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11 luglio 2025

Comunicazione del licenziamento e sulla prova contraria nel contesto della presunzione di conoscenza dell’atto recettizio si basa sulla recente pronuncia della Cassazione, ordinanza del 15 giugno 2025, n. 15987. Questo ambito giuridico riguarda la corretta modalità di prova circa la ricezione di un atto, come il licenziamento, e le implicazioni sulla validità di tale comunicazione.

 

Comunicazione del licenziamento e sulla prova contraria nel contesto della presunzione di conoscenza dell’atto recettizio si basa sulla recente pronuncia della Cassazione, ordinanza del 15 giugno 2025, n. 15987. Questo ambito giuridico riguarda la corretta modalità di prova circa la ricezione di un atto, come il licenziamento, e le implicazioni sulla validità di tale comunicazione.

 

1. **Presunzione di conoscenza dell’atto recettizio**

 

La presunzione di conoscenza si fonda sulla regola che, qualora un atto venga regolarmente recapitato al domicilio del destinatario, si presume che quest’ultimo ne sia a conoscenza. Questo principio deriva dall’articolo 1335 del Codice Civile, secondo cui la conoscenza di un atto si presume con la consegna al destinatario, salvo prova contraria. La presunzione opera in modo automatico, semplificando le procedure e tutelando l’efficacia degli atti.

 

2. **Equivalenza tra conoscenza e conoscibilità**

 

La Cassazione sottolinea che la presunzione si basa sull’equivalenza tra conoscenza e conoscibilità dell’atto, purché quest’ultimo sia stato regolarmente recapitato al domicilio, che costituisce il luogo di ricezione presumibile. La consegna al domicilio rappresenta quindi l’elemento chiave per presumere che il destinatario abbia avuto effettiva possibilità di venire a conoscenza dell’atto stesso.

 

3. **Prova contraria oggettiva**

 

La presunzione di conoscenza non è assoluta, ma può essere superata tramite la prova contraria oggettiva. Tale prova deve dimostrare che, per circostanze estranee alla volontà del destinatario, quest’ultimo non abbia avuto effettiva possibilità di conoscere l’atto. Ad esempio, se il destinatario era assente dal domicilio, in ospedale senza possibilità di ricevere comunicazioni, o se l’atto è stato erroneamente consegnato a un’altra persona, tali circostanze costituiscono una prova oggettiva che impone di ritenere che l’atto non sia stato effettivamente conosciuto.

 

4. **Implicazioni nel contesto della comunicazione del licenziamento**

 

Nel caso specifico del licenziamento, questa distinzione assume importanza per determinare la validità della comunicazione. Se il datore di lavoro ha regolarmente inviato la lettera di licenziamento all’indirizzo del lavoratore, si presume che quest’ultimo ne sia a conoscenza, rendendo valida la comunicazione. Tuttavia, se il lavoratore dimostra che, per circostanze oggettive, non ha potuto conoscere il contenuto dell’atto (ad esempio, perché era assente o l’atto è stato mal indirizzato), potrà opporre la prova contraria e contestare la validità del licenziamento.

 

5. **Applicazione pratica**

 

La pronuncia della Cassazione del 2025 chiarisce che la prova contraria deve essere oggettiva e circostanziata, e non può essere limitata a mere supposizioni o allegazioni generiche. È necessario dimostrare, con elementi probatori concreti, che l’effettiva conoscenza dell’atto era impedita da circostanze che esulano dalla volontà del destinatario.

 

**In conclusione:**

 

La recente sentenza ribadisce che la presunzione di conoscenza di un atto recettizio, come il licenziamento, si fonda sulla regolare consegna al domicilio, ma può essere superata con una prova oggettiva che dimostri l’impossibilità effettiva di conoscere l’atto per cause estranee alla volontà del destinatario. Tale principio tutela sia il datore di lavoro, che può presumere la conoscenza dell’atto, sia il lavoratore, che può opporre una prova contraria in presenza di circostanze che ne impediscono la conoscenza effettiva.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA 15 giugno 2025, n. 15987

Svolgimento del processo

– Con sentenza del 9 febbraio 2024, la Corte d’Appello di Xxx confermava la decisione resa dal Tribunale di Xxx e dichiarava inammissibile, per intervenuta decadenza dall’impugnazione del licenziamento, il ricorso proposto da A.A. nei confronti del Comune di Xxx, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato allo A.A. ai sensi dell’art. 36 del CCNL per il comparto Funzioni locali e del D.P.R. n. 171/2011 per inidoneità assoluta e permanente a proficuo lavoro.

– La decisione della Corte territoriale discende dall’avere questa ritenuto di dover confermare l’inammissibilità del ricorso sancita dal primo giudice per essere lo A.A. decaduto per decorso del termine dall’impugnazione del licenziamento, stante la presunzione di conoscibilità dell’atto recettizio operante nel momento in cui questo perviene all’indirizzo del destinatario, sicché il non avere avuto dalla madre convivente, che aveva ricevuto la lettera di licenziamento, la comunicazione del recapito della stessa non era idoneo ad integrare quell’evento eccezionale ed estraneo alla volontà dell’interessato idoneo a consentire, se provato, il superamento della presunzione. Ad avviso della Corte territoriale quanto dallo stesso A.A. riferito circa l’intento che aveva mosso la madre di proteggerlo da una comunicazione destabilizzante costituiva, unitamente alla pretesa volontà di riprendere il lavoro, un elemento elettivo rientrante nella sfera di controllo dello A.A. Escludeva, inoltre, il giudice d’appello l’incidenza nell’evenienza del precario stato psicofisico del medesimo.

– Per la cassazione di tale decisione ricorre lo A.A., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Xxx.

– Entrambe le parti hanno poi depositato memoria.

Motivi della decisione

– Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1335 c.c. in una con il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente interpretato la norma invocata, escludendo che possano avere rilievo ai fini della mancata conoscenza dell’atto recettizio, riverberando a carico del datore di lavoro, eventi avvenuti nella sfera del lavoratore così denegando al ricorrente quella prova contraria che pur la norma ammette e che, nella specie, doveva ritenersi imposta dalla peculiarità del contegno del familiare che aveva ricevuto l’atto, contegno contrario a quello, attuativo dei doveri di solidarietà e prossimità all’interessato su cui l’art. 139 c.p.c. e 7 L. n. 890/1982 fondano l’ammissibilità della consegna dell’atto al familiare per conto dell’interessato e ciò a motivo del precario stato psicofisico del ricorrente illegittimamente disconosciuto dalla Corte territoriale.

– Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 L. n. 604/1966 in una con il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente imputa alla Corte territoriale di avere considerato erroneamente idoneo ad integrare gli estremi della comunicazione di recesso corredata dai relativi motivi da fare oggetto di tempestiva impugnazione ai fini dell’ammissibilità della relativa azione l’atto ricevuto che né prospettava quei motivi, resi noti solo nel corso della successiva procedura di mediazione né dava conto di possibili accomodamenti ragionevoli cui il datore è tenuto al fine di consentire al soggetto fragile la conservazione del posto.

– Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del CCNL per il comparto delle Funzioni locali e del D.P.R. n. 171/2011, il ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente interpretato le norme invocate come tali da legittimare il recesso dell’Ente datore, quando, viceversa, sono formulate in modo da consentire al soggetto datore di valutare soluzioni alternative oggi imposte nei confronti del lavoratore fragile.

– Il primo motivo si rivela infondato alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 23874/2024) per cui la conoscenza legale di cui all’art. 1335 c.c. è la risultante di una equivalenza giuridica tra conoscenza e conoscibilità fissata in relazione alla regolare ricezione dell’atto al domicilio del destinatario (equivalenza che in quanto tale non può essere messa in discussione) e di una presunzione iuris tantum suscettibile di prova contraria (qui, però, non valutabile non avendo il ricorrente riportato le istanze istruttorie formulate con conseguente inammissibilità della censura), presunzione che può essere vinta dimostrando che, per fatti oggettivi ed incolpevoli, nonostante che l’atto sia pervenuto nel luogo di destinazione, lo stesso non sia entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario, come si desume dallo stesso tenore letterale dell’art. 1335 c.c., che, nell’indicare quale debba essere la prova contraria che il destinatario è tenuto a dare, fa riferimento alla “impossibilità di aver notizia” e non alla conoscenza effettiva dell’atto né, tanto meno, alla sua comprensione.

– Le Sezioni Unite hanno, dunque, dato continuità all’orientamento secondo cui “cui la prova contraria alla presunzione, che il destinatario deve offrire per vincere la stessa, si deve muovere anch’essa su un piano oggettivo e riguardare circostanze che attengano, non alle condizioni soggettive del ricevente, bensì a fattori esterni ed oggettivi che, in quanto attinenti al collegamento del soggetto con il luogo di consegna, siano idonei ad escludere la conoscenza nei termini intesi dal legislatore, ossia, sostanzialmente, la conoscibilità dell’atto.”.

– Di contro inammissibili risultano il secondo ed il terzo motivo, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risolvendosi le censure mosse dal ricorrente nella mera confutazione dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale circa l’idoneità della missiva dell’Ente datore pervenuta al domicilio del ricorrente a porsi, contrariamente a quanto prospettato da questi, come lettera di licenziamento corredata dei motivi e, pertanto, eventuale oggetto dell’impugnazione ex art. 6, L. n. 604/1966, lettera il cui contenuto, peraltro non è qui sindacabile, per non averla il ricorrente trascritta.

– Per il resto le censure, nella parte in cui ripropongono gli argomenti inerenti all’asserita illegittimità del licenziamento, sono inammissibili in quanto su quelle questioni la Corte non ha pronunciato, ritenendo assorbente il mancato rispetto del termine di decadenza.

– Il ricorso va, dunque, rigettato.

– Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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