La sentenza Cass. 21 maggio 2025, n. 13558, riguardante il diritto alla NASpI e il computo delle 30 giornate di lavoro effettivo, può essere così strutturato:
1. **Oggetto della pronuncia**
La Corte di Cassazione si pronuncia in merito ai requisiti necessari per accedere all’indennità di disoccupazione NASpI, in particolare sulla modalità di calcolo delle giornate di lavoro effettivo richieste negli ultimi 12 mesi antecedenti alla cessazione del rapporto di lavoro.
2. **Requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo**
Il requisito fondamentale per la concessione della NASpI è che il lavoratore abbia svolto almeno 30 giornate di lavoro effettivo nel periodo di riferimento. La sentenza chiarisce che questa condizione non si riferisce esclusivamente alle giornate di presenza fisica sul posto di lavoro, ma si estende a tutte le giornate che comportano un diritto del lavoratore alla retribuzione e alla relativa contribuzione.
3. **Inclusione delle giornate di ferie e riposi retribuiti**
Inoltre, la Corte precisa che le giornate in cui il lavoratore riceve retribuzione e contribuzione, anche se non si tratta di giornate di presenza effettiva, devono essere computate ai fini del requisito. Quindi, ferie retribuite, riposi retribuiti e altre giornate di astensione dal lavoro che comportano un diritto alla retribuzione sono considerate come giornate di lavoro effettivo ai fini del requisito delle 30 giornate.
4. **Implicazioni pratiche**
Questa interpretazione ha un impatto importante, in quanto amplia il numero di giornate considerabili ai fini del requisito richiesto per l’accesso alla NASpI. Ciò significa che anche giornate non lavorate effettivamente, ma retribuite, contribuiscono a raggiungere il limite minimo di 30 giornate, rendendo più accessibile la tutela previdenziale per i lavoratori che usufruiscono di ferie o altri permessi retribuiti.
5. **Confronto con la normativa e prassi precedente**
La sentenza si inserisce nel solco di un orientamento interpretativo più ampio, volto a riconoscere come il requisito delle giornate di lavoro effettivo debba tener conto di tutte le giornate che, pur non comportando presenza fisica, sono comunque caratterizzate da un diritto del lavoratore alla retribuzione e alla contribuzione.
6. **Conclusioni**
In sintesi, la Cassazione afferma che, ai fini del requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo per la NASpI, si devono considerare tutte le giornate che danno diritto alla retribuzione e alla contribuzione, includendo ferie e riposi retribuiti, ampliando così la portata del requisito e favorendo l’accesso all’indennità di disoccupazione.
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**Nota:** La sentenza rappresenta un’importante interpretazione della normativa previdenziale, contribuendo a chiarire i criteri di calcolo e di inclusione delle giornate ai fini dell’ottenimento della NASpI, e sottolinea l’importanza di considerare tutte le giornate retribuite, non solo quelle di presenza effettiva, per il rispetto dei requisiti di legge.
CORTE DI CASSAZIONE 21 maggio 2025, n. 13558
Svolgimento del processo
1.La Corte d’Appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Vercelli, che aveva dichiarato il diritto di A.A. – licenziato dalla società XXX XXX nell’anno 2017 dopo avere visto succedersi periodi di CIGS, contratti di solidarietà, ferie, festività e R.O.L.-a percepire la indennità NASPI.
2. La Corte territoriale, premesso che era pacifica la sussistenza degli ulteriori requisiti di accesso alla NASPI- (stato di disoccupazione e accredito di 13 settimane di contribuzione nel quadriennio precedente) – esponeva che secondo la tesi dell’INPS non era integrato il requisito delle 30 giornate di “lavoro effettivo” negli ultimi 12 mesi, di cui alla lettera c) dell’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 22/2015; detto requisito doveva interpretarsi, nell’assunto dell’Istituto, come giornate di effettiva presenza al lavoro.
2.1. Il giudice dell’appello disattendeva le difese dell’INPS, richiamando la giurisprudenza costituzionale relativa alla indennità di mobilità (Corte cost. n. 423/1995) e della Corte di cassazione in punto di integrazione salariale per i lavoratori agricoli (Cass. n. 16235/2002 e Cass. n. 13024/2001) secondo la quale ai fini del diritto alle prestazioni previdenziali costituivano giornate di lavoro effettivo anche quelle in cui, mancando la prestazione, sussisteva, comunque, l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione e pagare la contribuzione, come nei casi di ferie e riposo retribuito. Riteneva che tale soluzione dovesse essere adottata anche per la NASPI.
La interpretazione accolta trovava riscontro nella circolare INPS n. 142/2015, che aveva ritenuto possibile procedere alla “neutralizzazione” dei periodi coperti con contratti di solidarietà, utilizzati nella prassi anche a zero ore, sia ai fini del requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo che di quello delle 13 settimane di contribuzione.
Pertanto, il requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo sussisteva considerando i periodi di ferie, festività e riposi goduti dal lavoratore nell’anno 2015.
3. Il giudice dell’appello condivideva anche la motivazione subordinata adottata dal Tribunale, secondo cui il requisito delle trenta giornate di lavoro effettivo ricorreva, comunque, nell’anno 2014 poiché andava “neutralizzato” il periodo dell’anno 2015 soggetto a contratto di solidarietà, da considerare a zero ore perché nessuno dei dipendenti della società aveva lavorato nel corso dell’intero anno. Osservava sul punto che sarebbe stato irrazionale impedire la neutralizzazione per il solo fatto che l’azienda aveva corrisposto per alcune giornate la retribuzione per rol, ferie e festività.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’INPS, articolato in un unico motivo di censura, cui A.A. ha resistito con controricorso.
La causa, già fissata per l’adunanza camerale del 15 novembre 2024, in relazione alla quale entrambe le parti depositavano memoria, è stata rinviata per la discussione in udienza pubblica. Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso; il controricorrente ha depositato nuova memoria.
Motivi della decisione
1.Con l’unico motivo di censura l’INPS ha denunciato- ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c.- la violazione e/o falsa applicazione dell’art.3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 4 marzo 2015 n.22 anche in relazione all’art. 12 disp. prel.c.c.
2. La questione sottoposta a questa Corte è se nel computo del periodo delle “30 giornate di lavoro effettivo”, di cui alla norma considerata, debbano essere comprese le giornate in cui la prestazione non è stata effettivamente resa.
L’INPS ha contestato la decisione impugnata per avere computato come giornate di “lavoro effettivo” quelle retribuite nell’anno 2015 per ferie, festività, r.o.l.
Ha svolto censure anche in merito alla possibilità di retrodatare all’anno 2014 i dodici mesi nell’ambito dei quali individuare i trenta giorni di lavoro effettivo, assumendo che non sono oggetto di “neutralizzazione” tutti i periodi che danno luogo a retribuzione, come il periodo di solidarietà usufruito dal lavoratore nel corso dell’anno 2015, in quanto coperto da integrazione a titolo di solidarietà.
3. Le censure sono infondate.
4. L’art. 3del D.Lgs. n. 22 del 2015, nella formulazione applicabile ratione temporis, riconosce l’indennità mensile di disoccupazione, denominata “Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI)”, ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e presentino congiuntamente i seguenti requisiti: “a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni; b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione; c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione”.
Nell’odierno giudizio si controverte, nuovamente, sull’interpretazione del requisito delle trenta giornate “di lavoro effettivo”, tipizzato dalla lettera c).
Questa Corte, invero, si è già confrontata con la disposizione in oggetto e ha ritenuto, che “le trenta giornate di lavoro effettivo, nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione, cui l’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015 subordina, in concorso con altre condizioni previste dalla stessa norma, il trattamento della NASpI, sono integrate anche da giornate di ferie e/o di riposo retribuito” (Cass. nr. 22922 del 2024. Conforme, Cass. nr. 31402 del 2024).
Il principio poggia sulla considerazione che le ferie, come i riposi, rappresentano momenti connaturali al rapporto di lavoro. Durante la loro fruizione vi è piena vitalità -e quindi effettività- del rapporto stesso.
Per la Corte il “lavoro effettivo” è, dunque, sempre comprensivo di quelle “pause” periodiche della prestazione lavorativa che, finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, sono equiparabili alla effettiva e concreta esecuzione delle mansioni.
5. Le argomentazioni esposte, dalle quali non vi è ragione di discostarsi, meritano, però, un ulteriore sviluppo nella presente sede, per la peculiarità del caso concreto.
Nello specifico è accaduto che, nel periodo considerato dalla norma di legge (ovvero quello dei “dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione”), il lavoratore non ha svolto attività lavorativa ma è stato ugualmente retribuito, godendo di ferie, festività e riduzioni orarie.
5.1. Ai fini di causa, rileva che in detti periodi restava fermo l’adempimento dell’obbligo retributivo e contributivo del datore di lavoro.
Nella ricorrenza di una tale situazione, giudica il Collegio che il “lavoro” (recte: il rapporto di lavoro) debba considerarsi “effettivo” ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015.
Ciò in quanto l’art. 3 cit., pur nella sua peculiare formulazione terminologica, evoca un concetto giuridico di “effettività” non coincidente con il significato, strettamente naturalistico, di una attività materialmente in essere. La prestazione di lavoro è, infatti, effettiva non solo nel momento in cui è concretamente eseguita ma anche durante le sue pause fisiologiche (così come, a fortiori, quando è offerta ma, ingiustificatamente, rifiutata).
In tutte queste ipotesi, il sinallagma contrattuale resta inalterato nella sua concreta funzionalità, tanto che non vi è interruzione dell’obbligazione retributiva e di quella contributiva.
Diversamente ragionando, il lavoratore verrebbe ad essere pregiudicato, nei diritti previdenziali, pur esercitando legittime prerogative, garantite da leggi o contratti collettivi o, ancor di più, in presenza di comportamenti unilaterali e ingiusti del datore di lavoro (basti pensare, a tale ultimo riguardo, ad un ordine giudiziale di ricostituzione del rapporto di lavoro, non ottemperato per esclusiva volontà della parte datoriale).
6. Occorre precisare che differente è, invece, la situazione in presenza di eventi che, per legge, determinano una cesura temporanea del rapporto di lavoro, con sospensione delle reciproche prestazioni delle parti. Sono i casi tipici, in via esemplificativa, della maternità, infortunio e malattia ma lo sono anche quelli, per esempio, di godimento del congedo genitoriale o di permessi dal lavoro per assistere persone con handicap grave o, ancora, quelli coperti da cassa integrazione guadagni o contratti di solidarietà a zero ore.
Si tratta di eventi che impediscono totalmente lo svolgimento dell’attività e che – diversamente dalle ipotesi prima valutate (ferie, riposi, festività, ecc.)- sospendono pure le obbligazioni principali delle parti. Casi tutti accumunati dal fatto che l’originario rapporto, per un certo periodo di tempo, entra in uno stato di quiescenza, non essendo dovute né la prestazione lavorativa dal dipendente, né la retribuzione dal datore di lavoro. Durante il verificarsi di tali situazioni, dunque, il lavoro non è “effettivo”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c) D.Lgs. n. 22/2015.
E tuttavia, la sospensione del rapporto di lavoro – (in luogo della sua estinzione per impossibilità della prestazione lavorativa, secondo la disciplina dei rapporti di durata) – è l’effetto della protezione che l’Ordinamento riconosce, ex art. 38 Cost., ad obiettive situazioni impeditive dello svolgimento della prestazione lavorativa per cause non imputabili al lavoratore.
In questa prospettiva, è evidente allora che anche i periodi di “inattività” del sinallagma contrattuale per eventi tutelati dal Legislatore non possano ricadere in danno del lavoratore, quanto al godimento della prestazione NASpI, e sono, perciò, “neutralizzati”, nel senso che di essi non si tiene conto nel computo del periodo di riferimento di dodici mesi di cui all’art. 3 in commento.
In altre parole, ove nei “dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione” si sia verificata una causa di sospensione del rapporto di lavoro, il relativo periodo non è preso in considerazione (ed è, dunque, neutralizzato) ai fini della verifica del periodo di riferimento di dodici mesi, di cui alla lettera c) dell’art. 3 del D.Lgs. n. 22 del 2015, in applicazione di un principio generale, insito nel sistema, volto ad impedire che il lavoratore perda il diritto ad una prestazione previdenziale in una situazione tutelata dal medesimo ordinamento assicurativo.
7. Conclusivamente, possono enunciarsi i seguenti principi di diritto:
“In tema di accesso ai nuovi trattamenti di integrazione salariale (cd. NASpI) ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 22 del 2015, nella formulazione antecedente alle modifiche disposte dall’art. 1, comma 171, della L. 30 dicembre 2024, n. 207 (e applicabili agli eventi di disoccupazione verificatisi dall’1 gennaio 2025):
– il requisito delle “trenta giornate di lavoro effettivo” risulta integrato -oltre che da giornate di ferie e/o di riposo retribuito- da ogni giornata che dia luogo al diritto del lavoratore alla retribuzione e alla relativa contribuzione;
– ai fini del computo dei “dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione” si escludono (sono neutralizzati) i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per cause tutelate dalla legge, impeditive delle reciproche prestazioni”.
8.Di tali principi ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata che si sottrae, dunque, ai mossi rilievi.
9.La novità di molti profili delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, mentre, tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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