetto sostanzialmente automatico con riguardo agli emolumenti pensionistici, ad Amministrazioni –come il Ministero dell’Interno – caratterizzate da dotazioni organiche particolarmente numerose ed articolate.
6. Avverso la sentenza del Tar per il Lazio n. 10853/2023 ha proposto appello il dott. .... per i motivi che saranno più avanti analizzati.
7. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, e l’INPS chiedendo il rigetto dell’appello.
8. All’udienza del 3 luglio 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Parte appellante premette che controparti del presente giudizio sono esclusivamente le Amministrazioni dello Stato indicate in precedenza e che la notificazione dell’originario gravame, così come del ricorso in appello, all’INPS è stata effettuata “soltanto per conoscenza”, quale ente preposto all’erogazione del trattamento pensionistico dell’odierno appellante.
1. Il primo motivo di appello è rubricato: «Error in iudicando con riferimento all’interpretazione dell’art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che reca “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (c.d. legge di stabilità 2015), che ha abrogato espressamente l’art. 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005 n. 266».
1.1 Parte appellante sottolinea che l’impugnazione si incentra sul tema della decorrenza degli effetti abrogativi della norma che disponeva la c.d. “promozione alla vigilia”;
- il Tar ha dato una interpretazione distorta della norma abrogata (art. 1, comma 260, della l. n. 266/2005);
- alla luce degli articoli 11 e 12 delle disposizioni sulla legge in generale, gli effetti della norma abrogante (art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014 n. 190) non travolgono fatti e rapporti compiuti, né diritti acquisiti sotto il vigore della norma abrogata (art. 1, comma 260, lett. b, della legge 23 dicembre 2005 n. 266);
- quando la legge sopravvenuta non prevede disposizioni transitorie per coordinare il nuovo intervento con quanto regolamentato dalla norma previgente, le conseguenze giuridiche dei fatti compiuti (che hanno esaurito i loro effetti) e dei diritti acquisiti (entrati stabilmente nel patrimonio del soggetto) restano quelle che erano ad essi connesse e ciò in forza della normativa vigente nel tempo in cui il diritto venne acquisito e il fatto ebbe a compiersi (“tempus regit factum”);
- l’appellante non chiede che sia applicata a proprio favore una norma non più vigente, bensì di ottenere a suo vantaggio, tra gli effetti giuridici ed economici scaturiti dalla norma abrogata, quelli che la norma nuova non ha travolto.
1.2 Parte appellante argomenta la tesi secondo cui nella specie non si tratta di applicare una norma dopo la sua abrogazione, sostenendo di invocare il riconoscimento della c.d. promozione alla vigilia (quindi, in costanza di rapporto), avendone maturato i requisiti durante la vigenza della norma stessa.
1.3 Parte appellante si sofferma sugli elementi su cui poggiava l’istituto della “promozione alla vigilia” [ovvero: a) una precisa “ratio legis”; b) il requisito di cinque anni di anzianità nella qualifica di dirigente superiore; c) una chiara individuazione dei destinatari del beneficio; d) la cessazione dal servizio, come evento determinante ai fini dell’applicazione del beneficio] sostenendo che:
- [sub a] quanto alla “ratio legis”, di certo non può essere affermato che dopo l’abrogazione dell’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005 non sia più attuale e non ulteriormente percepita l’esigenza di perseguire lo scopo d’incrementare la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza anche attraverso una più razionale valorizzazione delle risorse dirigenziali;
- [sub b] il necessario periodo di cinque anni di servizio attivo nella qualifica di dirigente superiore può avere avuto inizio anche prima del 1° gennaio 2006 e proseguire dopo tale data fino al momento del collocamento a riposo, solo che la somma dei due periodi di attività espletata nella detta qualifica (prima e dopo il 1° gennaio 2006) raggiunga la consistenza minima di almeno cinque anni;
- [sub c] i destinatari del beneficio sono dirigenti superiori della Polizia di Stato con cinque anni di anzianità nella qualifica, in servizio alla data del 1° gennaio 2006;
- [sub d] la cessazione dal servizio è l’evento determinante per l’applicazione dell’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005, atteso che l’istituto ha proprio il fine di incidere sulla carriera del dirigente con il vantaggio di attribuirgli l’avanzamento alla qualifica di dirigente generale al momento del collocamento a riposo.
1.3.1 Parte appellante si sofferma sul tema dirimente del momento nel quale debba avvenire il collocamento a riposo per poter usufruire della promozione alla vigilia (secondo parte appellante non necessariamente entro il 31 dicembre 2014) sostenendo che:
- la norma abrogata non prevede alcun termine entro il quale la cessazione dal servizio avrebbe dovuto verificarsi;
- l’Amministrazione, nell’omettere l’attribuzione del beneficio ai dirigenti superiori collocati a riposo dopo il 31 dicembre 2014 (per avere ritenuto la promozione alla vigilia non più spettante a seguito dell’abrogazione della norma che l’aveva istituita), ha erroneamente interpretato le due norme (la norma abrogante e quella abrogata) nel senso che la cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età dovesse avvenire entro il termine di validità della norma che aveva creato l’istituto: vale a dire nel corso del periodo dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2014;
- questa erronea interpretazione ha determinato disorientamento e sconcerto tra gli ignari dirigenti superiori che, consapevoli di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti e convinti di poterli fare valere in qualunque momento, avevano riposto in buona fede pieno affidamento sul beneficio che ritenevano spettante al momento del loro futuro collocamento in quiescenza;
- se avessero avuto il dubbio che sarebbero stati pregiudicati dalla cancellazione dell’istituto, per non perdere la promozione alla vigilia essi si sarebbero affrettati a dimettersi anticipatamente entro il 31 dicembre 2014;
- l’abrogazione non può incidere su fatti e rapporti compiuti, così come su posizioni soggettive definitivamente acquisite;
- è vero che il legislatore può anche ritirare un beneficio in precedenza accordato; né gli è precluso decidere se sia politicamente opportuno seguire lo scopo anzidetto con misure differenti che riguardino gli stessi o altri destinatari; ma è altrettanto vero che la funzione normativa è pur sempre soggetta ai vincoli costituzionali di coerenza e ragionevolezza;
- potrebbe crearsi una disparità di trattamento tra i soggetti nella posizione dell’appellante e quelli andati anticipatamente a riposo entro il 31 dicembre 2014;
- una corretta lettura delle norme esaminate conduce alla conclusione che l’abrogazione dell’art 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005 effettuata dall’art. 1, comma 258, della legge n. 190 del 2014 incide esclusivamente sui dirigenti superiori che alla data del 31 dicembre 2014 non avevano maturato il requisito di cinque anni nella qualifica.
1.4 Parte appellante così sintetizza i punti principali della disciplina oggetto di esame:
- caposaldo dell’istituto della promozione alla vigilia non è il momento concreto del collocamento a riposo; al contrario è il possesso di cinque anni di anzianità nella qualifica di dirigente superiore;
- il destinatario del beneficio deve essere in servizio al momento di entrata in vigore dell’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005, con la sola eccezione nei riguardi di coloro che, per raggiunti limiti di età (o per altri motivi), sono andati in pensione prima del 1° gennaio 2006 ed hanno utilizzato il congegno introdotto dall’art. 27, comma 258, del d. lgs. 5 ottobre 2000, n. 334;
- l’abrogazione disposta dall’art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014 per sua natura non travolge fatti e rapporti compiuti, che hanno esaurito i loro effetti, né aspettative maturate e diritti acquisiti entrati stabilmente nel patrimonio giuridico del soggetto sotto il vigore della norma abrogata;
- la legge n. 266 del 2005 con una norma di relazione, vincolante per l’Amministrazione, attribuisce al dirigente la titolarità di una legittima aspettativa di carriera ed economica (quest’ultima sotto il preminente aspetto pensionistico) avente consistenza di diritto soggettivo;
- nella fattispecie l’abrogazione ha l’effetto principale di sottrarre ai dirigenti superiori, che alla data del 31 dicembre 2014 non hanno concluso il periodo di cinque anni nella qualifica, l’opportunità di completare il tempo prescritto dalla norma per ottenere la promozione alla vigilia;
- l’essere in servizio nell’arco di tempo tra l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2006 fino al 31 dicembre 2014, data della sopravvenuta cancellazione dell’istituto; nonché l’essere in possesso di cinque anni completi di anzianità nella qualifica, sono presupposti necessari e sufficienti a rendere operativo l’istituto della promozione alla vigilia al momento concreto del collocamento in quiescenza del singolo dirigente;
- questo evento può ben essere successivo al 31 dicembre 2014, data di abrogazione dell’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005, che per il principio della intangibilità dei fatti compiuti e dei diritti acquisiti non incide sul patrimonio giuridico del soggetto.
1.5 Parte appellante precisa che nella fattispecie non si verifica alcuna ipotesi di applicazione fuori tempo della norma giuridica, sostenendo che:
- retroattività, irretroattività e ultra attività non sono elementi strutturali della norma giuridica, ma sono effetti inerenti alla singola disposizione, in relazione alla situazione in cui essa è destinata ad operare;
- l’art. 1, comma 258, della legge n. 190 del 2014, non può essere retroattivo, atteso che si scontrerebbe con fatti, aspettative e diritti maturati nel corso di validità dell’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005, su cui l’effetto abrogativo non può interferire;
- quanto all’art. 1, comma 260, lett. b), della legge n. 266 del 2005 va detto che l’equivoco che induce a omettere l’attribuzione della promozione alla vigilia è presumibilmente l’erroneo convincimento, che si rinviene nella sentenza qui gravata, che la richiesta di ottenere la promozione alla vigilia al momento del collocamento a riposo dopo il 31 dicembre 2014 comporti una efficacia ultra attiva della norma abrogata;
- si tratta di un falso problema, atteso che i requisiti necessari e sufficienti alla promozione alla vigilia preesistono alla data dell’abrogazione della norma;
- la norma sulla promozione alla vigilia ha già prodotto i suoi effetti durante il tempo della sua validità;
- il conseguimento della qualifica di dirigente generale è un effetto differito che non risente dell’abrogazione, atteso che questa colpisce i dirigenti che non hanno raggiunto il requisito di cinque anni nella qualifica.
1.6 Parte appellante conclude il primo motivo di appello sostenendo che:
- il dott. .... è stato collocato a riposo in data 1° marzo 2015 per raggiunti limiti di età e, a quella data, egli aveva abbondantemente maturato il requisito di cinque anni nella qualifica di dirigente superiore, qualifica che gli era stata conferita il 1° gennaio 2009;
- a tale situazione, di fatto, l’art. 1, comma 260, lett. b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266, collega l’attribuzione del beneficio della promozione alla vigilia alla qualifica di dirigente generale;
- l’istituto previsto dal citato art. 45, comma 21, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, non può essere considerato una promozione in senso tecnico, come impropriamente viene definito dal legislatore;
- nel pubblico impiego ad ogni avanzamento alla qualifica ovvero al grado superiore - che viene disposto sempre nel prevalente, se non esclusivo, interesse pubblico - è necessariamente collegato un corrispondente trattamento retributivo, senza il quale la promozione è priva di un elemento essenziale;
- togliere alla promozione il miglioramento del trattamento economico significa attribuire al meccanismo in esame il carattere di un mero riconoscimento onorifico della qualifica di dirigente generale, idoneo unicamente a soddisfare la velleità di fregiarsi di un attributo di sola forma che si limita ad esprimere una sorta di riconoscenza per il servizio reso allo Stato;
- il dott. .... – al contrario – oltre ad aver espletato nel corso di tutta la sua carriera il proprio servizio senza demerito, ha altresì prestato il medesimo servizio rivestendo la qualifica di dirigente superiore in un preciso arco temporale (2009-31 dicembre 2014) che gli ha conferito un altro diritto (la promozione alla vigilia), riconosciuto da una norma che al tempo era ancora in vigore;
- all’appellante spetta dal giorno 28 febbraio 2015 l’avanzamento al grado superiore, compreso il diritto di ottenere per quell’unico giorno la differenza di retribuzione per raggiungere l’importo spettante al dirigente generale, atteso che il blocco degli adeguamenti retributivi imposto ai dipendenti pubblici dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per i dirigenti della Polizia di Stato è venuto a decadere il 31 dicembre 2014 (dove per altre categorie del pubblico impiego il blocco è stato prorogato);
- all’appellante spetta altresì il trattamento di pensione e di fine rapporto commisurati alla qualifica di dirigente generale a decorrere dal 1° marzo 2015.
2. Il secondo motivo di appello è rubricato: «Error in iudicando rispetto alla questione dedotta in via subordinata di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 258, della legge 23 dicembre 2014 n, 190 e dell'art. 9, comma 21, della citata legge n. 122 del 2010 per contrasto con gli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione; violazione dei principi di partecipazione, trasparenza, completezza della comunicazione dei provvedimenti impugnati; violazione degli artt. 1, 3, 4, 24, 35 e 36 della Costituzione; violazione del diritto alla giusta retribuzione; violazione dei principi di buona fede e dell'affidamento; violazione dell'art, 1, protocollo n. 1, CEDU».
Parte appellante critica la sentenza nella parte in cui ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in via subordinata dal ricorrente sostenendo che:
- la questione affrontata con la sentenza della Consulta n. 92/2021 riguardava tutt’altro aspetto della complessa fattispecie della c.d. “promozione alla vigilia” e non già gli effetti abrogativi della norma in rassegna;
- la Consulta, con la richiamata decisione, ha nuovamente affrontato il tema del blocco retributivo di cui all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, concludendo che anche la promozione “alla vigilia” rappresenta una progressione in carriera ancorché di efficacia limitata ad un solo giorno, con conseguente assoggettamento alla predetta disciplina limitativa;
- l’interpretazione fornita dal Tar è del tutto fuorviante, inconferente e, comunque, palesemente contraria alla volontà del legislatore che con la promozione alla vigilia ha inteso perseguire lo scopo d’incrementare la funzionalità dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, anche attraverso una più razionale valorizzazione delle risorse dirigenziali;
- è del tutto legittimo che lo stesso legislatore abbia successivamente inteso eliminare tale meccanismo, ma secondo i principi vigenti nel nostro ordinamento devono essere fatti salvi i diritti acquisiti, considerato poi che nella fattispecie era anche venuto meno il blocco retributivo.
Parte appellante, ove si ritenga che l’innegabile disparità di trattamento provenga da un vizio dell’art. 1, comma 258, della legge n. 190 del 2014 per non avere fatte salve situazioni pregresse di diritti quesiti, ribadisce la questione di legittimità costituzionale con riferimento a detta norma per contrasto con gli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione.
2.1 Parte appellante sostiene che sempre in tale ipotesi, peraltro, si profilerebbe una violazione parimenti grave discendente dal contrasto tra tale normativa e l’art. 1, protocollo n. 1, CEDU, in considerazione della circostanza che il diritto maturato dal dott. ...., in forza di un diritto già acquisito, assume a tutti gli effetti la qualificazione di “bene”, come tale tutelato dalla Convenzione. In particolare parte appellante sostiene che:
- la Corte europea dei Diritti umani (cfr. sentenza 18/05/2010 Caso Plalam s.p.a. c. Italia ricorso n. 16021/02) ha affermato che l’applicazione retroattiva di una legge (nella fattispecie gli effetti abrogativi) integra la violazione del predetto articolo 1, posto che essa altera il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo;
- nel caso in esame (nell’ipotesi in cui non si dovesse ritenere fondato l’assunto sopra illustrato) l’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento, da parte dell’appellante, dei propri diritti acquisiti (gli effetti discendenti dalla c.d. “promozione alla vigilia”), troverebbe una “base legale interna” che tuttavia non coglierebbe affatto il giusto equilibrio di cui sopra, ponendo in capo al medesimo appellante un carico eccessivo ed esorbitante, frutto poi dell’arbitrio da cui risulta connotato il comportamento della P.A. appellata (considerata la circostanza che al momento in cui il dott. .... è stato collocato in quiescenza non sussisteva più alcun “blocco” stipendiale giustificato da esigenze di carattere urgente ed eccezionale di finanza dello Stato);
- sul punto il Tar ha omesso qualsivoglia pronuncia;
- nella fattispecie risulta violato il principio del legittimo affidamento, in forza del quale – giustamente – il dott. .... aveva posto ogni aspettativa ed aveva pienamente maturato la titolarità del diritto a conseguire quanto di propria spettanza per i presupposti che egli aveva già ampiamente maturato prima dell’abrogazione della norma;
- in materia di legittimo affidamento, anche la Corte di giustizia europea ha affermato che gli atti normativi (e, tanto più, i provvedimenti amministrativi) non possono avere efficacia retroattiva (nel caso di specie, quanto agli effetti abrogativi) allorquando ciò non risulti giustificato dalla sussistenza di un pubblico interesse, inteso come necessarietà dell’effetto retroattivo, e non sia stata operata una corretta valutazione del legittimo affidamento degli interessati, valutazione che deve partire dalla verifica circa la prevedibilità dell’intervento normativo;
- la prevedibilità da parte dell’appellante dell’intervento normativo qui in rassegna non è minimamente ipotizzabile per le considerazioni sopra espresse;
- è pacifico il principio secondo cui, nell’ambito dell’azione amministrativa, vige la regola generale della irretroattività, espressione del principio di legalità e della esigenza di certezza dei rapporti giuridici, la quale impedisce alla P.A. di incidere unilateralmente e con efficacia retroattiva sulle situazioni giuridiche soggettive del privato.
3. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
In base all’art. 1, comma 260, lettera b), l. n. 266/05, «in conseguenza di quanto previsto dal comma 259, a decorrere dal 1° gennaio 2006, sono attribuiti: ... b) ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio».
Tale disposizione è stata abrogata dall’art. 1, comma 258, l. n. 190/14 senza che tale ultima disposizione abbia previsto alcuna disciplina transitoria o clausola di salvaguardia per coloro che, cessando dal servizio successivamente a tale data, avrebbero potuto vantare il possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica di dirigente generale previsto dalla legge abrogata.
Successivamente, l’art. 45, comma 21, del d.lgs. n. 95/17 ha precisato che «a decorrere dal 1° gennaio 2015, al personale di cui al presente decreto che nell'ultimo quinquennio prima della cessazione dal servizio ha prestato servizio senza demerito è attribuita la promozione alla qualifica ovvero al grado superiore, ovvero l'attribuzione della denominazione di coordinatore e qualifiche corrispondenti, a decorrere dal giorno successivo alla predetta cessazione dal servizio al raggiungimento del limite di età, al collocamento a domanda in ausiliaria o riserva nei casi previsti dalla legislazione vigente, per infermità o per decesso anche non dipendenti da causa di servizio, ovvero in caso di rinuncia al transito per infermità nell'impiego civile, sempre che l'infermità risulti dipendente da causa di servizio (omissis). Le disposizioni di cui al presente comma non possono produrre in nessun caso effetti sul trattamento economico, previdenziale e pensionistico del personale medesimo».
3.1 Alla luce del quadro normativo innanzi ricordato, la tesi dell’appellante (secondo cui a far data dall’abrogazione dell’art. 1, comma 260, lett. b) l. n. 266/05 sussisterebbero situazioni giuridiche acquisite in ragione del maturato possesso del requisito di cinque anni di anzianità nella qualifica di dirigente superiore) non tiene conto del fatto che il beneficio della c.d. “promozione alla vigilia” include tra i suoi presupposti quello del prossimo pensionamento del beneficiario, in tal senso l’art. 1, comma 260, cit. indefettibilmente àncora il beneficio ad una data specifica, ovvero il giorno antecedente alla cessazione dal servizio.
Non appare coerente con la ratio dell’istituto – volta sostanzialmente ad incidere sul trattamento pensionistico dell’interessato, piuttosto che sul rapporto di lavoro in essere – una diversa esegesi, per cui la decorrenza prevista dalla norma fungerebbe da mero parametro temporale di efficacia di un beneficio già maturato.
Invero, la promozione non esplica alcun effetto durante la vita lavorativa dell’interessato, anche nel caso in cui questi abbia in ipotesi maturato i cinque anni richiesti dalla norma, se non l’ultimo giorno di lavoro; è pertanto evidente che la promozione è in funzione (soltanto) della cessazione dal servizio, andando ad incidere essenzialmente sul trattamento pensionistico spettante all’interessato.
Nella logica dell’istituto in commento non appare dunque possibile configurare la promozione come un diritto già maturato, insuscettibile di essere escluso da un successivo intervento normativo. Viceversa, non essendo maturato alcun diritto, il legislatore ben può intervenire per limitare o escludere il beneficio, senza che possa predicarsi un effetto retroattivo su un diritto già acquisito.
Sul piano generale deve infatti ricordarsi che può parlarsi di diritti quesiti solo in relazione a diritti già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore in relazione ad un evento già maturato e non con riferimento ad aspettative sorte sulla base di regole previgenti o a semplici pretese di stabilità nel tempo di una regolamentazione che poi venga modificata.
Deve infatti ritenersi che nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato (come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese) e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti in un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa quale quello di lavoro, suscettibili come tali di essere differentemente regolate nel corso del rapporto.
3.2 In definitiva, va ribadito come non sia possibile configurare alcun diritto acquisito dell’appellante alla qualifica superiore, che, in base all’art. 1, comma 260, lett. b) l. n. 266/05, sorge solo il giorno antecedente il collocamento a riposto, in quanto funzionalmente preordinato a regolare lo status giudico ed economico del pensionato e non del lavoratore. Ne consegue che, allorché è intervenuta l’abrogazione dell’art. 1, comma 260, lettera b) della l. n. 266/05, l’appellante non aveva maturato alcun diritto, dal momento che questo sarebbe sorto solo il giorno antecedente il suo collocamento a riposto.
In tal senso non è configurabile alcun effetto retroattivo dell’art. 1, comma 258, l. n. 190/14, dal momento che questo non ha interessato diritti e situazioni già giuridicamente perfezionatisi ed acquisiti. Ne deriva l’assenza di ogni contrasto con i principi di cui alla CEDU e l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dedotta in via subordinata dall’appellante.
3.3 Peraltro, l’interpretazione innanzi delineata risulta in sintonia con il successivo intervento del legislatore che, con l’art. 45, comma 21, d. lgs. n.95/17, ha previsto la promozione all’atto del pensionamento, ma ha esplicitamente precisato che «Le disposizioni di cui al presente comma non possono produrre in nessun caso effetti sul trattamento economico, previdenziale e pensionistico del personale medesimo».
Per tale ragione va confermato anche il rigetto dei motivi aggiunti proposti dall’appellante in primo grado, stante il chiaro tenore letterale della disposizione innanzi citata.
4. In definitiva, per le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato.
La peculiarità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere
Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore
         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giovanni Pascuzzi        Sergio De Felice
         
         
         
         
         
IL SEGRETARIO

 

Nessun commento:

Posta un commento