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11 luglio 2025

La sentenza del Tribunale di Cosenza del 3 giugno 2025, n. 980, riguardante il licenziamento collettivo senza obbligo di repêchage, affronta i punti principali e le implicazioni giuridiche di questa pronuncia.

 

La  sentenza del Tribunale di Cosenza del 3 giugno 2025, n. 980, riguardante il licenziamento collettivo senza obbligo di repêchage, affronta i punti principali e le implicazioni giuridiche di questa pronuncia.

 

**Contesto normativo e principi generali**

 

Il licenziamento collettivo è regolato in Italia dall’art. 24 della legge 23 luglio 1990, n. 223, che prevede procedure specifiche e tutele per i lavoratori coinvolti. Tra i vari aspetti, si discute della possibilità o meno per il datore di lavoro di ricollocare i lavoratori in altre sedi o posizioni, in particolare in presenza di riduzione di personale.

 

Il concetto di “repêchage” (termine francese che indica il diritto di preferenza o di ripescaggio) si riferisce alla possibilità di ricollocare i lavoratori in altre sedi di proprietà dell’azienda o in altre posizioni compatibili, quando si riduce il personale.

 

**Principale pronuncia del Tribunale di Cosenza**

 

La sentenza in esame chiarisce che, in caso di licenziamento collettivo per motivi connessi alla riduzione di personale, il datore di lavoro non ha l’obbligo di ricollocare i lavoratori in altre sedi o di adottare misure di repêchage, qualora non siano disponibili posizioni libere di pari livello di inquadramento.

 

**Aspetti salienti della decisione**

 

1. **Natura della riduzione di personale**: La sentenza sottolinea che, in assenza di una norma che imponga un obbligo di ricollocamento, il datore di lavoro può procedere al licenziamento collettivo senza dover garantire alternative di impiego ai lavoratori, purché abbia rispettato le procedure previste dalla legge.

 

2. **Assenza di obbligo di repêchage**: La decisione evidenzia che il diritto di ripescaggio non è automatico né scontato. Se non ci sono posizioni libere di pari livello o compatibili, il datore di lavoro non è obbligato a creare nuove posizioni o a spostare i lavoratori.

 

3. **Diritti del lavoratore**: Il lavoratore può pretendere la ricollocazione solo se ci sono posizioni disponibili e compatibili; in caso contrario, il suo diritto alla ricollocazione viene meno, e il licenziamento può essere considerato legittimo.

 

4. **Implicazioni pratiche**: La sentenza rafforza la possibilità per le aziende di procedere con licenziamenti collettivi senza dover necessariamente ricercare soluzioni di ricollocamento, riducendo così l’onere a carico del datore di lavoro.

 

**Implicazioni giuridiche e interpretative**

 

- La pronuncia si inserisce in un contesto di tutela del datore di lavoro, chiarendo che l’obbligo di ricollocamento non è assoluto e dipende dalla disponibilità di posizioni.

- Tuttavia, questo approccio può essere soggetto a contestazioni qualora si dimostri che il datore di lavoro ha agito in modo dilatorio o ha rifiutato ingiustificatamente di ricercare soluzioni alternative.

- La sentenza può essere interpretata come un richiamo a rispettare scrupolosamente le procedure di legge e a valutare caso per caso la presenza di posizioni compatibili.

 

**Conclusioni**

 

La decisione del Tribunale di Cosenza rappresenta un importante chiarimento circa i limiti dell’obbligo di repêchage in caso di licenziamento collettivo. Essa afferma che, in assenza di disponibilità di posizioni libere di pari livello, il datore di lavoro può procedere al licenziamento senza dover garantire un’alternativa di ricollocamento ai lavoratori.

 

Questo orientamento rafforza la libertà del datore di lavoro di gestire il personale in presenza di riduzioni di personale, ma allo stesso tempo sottolinea l’importanza di rispettare tutte le procedure legali e di agire in buona fede nella ricerca di eventuali soluzioni alternative, quando queste sono realisticamente possibili.

 

**Nota finale**

 

È importante considerare che questa pronuncia si inserisce in un quadro giuridico in evoluzione e che le interpretazioni potrebbero variare in futuro o in altri contesti giudiziari. Pertanto, le aziende e i lavoratori devono sempre valutare attentamente le circostanze specifiche e consultare esperti legali per orientamenti puntuali.

 

 

 

 

 

Trib. Cosenza 3 giugno 2025, n. 980

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ricorso del 27.12.2024 ritualmente notificato (…) conveniva in giudizio la società in epigrafe e, premesso di aver prestato attività lavorativa alle sue dipendenze dal 6.10.2010 al 7.10.2024, assunta dapprima con contratto di inserimento e successivamente con contratto di apprendistato dal 9.7.2011 e dal 8.7.2011 con contratto a tempo indeterminato part-time a 24 ore a settimana con inquadramento al livello 4 del CCNL Commercio e Terziario e mansioni di impiegata addetta presso il punto vendita di (…) esponeva che, con nota del 30.5.2024, il datore di lavoro aveva comunicato alle rappresentanze sindacali l’apertura della procedura volta alla riduzione del personale ex L. n. 223 del 1991 e che con verbale di incontro sindacale del 12.7.2024 deliberato la risoluzione del rapporto di lavoro di 52 unità indicate in esubero prevedendosi, in detto accordo sindacale, un incentivo all’esodo in favore di coloro i quali avessero manifestato, mediante sottoscrizione di verbali di conciliazione in sede protetta, la non opposizione al licenziamento.

Deduceva che con nota del 1.10.2024 la società convenuta aveva comunicato la sua risoluzione del rapporto di lavoro e che il recesso era stato impugnato stragiudizialmente con nota del 10.10.2024 e, dopo aver evidenziato che il datore di lavoro occupava alle sue dipendenze più di 15 dipendenti, agiva in questa sede contestando il licenziamento per: 1) violazione della legge n. 223/1991 per mancata e/o inesistente e/o omessa comunicazione e valutazione distacco/trasferimento presso diverse sedi/unità produttive; 2) inesatta e mendace dichiarazione di esubero – violazione art. 5 legge n. 223/1991; 3) violazione della percentuale di manodopera femminile ex art. 5, comma 2, L. n. 223/1991.

Concludeva chiedendo “(..) Accertare e dichiarare l’inefficacia e/o nullità e/o illegittimità del licenziamento collettivo intimato dalla società resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al ricorrente, con nota del 07.10.2024, per le motivazioni dedotte in narrativa; Per l’effetto, stante l’applicabilità del regime della tutela reale, condannare ai sensi dell’art. 18, co. 4 L. n. 300/1970 e s.m.i., la suddetta società resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegra della ricorrente nel posto di lavoro, con condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, ossia Euro 1.817,39, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, ovvero in quella ritenuta di equità e giustizia e con condanna al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative; In via subordinata, accertare e dichiarare illegittimo e per l’effetto annullare il provvedimento di licenziamento intimato dalla resistente al ricorrente con nota del 07.10.2024, per manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con ogni conseguenza di legge, per tutti i motivi di cui alla narrativa del presente atto; per l’effetto, in applicazione dell’art. 18, co. 7 L. 300/70 e s.m.i., condannare la suddetta società convenuta in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, con condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, ossia Euro 1.817,39 dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, ovvero in quella ritenuta di equità e giustizia e con condanna al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi e della rivalutazione monetaria nella misura legale, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative; in estremo subordine, accertare e dichiarare che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo di licenziamento e, per l’effetto, in applicazione dell’art. 18, co. 5 L. 300/70, s.m.i, condannare la resistente a riassumere la ricorrente entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio dei prestatori di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti (…)”. (…)

si costituiva in giudizio contestando il ricorso di cui chiedeva il rigetto per infondatezza, instando, in subordine, per l’accertamento della applicazione della tutela indennitaria e la declaratoria dell’intervenuta risoluzione del rapporto ed il riconoscimento dell’indennità nella misura minima e, in via ulteriormente subordinata, in caso di ripristino del rapporto di lavoro, per la compensazione delle somme riconosciute alla ricorrente con il debito restitutorio pari all’importo percepito a titolo di competenze di fine rapporto, indennità di mancato preavviso, indennità supplementare al TFR e di indennità di disoccupazione, stipendi percepiti da altri datori di lavoro.

Istruita documentalmente, la causa veniva rinviata per la decisione all’udienza del 3.6.2025 – sostituita ex art. 127 ter c.p.c. dal deposito di note scritte – e decisa come da dispositivo in calce.

Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato per quanto di seguito esposto.

Occorre premettere che il licenziamento per cui è causa fa seguito alla comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo dichiarazione di mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 della Legge 223/1991 (all.11 fasc. ricorrente) ed agli incontri sindacali del 12.7.2024 e 23.7.2024 (all. 8- 9-fasc. resistente).

Con la citata comunicazione di avvio della procedura la società resistente ha comunicato alle organizzazioni sindacali l’indifferibile necessità di avviare la procedura di riduzione di personale per il licenziamento di n. 52 lavoratori, su un totale di n. 82, applicato presso i punti vendita aziendali (…, (…) …, …) dando atto della cessazione dell’attività nel corso del 2023 di alcuni punti vendita, dell’imminente chiusura (al 30.6.2024) del punto vendita di … e della progressiva riduzione, complessivamente, dell’attività produttiva e delle conseguenti perdite, dell’avvenuto ricorso alla cassa integrazione guadagni basata su un accordo di solidarietà, nonché evidenziando le motivazioni tecnico organizzative e produttive per i quali ha ritenuto di non poter adottare strumenti alternativi per porre rimedio alla situazione economica sfavorevole ed evitare la riduzione del personale. Con gli accordi sindacali del 12.7.2024 e 23.7.2024 è stata quindi convenuta la risoluzione del rapporto di lavoro di un numero massimo di 52 unità nell’ambito dei profili indicati nella citata comunicazione di avvio di procedura sulla base dei criteri di scelta cui all’art. 5, comma 1, l. n. 22371991 nonché di quello della non opposizione al licenziamento, prevedendosi un incentivo all’esodo in favore di coloro i quali avessero manifestato, appunto, di non opporsi al licenziamento.

Tanto precisato, parte ricorrente si duole, anzitutto, della illegittimità del licenziamento intimato per violazione della legge n. 223/1991 per mancata e/o inesistente e/o omessa comunicazione e valutazione distacco/trasferimento presso diverse sedi/unità produttive.

Dopo aver premesso che la società datoriale è composta, oltre che dal punto vendita di (…) anche di ulteriori punti vendita, deduce, nello specifico, che “(..) la comparazione selettiva dei lavoratori doveva essere effettuata sulla base del perimetro di incidenza dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, determinanti la situazione di eccedenza occupazionale individuata dallo stesso imprenditore – come detto, con riferimento a tutte le unità produttive dislocate sul territorio nazionale – in base ai criteri stabiliti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, da leggere, si ribadisce, nel riferimento alle “esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale” (..)” e lamenta che “(..) Mentre nella comunicazione di avvio della procedura, nella valutazione delle eccedenze è specificamente dedotto che nel PVD di .. non vi è personale in esubero “tuttavia, la platea dei dipendenti interessati alla riduzione di personale sarà composta dall’intera forzo lavoro aziendale. Nel caso in cui (…) dovessero essere individuate tra le risorse da licenziare uno o più dipendenti applicati presso il PDV di …, si procederà tramite trasferimenti individuali a ripristinare il numero di addetti funzionale alla gestione del PDV di …a”, nella tabella redatta secondo i criteri di scelta individuati, non risultano presenti i lavoratori addetti al PDV di … Di conseguenza, risulta violato l’art. 4 della L. 223/91, siccome l’accordo sindacale del 12.07.2024 non ha preso in considerazione le esigenze tecnico-produttive ed organizzative di ciascun punto vendita. Pur essendo stata fatta una distinzione tra i vari punti vendita e indicato il fatturato complessivo dell’azienda, non risulta che siano stati valutati fattori quali: – andamento delle vendite e fatturato di ciascun punto vendita; – eventuali esigenze di riorganizzazione o ristrutturazione di ciascun punto vendita (..)” (così alle pagg. 5-6 del ricorso). La doglianza non coglie nel segno.

Ed invero, per come si ricava dalla comunicazione di avvio della procedura (all. 11 fasc. resistente) e dagli accordi sindacali del 12.7.2024 e 23.7.2024 (all. 89 fasc. resistente), il licenziamento collettivo per cui è causa ha avuto riguardo all’intero complesso aziendale (e non già singole sedi/reparti aziendali) stante la analogia delle attività svolte nei vari punti vendita e nella comunicazione ex art. 4, comma 9, legge n. 223/1991 trasmessa dalla società alle Organizzazioni sindacali ed agli enti competenti (ITL, Ministero Lavoro, Regione Calabria) è stato allegato l’elenco del personale licenziato con indicazione dei criteri di scelta applicati (quello della “non opposizione al licenziamento” e quelli di legge di cui all’art. 5 L. n. 223/1991) con la relativa “griglia” nonché la comunicazione d’avvio della procedura con le indicazioni relative a tutto il personale occupato.

Nella comunicazione di avvio della procedura la società ha evidenziato che i profili in esubero riguardavano, per quanto qui di interesse, soltanto gli addetti alla cassa inquadrati nel 4° livello del CCNL e nella griglia trasmessa unitamente alla citata comunicazione finale ex art. 4 L. n. 223/1991 gli addetti alla cassa – come la ricorrente – sono infatti inquadrati nel 4° livello. La società datoriale ha, inoltre, documentato – benché non sia oggetto di specifica doglianza da parte ricorrente – che la dipendente (…) addetta alla cassa con inquadramento al livello V del CCNL in forza presso il punto vendita di …, ha contratto matrimonio in data 4.9.2024 e quindi era beneficiaria della tutela dai licenziamenti ex art. 35 D.Lgs. n. 198/2006 e comunque in ragione dell’incontestato livello di inquadramento (il V) era esclusa dalla comparazione con gli altri lavoratori in esubero.

Non è quindi affatto vero che, come deduce parte ricorrente che è stato violato l’art. 4 della L. 223/91, siccome l’accordo sindacale del 12.07.2024 non ha preso in considerazione le esigenze tecnico-produttive ed organizzative di ciascun punto vendita”.

Con il medesimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, altresì, che “(..) non è dato sapere come la Società resistente abbia considerato la possibilità di ricollocare i dipendenti presso i vari punti vendita facenti capo alla medesima (..)” (cfr. pag. 6 del ricorso).

Sul punto la società resistente ha, correttamente, messo in risalto che dagli incontri sindacali (cfr. all. 8 fasc. resistente) era emersa la impossibilità di ricorrere a soluzioni alternative ai licenziamenti – quali il trasferimento presso altri punti vendita – e che, in ogni caso, dal contenuto della lettera di avvio della procedura risulta chiaro che la condizione di esubero ha riguardato ogni punto vendita, deducendo che non vi erano dunque sedi o reparti con posizioni libere da assegnare, con conseguente impossibilità di trasferire il personale in esubero; in proposito, osserva il giudice, che parte ricorrente non ha, comunque, dedotto o provato (né chiesto di provare) l’esistenza di sedi presso le quale ella avrebbe potuto essere trasferita. Anche detta doglianza è quindi priva di pregio.

Lamenta, poi, parte ricorrente la inesatta e mendace dichiarazione di esubero -violazione art. 5 legge n. 223/1991.

Deduce, in particolare: 1) che “(..) La scelta di licenziare la Sig.ra (…) appare arbitraria e discriminatoria, siccome la Società resistente ha individuato, per come indicato nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo, un esubero pari a 5 unità svolgenti mansioni di addetto alla cassa presso il punto vendita di (…) Si è, dunque, proceduto a licenziare cinque addette alla cassa, nonostante avesse già raggiunto un accordo di conciliazione con una di esse, la Sig.ra (…). Tale accordo avrebbe dovuto comportare una riduzione del numero di esuberi dichiarati, ed essere considerato come una sopravvenuta riduzione del personale tale da far venire meno la necessità di licenziare la quinta addetta alla cassa (..); 2) che “(..) la graduatoria stilata dalla società resistente presenta profili di illegittimità sotto diversi aspetti. In primo luogo, essa viola il criterio di territorialità previsto dalla Legge n. 223/1991, oltre che le previsioni espressamente indicate nella fase delle trattative con le OO.SS., in quanto include indiscriminatamente tutti i lavoratori addetti alle casse, senza distinzione tra i diversi punti (..)”; 3) che “(..) la graduatoria risulta viziata dall’inclusione dei lavoratori che hanno risolto consensualmente il rapporto mediante la sottoscrizione di un accordo di conciliazione (..) L’accordo conciliativo, infatti, determina la cessazione del rapporto per mutuo consenso, escludendo la sussistenza di un esubero e rendendo superflua l’applicazione dei criteri di scelta. Ne consegue che, ai fini della determinazione del numero di lavoratori da licenziare, avrebbe dovuto essere previamente detratto il numero di dipendenti che hanno aderito all’accordo conciliativo. In altri termini, dall’esubero iniziale di 15 unità, avrebbero dovuto essere sottratti i 9 lavoratori che hanno optato per la risoluzione consensuale, con una conseguente riduzione dell’esubero a 6 unità (..)”; 4) che “(..) la graduatoria appare illegittima anche per l’omesso inserimento dei dipendenti del punto vendita di .., per come superiormente dedotto. Nonostante la comunicazione di avvio della procedura avesse incluso tali lavoratori nella platea dei potenziali esuberi, invero, essi sono stati inspiegabilmente esclusi dalla graduatoria finale, la graduatoria appare illegittima anche per l’omesso inserimento dei dipendenti del punto vendita di …, per come superiormente dedotto.

Nonostante la comunicazione di avvio della procedura avesse incluso tali lavoratori nella platea dei potenziali esuberi, invero, essi sono stati inspiegabilmente esclusi dalla graduatoria finale (..); 5)

che “(..) appare erronea l’attribuzione dell’anzianità di servizio sì come calcolata nella graduatoria posta alla base dei licenziamenti, atteso che è stata indicata quale data di assunzione il 09.07.2011, ovvero coincidente con la decorrenza del contratto di apprendistato e non anche il periodo compreso tra il 06.10.2010 ed il 05.07.2011, in cui la sig.ra (…) ha lavorato alle dipendenze della resistente – all’epoca (…) srl – con contratto di inserimento della durata di nove mesi, part-time a 24 ore (..) Il punteggio attribuito alla ricorrente nella graduatoria predisposta secondo i criteri ex art. 5 L. 223/91 è erroneo, in quanto non considera la predetta anzianità di servizio (..); 6) che “(..) occorre evidenziare che l’illegittimo inserimento della sig.ra (…) tra gli addetti alla cassa al fine di procedere al suo licenziamento. Tale inquadramento è errato in quanto la medesima ha svolto prevalentemente mansioni di addetto al box informazioni e si occupava della contabilità del punto vendita, ovvero ha svolto mansioni perfettamente coincidenti con le Sigg.re (…) e (…), inserite quali responsabili di cassa. Ed invero, le mansioni di cassa, pur rientrando tra attività svolte dalla ricorrente, erano marginali e non prevalenti (..); 7) che “(..) considerata la sua esperienza nella contabilità e la sua competenza nel gestire il box informazioni, il licenziamento della ricorrente appare in contrasto con le reali esigenze del punto vendita di (…) La Società resistente, ulteriormente, così procedendo non ha valutato la possibilità di ricollocare la Sig.ra (…) in altre mansioni all’interno del punto vendita o in altri punti vendita, evitando così il licenziamento (..)”; 8) che “(..) l’esubero è solo apparente, avendo attualmente proceduto la resistente ad assegnare mansioni di cassieri a lavoratori che in data precedente al licenziamento erano addetti alle vendite ed ai reparti. Conseguentemente, l’esubero non avrebbe dovuto limitarsi alle addette alle casse, quanto riguardare l’intera platea dei lavoratori, con conseguente inserimento degli stessa nella stilata graduatoria (..) la suddivisione per mansioni è stata artatamente elaborata dalla resistente atteso che le mansioni di addetta alla vendita e di addetta alla cassa, oltre ad essere pienamente fungibili, sono inquadrate nel medesimo livello e non richiedono competenze specifiche, tanto che attualmente ai lavoratori formalmente svolgenti mansioni di addetti alle vendite (…) sono state assegnate mansioni di addetti alle casse (..)” (cfr. pagg. 7-11 del ricorso).

Anche tali doglianze non meritano condivisione.

Ed invero, quanto alla conciliazione che la società datoriale avrebbe raggiunto con la lavoratrice (…)indicata come addetta alla cassa e che – a dire della ricorrente – avrebbe dovuto comportare una riduzione del numero di esuberi dichiarati è sufficiente rilevare, da un lato che, come correttamente osserva la resistente, in sede sindacale sono stati individuati quali unici criteri di scelta soltanto quello della non opposizione (quale primo criterio) e quelli di cui all’art. 5 della L. 223/1991 e, dall’altro, che in ogni caso la ricorrente non spiega, né prova, che laddove vi fosse stata la riduzione di una unità del numero degli esuberi (ridotti quindi a quattro) ella non sarebbe stata comunque attinta dal licenziamento.

Quanto alla ritenuta violazione del criterio di territorialità previsto dalla Legge n. 223/1991 ed alla circostanza che la graduatoria includerebbe indiscriminatamente tutti i lavoratori addetti alle casse, senza distinzione tra i diversi punti, va rilevato che la citata legge 223/1991 non prevede affatto un criterio di territorialità e che, appunto, in sede di accordi sindacali sono stati individuati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare riguardanti l’intero complesso aziendale.

Erra, poi, la ricorrente quando sostiene che dall’esubero iniziale di 15 unità avrebbero dovuto essere sottratti i 9 lavoratori che hanno optato per la risoluzione consensuale poiché nella specie, come giustamente rileva la resistente, non vi sono state risoluzioni consensuali ma è avvenuto che alcuni lavoratori (in particolare n. 32 unità) hanno beneficiato dell’incentivo all’esodo previsto dall’accordo sindacale non opponendosi al licenziamento e sono stati, appunto, licenziati.

Si è già detto quanto alla infondatezza della mancata (ritenuta) inclusione nella graduatoria finale dei lavoratori facenti parte del punto vendita di .. e altresì priva di pregio è la censura relativa all’errata valutazione dell’anzianità di servizio della ricorrente.

La ricorrente lamenta, nello specifico, che la società datoriale non avrebbe computato, nel valutare la sua anzianità di servizio, il periodo di occupazione compreso tra il 6.10.2010 ed il 5.07.2011 nel quale ella avrebbe lavorato alle sue dipendenze con contratto di inserimento della durata di nove mesi; sul punto ha prodotto la copia del relativo contratto (cfr. fasc. ricorrente). Sennonché la società convenuta, nel premettere che dalle incontestate buste paga (cfr. LUL in fasc. resistente) risultava che la decorrenza del rapporto contrattuale della ricorrente era da ricondursi al 9.7.2011 (epoca di stipula del contratto di apprendistato, cfr. fasc. ricorrente) e che il contratto di inserimento prodotto dalla ricorrente non provava lo svolgimento del rapporto di lavoro ha, in ogni caso, dedotto – e su ciò non vi è contestazione alcuna da parte della ricorrente – che anche a voler considerare l’anzianità di servizio derivante dal contratto di inserimento (e quindi il periodo di 9 mesi) la ricorrente avrebbe ottenuto, quanto al criterio della anzianità, anziché il punteggio attribuito di 3,29, quello (di poco) superiore di 3,48 con un punteggio complessivo di 4,48 ossia un punteggio che, comparato con quello degli altri lavoratori in esubero, avrebbe comunque condotto al licenziamento. La doglianza non coglie dunque nel segno.

Sostiene, poi, la ricorrente l’erroneo inquadramento contrattuale assumendo l’illegittimo suo inserimento tra gli addetti alla cassa deducendo, in particolare, che le mansioni di cassa da ella svolte erano marginali e non prevalenti essendo invece prevalenti quelle di responsabile di cassa: assume, nello specifico, che ella ha svolto mansioni coincidenti con quelle delle lavoratrici (…) e (…) inquadrate, appunto, come responsabili di cassa.

Ora, premesso che lo svolgimento da parte della ricorrente di dette più qualificate mansioni di responsabile di cassa è contestato dalla resistente, la società ha comunque dedotto – e anche su ciò non vi è contestazione alcuna -che anche laddove la ricorrente fosse stata comparata con le figure professionali delle responsabili di cassa ella sarebbe comunque risultata in esubero essendo state ritenute necessarie solo due risorse con tale profilo e avendo conseguito, in applicazione degli adottati criteri di scelta, la lavoratrice (…) un punteggio complessivo di 8,38 e la lavoratrice (…) un punteggio di 5,38 e dunque punteggi superiori rispetto a quello di 4,29 attribuito alla ricorrente, ciò che avrebbe, in ogni caso, condotto al suo licenziamento. Né, come correttamente ricorda la società resistente, la ricorrente può dolersi di non essere stata ricollocata in altre mansioni all’interno del punto vendita o presso altri punti vendita (e ciò in ragione delle ulteriori dedotte mansioni che avrebbe svolte, quali quelle di addetta alla contabilità e al box informazioni, comunque contestate dalla resistente) posto che in caso di licenziamento collettivo non sussiste alcun obbligo di repêchage – essendo questo proprio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – e non sussistendo alcun diritto del lavoratore al mutamento del profilo professionale. Sostiene, ancora, parte ricorrente la natura solo apparente dell’esubero assumendo la piena fungibilità delle mansioni di addetta alla vendita e di addetta alla cassa, deducendo, in proposito, che ai lavoratori formalmente svolgenti mansioni di addetti alle vendite erano state assegnate mansioni di addetti alle casse.

Sul punto la società resistente, nel contestare la dedotta fungibilità delle mansioni di addetta e di addetta alla cassa – rilevando che le figure professionali in questione richiedevano competenze e conoscenze differenti -ha, da un lato, evidenziato che parte ricorrente, mentre ha dedotto che agli addetti alla vendita erano assegnate mansioni di cassiera non ha, invece, dedotto il contrario, ossia che alle cassiere erano (o erano state) assegnate mansioni di addette alle vendite, con ciò smentendosi la dedotta fungibilità delle mansioni.

La società resistente ha, altresì, condivisibilmente, rilevato che, anche a voler seguire l’assunto della ricorrente, non è dato comprendere chi avrebbe dovuto essere licenziato al suo posto: sul punto, invero, si osserva che la parte ricorrente non allega né prova che, laddove l’esubero non si fosse limitato alle addette alle casse ma avesse riguardato anche gli addetti alle vendite, ella non sarebbe stata comunque licenziata.

Lamenta, da ultimo, parte ricorrente la violazione della percentuale di manodopera femminile ex art. 5, comma 2, L. n. 223/1991 deducendo che “(..) deve ritenersi quale dato numerico acquisito agli atti, l’impiego tra addetti cassa ed addetti vendita, essendo fungibili le funzioni per come dedotto nel precedente paragrafo, di nn. 17 uomini e nn. 27 donne; in siffatto ambito di riferimento, dunque, la percentuale di manodopera femminile con mansioni impiegatizie era pari al 61,36%. Nel contesto descritto si è poi proceduto al licenziamento di nn. 21 donne su nn. 27 totali, con conseguente presenza di percentuale femminile negli anzidetti reparti dal 61,36% al 13,63%. Appare, dunque, evidente la violazione della disposizione normativa e conseguente nullità dell’intera procedura di licenziamento (..)” (così alle pagg. 11-12 del ricorso).

Ora, la previsione normativa richiamata da parte ricorrente dispone che “(..) L’impresa non può altresì licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione”.

Premesso che la società resistente ha negato di aver posto in essere la lamentata discriminazione legata al genere ed ha contestato i dati numerici allegati dalla ricorrente deducendo, sul punto, che “(..) gli addetti alle casse erano venti (20) di cui un (1) uomo e diciannove (19) donne. Sono state licenziati quindici (15) addetti alle casse, di cui un (1) uomo. Sono rimaste in forza cinque (5) donne. Dunque, la percentuale di donne addette alla cassa era del 99% prima del licenziamento, mentre oggi è del 100% (..) (cfr. pag. 25 della memoria) si osserva, in ogni caso, che la ritenuta violazione, ove sussistente, non determina affatto – come sostenuto dalla ricorrente – la nullità dell’intera procedura di licenziamento non essendo, invero, detta grave conseguenza sancita dalla legge.

Ed infatti, l’art. 5 L. n. 223/1991, al comma 3, prevede le sanzioni in caso di licenziamento intimato senza forma scritta, ovvero adottato in violazione delle procedure di cui all’art. 4, comma 12, L. n. 223/ o di quelle i cui all’articolo 189, comma 6, del codice della crisi e dell’insolvenza, nonché in caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1 dell’art. 5 L. n. 223/1991 ma non commina la nullità del licenziamento nell’ipotesi di violazione del precetto di cui al comma 2 del citato art. 5. La doglianza è dunque infondata.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve, in definitiva, essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive Euro 2.500,00 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge, con distrazione ove richiesta.

 

 

 

 

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Modulistica e prontuari 11 luglio 2025